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Condono edilizio e vincoli paesaggistici: limiti e tutele attuali - Studio Legale MP - Verona

Sanatoria impossibile per abusi in aree protette? La giurisprudenza recente chiarisce quando un immobile vincolato non può essere condonato

 

Chi costruisce senza permesso in zone paesaggisticamente protette spera spesso di “mettere una pezza” a posteriori, presentando domanda di condono edilizio. Ma la bellezza salverà il mondo diceva Dostoevskij, e il nostro ordinamento tutela rigorosamente i paesaggi vincolati. Negli ultimi anni la giustizia amministrativa ha ribadito con forza un principio chiave: in presenza di vincoli ambientali o storico-artistici preesistenti, gli abusi edilizi non possono essere sanati con un condono, a meno che non si tratti di opere davvero minori. Vediamo dunque qual è il quadro normativo vigente e come le più recenti pronunce dei tribunali (Consiglio di Stato in primis) hanno delineato i limiti invalicabili della sanatoria in queste situazioni. Dura lex, sed lex: la legge può apparire dura, ma è legge – e nel caso degli abusi in aree protette, viene applicata in modo particolarmente rigoroso.

Condono edilizio: quadro normativo e limiti in aree vincolate
Il riferimento principale è l’ultimo condono edilizio nazionale introdotto con il Decreto-Legge n. 269/2003 (convertito con modifiche dalla Legge n. 326/2003). Questa normativa – il cosiddetto terzo condono – già di per sé esclude gran parte degli abusi nelle zone vincolate. In particolare, l’art. 32 del DL 269/2003 stabilisce condizioni stringenti per la sanatoria di costruzioni abusive in aree soggette a tutela paesaggistica, ambientale o storico-culturale. Le opere abusive realizzate su immobili gravati da vincoli di tutela (imposti da leggi statali o regionali prima dell’esecuzione delle opere) non sono condonabili, salvo alcune eccezioni tassative. Si possono infatti condonare in zone vincolate esclusivamente gli interventi edilizi minori indicati ai numeri 4), 5) e 6) dell’allegato 1 del DL 269/2003, cioè:

opere di restauro;

risanamento conservativo;

manutenzione straordinaria.
Queste categorie comprendono interventi di recupero dell’esistente senza creazione di nuove volumetrie né alterazione significativa dello stato dei luoghi. Tutti gli altri tipi di abuso – ad esempio nuove costruzioni, ampliamenti significativi, o opere non conformi agli strumenti urbanistici – restano esclusi dal condono in presenza di vincoli, anche se urbanisticamente compatibili con il piano regolatore. In altri termini, se un’area è protetta da un vincolo di inedificabilità (assoluto o relativo) introdotto prima dell’abuso, l’immobile illegittimo non potrà essere sanato tramite condono straordinario.

Va evidenziato inoltre che, persino per quelle limitate ipotesi condonabili in zona vincolata, la legge richiede un ulteriore rigoroso requisito: il parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo. Questo significa che, ad esempio, se l’immobile abusivo ricade in un’area paesaggistica, occorre ottenere il nulla osta positivo della Soprintendenza competente affinché il condono sia anche solo ammissibile. In mancanza di tale parere (o in presenza di un parere negativo non impugnato nei termini), la domanda di condono deve essere respinta. La normativa vigente, dunque, pone una doppia barriera: da un lato limita le tipologie di abusi condonabili in zone tutelate, dall’altro pretende comunque l’assenso dell’ente che gestisce quel vincolo (Soprintendenza, Ente Parco, etc.). Se anche uno solo di questi requisiti viene a mancare, la sanatoria in area vincolata è preclusa.

Le sentenze recenti del Consiglio di Stato: tolleranza zero per gli abusi “protetti”
Su questa trama normativa già severa si innestano le più recenti pronunce dei giudici amministrativi, che nel biennio 2024–25 hanno ulteriormente chiarito e rafforzato il no al condono in aree vincolate. Il Consiglio di Stato, massimo organo della giustizia amministrativa, è intervenuto in diverse occasioni ribadendo principi molto rigorosi. Ad esempio, la Sezione Seconda del Consiglio di Stato, sent. n. 5795/2025 (depositata il 4 luglio 2025), ha confermato che il condono ex DL 269/2003 in zona tutelata è consentito solo per gli interventi minori (come restauro o manutenzione straordinaria) e solo se vi è stato il previo parere paesaggistico positivo dell’autorità competente. Qualsiasi altro abuso più rilevante – pur magari conforme al piano urbanistico – non può essere sanato se insiste su un’area già vincolata prima della sua realizzazione. Questa sentenza sottolinea come il legislatore abbia voluto preservare integralmente i territori protetti: l’interesse pubblico alla tutela del paesaggio prevale sull’interesse privato a mantenere l’opera illegittima.

