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Infortuni sul lavoro: risarcimento danni e tutela - Studio Legale MP - Verona

Infortuni sul lavoro: risarcimento danni e sentenze recenti

La giurisprudenza più recente in tema di infortuni sul lavoro conferma il diritto del lavoratore al pieno risarcimento. Le ultime sentenze su malattie professionali e sicurezza obbligano i datori di lavoro a rispondere per intero dei danni subiti dal dipendente quando violano le norme anti-infortunistiche, oltre a quanto riconosciuto dall’INAIL.

 

 

Obblighi di sicurezza e indennizzo INAIL: il quadro normativo

Ogni datore di lavoro ha il dovere legale di tutelare l’integrità fisica dei propri dipendenti. L’art. 2087 del Codice Civile impone all’imprenditore di adottare tutte le misure necessarie a prevenire incidenti e malattie professionali. Questa norma generale si affianca alle disposizioni specifiche del Testo Unico per la Sicurezza sul Lavoro (D.Lgs. 81/2008), che dettaglia obblighi tecnici e organizzativi per garantire ambienti di lavoro sicuri. In altre parole, salus populi suprema lex: come affermava Cicerone, la sicurezza delle persone (in questo caso dei lavoratori) è legge suprema e deve venire prima di ogni altra considerazione.

Parallelamente agli obblighi del datore di prevenire gli infortuni, l’ordinamento prevede un sistema di assicurazione pubblica contro gli incidenti sul lavoro. L’INAIL (Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro) copre in modo automatico i lavoratori dipendenti: in caso di infortunio o malattia professionale, eroga prestazioni economiche (come l’indennità temporanea, la rendita per inabilità permanente o un’indennità per danno biologico) senza necessità di dimostrare la colpa del datore di lavoro. L’indennizzo INAIL, però, copre solo in parte il pregiudizio subito dal lavoratore: è limitato alle conseguenze psico-fisiche e a una quota di danno patrimoniale (perdita di capacità lavorativa), ma non comprende voci come il danno morale o altre perdite non patrimoniali.

Di norma, quando l’infortunio accade, l’INAIL interviene a indennizzare rapidamente il lavoratore, ed essendo un’assicurazione obbligatoria solleva il datore di lavoro dalla responsabilità civile “automatica” per l’incidente, a meno che non vi sia stata una violazione delle norme di sicurezza. Questo significa che il lavoratore non può chiedere due volte lo stesso risarcimento per le stesse voci di danno: la legge prevede il cosiddetto “danno differenziale”, ossia la possibilità di ottenere dal datore solo la differenza tra quanto riconosciuto dall’INAIL e il pieno valore del danno effettivamente patito. In altri termini, l’INAIL paga una parte – spesso limitata – e il datore di lavoro deve risarcire il resto dei danni qualora l’infortunio sia avvenuto per una sua colpa (ad esempio per carenze nelle misure di sicurezza). Non è ammesso un doppio risarcimento, ma neppure che il lavoratore rimanga scoperto per la parte di danno non coperta dall’assicurazione: l’ordinamento mira all’integralità del risarcimento, secondo il principio fondamentale del nostro sistema civile (“neminem laedere”: non ledere nessuno senza compensarne le conseguenze).

 

Danno differenziale: cos’è e quali voci copre

Quando si parla di risarcimento integrale in caso di infortunio sul lavoro, si fa riferimento proprio al danno differenziale. Si tratta della porzione di danno che resta scoperta dopo gli indennizzi INAIL. Come detto, l’INAIL eroga prestazioni principalmente per il danno biologico (lesione all’integrità psicofisica) e per la diminuzione della capacità lavorativa, secondo percentuali e tabelle prestabilite. Tali indennizzi spesso non coprono interamente tutte le conseguenze dell’incidente. Ad esempio, l’INAIL non corrisponde somme per il danno morale (la sofferenza interiore patita dalla vittima) né per eventuali danni esistenziali (ripercussioni negative sulla vita di relazione, sugli affetti, sulle attività quotidiane). Inoltre, se l’infortunio causa perdite economiche ulteriori – come mancati guadagni non compensati dalle rendite INAIL, spese mediche non coperte o la perdita di chance professionali – queste voci restano fuori dall’indennizzo automatico.

