
La "rivoluzione" Cartabia nelle separazioni consensuali
“Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è infelice a modo suo.” Questa celebre frase di Lev Tolstoj ci ricorda che ogni crisi coniugale ha la sua storia unica. La recente riforma del processo civile – la cosiddetta riforma Cartabia – ha introdotto importanti novità per aiutare le coppie ad affrontare la fine del matrimonio in modo più rapido e meno conflittuale. In particolare, per le separazioni consensuali e i divorzi congiunti, oggi è possibile seguire un percorso semplificato che unisce le due fasi in un unico procedimento. Ciò significa che i coniugi possono, di comune accordo, separarsi e divorziare con un solo atto, senza dover aspettare mesi per avviare il divorzio dopo la separazione. Questo cambiamento epocale mira a ridurre i tempi, i costi e lo stress emotivo, offrendo una soluzione “lampo” che tutela anche eventuali figli evitandogli il peso di due cause successive. Non a caso, proprio a Verona si è avuta una delle prime applicazioni pratiche di questa possibilità: con provvedimento innovativo (Tribunale di Verona, sent. 20/06/2023) una coppia ha ottenuto omologa della separazione e contestuale divorzio nello stesso giorno. La Cassazione ha confermato la legittimità di questo “atto unico” (v. sent. n. 28727/2023) eliminando ogni dubbio: anche i coniugi pienamente d’accordo possono presentare un unico ricorso congiunto per separazione e divorzio. Resta comunque il termine legale tra separazione e divorzio (6 mesi in caso di consensuale), ma viene gestito all’interno del medesimo procedimento, senza necessità di istruire una nuova causa. Il risultato è una procedura più snella e coordinata, in cui il tempo della crisi familiare viene abbreviato a beneficio di tutti.
Udienza scritta: niente tribunale per i coniugi
Una delle novità più concrete introdotte dalla riforma riguarda l’udienza a trattazione scritta nelle procedure consensuali. In passato, anche per la separazione consensuale, i coniugi dovevano comparire in tribunale di fronte al giudice per confermare la volontà di separarsi e tentare l’eventuale conciliazione. Oggi non è più così: se entrambi dichiarano fin dall’inizio di non volersi riconciliare, l’udienza non richiede la presenza fisica delle parti. Viene tutto svolto “sulla carta” tramite il deposito di note scritte da parte degli avvocati (la cosiddetta udienza cartolare). Il giudice esamina il ricorso congiunto e la documentazione allegata, verificando che l’accordo rispetti la legge e gli interessi dei figli, e poi emette il provvedimento di omologa o la sentenza senza convocare i coniugi in aula. Questa modalità semplificata è ora la prassi per separazioni e divorzi consensuali in tutta Italia. Ad esempio, il Tribunale di Verona – così come molti altri – fissa l’udienza in tempi brevi (entro pochi mesi dal deposito del ricorso) e la tratta in forma scritta, evitando ai coniugi qualsiasi comparizione personale se non in casi eccezionali. È un cambiamento notevole: meno stress (nessuna necessità di affrontare il tribunale di persona), maggiore velocità e gestione efficiente dei fascicoli da parte dei giudici. La finalità è chiara: quando c’è consenso su tutto, non ha senso appesantire la procedura. Dura lex, sed lex – la legge può essere severa nelle forme, ma con la riforma Cartabia il legislatore ha voluto eliminare formalità inutili nelle vicende consensuali. Va ricordato però che il giudice mantiene sempre il potere di convocare le parti se lo ritiene necessario (ad esempio, per chiarimenti o se nutre dubbi sulla genuinità dell’accordo, specialmente riguardo ai figli). Nella normalità dei casi, comunque, i coniugi che si separano consensualmente non dovranno mai mettere piede in tribunale, perché tutto si svolge tramite scambio di atti e provvedimento scritto. Questo approccio moderno rispecchia il principio di leale collaborazione introdotto dalla riforma: le parti, assistite dai legali, forniscono subito tutte le informazioni e dichiarano di non avere possibilità di riconciliazione, così da permettere al giudice di decidere rapidamente sullo status di separati e sulle condizioni stabilite nell’accordo.
