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Abusi edilizi: condono scaduto e demolizione inevitabile - Studio Legale MP - Verona

La linea dura della giurisprudenza recente sugli abusi edilizi

La recente giurisprudenza italiana in materia edilizia adotta una linea durissima contro gli abusi. Le ultime pronunce dei giudici confermano che chi ha costruito senza permesso non può più contare su sanatorie dell’ultimo minuto: i condoni sono possibili solo entro i termini fissati dalla legge (e in assenza di vincoli stringenti), mentre gli ordini di demolizione restano inesorabili anche a distanza di molti anni, senza eccezioni nemmeno per casi umanitari. Questo articolo analizza le nuove sentenze e spiega come affrontare legalmente un abuso edilizio, in un contesto in cui le tolleranze zero sono ormai la regola e le speranze di condono postumo risultano vane.La linea dura della giurisprudenza recente sugli abusi edilizi

La recente giurisprudenza italiana in materia edilizia adotta una linea durissima contro gli abusi. Le ultime pronunce dei giudici confermano che chi ha costruito senza permesso non può più contare su sanatorie dell’ultimo minuto: i condoni sono possibili solo entro i termini fissati dalla legge (e in assenza di vincoli stringenti), mentre gli ordini di demolizione restano inesorabili anche a distanza di molti anni, senza eccezioni nemmeno per casi umanitari. Questo articolo analizza le nuove sentenze e spiega come affrontare legalmente un abuso edilizio, in un contesto in cui le tolleranze zero sono ormai la regola e le speranze di condono postumo risultano vane.La linea dura della giurisprudenza recente sugli abusi edilizi

La recente giurisprudenza italiana in materia edilizia adotta una linea durissima contro gli abusi. Le ultime pronunce dei giudici confermano che chi ha costruito senza permesso non può più contare su sanatorie dell’ultimo minuto: i condoni sono possibili solo entro i termini fissati dalla legge (e in assenza di vincoli stringenti), mentre gli ordini di demolizione restano inesorabili anche a distanza di molti anni, senza eccezioni nemmeno per casi umanitari. Questo articolo analizza le nuove sentenze e spiega come affrontare legalmente un abuso edilizio, in un contesto in cui le tolleranze zero sono ormai la regola e le speranze di condono postumo risultano vane.

 

Condoni edilizi: un’era finita?

In passato l’Italia ha conosciuto ben tre condoni edilizi generalizzati (nel 1985, 1994 e 2003), misure straordinarie con cui il legislatore ha permesso di sanare opere costruite senza regole, dietro pagamento di una somma. Questo ha diffuso tra molti cittadini la convinzione che, prima o poi, un nuovo condono avrebbe “sistemato” qualsiasi abuso. Per anni, insomma, si è confidato nell’inerzia o in sanatorie politiche per evitare le conseguenze delle costruzioni illegali. “Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?”, scriveva amaramente Dante Alighieri sette secoli fa: c’erano le norme, ma nessuno le faceva rispettare. Oggi però quella stagione di tolleranza sembra veramente conclusa. Le autorità e i tribunali applicano un principio chiaro – dura lex, sed lex – verso gli abusi edilizi: la legge sarà anche dura, ma va applicata rigorosamente. Chi ha edificato senza titolo non può più sperare nell’arrivo di un quarto condono generalizzato, né confidare che il passare del tempo legittimi l’opera abusiva. Vediamo allora cosa prevedono le ultime sentenze in materia, per capire quali spazi di regolarizzazione restano e quali rischi corrono realmente i proprietari di immobili abusivi.

 

Nessun condono “tardivo”: la Cassazione chiude la porta

Il messaggio più forte arriva dalla Corte di Cassazione penale. Con una pronuncia recente (Cass. pen., Sez. III, sent. n. 20665/2025 del 4 giugno 2025) la Suprema Corte ha ribadito che non è ammissibile alcun condono “postumo” per gli abusi edilizi realizzati fuori dal perimetro temporale delle leggi speciali di sanatoria. La vicenda riguardava un proprietario che, di fronte a un ordine di demolizione già disposto, tentava di sospendere l’esecuzione invocando nuove verifiche tecniche sull’immobile. In sostanza, si chiedeva di valutare la conformità dell’opera abusiva alle norme antisismiche vigenti, sperando così di riaprire la strada a una sanatoria fuori tempo massimo. La Cassazione è stata categorica nel respingere questo tentativo. L’ordine di demolizione è una conseguenza diretta e obbligata dell’abusività conclamata di un edificio: una volta accertato che la costruzione è illegittima, la demolizione è dovuta. Il condono edilizio, ha ricordato la Corte, è una possibilità eccezionale e temporalmente limitata, concessa dal legislatore solo in momenti storici particolari e con scadenze precise. Una volta spirati i termini previsti da quelle leggi di condono, non è consentito invocare ex post la condonabilità di un immobile tramite perizie, nuovi pareri o aggiornamenti normativi. In altre parole, il condono non può essere “rianimato” retroattivamente: si tratta di finestre straordinarie ormai chiuse, non di una possibilità sempre disponibile.