Analogamente, la Sez. VI del Consiglio di Stato, sent. n. 7004/2025 (11 agosto 2025), ha ribadito un principio di fondo: la sola presenza di un vincolo paesaggistico pregresso è sufficiente a escludere la condonabilità dell’opera abusiva, a prescindere da natura ed entità dell’intervento. In quel caso i proprietari avevano tentato di sostenere che un ampliamento abitativo, realizzato tra fine anni ’90 e inizio 2000, fosse un’opera minore condonabile perché di scarso impatto visivo. Ma il Consiglio di Stato ha respinto questa tesi, evidenziando che nessun ampliamento significativo rientra tra le opere condonabili in zone vincolate: conta il fatto che l’area fosse tutelata e che l’abuso non rientrasse nelle limitate categorie ammesse (non era mero restauro né manutenzione). Di conseguenza, il Comune aveva legittimamente negato la sanatoria e disposto la demolizione.

Un altro profilo importante chiarito dalla giurisprudenza recente riguarda le cosiddette tolleranze costruttive. Spesso ci si chiede se piccoli aumenti di volume o lievi difformità rispetto a un progetto autorizzato possano essere “perdonati”. Sul punto, la Sez. VII del Consiglio di Stato, sent. n. 3593/2025 ha specificato che il margine del 2% di tolleranza (introdotto dalle modifiche normative per consentire minime deviazioni esecutive senza necessità di nuovo titolo) vale solo per difformità irrisorie su un’opera regolarmente assentita, ma non può mai legittimare ampliamenti abusivi autonomi o addirittura sanare ex post lavori privi di titolo. In particolare, la sentenza 3593/2025 (pronunciata il 22 aprile 2025) ha chiarito che non sono sanabili come “tolleranze” gli aumenti volumetrici sostanziali o le opere abusive aggiuntive su immobili già condonati in passato. Quindi, non esiste uno spiraglio per aggirare i limiti del condono invocando tolleranze esecutive: se l’abuso ricade in area vincolata ed esula dalle categorie condonabili, non c’è percentuale che tenga – quell’opera va considerata illegittima e rimossa.

Di notevole rilievo è anche la sentenza n. 3526/2025 del Consiglio di Stato (Sez. VI), depositata il 31 luglio 2025, che affronta il tema del parere della Soprintendenza. Essa conferma che il condono in zona vincolata è inammissibile in assenza di parere favorevole dell’ente tutore, ed anzi aggiunge che anche un parere positivo, da solo, non basta: devono comunque sussistere tutti gli altri requisiti previsti dalla legge sul terzo condono. Nel caso esaminato, i proprietari avevano ricostruito un immobile in area paesaggistica; la Soprintendenza aveva espresso parere contrario e, non essendo stato impugnato tale diniego nei termini, la domanda di condono era stata rigettata. Il Consiglio di Stato ha evidenziato che un parere negativo vincolante costituisce un ostacolo insormontabile alla sanatoria – e ciò varrebbe anche qualora la Soprintendenza avesse dato parere positivo, se l’opera rimane “incondonabile” per mancanza degli altri requisiti (ad esempio perché non è un intervento minore). In sintesi, le ultime decisioni giudiziali hanno fissato paletti chiarissimi: per gli abusi edilizi in aree vincolate c’è tolleranza zero, se non nelle marginali ipotesi previste dalla legge. Il messaggio ai trasgressori è univoco: costruire illegalmente in un parco, su una costa protetta o in un centro storico vincolato significa quasi certamente andare incontro a un niet definitivo sul condono e all’obbligo di eliminare l’abuso.

Cosa può fare il proprietario di un immobile non condonabile?
Alla luce di questo quadro, chi si vede negare il condono edilizio per un fabbricato in area vincolata ha purtroppo margini molto ridotti di azione. La legge e i tribunali sono chiari nel vietare “sanatorie facili” in contesti di pregio paesaggistico. Tuttavia, è importante sapere che esistono percorsi alternativi e accorgimenti legali da valutare caso per caso con l’assistenza di un avvocato esperto in diritto amministrativo:

Accertamento di conformità urbanistica: se l’opera abusiva è conforme agli strumenti urbanistici attuali (pur essendo stata realizzata senza permessi), si potrebbe valutare la presentazione di un’istanza di permesso di costruire in sanatoria ai sensi dell’art. 36 del DPR 380/2001. Questa procedura ordinaria, distinta dal condono straordinario, richiede però comunque il rispetto dei vincoli: se l’opera oggi sarebbe autorizzabile (ad esempio perché il piano regolatore la consentirebbe e l’ente paesaggistico sarebbe favorevole), il Comune potrebbe rilasciare un permesso in sanatoria, pagando le dovute sanzioni. È una strada stretta, ma va verificata.