Un unico ricorso per separazione e divorzio
Come anticipato, la procedura unificata consente di presentare un unico ricorso congiunto in cui vengono formulate sia la domanda di separazione sia quella di divorzio. Si tratta di una delle novità più interessanti del diritto di famiglia odierno, resa possibile dalla riforma Cartabia. In pratica, i coniugi concordano tutte le condizioni (affidamento dei figli, assegno di mantenimento, attribuzione della casa coniugale, eventuali trasferimenti di proprietà, ecc.) e le inseriscono in un accordo completo. Questo accordo viene sottoposto al Tribunale competente che, in caso di esito positivo, dapprima omologa la separazione consensuale e poi, decorso il periodo minimo previsto dalla legge, dichiara lo scioglimento del matrimonio (divorzio) senza bisogno di un nuovo giudizio. In passato la legge obbligava ad attendere almeno sei mesi dopo la separazione prima di chiedere il divorzio: ora non c’è più bisogno di due atti separati né di ripresentare tutta la documentazione a distanza di tempo. Si ottiene così un duplice vantaggio. Da un lato, c’è un risparmio di tempo ed energie: la coppia affronta un solo procedimento invece di due, e volta per tutte definisce ogni aspetto. Dall’altro, vi è anche un risparmio economico, poiché si paga un unico contributo unificato (la tassa di iscrizione a ruolo della causa) e, se ci si avvale di assistenza legale, si sostengono costi legali una tantum per l’intero percorso. Inoltre, concentrare separazione e divorzio in un’unica sede può avere un effetto psicologico positivo: riduce l’ansia legata all’attesa di una seconda causa e dà certezza ai coniugi sul futuro, evitando di rimanere “sospesi” per mesi fra separazione e divorzio. Cass. civ., Sez. I, sent. n. 28727/2023 ha definitivamente sancito l’ammissibilità di questo cumulo di domande, rimuovendo anche gli ultimi dubbi interpretativi. Oggi quindi una coppia in accordo su tutto può, per così dire, “tagliare corto” e diventare ex coniugi in tempi record. Naturalmente, la pronuncia sul divorzio verrà emessa solo dopo il decorso dei termini di legge dalla separazione (sei mesi per consensuale), ma la grande novità è che non occorre fare nulla in più: sarà lo stesso Tribunale, una volta trascorso il termine, a completare l’iter dichiarando il divorzio. Verona è stata un laboratorio precoce di questa innovazione – con la coppia che nell’estate 2023 si è separata e ha divorziato in un sol giorno – ma ormai questa possibilità è realtà in tutto il Paese ed è destinata a diventare sempre più comune nelle strategie legali di gestione della crisi coniugale.
Trasferimento di casa e beni nel accordo di separazione
Un aspetto centrale degli accordi di separazione riguarda la distribuzione dei beni della famiglia. Spesso i coniugi in fase di separazione decidono di sistemare anche le questioni patrimoniali: ad esempio intestare la casa coniugale a uno dei due, trasferire la proprietà dell’auto di famiglia, suddividere i risparmi sui conti correnti o liquidare una quota dell’azienda familiare. Prima della riforma Cartabia, queste pattuizioni erano certamente possibili, ma si discuteva su modalità e limiti. Oggi la situazione è più chiara che mai: è pienamente lecito inserire nell’accordo di separazione o divorzio consensuale clausole di trasferimento di beni mobili o immobili tra i coniugi. La giurisprudenza ha da tempo riconosciuto la validità di tali clausole, trattandole come espressione dell’autonomia negoziale privata in occasione della crisi coniugale. Già le Sezioni Unite della Cassazione avevano ammesso che i coniugi, nell’ambito della separazione o del divorzio, possano con un accordo trasferire diritti reali su immobili senza bisogno di un atto notarile separato (v. Cass., Sez. Un., n. 21761/2021). In sostanza, l’accordo di separazione è considerato un negozio giuridico atipico ma meritevole di tutela, avente natura contrattuale: il verbale di omologa o la sentenza che recepisce l’accordo funge da titolo per effettuare il trasferimento e può essere