Questa pronuncia della Cassazione sancisce un principio fondamentale: lo scorrere del tempo non salva l’opera abusiva. Non conta che l’edificio sia stato realizzato molti anni fa né che nel frattempo siano intervenute norme tecniche magari più favorevoli: se il manufatto era fuori legge all’epoca della costruzione e non ha beneficiato di una sanatoria nei tempi stabiliti, deve essere demolito. La Corte ha osservato che accogliere soluzioni del genere (come quella prospettata dal ricorrente, basata sulla verifica antisismica tardiva) significherebbe svuotare di significato l’intera disciplina urbanistica, creando sanatorie permanenti di fatto. Al contrario, la certezza del diritto urbanistico impone che dopo la chiusura delle finestre di condono non vi siano ulteriori appigli: l’abuso resta tale e va eliminato. Il messaggio per proprietari e tecnici è chiaro: non confidare in futuri condoni o stratagemmi tecnici retroattivi. L’unica via è quella di rispettare le regole sin dall’inizio, perché a posteriori non c’è scudo che tenga.

 

Vincoli paesaggistici: tolleranza zero nelle aree protette

Un altro ambito cruciale riguarda gli abusi edilizi commessi in zone sottoposte a vincoli paesaggistici o ambientali. Qui la legislazione è sempre stata più rigida, ma in passato qualche spiraglio interpretativo c’era. Oggi, però, la giurisprudenza conferma un approccio di tolleranza zero. La Cassazione penale è intervenuta di nuovo sul cosiddetto “terzo condono edilizio” (quello del 2003) chiarendo i suoi limiti invalicabili. Con la sentenza n. 26660/2025 del 21 luglio 2025 (Cass. pen., Sez. III), la Suprema Corte ha escluso che possano mai essere condonate le nuove costruzioni realizzate in area vincolata. Il caso riguardava un immobile abusivo sorto in una zona con vincolo idrogeologico e paesaggistico: il proprietario contestava la demolizione sostenendo che il vincolo fosse solo idrogeologico (meno stringente) e che la sua opera rientrasse fra quelle condonabili. Ma la Cassazione ha confermato l’interpretazione più restrittiva dell’art. 32 del D.L. 269/2003 (la legge del condono 2003), in linea con quanto già affermato dal Consiglio di Stato. In presenza di vincoli ambientali o paesaggistici, il condono edilizio non si applica alle nuove opere di significativa trasformazione del territorio. Sono al più sanabili – precisa la Corte – interventi minori come manutenzioni straordinarie o restauri, purché realizzati prima dell’imposizione del vincolo e senza aumenti di volume; ma per le costruzioni ex novo, gli ampliamenti rilevanti o le modifiche di sagoma in zone vincolate vige un divieto assoluto di sanatoria.

Questo significa che, se un edificio abusivo sorge in un’area protetta (paesaggisticamente, idrogeologicamente o anche con vincoli storici), nessun condono può legittimarlo a posteriori attraverso le leggi del 2003 o precedenti. Anche qualora l’autorità preposta al vincolo (es. la Soprintendenza) dovesse esprimere parere favorevole, ciò non basta: la normativa di condono preclude comunque la sanatoria di abusi maggiori in zone vincolate. La demolizione, in questi casi, è inevitabile. Si rafforza dunque l’orientamento per cui la tutela del paesaggio e dell’ambiente prevale sulle ragioni di chi ha edificato illegalmente: l’interesse pubblico a preservare il territorio vincolato non ammette eccezioni sanatorie. Chi realizza opere in aree del genere confidando magari in un condono regionale o in una “sanatoria paesaggistica” ex post, commette un errore fatale. Le sentenze recenti eliminano ogni ambiguità: una nuova costruzione su suolo vincolato non è mai condonabile, neanche se realizzata prima dell’estensione del vincolo o se conforme agli strumenti urbanistici. L’abuso va abbattuto, punto e basta, poiché i vincoli rendono ancora più stringente l’obbligo di ripristinare la legalità violata.

