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Risarcimento per nascita indesiderata dopo errore medico - Studio Legale MP - Verona

La nascita di un figlio non voluto a causa di un errore medico apre delicate questioni di responsabilità. Scopri come la legge tutela i genitori tra diritto all'aborto e risarcimento dei danni.

Un errore medico in gravidanza può privare la donna della possibilità di interrompere la gestazione, portando alla nascita indesiderata di un figlio. In questi casi si configura una particolare forma di malasanità che dà diritto a un risarcimento. Questo articolo esamina il quadro normativo italiano, le sentenze più recenti della Cassazione e i diritti dei genitori coinvolti in simili vicende, con un linguaggio chiaro ma preciso.

 

Cos'è il danno da nascita indesiderata?

Nel campo del danno alla salute rientra anche la particolare ipotesi della nascita indesiderata. Si parla di nascita indesiderata quando un errore medico durante la gravidanza impedisce ai genitori (in particolare alla madre) di esercitare il diritto di interrompere la gravidanza secondo la legge n. 194/1978. In altre parole, è la situazione in cui un bambino nasce perché il medico non ha diagnosticato o comunicato in tempo una grave patologia fetale, o ha commesso un errore in una procedura, privando la madre della possibilità di scegliere se portare avanti o meno la gestazione.

La legge italiana consente l'interruzione volontaria di gravidanza entro 90 giorni senza necessità di motivazione, e anche oltre i 90 giorni se vi è un grave pericolo per la vita o la salute fisica o psichica della donna (art. 6 L. 194/1978). Pertanto, se una grave malformazione del feto viene scoperta solo tardivamente – magari a gravidanza avanzata – a causa di un'omissione del medico, la donna potrebbe perdere la possibilità di abortire legalmente. Il risultato è la nascita di un figlio non voluto nelle specifiche condizioni in cui è venuto al mondo, con tutte le conseguenze emotive, familiari ed economiche che ne derivano.

Ecco alcuni esempi tipici di condotte mediche che possono portare a una nascita indesiderata:

Mancata diagnosi di gravi malformazioni fetali o patologie genetiche (errori o negligenze nell'esecuzione e interpretazione di esami prenatali come ecografie, test diagnostici, amniocentesi).

Mancata comunicazione ai genitori di un esito diagnostico allarmante: il medico scopre un'anomalia ma omette di informarne tempestivamente la gestante, impedendole decisioni consapevoli.

Fallimento di procedure contraccettive o di sterilizzazione: ad esempio un'operazione di legatura delle tube mal eseguita, che porta a una gravidanza indesiderata nonostante le precauzioni definitive.

Errore nell'esecuzione di un aborto: casi rarissimi ma possibili, in cui un intervento di IVG non va a buon fine e la gravidanza prosegue all'insaputa della donna, che scopre di essere ancora incinta.

In tutte queste ipotesi si configura una possibile responsabilità medica: il sanitario (o la struttura sanitaria) può essere chiamato a rispondere dei danni conseguenti alla nascita di un figlio che, senza l'errore, non sarebbe nato o sarebbe nato in circostanze meno traumatiche per la famiglia.

Quando c'è responsabilità del medico in questi casi

Affinché vi sia responsabilità professionale del medico occorre dimostrare una colpa nella sua condotta durante il percorso diagnostico o assistenziale in gravidanza. Il ginecologo ha precisi doveri di diligenza: deve eseguire gli esami e i test prenatali previsti, interpretarli correttamente e informare compiutamente la gestante su eventuali rischi per il feto. Come insegna il noto principio ippocratico primum non nocere ("prima di tutto, non nuocere"), il medico deve mettere la salute e la volontà della paziente al centro delle proprie cure. Se questo dovere viene violato, può configurarsi un inadempimento da cui scaturisce il diritto al risarcimento.

Non ogni mancata diagnosi, però, equivale automaticamente a colpa medica. La giurisprudenza – attenta a valutare il caso concreto – ha chiarito che è necessario accertare se vi sia stata effettiva negligenza o imperizia. Ad esempio, la Corte di Cassazione ha precisato che la mera difficoltà tecnica di visualizzare alcune strutture anatomiche del feto non configura di per sé un inadempimento colposo da parte del medico (Cass. civ., Sez. III, sent. n. 26211/2024). In sostanza, bisogna chiedersi: un ginecologo scrupoloso, nelle stesse condizioni, avrebbe individuato la patologia? Se la risposta è sì e nel caso concreto ciò non è avvenuto, allora l'errore è imputabile al sanitario.

