Cookie Consent by Free Privacy Policy Generator
Studio Legale MP - Verona logo
Responsabilità della Pubblica Amministrazione per danni causati da buche stradali - Studio Legale MP - Verona

Un giovane gravemente ferito in una caduta: il Comune può essere ritenuto responsabile? Un'analisi  delle tutele legali e dei risarcimenti previsti - L'articolo esamina un caso reale di un giovane che subisce gravi lesioni a causa di una caduta provocata da una buca stradale non segnalata e non presidiata. Si discute la responsabilità della Pubblica Amministrazione nella manutenzione delle strade, facendo riferimento all'articolo 2051 del Codice Civile che sancisce la responsabilità oggettiva del custode. La giurisprudenza conferma che il Comune è tenuto al risarcimento se non dimostra che l'evento dannoso è stato causato da un fattore estraneo non controllabile. Viene analizzata la distinzione tra i diversi tipi di danno risarcibili, tra cui il danno biologico, morale, estetico ed esistenziale, con riferimento a numerose sentenze della Corte di Cassazione. L'articolo sottolinea la necessità di una manutenzione diligente delle strade per prevenire incidenti e risarcire adeguatamente le vittime per le conseguenze fisiche e psicologiche subite.

 

Piccola storia triste: un giovane si reca al lavoro nel tardo pomeriggio d’un venerdì qualunque. La pioggia cade leggera, stilla da un cielo smarrito nel fumo di mille comignoli acuminati, che frastagliano il profilo d’una città gotica già persa in grigie lontananze. I passi si rincorrono tra una pozzanghera e l’altra, mentre i palazzi, tinti di pioggia, vestiti a lutto, si succedono ordinatamente, come un triste corteo funebre, per vie che si perdono, spenti i colori, in puntuti coni d’ombra, di cui non si indovina la fine e si dimentica presto l’inizio.

In questo malinconico scenario, tanto deprimente da conciliare con singolare facilità tristezza e noia, a cadere non è solo la pioggia: il giovane cameriere, a causa di una buca non opportunamente presidiata né in alcun modo segnalata, rovina al suolo riportando lesioni non secondarie e anzi di una certa gravità al volto e al busto. L’impatto causa abrasioni e ferite importanti, con copioso versamento di sangue, ciò che induce gli esercenti del posto ad allertare i soccorsi, i quali intervengono con sollecitudine e accompagnano l’infortuno al pronto soccorso.

Di questo grave incidente lo sfortunato protagonista della vicenda – tratta da una storia vera - porta e porterà per sempre i segni sul suo corpo, irrimediabilmente sfregiato in più punti, specialmente sul volto.  E questo aggiunge al dolore fisico patito per la caduta un’incommensurabile sofferenza interiore, non riducibile al singolo istante in cui, sciolta la maschera di sangue che quella sera gli nascondeva il viso, il Nostro si scopriva per la prima volta orrendamente deturpato, ma che si rinnova giorno per giorno, ora per ora, e che egli sperimenta immancabilmente tutte le volte che rimira allo specchio il proprio sembiante. Implacabile, lo specchio, nella sua tremenda sincerità, nella sua algida irremovibilità,  condanna tuttodì il giovine alla tragica verità che lo riguarda: egli non sarà più quello che era, nè basteranno le lagrime amare di cui da settimane va cospargendo le gote sue, marchiate da rubiconde cicatrici sanguinolente, a redimerlo dalla tumefazione che affligge il suo animo più che il suo aspetto. 

 

In punta di diritto, quali tutele accorda il nostro ordinamento al malcapitato? È possibile ravvisare in capo alla Pubblica Amministrazione, cui sono rimesse la cura e la custodia delle strade, qualche forma di responsabilità, che si risolva in una formula risarcitoria a favore del danneggiato?

Precise esigenze di giustizia sostanziale impongono che di questo dolore a rispondere debbano essere i Pubblici Uffici, responsabili primi del deperimento fisico e morale del cameriere, sicari della beltà di cui egli rifulgeva prima di imbattersi in quella buca che era loro cura eliminare dal manto stradale, peraltro trapunto di piccoli crateri che già gravi lutti addussero a più di qualche pedone o ciclista o motociclista o automobilista. Beltà che ha conosciuto il bacio della primavera, ma che non conoscerà mai il tepore dell’estate, perché ha conosciuto prima il freddo dell’asfalto e il suo ruvido bacio ferale.

 Si rammenta che tra i doveri gravanti sull’ente comunale vi è quello di provvedere alla manutenzione, ordinaria e straordinaria, delle strade di sua competenza, al fine di garantire la sicurezza della circolazione e il regolare flusso del traffico, oltre che di evitare danni a persone o cose che vi transitino o che vi si trovino stabilmente, sussistendo pacifica responsabilità dell’ente, ai sensi dell’art. 2051 c.c., qualora questi ometta la necessaria manutenzione. 

