La cintura di sicurezza è un salvavita fondamentale e anche un obbligo di legge. La recente giurisprudenza italiana ha chiarito che il mancato uso delle cinture può ridurre solo in parte il risarcimento dovuto al passeggero ferito (o ai suoi familiari) e ha rafforzato la responsabilità del conducente, sia civile che penale, nell’assicurarsi che tutti i trasportati le indossino correttamente.
"Del senno di poi son piene le fosse", recita un antico proverbio italiano reso celebre anche da Alessandro Manzoni. In altre parole, a nulla serve ragionare col senno di poi, quando un evento tragico è già accaduto e non si può più tornare indietro. Questa massima ha un’amara attinenza con la sicurezza stradale: troppe volte, dopo un grave incidente, ci si ritrova a dire “se solo avesse indossato la cintura di sicurezza…” mentre è ormai tardi per rimediare. L’utilizzo delle cinture di sicurezza è uno di quegli accorgimenti semplici ma fondamentali che possono fare la differenza tra la vita e la morte – o tra ferite lievi e lesioni gravissime – in caso di sinistro. E non si tratta solo di un dovere morale verso sé stessi e i propri cari: è un preciso obbligo di legge previsto dall’art. 172 del Codice della Strada, per conducente e passeggeri.
Tuttavia, nella realtà quotidiana, capita ancora di salire in auto e, complici magari brevi tragitti o la fretta, trascurare di allacciare le cinture, soprattutto nei sedili posteriori. Vediamo allora quali sono le conseguenze giuridiche di tale omissione, sia per chi rimane vittima di un incidente senza cintura, sia per il conducente che non vigila sul rispetto di questa norma. Le sentenze recenti della Cassazione offrono indicazioni chiare: da un lato i passeggeri non perdono del tutto il diritto al risarcimento anche se non indossavano la cintura, dall’altro il guidatore ha una responsabilità sempre più marcata nel garantire la sicurezza a bordo.
In passato, alcune vittime di incidenti si sono viste negare o fortemente limitare il risarcimento con la motivazione che “se avessero messo la cintura, non sarebbero morte o non si sarebbero ferite”. Questo approccio tendeva a imputare all’infortunato una colpa talmente grave da annullare il nesso causale tra la condotta del conducente e il danno subito. Oggi, grazie a una più equilibrata visione giurisprudenziale, sappiamo che non è così: il mancato uso delle cinture può semmai integrare un concorso di colpa del passeggero, ma non elimina del tutto il diritto al risarcimento.
La Corte di Cassazione, terza sezione civile, lo ha affermato espressamente con l’ordinanza n. 30315 depositata il 31 ottobre 2023. Il caso riguardava un incidente mortale in provincia di Padova: un uomo, seduto sul sedile posteriore, purtroppo deceduto in uno scontro, non indossava la cintura. In primo grado e in appello i familiari si erano visti rigettare la domanda risarcitoria proprio a causa di questa omissione: i giudici avevano ritenuto che, se la vittima avesse avuto la cintura, probabilmente sarebbe sopravvissuta, concludendo dunque per un azzardo giuridico secondo cui nessun risarcimento sarebbe spettato ai congiunti, poiché il comportamento imprudente del passeggero aveva interrotto il nesso causale (ex art. 1227, comma 2, c.c.). Si trattava di una decisione scioccante e penalizzante per la famiglia, che di fatto veniva lasciata senza alcun ristoro nonostante la responsabilità primaria del sinistro fosse del conducente.
Di fronte a questo esito, la Cassazione è intervenuta correggendo il tiro. Gli Ermellini hanno anzitutto censurato l’errore logico-giuridico dei giudici di merito: aver contribuito all’evento “in maniera determinante” non significa avervi contribuito in maniera esclusiva. Tradotto: anche se la mancanza della cintura ha avuto un ruolo molto significativo nel tragico esito, ciò non esclude le concorrenti responsabilità altrui (in quel caso, la manovra azzardata del conducente e la velocità elevata dell’altro veicolo coinvolto). Pertanto, negare del tutto il risarcimento ai familiari della vittima è stato ritenuto illegittimo.