regolarmente trascritto nei pubblici registri (immobiliari o mobiliari). Ciò consente, ad esempio, di volturare la proprietà della casa coniugale direttamente a favore di uno dei coniugi (o anche a favore dei figli minorenni o maggiorenni, se previsto nell’accordo) sulla base della sentenza di separazione o divorzio, senza dover stipulare un rogito notarile. Allo stesso modo, la proprietà di un’automobile o di un altro bene mobile registrato può essere trasferita da un coniuge all’altro con l’accordo omologato, che costituirà titolo per aggiornare le intestazioni al PRA o nei pubblici registri competenti. Questa possibilità rappresenta un enorme vantaggio pratico ed economico: l’atto giudiziario di separazione/divorzio con trasferimento di beni è esente da imposte di registro, ipotecarie e catastali ai sensi della legge (art. 19 L. 74/1987), trattandosi di accordi in sede di scioglimento del matrimonio. I coniugi possono così attuare il passaggio di proprietà della casa o di altri beni senza oneri fiscali e in modo contestuale alla definizione dello status familiare. Va sottolineato, però, che per rendere effettivo e incontestabile il trasferimento immobiliare nell’accordo, è necessario rispettare alcuni requisiti formali: occorre indicare nell’accordo gli estremi catastali dell’immobile, la volontà di trasferimento, il prezzo (se previsto) o la natura a titolo gratuito, e allegare la documentazione urbanistica e catastale richiesta (come le dichiarazioni di conformità urbanistica e l’attestato di prestazione energetica – APE). Tali adempimenti, analoghi a quelli di un rogito, servono a garantire la validità e la trascrivibilità del trasferimento. Un immobile privo di regolarità urbanistica, ad esempio, non potrebbe essere trasferito validamente nemmeno con l’accordo di separazione: su questo punto i tribunali sono molto attenti e possono richiedere integrazioni documentali prima di omologare. In definitiva, la riforma e la giurisprudenza odierna vanno nella direzione di agevolare la sistemazione patrimoniale consensuale tra coniugi: pacta sunt servanda, i patti devono essere rispettati, e l’ordinamento offre gli strumenti per dare attuazione concreta agli accordi economici presi in sede di separazione.
Tutela dei creditori e limiti agli accordi
La grande libertà riconosciuta ai coniugi di regolare con accordo tutti gli aspetti economici della separazione incontra però alcuni limiti posti a tutela di terzi e dei principi generali dell’ordinamento. In particolare, occorre considerare la posizione degli eventuali creditori di uno dei coniugi. Cosa accade se un coniuge indebitato trasferisce all’altro beni di valore (come la propria quota di casa) nell’accordo di separazione, riducendo così le garanzie per i creditori? La legge offre uno strumento di tutela ai creditori: l’azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c., che consente di far dichiarare inefficace nei propri confronti un atto dispositivo compiuto in danno alle proprie ragioni creditizie. Ebbene, la giurisprudenza recente è ferma nel ritenere che anche gli atti di trasferimento pattuiti in sede di separazione o divorzio possano essere soggetti a revocatoria, se ne ricorrono i presupposti. Lo ha affermato chiaramente la Cassazione civile, Sez. III, con sentenza n. 2571/2024, ribadendo un orientamento già consolidato: il trasferimento di un immobile contenuto nell’accordo di separazione non sfugge alle normali regole sulla tutela dei creditori. In quel caso, la Suprema Corte ha confermato che l’accordo tra coniugi avente ad oggetto un immobile ha natura negoziale e, pur se inserito in una sentenza di separazione, può essere impugnato dai terzi dopo il passaggio in giudicato della sentenza stessa, poiché quest’ultima ha efficacia solo dichiarativa e non trasforma la convenzione in qualcosa di diverso da un atto di autonomia privata. Nello stesso solco si pone Cass. civ., Sez. III, ord. n. 28558/2024, la quale ha esaminato il caso di un marito che, in adempimento degli accordi di separazione consensuale, aveva trasferito