Il danno differenziale si calcola confrontando l’ammontare complessivo del danno civilistico (cioè valutato secondo i criteri ordinari di risarcimento danni) con quanto già liquidato dall’INAIL. Il datore di lavoro è tenuto a pagare la differenza, ovviamente solo se l’evento lesivo è a lui imputabile per colpa o violazione di legge. In pratica, se – valutando secondo le tabelle del Tribunale – al lavoratore spetterebbero, poniamo, 200.000 euro di risarcimento totale, ma l’INAIL gli ha riconosciuto una rendita capitale del valore di 120.000 euro, il datore dovrà corrispondergli ulteriori 80.000 euro. Ciò assicura al lavoratore la piena restitutio in integrum (cioè di essere rimesso nella situazione economica ed esistenziale in cui sarebbe stato se non si fosse infortunato).

Va ribadito però che questa integrazione è dovuta solo se l’incidente è dipeso da una responsabilità del datore di lavoro (colpa, negligenza, imprudenza o inosservanza di obblighi di sicurezza). Se invece l’evento è dovuto a caso fortuito o a una causa del tutto estranea al datore – e non vi è alcuna violazione prevenzionistica imputabile all’azienda – il lavoratore deve accontentarsi delle prestazioni INAIL e non ha diritto a ulteriori somme. Ad esempio, se un lavoratore subisce un malore imprevedibile o compie un atto esorbitante e imprevedibile (comportamento abnorme) che causa l’incidente, il datore potrebbe andare esente da responsabilità civile. In tutti gli altri casi di infortunio riconducibile a carenze organizzative o misure di sicurezza mancanti, l’azienda risponde dei danni. “Una vigile e provvida paura è la madre della sicurezza”, ammoniva Edmund Burke: il legislatore proprio per questo impone ai datori un atteggiamento di costante prudenza e previsione del pericolo, affinché i rischi vengano eliminati a monte. Se ciò non avviene, scatta l’obbligo di risarcire i lavoratori lesi.

Le pronunce recenti della Cassazione: onere della prova e responsabilità del datore

Negli ultimi tempi, la Corte di Cassazione è intervenuta più volte a definire i contorni del risarcimento da infortunio sul lavoro, offrendo chiarimenti sia sul piano probatorio (ossia su chi deve provare cosa in giudizio) sia sul merito delle voci risarcibili. Le sentenze del 2024–2025 delineano un orientamento coerente: quando c’è stata violazione delle norme anti-infortunistiche, al lavoratore spetta il pieno risarcimento, ma è suo onere dimostrare gli elementi fondamentali della causa.

Danno differenziale e prova del danno ulteriore: con l’ordinanza Cass. civ., Sez. Lav., n. 2008/2025 (dep. 28 gennaio 2025) la Suprema Corte ha rigettato il ricorso di un lavoratore che chiedeva il risarcimento di ulteriori postumi da infortunio, oltre a quanto già indennizzato dall’INAIL, senza però aver fornito adeguata prova. In quel caso l’azienda non aveva fatto effettuare al dipendente la visita medica di idoneità al cambio mansione dopo un precedente incidente: una mancanza che configurava una violazione dell’obbligo di sicurezza. Tuttavia, il lavoratore non era riuscito a dimostrare in giudizio quali danni aggiuntivi (patrimoniali o non patrimoniali) gli fossero derivati, rispetto a quanto già coperto dall’INAIL. La Cassazione ha affermato un principio importante: il “danno differenziale” non è automaticamente pari alla differenza tra gradi percentuali di invalidità riconosciuti dall’INAIL e quelli effettivamente subiti, ma consiste nelle conseguenze pregiudizievoli ulteriori, non indennizzate dall’INAIL. Spetta al lavoratore allegare e provare questi pregiudizi ulteriori. In assenza di prova specifica su un danno patrimoniale residuo (ad esempio una perdita di guadagno non coperta) o su un danno non patrimoniale non indennizzato (come sofferenze ulteriori non compensate dalla rendita), la domanda risarcitoria civile non può essere accolta. Cassazione n. 2008/2025 dunque chiarisce che il diritto al risarcimento differenziale esiste, ma non è automatico: va dimostrato concretamente in cosa l’indennizzo INAIL risulti insufficiente. In quel caso, non avendo il ricorrente provato alcun ulteriore pregiudizio specifico, la Corte ha confermato il rigetto della sua domanda.