Autorizzazione paesaggistica postuma: per alcuni interventi minori realizzati senza previa autorizzazione paesaggistica, la normativa consente una sanatoria paesaggistica (art. 167 D.Lgs. 42/2004) qualora l’impatto sia lieve e reversibile. Questo però non “condona” l’abuso edilizio in senso urbanistico, serve solo a regolarizzare l’aspetto paesaggistico evitando ulteriori sanzioni penali. Può essere utile per ridurre contestazioni accessorie, ma non sana la mancanza del permesso di costruire se quello era necessario.

Fiscalizzazione dell’abuso (sanzione pecuniaria in luogo di demolizione): in casi eccezionali, quando l’eliminazione dell’opera risulterebbe materialmente impossibile senza danno per la parte legittima del fabbricato, l’art. 33 del DPR 380/2001 consente all’amministrazione di irrogare una sanzione pecuniaria invece di procedere alla demolizione. Le recenti sentenze della Plenaria del Consiglio di Stato (Adunanza Plenaria nn. 1, 2 e 3 del 2024) hanno però “alzato l’asticella” di questo meccanismo: la multa deve essere davvero dissuasiva ed equivalente al vantaggio economico dell’abuso, calcolata su valori aggiornati. In ogni caso, la fiscalizzazione non è un diritto del privato ma una facoltà discrezionale del Comune, applicabile solo in situazioni limite. E va sottolineato: non si applica affatto se l’area è vincolata e l’abuso non rientra tra quelli condonabili – in tali scenari, come si è visto, il legislatore non consente alternative alla demolizione.

In definitiva, se un immobile ricade in una zona protetta e non rientra nei rari casi condonabili, l’ordine di demolizione dell’opera abusiva appare inesorabile. È fondamentale allora agire con tempestività e consapevolezza: consultare subito un legale può aiutare a verificare ogni estrema possibilità tecnica di regolarizzazione o a trattare con l’amministrazione per tempi congrui di esecuzione. In alcuni casi, ad esempio, concordare la demolizione volontaria entro un certo termine evita denunce penali ulteriori e consente di controllare meglio l’abbattimento. Ogni vicenda ha dettagli specifici – ad esempio la data di realizzazione dell’opera, il tipo di vincolo coinvolto, eventuali cambi normativi sopravvenuti – che un avvocato specializzato in diritto urbanistico saprà valutare per consigliarti la strategia meno onerosa.

Conclusione
La linea che emerge oggi sul condono in aree vincolate è quindi di estrema rigidità: la tutela del paesaggio e dei beni comuni prevale sull’interesse del singolo a conservare l’edificio fuori legge. Questo non significa che il cittadino sia totalmente privo di tutela: al contrario, conoscere i propri diritti procedurali (ad esempio il diritto al contraddittorio nel procedimento di demolizione, o la possibilità di impugnare eventuali vizi di forma nei provvedimenti comunali) può fare la differenza tra subire passivamente un esito e gestirlo in modo consapevole. Vale il brocardo “summum ius, summa iniuria” quando la legge applicata al massimo rigore può apparire ingiusta nel caso concreto; eppure l’obiettivo dell’ordinamento è bilanciare i valori in gioco: l’abusivismo edilizio in zone protette è visto come una ferita al territorio che il tempo non legittima.

In un simile contesto, muoversi per tempo e con gli strumenti giuridici adeguati è essenziale. Ogni situazione va analizzata per trovare eventuali soluzioni alternative al semplice “no” – ma se queste mancano, occorre prepararsi ad adempiere agli obblighi (spesso la demolizione) evitando conseguenze penali e ulteriori aggravi. In sintesi, prevenire è sempre meglio che curare: prima di intraprendere qualsiasi opera edilizia in zona vincolata, è cruciale informarsi e richiedere le autorizzazioni necessarie. Se invece il danno è fatto, la parola d’ordine è affidarsi a professionisti competenti per minimizzare le perdite e magari salvare il salvabile nei limiti consentiti.

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  • 23 ottobre 2025
  • Redazione

Autore: Redazione - Staff Studio Legale MP


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