alla moglie la metà della casa familiare con annesso posto auto a Roma, atto ritenuto pregiudizievole da una società creditrice. In primo grado il trasferimento era stato giudicato lecito, ma la Corte d’Appello lo aveva revocato accogliendo l’azione del creditore. La Cassazione, investita della questione, ha confermato che l’interesse dei creditori prevale se il trasferimento immobiliare gratuito in sede di separazione riduce in modo significativo la garanzia patrimoniale del debitore. In altri termini, anche un accordo di separazione omologato non è intoccabile: se un coniuge si spoglia di beni a titolo gratuito e ciò lascia insoddisfatti i creditori, questi ultimi possono agire in giudizio per rendere inefficace quel trasferimento e soddisfarsi sul bene. È importante notare che la Cassazione distingue a seconda della natura dell’atto di trasferimento: se esso è meramente gratuito (una sorta di “regalo” all’ex coniuge) è più facile considerarlo pregiudizievole per i creditori; se invece avesse natura compensativa (ad esempio, se la casa viene trasferita in cambio della rinuncia all’assegno di mantenimento o di altri diritti) allora potrebbe essere visto come atto a titolo oneroso, meno attaccabile. Tuttavia, nel caso concreto del 2024 la Corte ha escluso che quel trasferimento avesse natura onerosa, rilevando che non era stato provato alcun collegamento con obblighi di mantenimento, e lo ha dunque considerato un atto gratuito soggetto a revoca. Il principio generale che emerge da queste sentenze è chiaro: i coniugi possono accordarsi liberamente sui beni da trasferire in sede di separazione, ma non possono usare l’accordo di separazione per sottrarre beni ai creditori impunemente. Se ci sono debiti rilevanti, gli atti dispositivi nell’accordo potrebbero essere scrutinati successivamente. È quindi fondamentale, nella consulenza legale, verificare la presenza di creditori e valutare i rischi: in taluni casi potrebbe essere preferibile adottare cautele (ad esempio prevedere conguagli in denaro tracciabili, o attestare il carattere compensativo degli accordi) per resistere a eventuali contestazioni future.
Revoca del consenso e vincolo dell’accordo congiunto
Un’ulteriore questione delicata riguarda la possibilità di ripensamento di uno dei coniugi dopo aver depositato un ricorso congiunto per separazione (o divorzio) consensuale. In passato, fino alla comparizione davanti al giudice, ciascun coniuge conservava la libertà di revocare il proprio consenso: bastava presentarsi all’udienza e dichiarare di non essere più d’accordo perché la procedura consensuale si arrestasse, convertendosi semmai in un procedimento contenzioso avviato dall’altro coniuge. Con le nuove regole unificate, però, l’accordo depositato assume un valore più pregnante. Sul tema è intervenuta una recente pronuncia del Tribunale di Milano (Sez. IX civ., sent. 18/12/2024), la quale ha stabilito che non è ammissibile la revoca unilaterale del consenso da parte di uno solo dei coniugi dopo il deposito del ricorso congiunto. Nella vicenda, marito e moglie avevano presentato insieme un unico ricorso per separazione e divorzio, concordando tutte le condizioni; successivamente, entro i termini per le note scritte ex art. 127-ter c.p.c., uno dei due ha comunicato di non voler più proseguire a quelle condizioni. Il Tribunale tuttavia ha omologato ugualmente l’accordo iniziale, dichiarando inammissibile il ripensamento unilaterale. La motivazione si fonda proprio sul nuovo impianto procedurale: il giudice milanese ha evidenziato che nel sistema attuale l’istanza congiunta non è una somma di due domande individuali, ma un’iniziativa comune e paritetica dei coniugi. Di conseguenza, una volta “cristallizzato” l’accordo con il deposito in tribunale, non sono consentiti ripensamenti unilaterali, salvo casi eccezionali. Le uniche eccezioni ipotizzate riguardano vizi del consenso o interessi superiori: ad esempio se l’accordo fosse frutto di errore, dolo o violenza, oppure se le condizioni concordate violassero norme imperative