Un ulteriore presupposto chiave è il nesso causale tra l'errore e la nascita del bambino. Occorre cioè dimostrare che, senza quell'errore (diagnosi omessa o informazione negata), la madre avrebbe interrotto la gravidanza nei limiti consentiti dalla legge. Se ad esempio la patologia del feto era tale da consentire un aborto terapeutico oltre i 90 giorni, e la gestante avrebbe scelto questa opzione, la mancata diagnosi in tempo utile ha causato direttamente la prosecuzione forzata della gravidanza. Diversamente, se anche con una diagnosi corretta non sarebbe stato possibile o lecito interrompere la gravidanza, non vi è nesso causale e quindi non sussiste responsabilità risarcitoria.

I danni risarcibili per la nascita indesiderata

La particolarità di questi casi è che il danno lamentato dai genitori non è una lesione fisica immediata (come avviene in altri errori medici), bensì un insieme di pregiudizi morali, esistenziali e patrimoniali derivanti dall'evento della nascita non pianificata. La giurisprudenza ormai riconosce espressamente la risarcibilità di tali pregiudizi.

Danno da lesione del diritto all'autodeterminazione: è il principale profilo, di natura non patrimoniale. Consiste nella sofferenza psichica, nello shock e nello stravolgimento della vita che la madre (e il padre) subiscono perché è stata tolta loro la possibilità di scegliere se e quando avere un figlio. In altre parole, il medico con la sua omissione ha violato un diritto fondamentale della persona, quello di decidere liberamente sulla propria maternità. Questo danno include il turbamento emotivo, lo stress, il dolore nel dover affrontare una nascita inattesa e magari di un bambino gravemente malato.

Danno patrimoniale: in presenza di gravi disabilità del bambino, i genitori possono chiedere anche il ristoro delle spese economiche aggiuntive necessarie per le cure e l'assistenza speciale di cui il figlio avrà bisogno nel corso della vita. Si tratta dei costi direttamente legati alla condizione patologica che, senza l'errore medico, non avrebbero dovuto sostenere (in quanto il bambino non sarebbe nato o non sarebbe sopravvissuto a lungo). Questo aspetto patrimoniale è distinto dal danno non patrimoniale ma concorre a determinare il risarcimento integrale.

Importante è sottolineare che tali danni spettano ad entrambi i genitori. Sebbene solo la donna abbia per legge il potere di decidere sull'interruzione della gravidanza, la Cassazione ha da tempo chiarito che, in caso di nascita indesiderata causata da errore medico, il risarcimento va riconosciuto sia alla madre sia al padre. Entrambi, infatti, subiscono le conseguenze (morali ed economiche) dell'imprevisto allargamento della famiglia e del dover crescere un figlio in condizioni diverse da quelle programmate.

Va invece escluso che il figlio nato possa richiedere un risarcimento per il solo fatto di essere venuto al mondo con sofferenze o disabilità. La Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha negato in radice la configurabilità di un "diritto a non nascere se non sano" in capo al nascituro: la vita, pur se segnata da malattia, non è considerata dalla legge italiana un danno risarcibile in sé (Cass. civ., Sez. Un., sent. n. 25767/2015). Pertanto eventuali azioni sono riconosciute in capo ai genitori, ma non al bambino nato vivo.

La casistica ha evidenziato anche un ulteriore tipo di pregiudizio risarcibile: la perdita della possibilità di prepararsi psicologicamente a un evento traumatico. Si pensi al caso in cui un grave difetto del feto venga scoperto solo a fine gravidanza, e il neonato purtroppo muoia poco dopo il parto: i genitori, ignari fino all'ultimo, subiscono un trauma violento, senza alcuna preparazione all'idea della perdita. Ebbene, la Suprema Corte ha riconosciuto che anche questo è un danno ingiusto da risarcinare, distinto rispetto alla nascita indesiderata in senso stretto. In una pronuncia recente – riguardante proprio la morte neonatale di una bimba con malformazione cardiaca non diagnosticata per tempo – la Cassazione ha affermato che i danni risarcibili per lesione del diritto all'autodeterminazione "non si limitano a quelli correlati alla nascita indesiderata, estendendosi anche a quelli connessi alla perdita della possibilità di predisporsi ad affrontare consapevolmente tale evento" (Cass. civ., Sez. III, sent. n. 30218/2024). In altri termini, è risarcibile anche il fatto di aver dovuto subire all'improvviso un evento drammatico (la nascita e morte di una figlia gravemente malata) che, se conosciuto prima, sarebbe stato affrontato con maggiore preparazione e minore impatto sul piano emotivo.

