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Usucapione di beni pubblici: quando il tempo batte lo Stato (forse) - Studio Legale MP - Verona

Si possono usucapire i terreni del Comune? La Cassazione chiarisce i limiti

Un terreno comunale abbandonato da decenni può diventare proprietà privata tramite usucapione? Le più recenti sentenze della Corte di Cassazione delineano in quali casi il possesso ultraventennale prevale sull’inerzia della Pubblica Amministrazione, consentendo al privato di acquisire la proprietà di un bene pubblico, e in quali situazioni invece i beni pubblici restano insuscettibili di usucapione. Si tratta di un’evoluzione giurisprudenziale che bilancia tutela del patrimonio pubblico e affidamento del privato, ridefinendo il vecchio principio per cui “nullum tempus occurrit regi” – il tempo non corre a sfavore dello Stato.

 

Beni pubblici e usucapione: il principio tradizionale

Nel nostro ordinamento vige da sempre un principio di forte tutela del patrimonio pubblico: i beni demaniali e i beni del patrimonio indisponibile degli enti pubblici non possono essere usucapiti. Questo divieto, sancito dagli articoli 823 e 828 del codice civile, si basa sull’idea che i beni destinati a finalità pubbliche debbano restare sottratti alla perdita della proprietà per effetto del semplice decorso del tempo. In altre parole, lo Stato e gli enti pubblici tradizionalmente non “perdono” i loro beni se un privato li occupa a lungo, proprio in virtù del brocardo secondo cui “Vigilantibus non dormientibus iura succurrunt” (la legge aiuta chi vigila sui propri diritti, non chi dorme).

Rientrano in questa categoria protetta sia i beni demaniali (come strade, piazze, fiumi, litorali, beni culturali, ecc.), sia i beni patrimoniali indisponibili (ad esempio foreste, immobili destinati a pubblico servizio, aree soggette a vincoli pubblicistici): sono tutti beni legati da un vincolo di destinazione pubblica e inalienabilità. Pertanto, per decenni la giurisprudenza è stata unanime nel ritenere che nessun possesso per quanto prolungato consentisse di sottrarre un bene al patrimonio pubblico. Anche un terreno formalmente intestato al Comune, pur non appartenendo al demanio necessario, veniva considerato non usucapibile se rientrava nel patrimonio indisponibile perché destinato (anche solo sulla carta) a un interesse pubblico. Il precedente proprietario o chiunque lo detenesse di fatto rimaneva un mero occupante privo di tutela acquisitiva, e l’ente pubblico poteva rivendicare il bene in ogni momento.

Il possesso ultraventennale su aree pubbliche inutilizzate: la svolta della Cassazione

Di recente, però, la Cassazione civile (Sez. II) ha introdotto importanti eccezioni a questa regola, riconoscendo spazio all’usucapione in situazioni particolari. Con l’ordinanza n. 17427/2023 la Suprema Corte ha affrontato il caso di un terreno espropriato dal Comune decenni prima per realizzarvi un’opera pubblica mai costruita. L’area, benché formalmente acquisita al patrimonio comunale, era rimasta di fatto nella disponibilità del privato espropriato per oltre vent’anni, senza che l’ente la destinasse ad alcuna funzione pubblica concreta. Ebbene, i giudici di legittimità hanno affermato un principio innovativo: se un bene pubblico non è mai stato realmente utilizzato per scopi collettivi e l’ente proprietario si è limitato a una “titolarità sulla carta”, il possesso continuativo ultraventennale da parte di un privato può condurre all’usucapione.

In questa pronuncia la Cassazione ha chiarito che per dichiarare davvero “indisponibile” un bene pubblico non basta l’atto formale di acquisizione o una previsione urbanistica di destinazione pubblica: occorre anche un’effettiva e attuale destinazione del bene al pubblico servizio. Solo in presenza di questo duplice requisito (volontà formale + uso concreto) il bene resta insuscettibile di usucapione. Diversamente, se il bene pubblico rimane inutilizzato e l’ente pubblico non ne fa alcun uso pubblico tangibile per decenni, il possesso del privato assume rilievo sostanziale. In tal caso, secondo la Corte, l’inerzia prolungata della Pubblica Amministrazione “non può pregiudicare indefinitamente i diritti dei privati” meritevoli di tutela. Si riconosce dunque al privato possessore di buona fede la possibilità di usucapire il bene, tutelando la sua affidabilità e l’interesse alla stabilità dei rapporti giuridici. Questo orientamento, ribadito poco dopo anche dall’ordinanza n. 28481/2023 (Sez. II), rappresenta un significativo cambio di passo: il tempo può divenire alleato del privato anche contro la proprietà pubblica, purché ricorrano precise condizioni.