Nesso causale nelle malattie professionali: un altro aspetto cruciale affrontato di recente è la prova del collegamento tra lavoro e malattia, soprattutto quando si tratta di patologie sviluppatesi nel tempo (come quelle da esposizione prolungata a rumore, sostanze nocive, movimenti ripetitivi, ecc.). La sentenza Cass. civ., Sez. Lav., n. 11631/2025 (dep. 3 maggio 2025) ha esaminato il caso degli eredi di un lavoratore deceduto per una malattia (tumore polmonare) asseritamente causata dall’inalazione di fumi di saldatura nell’ambiente di lavoro. In giudizio era emerso, grazie alla consulenza tecnica medico-legale, che il dipendente non svolgeva in realtà mansioni di saldatore in via continuativa, ma solo saltuariamente, e che quindi mancava un’esposizione prolungata tale da giustificare – con elevata probabilità – l’origine professionale del tumore. La Cassazione ha confermato la decisione sfavorevole agli eredi: in assenza di un rischio specifico dimostrato, il nesso causale tra malattia e attività lavorativa non può essere fondato su mere ipotesi o presunzioni astratte. Anche in tema di infortuni e malattie professionali vale la regola generale: il lavoratore (o i suoi aventi causa) deve provare sia l’esistenza del danno sia la relazione causale con la prestazione di lavoro. Non è sufficiente invocare la pericolosità generica dell’ambiente lavorativo; occorre dimostrare, con criteri probabilistici e scientifici, che proprio quella lavorazione ha contribuito a causare la patologia “in misura prevalente o quantomeno significativa”. Nella Cass. n. 11631/2025, la Corte ribadisce che non si può presumere il collegamento causale se mancano evidenze: in quel caso, il fatto che il lavoratore svolgesse altre mansioni e che l’esposizione ai fumi fosse stata limitata e non documentata da esami audiometrici continuativi ha portato ad escludere la responsabilità del datore di lavoro. Dunque, niente risarcimento (né prestazione INAIL aggiuntiva) agli eredi, difettando la prova certa del nesso causa-effetto tra omissioni dell’azienda e malattia.