o fossero contrarie all’interesse dei figli. Fuori da queste ipotesi, però, il coniuge che cambia idea da solo non può bloccare l’iter: il procedimento su domanda congiunta prosegue fino all’omologa, vincolando entrambe le parti alle condizioni concordate. Questa decisione valorizza il consenso reciproco come base della separazione consensuale: la parola stessa “consenso” viene dal latino consensus (da cum = insieme e sentire = pensare), ad indicare una volontà unitaria. Una volta manifestata congiuntamente quella volontà davanti alla legge, essa non può essere ritirata arbitrariamente da uno dei due. Ciò offre certezza e stabilità al procedimento: evita che un coniuge possa tirarsi indietro all’ultimo momento magari per rinegoziare condizioni più favorevoli, e tutela l’altro coniuge che confidava nell’accordo raggiunto. In pratica, presentare un ricorso congiunto impegna entrambi seriamente, e prima di farlo è bene essere pienamente convinti. Anche questo principio rientra nell’ottica di una procedura semplificata ma rigorosa: se i coniugi agiscono d’intesa, l’ordinamento prende atto della loro volontà comune e li accompagna verso lo scioglimento del vincolo senza più dare spazio a ripensamenti tattici o rallentamenti ingiustificati.
In conclusione, la riforma Cartabia ha portato una ventata di modernità nelle procedure di separazione e divorzio consensuale, all’insegna di speditezza, semplificazione e responsabilizzazione delle parti. Oggi è possibile separarsi (e persino divorziare) in tempi brevi, con un unico procedimento e senza comparizioni inutili in tribunale, grazie all’udienza in forma scritta e alla possibilità di un accordo completo sin dall’inizio. I coniugi hanno ampia autonomia nel regolare i propri rapporti: possono trasferirsi beni, modulare liberamente condizioni economiche e concordare l’affidamento dei figli, il tutto con efficacia giuridica immediata e riconosciuta. Al tempo stesso, il sistema prevede adeguate garanzie: gli accordi vengono vagliati dall’autorità giudiziaria per assicurare il rispetto dei diritti di tutti (soprattutto dei figli minori), i creditori terzi sono protetti contro eventuali abusi, e il valore del consenso viene tutelato impedendo ritiri unilaterali fuori dalle regole. “Consilium unanimem laudat lex.” La legge esalta l’accordo unanime: mai come ora il diritto di famiglia premia i coniugi che, pur separandosi, riescono a collaborare e trovare un’intesa. Con l’assistenza legale giusta, affrontare una separazione consensuale può diventare un percorso più sereno, dove la formalità cede il passo alla sostanza: la fine di un matrimonio viene gestita con rispetto, equità e uno sguardo rivolto al futuro.
Alla luce di queste novità, ogni coppia che scelga la via consensuale ha davanti a sé strumenti più efficienti e meno onerosi per voltare pagina. È importante affidarsi a professionisti esperti in diritto di famiglia che conoscano a fondo la riforma e le recenti pronunce, così da sfruttare al meglio le opportunità offerte dalla legge garantendo al contempo la massima tutela dei propri diritti.
Se hai bisogno di consulenza o assistenza per una separazione o divorzio consensuale, lo Studio Legale MP di Verona è a tua disposizione. Grazie all’esperienza maturata in diritto di famiglia e all’aggiornamento costante sulle ultime novità legislative e giurisprudenziali, offriamo supporto qualificato per gestire al meglio ogni fase della procedura. Contattaci per fissare un colloquio: insieme valuteremo la tua situazione e ti aiuteremo ad affrontare il cambiamento in modo sicuro e consapevole, tutelando i tuoi interessi e quelli della tua famiglia.
Avv. Marco Panato, avvocato del Foro di Verona e Dottore di Ricerca in Diritto ed Economia dell’Impresa – Discipline Interne ed Internazionali - Curriculum Diritto Amministrativo (Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Verona).
E' autore di pubblicazioni scientifiche in materia giuridica, in particolare nel ramo del diritto amministrativo. Si occupa anche di docenza ed alta formazione.