In applicazione di questi principi, la Cassazione ha cassato con rinvio diverse decisioni di merito che avevano negato l’usucapione solo perché il terreno risultava di proprietà comunale. I giudici supremi hanno imposto alle Corti d’Appello di verificare in concreto: il Comune ha davvero destinato e utilizzato il bene per finalità pubbliche? Se la risposta è negativa e il privato dimostra un possesso pacifico, pubblico e ininterrotto per oltre vent’anni, l’usucapione va riconosciuta anche su quel bene originariamente pubblico. Non rileva – aggiunge la Corte – neppure il fatto che il privato difettasse di un titolo edificatorio sul bene (ad esempio, immobile costruito senza permesso su area comunale): l’abusività edilizia è un illecito amministrativo che non incide sui requisiti civilistici del possesso utile ad usucapire. In sostanza, un bene comunale lasciato nel dimenticatoio dall’ente proprietario può trasformarsi in proprietà privata per effetto di un possesso ultraventennale, se manca qualsivoglia concretizzazione della destinazione pubblica. È una vera apertura, figlia dell’esigenza di giustizia sostanziale: privilegiare la realtà dei fatti (un privato che si comporta da proprietario per decenni, investendo nel bene) rispetto a situazioni puramente nominali e inutilizzate dall’ente pubblico.

Confisca urbanistica e lottizzazione abusiva: quando l’usucapione è preclusa

Attenzione, però: questa nuova breccia aperta a favore dei privati non è senza limiti. Le stesse sentenze sottolineano che restano esclusi dall’usucapione i beni pubblici per i quali, invece, la destinazione pubblica si è concretizzata o vi sono atti amministrativi incisivi. Un esempio emblematico è offerto dalla sentenza Cass. civ., Sez. II, n. 5354/2025, che ha trattato il caso di una lottizzazione abusiva. In tale vicenda, un privato aveva frazionato e occupato alcuni terreni a scopo edificatorio senza autorizzazioni; il Comune era intervenuto disponendo la sospensione della lottizzazione e, ai sensi dell’art. 30 comma 8 del d.P.R. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), aveva acquisito di diritto le aree al proprio patrimonio disponibile come sanzione per l’abuso. Il lottizzatore, rimasto sul fondo, pretendeva di usucapire la proprietà invocando il possesso ultraventennale.

Ebbene, la Cassazione nel 2025 ha negato l’usucapione, delineando il confine opposto rispetto ai casi di inerzia totale della P.A. Qui infatti l’ente pubblico aveva esercitato i suoi poteri: mediante la confisca urbanistica prevista dalla legge, il Comune aveva acquisito originariamente la proprietà del terreno abusivamente lottizzato. Questo acquisto a titolo originario in capo all’ente fa venir meno qualsiasi “possesso utile” del privato, il quale – dopo l’acquisizione – rimane sul fondo privo di animus possidendi. In pratica, dal momento dell’atto ablativo, l’occupante si riduce al rango di mero detentore (possessore “precario”) e come tale non può maturare usucapione, a meno che non intervenga un mutamento del titolo (cioè un gesto con cui manifesta di possedere uti dominus, cosa assai difficile perché l’atto amministrativo di acquisizione spezza sul nascere ogni possesso opponibile). La Corte lo afferma chiaramente: quando un bene è oggetto di confisca o acquisizione coattiva al patrimonio comunale per abuso edilizio, l’usucapione è preclusa. In tal caso, infatti, si è realizzata una concreta destinazione pubblica (fosse anche la destinazione a bene disponibile dell’ente, da gestire o alienare) accompagnata da un intervento autoritativo che impedisce al privato di consolidare diritti per il futuro.

Questo orientamento, già anticipato da una sentenza del 2024 e ora confermato nel 2025, segna il contrappeso alla “apertura” descritta sopra: il tempo non legittima alcuna pretesa privata sui beni pubblici quando l’ente pubblico ha attivato gli strumenti legali di tutela del proprio patrimonio. Se il Comune agisce – ad esempio acquisendo le aree abusive, destinando il bene a un servizio pubblico, oppure semplicemente opponendosi formalmente alle altrui occupazioni – allora l’usucapione non può essere dichiarata. Del resto, la ratio è chiara: l’ordinamento non vuole premiare chi prosegue ad occupare un bene non suo malgrado un atto di acquisizione pubblica. In queste situazioni, il decorso del tempo non batte lo Stato: prevale l’interesse pubblico e il bene resta in mano all’ente.