La Cassazione ha così stabilito che occorre quantificare correttamente la percentuale di colpa del passeggero e dei conducenti in incidente. Nel caso di specie, era emerso che tre condotte colpose avevano concorso: la vittima senza cintura, il conducente dell’auto su cui viaggiava (che non aveva rispettato lo STOP e non aveva controllato che i passeggeri avessero le cinture) e l’altro automobilista sopraggiunto a velocità eccessiva. Ciascuno era stato considerato responsabile in misura del 33%. La Corte d’Appello però, pur parlando di tre colpe paritarie, aveva poi contraddittoriamente escluso il risarcimento, dando peso soltanto alla colpa della vittima. La Cassazione ha cassato quella sentenza, chiarendo che se la colpa del passeggero è stimata al 33%, gli altri due terzi di causalità gravano sui conducenti responsabili: di conseguenza, ai familiari spetta il risarcimento di due terzi del valore totale dei danni subiti. Sarà la Corte d’Appello (in diversa composizione) a rideterminare l’indennizzo secondo questo criterio, ma il principio enunciato è generale: anche quando l’assenza di cintura ha contribuito in modo importante al danno, la vittima conserva il diritto a una parte sostanziale del risarcimento (commisurata alla colpa prevalente dei conducenti).
Questa pronuncia apporta dunque un bilanciamento: il comparto assicurativo talvolta tendeva a invocare l’art. 1227 c.c. (concorso di colpa del creditore del danno) per ridurre drasticamente i risarcimenti, ma la Cassazione ricorda che tale riduzione deve essere proporzionata e mai totale, a meno che la condotta della vittima sia stata l’unica causa del danno – circostanza limite e difficile da dimostrare. In poche parole, non indossare la cintura è un errore che può costare caro (in tutti i sensi), ma non priva del tutto la tutela risarcitoria.
Accanto alla posizione del passeggero, la giurisprudenza recente ha posto l’accento sul ruolo e sulle colpe del conducente quando uno o più trasportati non indossano la cintura di sicurezza. Siamo abituati a pensare che ognuno risponda per sé: l’automobilista conduce il veicolo e deve rispettare le regole della strada, il passeggero ha l’obbligo di allacciarsi la cintura e, se non lo fa, “peggio per lui”. Ma la realtà giuridica è più complessa e, per certi versi, sorprendente: il conducente è chiamato a farsi carico attivamente anche della sicurezza dei passeggeri.
L’art. 172 CdS infatti prevede sì una sanzione pecuniaria per i passeggeri maggiorenni che non usano la cintura, ma sul piano sostanziale si considera che chi guida ha il dovere di assicurarsi che tutti a bordo abbiano le cinture allacciate prima e durante la marcia. Questo principio, già espresso in passato dalla Cassazione, è stato di recente riconfermato con maggior vigore. Con la sentenza n. 46566 del 18 dicembre 2024, la Corte di Cassazione ha stabilito che il conducente di un’auto è sempre responsabile per il mancato uso della cintura da parte dei passeggeri. Non solo: tale violazione può integrare profili di colpa penale a carico del guidatore. In particolare, la Cassazione ha affermato che un conducente può essere ritenuto colpevole di omicidio colposo (nel contesto dell’omicidio stradale) se, a seguito di un incidente, uno dei passeggeri senza cintura perde la vita. Siamo di fronte a un’evoluzione importante nell’approccio alla sicurezza: la responsabilità del conducente non “finisce al volante”, ma si estende alla tutela attiva degli occupanti.
Nella sentenza 46566/2024 viene sottolineato come il guidatore debba pretendere l’uso della cintura da parte di tutti a bordo, rifiutandosi di partire finché tutti non l’abbiano allacciata e mantenendo un controllo anche durante il viaggio. L’obbligo sussiste “a prescindere dall’obbligo e dalla sanzione a carico di chi deve fare uso della detta cintura”, cioè dei passeggeri stessi. In pratica, il fatto che la legge preveda una multa per il passeggero non esonera affatto il conducente dalla sua responsabilità di vigilanza; anzi, la Cassazione ha evidenziato che la sicurezza dei trasportati è responsabilità primaria di chi guida.
Questa linea dura era stata preannunciata da pronunce negli anni precedenti (ad esempio, Cass. pen. n. 39136/2022 e altre). La decisione di fine 2024 la consolida e lancia un chiaro messaggio: mettersi alla guida comporta anche il dovere di diventare “tutore” dei propri passeggeri. Non è più ammesso un atteggiamento passivo del tipo “se vogliono la cintura se la mettano loro, non sono affari miei”. Al contrario, chi conduce deve attivamente controllare e, se necessario, insistere perché tutti si mettano in sicurezza, persino arrivando a non trasportare chi rifiuti di adeguarsi.