Sul punto, con ordinanza n. 18797/2021 gli ermellini hanno - condivisibilmente, dato il tenore letterale dell’art. 2051 c.c.  e della ratio a questo sotteso - sancito la responsabilità oggettiva del custode, che può andare esente da responsabilità solo se “dimostri che l’evento sia stato determinato da cause estrinseche ed estemporanee create da terzi, non conoscibili né eliminabili con immediatezza, neppure con la più diligente attività di manutenzione, ovvero da una situazione […] la quale imponga di qualificare come fortuito il fattore di pericolo, avendo esso esplicato la sua potenzialità offensiva prima che fosse ragionevolmente esigibile l’intervento riparatore dell’ente custode” (Cass., Sez. VI, 27.03.2017, n. 7805).  

In sintesi, non è sufficiente la dimostrazione dell’assenza di colpa da parte del custode, ma si richiede la prova positiva della causa esterna (fatto materiale, fatto del terzo, fatto dello stesso danneggiato), che, per imprevedibilità, eccezionalità, inevitabilità, sia completamente estranea alla sfera di controllo del custode. 

Nel caso di specie, è palese, e dunque pacifico in quanto evidente, che non vi siano gli estremi per invocare il caso fortuito quale elemento idoneo a recidere il nesso causale tra condotta ed evento, in quanto non ricorrono cause estrinseche ed estemporanee create da terzi, non conoscibili né eliminabili con immediatezza.

A conforto di questa lettura della fattispecie, per evadere eventuali esigenze di ordine probatorio, è possibile addurre comparsi sulla stampa locale o nazionale e su alcune testate online, in cui venga denunciato il pessimo stato nel quale versano le strade del sito interessato dall’evento, evento che desta allarme e preoccupazioni in tutti gli utenti e gli avventori, in quanto indiscriminatamente esposti al rischio di caduta. E gli Amministratori delle città, nella stragrande maggioranza dei casi, non possono non esserne al corrente, dato che, oltre a essere magari notizie pubblicate su quotidiani ad alta diffusione, essi stessi possono averne diretta esperienza bazzicando per le Vie della città amministrate, essendo anch’essi primati a due piedi e non serafiche creature che si librano per l’aere spostandosi da un quartiere all’altro sulla spinta propulsiva di ali d’angelo.

Il Comune, in sostanza, non può senz’altro liberarsi da responsabilità invocando il caso fortuito, atteso che: in primis, l’evento ben poteva essere evitato con la opportuna e necessaria attività di manutenzione e messa in pristino della strada e che tale situazione è ben nota al Comune, stante anche i numerosi articoli che la stampa locale vi ha dedicato e gli impegni presi con la cittadinanza.

Al danno biologico, appurato dai medici che assistano il ferito, si aggiungono i già menzionati danni di ordine morale ed estetico, oltreché esistenziale,  dato il significativo impatto che un simile evento ha sulle capacità relazionali dell’infortunato e sulla percezione che questi può avere di se medesimo. Sul punto la giurisprudenza è fluviale, e considera distintamente le diverse tipologie di danno qui menzionate, conferendo a queste rilievo, autonomia e dignità: con sentenza del 2 giugno 1984, n° 3344, la Corte di Cassazione ha posto in evidenza le differenze tra il danno alla vita di relazione ed il danno morale: "il danno morale, consistente nell'ingiusto perturbamento dello stato d'animo del leso determinato dall'offesa ricevuta, non può identificarsi nel danno alla vita di relazione che, configurandosi nell'impossibilità o anche nella difficoltà, per chi ha subito menomazioni fisiche, di reinserirsi nei rapporti sociali oppure di mantenerli ad un livello normale, sì da annullare o diminuire, secondo i casi, le possibilità di collocamento e sistemazione del danneggiato, integra invece un'ipotesi di danno patrimoniale al pari del danno alla capacità lavorativa, pur differenziandosi da questo, con conseguente separata risarcibilità"

Dipoi, la Cassazione ( Cass., n. 6023 del 2001) ha statuito che: "Il danno alla vita di relazione, che si concretizza nella impossibilità o nella difficoltà, per chi abbia subito menomazioni fisiche, di reintegrarsi nei rapporti sociali e di mantenerli ad un livello normale, è una componente del danno biologico e non di quello patrimoniale".

Per quanto concerne la giurisprudenza di merito, giova riferire di una nota sentenza emessa dal Tribunale di Monza (Trib. Monza, 15.02.1988): "In tema di risarcimento del danno alla salute sussiste un danno alla vita di relazione in caso di diminuzione della capacità di acquisire determinate posizioni sociali ed incidente sia nell'ambito delle relazioni umane sia nell'attività lavorativa".

La giurisprudenza, per lungo tempo, ha continuato a considerare il danno alla vita di relazione come sottospecie del danno patrimoniale e come tale, sempre risarcibile, a patto, comunque, che venga dimostrata l'effettiva perdita economica subita.