 

Domande di condono pendenti: nessuna protezione contro le ruspe

Moltissimi immobili abusivi in Italia hanno pendente, da anni o decenni, una domanda di condono non ancora definita dai Comuni. In certi casi i proprietari hanno continuato ad apportare modifiche o ampliamenti all’edificio durante questa lunga attesa, ritenendo che l’istanza di sanatoria presentata congelasse la situazione. Ma attenzione: anche su questo fronte la giurisprudenza offre risposte nette. Il Consiglio di Stato ha recentemente affrontato il problema delle costruzioni abusive realizzate in più fasi, parte delle quali coperte da una vecchia domanda di condono non ancora esaminata. Con la sentenza n. 5699/2025 del 21 luglio 2025, i giudici amministrativi di secondo grado hanno stabilito che la pendenza di un condono non sospende i poteri repressivi dell’amministrazione verso ulteriori abusi. In pratica, se ho presentato domanda di condono nel 1986 (ad esempio per un primo piano abusivo) ma poi nel 2020 aggiungo un altro vano senza permesso, il Comune può emettere subito un’ordinanza di demolizione per questo nuovo intervento, senza dover attendere l’esito (tardivo) del vecchio condono. La presentazione di un’istanza di sanatoria non “lega le mani” all’autorità di fronte a nuovi illeciti: costruire altro in pendenza del condono è altrettanto abusivo e sanzionabile immediatamente.

Nella vicenda esaminata dal Consiglio di Stato, una società aveva ottenuto sospensive e ritardi per anni grazie a condoni pendenti, sostenendo che le opere contestate rientravano in quelle già oggetto di sanatoria. Ma le indagini tecniche hanno accertato il contrario: erano stati aggiunti circa 125 mq in più, con modifiche strutturali e aumenti di volume non previsti nelle pratiche di condono originarie. I giudici hanno dunque confermato la legittimità delle nuove ordinanze di demolizione, richiamando alcuni principi chiave. Primo: l’intervento edilizio va valutato nel suo insieme, anche se realizzato a tranche, per evitare che frazionando i lavori si eluda la legge. Secondo: ogni intervento successivo su un immobile ancora abusivo è a sua volta abusivo, e non può essere giustificato dalla semplice pendenza di una domanda di condono. Terzo: l’ordine di demolizione è un atto dovuto e vincolato: non serve una motivazione particolare sull’interesse pubblico né la comunicazione di avvio del procedimento (che di norma sarebbe richiesta), perché reprimere l’abuso edilizio è un obbligo dell’amministrazione. In sintesi, chi aspetta l’esito di un condono non ancora definito farebbe bene a non toccare ulteriormente l’immobile: ampliarlo o modificarlo significa esporsi a nuove e immediate demolizioni, senza potersi schermare dietro la pratica in corso. Le autorità possono e devono intervenire comunque, dato che la tutela del territorio non va in vacanza durante le lungaggini burocratiche.

Va aggiunto che, dopo decenni di attesa, molti vecchi condoni pendenti si risolvono oggi in dinieghi, soprattutto se l’opera ricade in aree vincolate o supera i limiti volumetrici di legge. Anche su questo versante la giurisprudenza amministrativa è chiara: ad esempio, il TAR Lazio (sent. n. 10056/2025) ha confermato il divieto assoluto di condonare cambi di destinazione d’uso in zona vincolata, persino se la Soprintendenza aveva dato parere positivo – perché conta il dettato normativo che esclude tali abusi dal condono 2003. Altri TAR, come il TAR Campania (sent. n. 1850/2025), ribadiscono che il condono del 2003 è ammesso solo per ampliamenti minori e non per nuove costruzioni con vincolo. Insomma, i Comuni oggi tendono a negare le sanatorie pendenti laddove la legge non le consente espressamente, e i giudici stanno confermando la legittimità di questi dinieghi. Da qui partono inevitabilmente nuovi ordini di demolizione. L’epoca delle lunghe attese fiduciose è finita: se un abuso non rientrava nei parametri condonabili, resterà abusivo per sempre, e l’abbattimento è solo questione di tempo.