Presunzioni legali a favore del lavoratore: vi sono però situazioni in cui l’ordinamento aiuta il lavoratore sul piano probatorio, introducendo delle presunzioni di origine professionale per determinate malattie. Ad esempio, esistono tabelle ministeriali che elencano alcune patologie come probabilmente connesse a specifiche lavorazioni (le cosiddette malattie professionali “tabellate”). In tali casi, se la malattia si manifesta entro un certo periodo dall’esposizione al rischio lavorativo, si presume che sia dovuta al lavoro, salvo prova contraria. Una decisione significativa è l’ordinanza Cass. civ., Sez. Lav., n. 12972/2025 (dep. 14 maggio 2025), relativa a un lavoratore affetto da ipoacusia da rumore (perdita uditiva) dopo anni di lavoro in reparti con macchinari rumorosi. In primo e secondo grado la sua domanda di prestazione INAIL era stata respinta, perché non vi erano audiogrammi recenti e il consulente tecnico d’ufficio aveva concluso che l’esposizione non superava i limiti di tollerabilità, indicando anche possibili cause extra-lavorative (ad esempio la passione venatoria del lavoratore). La Cassazione n. 12972/2025 ha però accolto il ricorso del lavoratore, censurando l’eccessivo rigore con cui i giudici di merito avevano valutato la prova. La Corte ha richiamato il principio per cui, in presenza di malattie tabellate (come l’ipoacusia da rumore, prevista dalla normativa), vige una presunzione legale di origine professionale: spetta all’INAIL (o al datore di lavoro, in caso di causa di risarcimento) provare che la malattia deriva da cause estranee al lavoro. Non basta, per vincere questa presunzione, ipotizzare generiche concause extra-lavorative; è necessaria la prova di un fattore alternativo esclusivo che spieghi integralmente la patologia. Nel caso di specie, la Cassazione ha ritenuto che l’assenza di misurazioni documentali dopo il 1984 e il rinvio a possibili concause (tiro al volo, problemi vascolari, ecc.) non fossero elementi sufficienti a negare il nesso causale. La sentenza ha quindi stabilito che va riconosciuta la natura professionale della malattia (ipoacusia) e, conseguentemente, il lavoratore ha diritto alle relative tutele: nel procedimento specifico si trattava della rendita INAIL, ma lo stesso principio vale anche in un’eventuale azione civile di risarcimento contro il datore. Insomma, favor laboratoris: l’ordinamento, nelle situazioni previste, agevola il dipendente invertendo l’onere della prova in suo favore. È compito del datore/INAIL dimostrare che la malattia deriva da altro (e ciò richiede evidenze solide), altrimenti si presume causata dal lavoro.

Queste pronunce, lette in combinato, confermano un quadro equilibrato: il lavoratore deve provare l’infortunio, i danni subiti e – di regola – la colpa del datore di lavoro, ma non viene lasciato solo. In presenza di normative che gli riconoscono presunzioni favorevoli (come per le malattie tabellate), egli può beneficiare di un’inversione dell’onere probatorio. In ogni caso, una volta dimostrata la responsabilità dell’azienda nell’evento lesivo, il risarcimento deve essere completo.

Da notare che la Cassazione, già con sentenze a Sezioni Unite nel 2018, aveva affermato chiaramente che le somme versate dall’INAIL non coprono tutto il danno civilistico (data la diversità di struttura e finalità tra indennizzo assicurativo e risarcimento del danno in senso civilistico) e che quindi il lavoratore può agire per la differenza, senza che le prestazioni INAIL esauriscano il suo diritto. Le decisioni del 2025 ribadiscono questo concetto, ma responsabilizzano il lavoratore nella parte che gli compete: deve articolare bene le proprie richieste e fornire al giudice gli elementi per quantificare quei pregiudizi ulteriori non indennizzati. Dal canto suo, il datore di lavoro (o l’INAIL in caso di prestazioni assicurative) per sottrarsi all’obbligo risarcitorio deve provare o che non vi è nesso causale con il lavoro, oppure – se il nesso c’è – che l’evento è avvenuto per una causa a lui non imputabile (ad esempio un comportamento imprevedibile del dipendente stesso). Solo in tal caso non è tenuto a pagare il differenziale. In sintesi, oggi la giurisprudenza “premia” il lavoratore diligente che riesce a dimostrare la propria domanda e punisce invece il datore negligente che non ha protetto adeguatamente i suoi dipendenti. Come spesso accade, summum ius, summa iniuria: una difesa “troppo zelante” da parte dell’INAIL o del datore, basata su cavilli per negare l’evidenza di un’origine professionale, può trasformarsi in un’ingiustizia verso il lavoratore. La Cassazione ha il merito di aver richiamato l’attenzione sulla sostanza: ciò che conta è tutelare effettivamente la vittima di un infortunio, garantendole tutto il dovuto.