 

Come dimostrare il diritto al risarcimento

Dal punto di vista processuale, il onere della prova in questi casi presenta profili delicati. La parte danneggiata (i genitori) deve provare sia la colpa del medico, sia il fatto che, senza l'errore, la gravidanza non sarebbe proseguita. La colpa medica si dimostra attraverso documentazione clinica ed eventuali perizie medico-legali che evidenzino l'errore diagnostico o la violazione dei protocolli da parte del sanitario.

Più complessa è la prova del secondo elemento, ovvero la cosiddetta scelta abortiva mancata. Trattandosi di un fatto ipotetico (“quello che la madre avrebbe fatto se informata correttamente”), è ammesso il ricorso alle presunzioni semplici: indizi e circostanze che rendano credibile e logico ritenere che la donna avrebbe optato per l'interruzione della gravidanza. Ad esempio, la gravità della malattia fetale è già di per sé un forte elemento presuntivo: più la patologia è incompatibile con una vita normale del nascituro, più è verosimile che una madre, adeguatamente informata, avrebbe scelto di non portare a termine la gestazione. Possono rilevare anche altri elementi, come dichiarazioni fatte dalla gestante ai medici (manifestando l'intenzione di abortire in caso di esiti negativi) o la presenza di particolari condizioni personali che avrebbero reso insostenibile affrontare la nascita di un figlio gravemente malato.

La Corte di Cassazione ha ribadito però che questa valutazione va compiuta con estrema rigorosità. In una recente sentenza, la Suprema Corte ha annullato una condanna al risarcimento proprio perché il giudice di merito aveva dato per scontato il nesso tra diagnosi omessa e decisione abortiva, basandosi su presunzioni fragili. La Cassazione ha chiarito che la violazione del diritto all'aborto non comporta automatica responsabilità medica: occorre dimostrare in concreto che la donna, se fosse stata informata, avrebbe scelto l'interruzione nel rispetto dei limiti di legge. Tale prova può fondarsi su presunzioni, ma solo se queste sono gravi, precise e concordanti, come richiesto dall'art. 2729 del codice civile. Un ragionamento presuntivo costruito su elementi generici o inconsistenti è censurabile come errore di diritto (in quanto falsa applicazione dell'art. 2729 c.c.). In sintesi, spetta ai genitori fornire al giudice elementi convincenti che rendano altamente probabile la scelta abortiva mancata. Se questa prova manca, il risarcimento non può essere riconosciuto (Cass. civ., Sez. III, sent. n. 1903/2025).

Un'ulteriore difficoltà probatoria si presenta quando la diagnosi omessa avviene dopo i 90 giorni di gravidanza. In tal caso, per ottenere il risarcimento, è necessario dimostrare che ricorrevano le condizioni per un aborto terapeutico tardivo ai sensi della legge 194/1978, cioè che la patologia fetale comportava un grave pericolo per la salute fisica o psichica della madre. Ad esempio, se la malformazione del feto era di per sé fonte di gravissimo stress e depressione per la gestante, questo può integrare il requisito di legge. Anche qui, però, servono elementi concreti: referti psicologici, testimonianze sullo stato d'animo della donna, etc. Nel caso esaminato dalla Cassazione nel 2025, la corte ha ritenuto che i giudici d'appello avessero sopravvalutato elementi indiziari senza adeguata concretezza, finendo per presumere un "grave pericolo" psichico non provato in modo rigoroso. Di conseguenza ha accolto il ricorso della struttura sanitaria, negando il risarcimento in mancanza di prova sufficiente.

In definitiva, i genitori che intraprendono un'azione di questo tipo devono predisporre con cura la strategia probatoria, avvalendosi di consulenti tecnici (medici e legali) per dimostrare sia l'errore sanitario che l'impatto decisivo che tale errore ha avuto sulla loro vita. Solo attraverso una solida base probatoria sarà possibile ottenere dal giudice il riconoscimento del giusto risarcimento per la nascita indesiderata subita.

Salus aegroti suprema lex. (La salute del paziente è la legge suprema - principio latino)
Ma il niente è da preferirsi al soffrire? Concludo che soffrire sia da preferirsi al niente. (Oriana Fallaci)

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  • 21 ottobre 2025
  • Redazione

Autore: Redazione - Staff Studio Legale MP


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