 

Demolizione forzata: il tempo perso aggrava la posizione dell’abusivo

Di fronte a questo quadro così rigoroso, viene spontaneo chiedersi se esistano situazioni in cui l’ordine di demolizione possa essere evitato o attenuato, magari per ragioni personali del proprietario (età avanzata, mancanza di alternative abitative, condizioni di salute). In passato alcuni provavano a far leva sul cosiddetto principio di proporzionalità, invocando i diritti fondamentali della persona (casa, salute) di fronte alla prospettiva di perdere l’unica abitazione sebbene abusiva. Ebbene, le ultime sentenze dimostrano che neppure queste circostanze fermano le ruspe, specialmente quando l’illegalità è conclamata da tempo. Emblematica è la vicenda decisa dalla Cassazione penale, Sez. III, con la sentenza n. 13284/2025 del 20 marzo 2025: il caso di un uomo ultranovantenne, gravemente malato e indigente, che aveva costruito senza permesso la casa dove viveva. Di fronte all’ordine di demolizione, la sua difesa sottolineava l’età e le condizioni disperate, sostenendo che abbattere l’immobile avrebbe violato il suo diritto all’abitazione e alla salute, garantiti dalla Costituzione e dalla CEDU. La Cassazione, pur riconoscendo l’importanza di quei diritti, ha dichiarato il ricorso inammissibile. Il ragionamento è illuminante: il giudice aveva già sospeso per due anni la demolizione proprio per dare all’interessato modo di trovare una sistemazione alternativa, ma quell’occasione non era stata sfruttata. Chi costruisce abusivamente in piena coscienza e poi resta inerte confidando nella clemenza, non può invocare la proporzionalità a suo favore – perché è egli stesso ad aver aggravato la propria situazione. La Corte ha affermato che il responsabile dell’abuso non può “lucrare sul tempo inutilmente trascorso” (ovvero avvantaggiarsi del lungo tempo passato senza agire) per poi appellarsi a difficoltà che egli stesso ha contribuito a creare con la propria inerzia.

In sostanza, anche il diritto fondamentale alla casa trova un limite quando dall’altra parte c’è un abuso palese e prolungato. Il bilanciamento tra interesse pubblico e interesse privato, secondo la Cassazione, non può tradursi in uno scudo per chi ha violato la legge consapevolmente. Se così non fosse, basterebbe resistere abbastanza a lungo o addurre condizioni personali critiche per vanificare l’ordine di demolizione – prospettiva inaccettabile perché incoraggerebbe di fatto l’abusivismo. La giurisprudenza, confortata anche da orientamenti della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, esclude che l’età, la malattia o la povertà del proprietario possano da sole impedire l’esecuzione dell’abbattimento di un manufatto illegale. Naturalmente il giudice dell’esecuzione può valutare caso per caso il criterio di proporzionalità, ma ciò avviene entro margini ristretti: ad esempio può concedere un rinvio per motivi umanitari temporanei, oppure il Comune può offrire soluzioni abitative alternative se ne ha la possibilità. Tuttavia, il punto di fondo rimane fermo: l’abuso va eliminato. Più tempo è passato, più diventa urgente ristabilire la legalità. In questo senso, paradossalmente, attendere e sperare gioca a sfavore dell’abusivo. I tribunali italiani stanno lanciando un messaggio inequivocabile: sebbene la legge consideri le fragilità personali, non può tollerare che queste diventino un pretesto per perpetuare situazioni di illegalità urbanistica. La responsabilità individuale e un comportamento diligente nel rimediare agli illeciti commessi sono condizioni imprescindibili per poter ottenere considerazione delle proprie istanze. Viceversa, chi continua a ignorare l’ordine di demolizione sperando che non venga eseguito, rischia solo di ritrovarsi senza alcuna tutela quando inevitabilmente la giustizia farà il suo corso.