Da tale impostazione, deriva un duplice risarcimento al soggetto leso, uno a titolo di danno biologico, ed uno titolo di danno alla vita di relazione .

Si veda la sentenza della Corte di Cassazione del 13.11.1989, n. 5197: "il danno alla vita di relazione costituisce una componente del danno patrimoniale e concreta non una generica menomazione, bensì un nocumento che tocca aspetti specifici della personalità umana, variabili a seconda dell'età, del sesso. Dell'attività esercitata e delle condizioni ambientali in cui la vittima vive ed opera. Conseguentemente, nel procedere alla sua liquidazione, il giudice del merito è tenuto ad indicare le ragioni idonee a suffragare il convincimento raggiunto, specie se detti elementi siano stati oggetto, nel corso del giudizio, di specifiche deduzioni".

Si veda inoltre la sentenza della Corte di Cassazione del 02.06.1984, n. 3344:

"il danno alla vita di relazione integra invece un'ipotesi di danno patrimoniale al pari del danno alla capacità lavorativa, pur differenziandosi da questo, con conseguente separata risarcibilità".

Gli anni novanta registrano, tuttavia, un diverso orientamento da parte del Supremo Collegio, anche in considerazione del giusto rilievo da attribuire al bene "salute" ( art. 32 Cost.) e all'incommensurabilità del valore della persona, a prescindere dalla capacità di produrre reddito o dalle spese sostenute in conseguenza dell'illecito.

Si veda la sentenza n. 2761 del 03.04.1990 della Corte di Cassazione.

Essa così statuisce: "Il c.d. danno alla vita di relazione non costituisce un aspetto del danno alla persona suscettibile di autonoma valutazione rispetto al danno biologico, bensì uno dei fattori di cui il giudice deve tener conto per accertare in concreto la misura di tale danno, che va inteso come menomazione arrecata all'integrità psicofisica della persona in sé per sé considerata, e perciò come menomazione incidente sul valore uomo in tutta la sua dimensione, che non si esaurisce nella sola attitudine a produrre ricchezza, ma si collega alla somma delle funzioni naturali riguardanti il soggetto nel suo ambiente di vita ed aventi rilevanza non solo economica, ma anche biologica, sociale, culturale ed estetica".

Nello stesso senso la sentenza della Corte di Cassazione del 16.04.1996, n. 3565:

"il danno biologico quale lesione del diritto alla salute quale fondamentale diritto alla persona umana, ha un contenuto che può essere solo personale, ovvero anche interpersonale: in quest'ultimo caso, prende il nome di danno alla vita di relazione. Quest'ultimo pertanto coincide necessariamente col danno biologico, mediante una personalizzazione qualitativa o quantitativa dei parametri adottati per la liquidazione".

Si veda ancora la sentenza del 13.09.1996, n. 8260:

"Il cosiddetto danno alla vita di relazione rientra nel danno alla salute e va liquidato solo a tale: è tuttavia consentito al giudice procedere ad una liquidazione distinta rispetto alle altre voci di danno componenti il biologico".

Non meno articolata è l'affermazione ed il recepimento di un altro tipo di danno, strettamente correlato con il precedente, ovvero il danno estetico. Esso è generalmente individuato dalla dottrina come quello riconducibile alle difficoltà che l'individuo incontra nell'intrattenere relazioni sociali a causa dell'aspetto sgradevole conseguente ad una modificazione estetica subita.

Gli studiosi della materia precisano, inoltre, che tale modificazione peggiorativa del complesso estetico individuale, non riguarda solo il volto, ma anche altri organi della persona.

In giurisprudenza, il danno estetico, in un primo tempo, viene identificato con il danno alla vita di relazione, o meglio un particolare tipo di esso: il danno estetico si risolve in un danno alla vita di relazione che pone il soggetto in condizione di inferiorità per quanto attiene ai rapporti con il mondo esterno con impedimento alla libera espansione della sua personalità e con conseguente pregiudizio economico. Si avverte, comunque, tanto in dottrina che in giurisprudenza, il problema della liquidazione del danno sempre legato a quello della classificazione.

Ci si domanda se esso possa essere considerato danno patrimoniale sempre risarcibile, danno morale o anche danno biologico. Le decisioni più numerose sembrano orientarsi verso la tesi del danno patrimoniale.

Si veda la sentenza della Corte di Cassazione n. 2409 del 19.05.1989: "I postumi di carattere estetico, conseguenti ad un fatto lesivo della persona (nella specie alterazione armonica del viso) in quanto incidenti in modo negativo sulla vita di relazione possono essere considerati fonte di danno, il quale non costituisce una forma di danno morale , ma è una componente del danno patrimoniale, giacchè consiste nell'alterazione, in senso peggiorativo, della capacità psicofisica del soggetto, cui si ricollegano conseguenza negative nell'esplicitazione di atti”.

  • 17 luglio 2024
  • Nicolo Dalla_Benetta

Autore: Nicolò Dalla Benetta


Nicolò Dalla Benetta -

-