Implicazioni pratiche: tutela dei privati vs. interesse pubblico

Le pronunce analizzate mostrano una Cassazione impegnata a bilanciare l’interesse pubblico e la tutela del possesso di lunga durata. Da un lato, c’è la volontà di evitare che i beni pubblici restino bloccati “sulla carta”: se un ente non utilizza un immobile e lo dimentica per generazioni, è giusto che il privato che se ne prende cura e lo possiede stabilmente possa diventarne proprietario, certificando una situazione di fatto ormai consolidata. Si tratta di dare certezza al diritto e valorizzare l’uso produttivo dei beni, invece di lasciare patrimoni pubblici inutilizzati. Dall’altro lato, la Cassazione intende scongiurare facili aggiramenti delle regole urbanistiche e patrimoniali: guai a interpretare queste aperture come un via libera all’occupazione di terreni comunali confidando nell’usucapione! Se c’è di mezzo un abuso edilizio sanzionato, una confisca, o comunque un interesse pubblico concretamente perseguito sull’area, il privato non potrà acquisire nulla. In sintesi, oggi l’usucapione di beni pubblici è un terreno giuridico più sfumato: non più un tabù assoluto, ma una possibilità eccezionale e rigorosamente circoscritta ai casi di inerzia totale della P.A. e di mancata destinazione pubblica effettiva del bene.

Per i privati cittadini che si trovano a possedere da tempo immemore un bene intestato a un Comune o altro ente, queste sentenze rappresentano un messaggio di speranza, ma anche un monito alla prudenza. È consigliabile: verificare lo status giuridico del bene (demaniale, indisponibile o disponibile); accertare se esistono atti di destinazione pubblica, vincoli o provvedimenti di acquisizione da parte dell’ente; raccogliere prove solide del proprio possesso continuativo ultra-ventennale (testimonianze, documenti, usi di fatto); e in ogni caso agire tempestivamente per far valere i propri diritti. Ricordiamo che l’usucapione va accertata giudizialmente: non basta occupare a lungo, serve una sentenza che dichiari l’acquisto della proprietà. Pertanto, chi ritiene di aver maturato usucapione su un terreno comunale inutilizzato dovrà rivolgersi al giudice competente, citando l’ente pubblico proprietario e fornendo tutte le prove del caso. Al contrario, per le Pubbliche Amministrazioni, queste pronunce suonano come un invito a non trascurare i propri beni: se un ente vuole evitare usucapioni indesiderate, deve vigilare sul suo patrimonio, utilizzarlo secondo le finalità previste o quantomeno manifestare atti di gestione e opposizione verso occupazioni altrui. In mancanza di ciò, dopo vent’anni anche l’immobile pubblico più “dimenticato” potrebbe cambiare padrone.

Conclusioni

In conclusione, la giurisprudenza attuale delinea un quadro più equilibrato in materia di usucapione di beni pubblici. Non c’è un ribaltamento totale delle regole – i capisaldi restano: i beni demaniali e quelli effettivamente destinati a pubblico servizio non si possono usucapire, punto. Tuttavia, si fanno strada riconoscimenti importanti a favore dei privati nelle situazioni di prolungata inerzia delle amministrazioni. Il tempo, da sempre requisito essenziale dell’usucapione, diventa galantuomo anche nei confronti dello Stato quando quest’ultimo lascia trascorrere gli anni senza curarsi dei propri beni. Viceversa, quando lo Stato esercita con puntualità i suoi poteri (confische, destinazioni, controlli), il decorso del tempo non scalfisce i diritti pubblici e il privato occupante rimane tale. È un equilibrio delicato, che dovrà essere confermato e affinato dalle corti nei prossimi anni. Nel frattempo, chi ritiene di trovarsi in una delle situazioni descritte farebbe bene a valutare con un legale il da farsi: le opportunità esistono, ma i dettagli del caso concreto faranno la differenza tra il successo e l’insuccesso di una pretesa di usucapione contro un ente pubblico.

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  • 24 novembre 2025
  • Redazione

Autore: Redazione - Staff Studio Legale MP


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