Abbiamo visto come la violazione dell’obbligo di far usare le cinture possa assumere rilevanza penale per il conducente in caso di esiti mortali. Vale la pena approfondire brevemente questo aspetto: nel tragico caso citato (incidente di Alatri, 2015, esaminato nella sentenza Cass. 46566/2024) la conducente trasportava tre passeggeri, di cui due senza cintura. A seguito del sinistro, uno dei passeggeri posteriori perse la vita. La Suprema Corte, applicando principi già emersi in passato, ha ritenuto la conducente penalmente responsabile dell’accaduto, in concorso con la responsabilità degli altri conducenti coinvolti nell’incidente.
Tecnicamente, il reato contestato è l’omicidio stradale colposo (art. 589-bis c.p.), che punisce chi causa per colpa la morte di una persona violando il CdS. Normalmente, quando il passeggero adulto non indossa la cintura, si potrebbe pensare che la sua morte sia “colpa sua”. Ma la Cassazione – con un approccio orientato alla massima prevenzione – ha stabilito che la condotta colposa del conducente include anche il non aver preteso il rispetto delle misure di sicurezza da parte di chi viaggia con lui. Dunque, l’omissione del guidatore (nel non far allacciare le cinture) viene considerata una delle cause del decesso, configurando il reato a suo carico.
Anche in caso di lesioni non mortali subite dal passeggero senza cintura, il conducente potrebbe rispondere del reato di lesioni personali stradali gravi o gravissime (art. 590-bis c.p.), sempre per colpa consistente nella violazione delle norme di prudenza (tra cui rientra l’obbligo di cui sopra). Va detto che, a seguito della riforma del 2022, il reato di lesioni stradali semplici è ora perseguibile a querela della vittima; ciò significa che il passeggero leso dovrà espressamente sporgere denuncia/querela affinché il reato sia perseguito (salvo che concorrano aggravanti come guida in stato di ebbrezza, nel qual caso si procede d’ufficio). In ogni caso, il quadro normativo e giurisprudenziale è chiaro: la negligenza del conducente riguardo alle cinture può costituire colpa penalmente rilevante.
Per i passeggeri vittime questo implica che vi è un’ulteriore sede (quella penale) in cui far valere le proprie ragioni. Essi potranno, se lo desiderano, costituirsi parte civile nel processo penale a carico del conducente, chiedendo il risarcimento danni nell’ambito del giudizio penale stesso. Alternativamente, potranno attendere l’esito del procedimento penale ed utilizzare la sentenza di condanna come prova nel successivo giudizio civile di risarcimento.
In virtù di quanto esposto, possiamo trarre alcune indicazioni pratiche sia per chi viaggia come passeggero sia per chi guida, al fine di evitare tragedie e, in ultima analisi, proteggere anche i propri diritti legali.
Allaccia sempre la cintura, su qualunque sedile: sembra banale, ma va ribadito. Che tu sia davanti o dietro, in un breve tragitto urbano o in autostrada, indossa la cintura di sicurezza. Non farlo espone a rischi enormi per la vita e la salute. Inoltre, sul piano giuridico, ti espone a possibili riduzioni nel risarcimento in caso di incidente (concorso di colpa). Anche se la legge assicura comunque una parte di indennizzo, la priorità dev’essere non aver bisogno del risarcimento perché si evita il peggio. Meglio prevenire che curare.
Conducente: fai il “check” prima di partire e durante il viaggio: se sei tu alla guida, assumi questo semplice ma fondamentale compito: controlla che tutti abbiano le cinture allacciate. Puoi gentilmente ricordarlo prima di avviare il motore e, se qualcuno esita o minimizza, spiega con fermezza che è per la sicurezza di tutti. In caso di rifiuto, hai il diritto (anzi, il dovere morale e legale) di non partire finché la persona non si adegua. Durante il viaggio, ogni tanto assicurati che nessuno si sia sganciato. I bambini devono viaggiare sui seggiolini e con sistemi di ritenuta adeguati, ma anche gli adulti vanno “vigilati” perché spesso sui sedili posteriori tendono a trascurare questa precauzione.