 

Come ottenere il pieno risarcimento: diritti del lavoratore e consigli pratici

Di fronte a questo scenario, un lavoratore che purtroppo rimanga vittima di un infortunio sul lavoro – o che contragga una malattia legata all’attività svolta – deve sapere come far valere i propri diritti per ottenere quanto gli spetta. In concreto, i passi da seguire sono:

Denunciare subito l’infortunio o la malattia all’INAIL: è fondamentale attivare immediatamente la procedura assicurativa, informando il datore e l’INAIL dell’accaduto (anche tramite il certificato medico di infortunio o malattia professionale). Questo assicura il rapido riconoscimento delle prime prestazioni (indennità di malattia, cure, ecc.) e costituisce una base documentale essenziale.

Raccogliere prove sull’evento e sulle cause: è importante documentare come si è verificato l’incidente (testimoni, foto del macchinario o del luogo, relazione dell’ASL o degli ispettori se intervengono) oppure, nel caso di malattia professionale, raccogliere tutta la documentazione medica e di ambienti di lavoro (valutazioni dei rischi, misurazioni, mansioni svolte nel tempo). Bisogna poter dimostrare l’esposizione a un rischio lavorativo e l’eventuale mancanza di misure di sicurezza (macchinario privo di protezioni, formazione inadeguata, dispositivi di protezione individuale non forniti, e così via).

Valutare l’entità complessiva dei danni: dopo le cure iniziali, una volta stabilizzate le condizioni, è opportuno farsi quantificare medico-legalmente il danno biologico residuato (tramite visite specialistiche). Contestualmente, vanno calcolati anche i danni patrimoniali subiti (giornate di lavoro perse, eventuale riduzione della capacità di guadagno futura, spese sostenute di tasca propria) e i disagi morali ed esistenziali patiti. Questa stima complessiva servirà a confrontarla con quanto l’INAIL ha riconosciuto, per capire quanta parte rimane scoperta. Ad esempio, se l’INAIL ha attribuito un’indennità per un danno biologico del 10%, ma la perizia di parte valuta un danno del 15% più un significativo danno morale, e magari ci sono stati anche redditi persi non compensati, si avrà chiara la dimensione del danno differenziale da richiedere.

Verificare le responsabilità del datore di lavoro: con l’ausilio di esperti di sicurezza sul lavoro si dovrà accertare se l’azienda ha violato specifiche norme o principi di prudenza. Ad esempio, mancava una protezione su un macchinario? Il lavoratore era stato formato adeguatamente? C’era un rischio noto non segnalato né mitigato? Questi elementi, se presenti, costituiscono la base per imputare al datore di lavoro una colpa specifica nell’accaduto. Spesso i verbali degli enti ispettivi (ATS/ASL, Ispettorato del Lavoro) relativi all’infortunio sono molto utili, perché individuano le eventuali violazioni. Se addirittura l’infortunio ha portato ad un procedimento penale (ipotesi non rara in caso di lesioni gravi o decesso, con imputazione di lesioni colpose o omicidio colposo a carico del datore o dirigenti), l’accertamento penale e la relativa sentenza di condanna possono facilitare la successiva richiesta risarcitoria in sede civile.

Presentare la richiesta di risarcimento al datore (o alla sua assicurazione): molte aziende sono coperte da assicurazione per la responsabilità civile verso i dipendenti. Inviare una richiesta formale di risarcimento, dettagliando i motivi (colpe riscontrate) e i danni subiti, è il passo successivo. Si può tentare una composizione stragiudiziale: spesso, di fronte a una documentazione solida, l’assicurazione del datore può essere disponibile a risarcire il dovuto senza andare in causa, almeno per evitare aggravi di spese legali.