 

Come tutelarsi di fronte a un abuso edilizio

Di fronte a questo panorama normativo e giurisprudenziale così severo, cosa può fare concretamente un proprietario che abbia un immobile irregolare? La prima regola è non attendere passivamente. Se l’abuso rientra nelle ipotesi minori sanabili (ad esempio piccole difformità, opere interne non strutturali, abusi effettuati comunque in conformità alle norme urbanistiche vigenti), conviene attivarsi subito per una sanatoria ordinaria. Questo può avvenire tramite l’accertamento di conformità (art. 36 del DPR 380/2001) per opere realizzate senza permesso ma conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia corrente: in pratica si richiede oggi il permesso in sanatoria, pagando una sanzione, se l’intervento poteva essere autorizzato sia al momento della realizzazione sia al momento della domanda. Fuori da questi casi (cioè se l’abuso non è in alcun modo conforme alle regole attuali o di allora), non esistono molte vie d’uscita legali. È inutile sperare in nuovi condoni straordinari: il clima politico e sociale attuale li rende altamente improbabili, e comunque la linea dei giudici è di non ampliare l’ambito delle vecchie sanatorie. L’abusivismo edilizio è ormai visto come un nemico dell’ambiente e della sicurezza, e come tale viene trattato.

Chi si trova destinatario di un’ordinanza di demolizione dovrebbe muoversi tempestivamente, rivolgendosi a professionisti esperti in diritto urbanistico per valutare ogni eventuale vizio di quella procedura (ad esempio errori nella notifica, nella motivazione, nella individuazione delle opere da demolire). In rari casi, infatti, il provvedimento può essere annullato per motivi formali – ad esempio, il TAR Lazio con una sentenza del 2025 ha ritenuto illegittima una demolizione disposta senza aver prima comunicato l’avvio del procedimento, in violazione del diritto di partecipazione del privato, specie laddove era ipotizzabile una regolarizzazione parziale ai sensi di normative sopravvenute (c.d. “Salva Casa”). Si tratta però di eccezioni: la regola generale, come abbiamo visto, è che l’ordine di demolire è un atto dovuto e non richiede particolari avvisi o bilanciamenti. Pertanto, impugnare l’ordinanza ha senso solo se ci sono profili tecnici o giuridici specifici da far valere – e va fatto entro termini brevi (60 giorni al TAR in sede amministrativa, oppure 30 giorni con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica). In assenza di vizi, una volta che l’ordine diventa definitivo, la demolizione sarà inevitabile e potrà essere eseguita coattivamente dal Comune, con addebito delle spese al proprietario. In casi estremi come quelli visti (proprietari anziani e malati), si potrà al più ottenere una dilazione, ma non la salvezza dell’immobile.

Risulta quindi fondamentale, per chi ha realizzato opere fuori norma, agire in via preventiva: consultare un tecnico e un legale per capire se esistono margini di sanatoria, o altrimenti valutare soluzioni alternative (ad esempio la delocalizzazione di alcune funzioni, la parziale demolizione volontaria per ricondurre l’immobile nei limiti di legge, ecc.). Ignorare il problema espone al rischio di perdere tutto e magari di subire anche conseguenze penali (la costruzione abusiva è pur sempre un reato, benché spesso prescritto). Inoltre, finché l’immobile resta abusivo, non è vendibile né ipotecabile regolarmente, e gli atti tra vivi o mortis causa riguardanti l’edificio possono essere nulli. Insomma, regolarizzare dove possibile conviene, e dove non è possibile è prudente non investire ulteriormente in un bene che potrebbe essere demolito. Ogni situazione va valutata singolarmente, perché il quadro urbanistico e vincolistico varia da caso a caso; ma l’indirizzo generale emerso nel 2024–2025 è univoco: stringere le maglie su condoni e abusi, nell’interesse collettivo di un territorio più sicuro e ordinato.

 

Conclusioni: fine delle illusioni e importanza di una difesa legale tempestiva

In conclusione, le novità normative e soprattutto giurisprudenziali degli ultimi tempi segnano la fine delle facili illusioni in materia di abusi edilizi. Non c’è più spazio per condoni generalizzati o per accomodamenti taciti: le regole urbanistiche vanno rispettate e vengono fatte valere anche a distanza di molti anni. Le ruspe non si fermano di fronte alle scuse o ai ritardi burocratici. Come ha efficacemente sintetizzato un osservatore, oggi “il mattone selvaggio è a un bivio: regolarizzazione o demolizione”. Chi ha una casa costruita fuori legge deve esserne consapevole: la mancanza di intervento equivale quasi certamente a condannare l’immobile alla demolizione prima o poi. Viceversa, affrontare subito la situazione con l’aiuto di tecnici e legali competenti può, se non altro, chiarire se esistono strade percorribili per salvare almeno in parte il valore investito.

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  • 21 ottobre 2025
  • Redazione

Autore: Redazione - Staff Studio Legale MP


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