Dopo un incidente, non nascondere se non indossavi la cintura: se malauguratamente sei vittima di un sinistro e non avevi la cintura, potresti essere tentato di tacere questo fatto per paura di non essere risarcito. In realtà, come abbiamo visto, hai comunque diritto a un indennizzo se la responsabilità non è tua al 100%. Dichiarare il falso può invece pregiudicare seriamente la tua credibilità e la tua posizione in un eventuale giudizio. Meglio essere onesti: sarà compito del perito medico stabilire in che misura l’assenza di cintura ha inciso sulle lesioni. Se hai subito un danno, concentrati sul documentarlo e dimostrare le colpe altrui, senza temere eccessivamente di aver “perso tutto” solo per questa leggerezza.
Documenta e agisci per il risarcimento: come per ogni incidente, è fondamentale raccogliere subito le prove dell’accaduto. Fai intervenire le autorità per i rilievi, fatti refertare al Pronto Soccorso, conserva ogni scontrino di spesa medica. Se eri passeggero, prendi i riferimenti del conducente e del suo veicolo (targa, compagnia assicurativa). La richiesta di risarcimento andrà rivolta all’assicurazione del veicolo responsabile (sia esso quello su cui viaggiavi, se il conducente ha causato il sinistro, o un altro veicolo in caso di collisione tra più mezzi). Anche in questa fase, l’assistenza di un avvocato può facilitare le cose, specie se ci sono contestazioni sulla dinamica o sulle percentuali di colpa.
Conoscere i propri diritti per non subire ingiustizie: se sei familiare di una vittima deceduta, sappi che il fatto che il tuo caro non indossasse la cintura non impedisce di ottenere giustizia. Come visto, la Cassazione ti tutela: avrai diritto a un risarcimento proporzionato alla responsabilità effettiva degli altri conducenti coinvolti. Inoltre, puoi chiedere che sia fatta giustizia in sede penale perseguendo chi ha causato l’incidente. È comprensibile provare rabbia o senso di colpa in queste situazioni, ma non lasciare che un’ingiustizia ulteriore (nessun risarcimento) si aggiunga alla tragedia: col senno di poi è facile giudicare, ma il diritto serve proprio a dare risposte anche quando ormai il peggio è accaduto.
In definitiva, la cintura di sicurezza va considerata parte integrante della cultura della sicurezza stradale. I dati statistici recenti mostrano che, soprattutto sui sedili posteriori, l’utilizzo della cintura in Italia è ancora troppo basso (poco più del 35% di persone la indossano sempre, secondo l’ISS). Ciò si traduce purtroppo in morti e feriti che potrebbero essere evitati. Dal punto di vista giuridico, il panorama delineato dalle pronunce più recenti è chiaro: la legge protegge chi subisce un danno, ma esige responsabilità sia dalle vittime che dai conducenti. Il passeggero imprudente non viene abbandonato a sé stesso – il suo risarcimento non svanisce totalmente – tuttavia subisce una decurtazione proporzionale per non aver adottato una precauzione basilare. Dal canto suo, il conducente distratto o permissivo verso i passeggeri negligenti non può più chiamarsi fuori: gli viene attribuito un ruolo centrale nella prevenzione del rischio, con conseguenze anche penali se omette tale ruolo. In altre parole, chi guida risponde non solo di come guida, ma anche di cosa accade nell’abitacolo.
La saggezza popolare invita a “non aspettare la disgrazia per imparare l’importanza della prudenza”. Far tesoro di questa lezione significa, molto concretamente, allacciare quella cintura ogni singola volta e accertarsi che lo facciano tutti i nostri compagni di viaggio. Non solo per evitare sanzioni o problemi legali, ma per la sicurezza di ciascuno. Perché davvero “del senno di poi son piene le fosse”, e ogni vita salvata oggi vale più di mille rimpianti domani.
Avv. Marco Panato, avvocato del Foro di Verona e Dottore di Ricerca in Diritto ed Economia dell’Impresa – Discipline Interne ed Internazionali - Curriculum Diritto Amministrativo (Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Verona).
E' autore di pubblicazioni scientifiche in materia giuridica, in particolare nel ramo del diritto amministrativo. Si occupa anche di docenza ed alta formazione.