Ricorrere al giudice in caso di mancato accordo: qualora il datore di lavoro (o la sua assicurazione) neghi la responsabilità o offra somme inadeguate, il lavoratore potrà agire in giudizio davanti al tribunale del lavoro. Sarà il giudice a valutare le prove e stabilire l’eventuale colpa datoriale e la quantificazione esatta del danno differenziale. In tale sede, come abbiamo visto, risulterà decisiva la capacità di dimostrare il nesso causale e il danno ulteriore rispetto all’INAIL. Verrà quasi certamente disposta una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) medico-legale per valutare postumi e danni, nonché – se contestato – un accertamento tecnico sulle cause dell’evento (per questo è importante arrivare al giudizio con elementi documentali già robusti).

Affrontare questi passaggi può essere complesso. È consigliabile rivolgersi a un avvocato con esperienza in diritto del lavoro e risarcimento danni fin dalle prime fasi, per essere guidati correttamente. Ad esempio, un legale saprà collaborare con medici legali e tecnici della sicurezza per predisporre perizie di parte convincenti; saprà individuare le voci di danno da richiedere (spesso il lavoratore non è consapevole di tutti i suoi diritti risarcitori); inoltre potrà gestire i rapporti con l’assicurazione del datore in modo professionale, mettendo pressione affinché la pratica venga considerata con serietà. Anche nel caso di malattie professionali a manifestazione lenta, l’assistenza legale è utile per districarsi tra prove scientifiche e presunzioni normative: un avvocato esperto conosce, ad esempio, quali malattie sono tabellate e come sfruttare a vantaggio del cliente le presunzioni di legge, alleggerendo il carico probatorio.

In definitiva, oggi il lavoratore dispone degli strumenti giuridici per ottenere giustizia dopo un infortunio: fiat iustitia, ruat caelum, potremmo dire – si faccia giustizia costi quel che costi, anche se “cada il cielo”. Le più recenti evoluzioni normative e giurisprudenziali puntano a rafforzare la posizione del dipendente infortunato, senza ovviamente esonerarlo dai suoi doveri di cautela (il lavoratore deve pur sempre seguire le procedure di sicurezza e usare i DPI forniti). Il messaggio che emerge dalle sentenze è chiaro: se chi è dalla parte della ragione non resta in silenzio, ma agisce e porta le sue ragioni all’attenzione del giudice, l’ordinamento è pronto a tutelarlo pienamente. Il diritto alla salute e alla sicurezza sul lavoro è fondamentale, e chi subisce un danno per colpa altrui ha il diritto – ed anche il dovere verso sé stesso e la propria famiglia – di reclamarne il risarcimento integrale.

 

Conclusione: tutela completa per chi subisce un infortunio sul lavoro

In passato, molti lavoratori vittime di infortuni gravi si accontentavano di quanto erogato dall’INAIL, pur restando con perdite non compensate, per mancanza di informazione o timore di affrontare una causa. Oggi, alla luce di leggi più rigorose e delle sentenze illuminanti della Cassazione, questa disparità può essere colmata. La sicurezza sul lavoro non è un optional, ma un preciso obbligo legale e morale: quando viene violata e un lavoratore si fa male, non ci si può nascondere dietro un indennizzo standard. Il responsabile deve pagare tutto il dovuto. Ogni caso ovviamente fa storia a sé, e non sempre le dinamiche sono semplici da ricostruire; per questo è determinante avvalersi di consulenti competenti e affrontare la questione con approccio tecnico e professionale.

Se hai subito un infortunio sul lavoro o ti è stata diagnosticata una malattia professionale e vuoi far valere i tuoi diritti, oppure se temi di non aver ricevuto il giusto risarcimento oltre all’indennizzo INAIL, affidati allo Studio Legale MP. Valuteremo insieme la tua situazione, esaminando la presenza di eventuali responsabilità del datore di lavoro e quantificando accuratamente i danni risarcibili. Allo stesso modo, se sei un’azienda e desideri mettere in regola la tua posizione dopo un incidente o prevenire future controversie, il nostro team può assisterti nell’adeguamento alle norme e nella gestione dei contenziosi.

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  • 20 ottobre 2025
  • Redazione

Autore: Redazione - Staff Studio Legale MP


Redazione - Staff Studio Legale MP -

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