La normativa sul sovraindebitamento è nata per dare al debitore onesto la possibilità di ripartire, invece di restare prigioniero dei debiti per sempre. Le pronunce del 2024-2025 confermano e rafforzano questo approccio improntato al favor debitoris (principio della seconda opportunità): non si tratta più di punire chi ha accumulato debiti, ma di aiutarlo a ricominciare con regole chiare e procedure accessibili. I giudici – in linea anche con la Direttiva UE 2019/1023 sull’insolvenza – stanno infatti interpretando le norme in modo da facilitare la composizione della crisi debitoria e il “fresh start” del debitore meritevole. Allo stesso tempo, emergono alcuni punti critici dove la tutela dei creditori rimane forte, richiedendo un attento bilanciamento tra le esigenze di chi è in difficoltà e i diritti di chi vanta crediti.
Uno dei temi chiave affrontati di recente è la durata dei piani di rientro dei debiti. La legge prevedeva, in passato, che i crediti privilegiati (ad esempio un mutuo ipotecario) dovessero essere pagati entro 12 mesi dall’omologazione del piano, a meno che il creditore fosse d’accordo su tempi più lunghi. Questo vincolo rigido spesso rendeva insostenibili molti piani del consumatore. Con una importante decisione, la Cassazione ha chiarito che tale limite non è assoluto: si possono prevedere pagamenti dilazionati anche oltre l’anno, purché il creditore sia posto in condizione di esprimersi sulla proposta e la dilazione gli garantisca comunque una soddisfazione non inferiore a quella ottenibile liquidando subito i beni (Cass. civ., Sez. I, ord. n. 4622/2024). In altre parole, i giudici possono approvare piani pluriennali se ciò risulta nel complesso più vantaggioso per i creditori rispetto alle alternative.
Esempio: Pensiamo a un debitore con un mutuo sulla casa: invece di dover vendere subito l’immobile all’asta (con il rischio di ricavare poco) per pagare la banca in un solo anno, oggi è possibile proporre al tribunale un piano che dilazioni il rimborso su più anni. Se la banca ha la possibilità di valutare e votare la proposta, e il rientro graduale è più conveniente del pignoramento immediato, il piano può essere omologato. Questa flessibilità rappresenta un vantaggio concreto sia per il debitore – che riesce a gestire le rate nel tempo – sia per il creditore, che spesso evita perdite eccessive. La Cassazione (ord. n. 4622/2024) ha quindi rimosso un ostacolo procedurale, confermando che l’obiettivo è salvare il debitore solvibile nel lungo periodo, senza sacrificare i diritti del creditore ma adattandoli alla realtà del caso concreto.
Un’altra svolta cruciale riguarda la possibilità di ottenere l’esdebitazione, cioè la cancellazione dei debiti residui al termine della procedura. In passato si discuteva se il debitore dovesse pagare almeno una parte significativa dei crediti per poter beneficiare di questo “colpo di spugna” finale. Le nuove indicazioni vanno in senso opposto: non esiste una soglia fissa di pagamento minimo per accedere all’esdebitazione, purché il debitore abbia agito correttamente. La Corte di Cassazione ha affermato che anche una soddisfazione molto bassa dei creditori non impedisce la liberazione dai debiti, se ciò è frutto della situazione di insolvenza e non di malafede (Cass. civ., Sez. I, sent. n. 27562/2024). Ciò che conta è la condotta del debitore durante la procedura, non la percentuale di credito restituita.
In sostanza, se il debitore collabora con trasparenza e realizza tutto il possibile per i creditori (anche se il risultato economico è modesto), il giudice può ugualmente cancellare i debiti rimanenti. È stata definitivamente superata la vecchia idea che una soddisfazione “irrisoria” dei crediti rendesse obbligatorio negare l’esdebitazione. Questa apertura, in linea con lo spirito del nuovo Codice della Crisi, garantisce una vera seconda opportunità al debitore meritevole: anche chi può rimborsare solo una minima parte delle somme dovute potrà comunque tornare a vivere senza il peso dei debiti pregressi. In prospettiva, ciò favorisce anche la società nel suo complesso, perché consente a persone e famiglie di uscire dalla trappola dell’indebitamento cronico e di tornare economicamente attive.
Le procedure di sovraindebitamento non sono un “liberi tutti”: restano esclusi dai benefici coloro che hanno causato la propria situazione con comportamenti gravemente scorretti. Tuttavia, le recenti riforme e decisioni giudiziarie hanno ristretto il campo di queste esclusioni. Il concetto di meritevolezza del debitore è oggi legato soprattutto all’assenza di colpa grave o dolo. In altre parole, piccoli errori di valutazione o scelte finanziarie imprudenti non bastano più a far dichiarare il debitore “non meritevole”. Bisogna invece che emergano condotte davvero irresponsabili, equivalenti a frode o a negligenza estrema, per negare l’accesso alla procedura.
Ad esempio, il Tribunale di Brindisi (sent. 2 aprile 2025) ha evidenziato che la nuova normativa ha ridimensionato il filtro della meritevolezza: l’esclusione scatta solo se l’eccesso di debiti è dovuto a comportamenti in malafede o a grave imprudenza del debitore, non per semplici leggerezze. Inoltre, è cambiato l’onere della prova: prima era il debitore a dover dimostrare di non aver colpe rilevanti nella genesi dei debiti, ora sono eventualmente i creditori a dover provare che il sovraindebitamento è stato causato da una condotta gravemente colposa. Questa inversione protegge maggiormente il debitore onesto. Si tratta di un chiaro favor debitoris: in caso di dubbio, l’orientamento è di concedere comunque la procedura di ristrutturazione, evitando che errori gestionali non gravissimi precludano la possibilità di risollevarsi. D’altra parte, chi ha abusato del credito in modo fraudolento o gravemente irresponsabile rimane giustamente escluso dai benefici (come confermato, ad esempio, dal Tribunale di Roma nella sentenza del 30 maggio 2025, che ha negato l’omologazione di un piano a un debitore colpevole di condotta imprudente oltre ogni limite ragionevole).
Un aspetto delicato emerso nel 2024 riguarda la tutela della casa di proprietà quando sul bene grava un mutuo ipotecario. Il nuovo Codice della Crisi ha introdotto importanti protezioni per l’abitazione principale (ad esempio la possibilità di mantenerla pagando le rate pendenti durante il piano), ma una recente pronuncia della Cassazione ha evidenziato un punto critico a favore delle banche. Con la sentenza n. 22914/2024 (Sez. I) la Suprema Corte ha stabilito che il cosiddetto privilegio fondiario – previsto dall’art. 41 del Testo Unico Bancario a favore delle banche – si applica anche nella procedura di liquidazione controllata del sovraindebitamento.
In pratica, il creditore fondiario (tipicamente la banca con ipoteca sull’immobile) conserva il diritto di iniziare o proseguire l’esecuzione forzata sulla casa del debitore anche se quest’ultimo ha avviato una procedura di sovraindebitamento. Durante la liquidazione controllata, quindi, la banca può portare avanti il pignoramento immobiliare e la vendita all’asta, senza dover attendere l’esito della procedura concorsuale. Questa interpretazione, fondata su una lettura rigorosa della normativa bancaria, ha destato preoccupazione: rischia di vanificare la protezione della prima casa proprio nei casi in cui il debitore sperava di salvarla tramite il tribunale. Summum ius, summa iniuria, verrebbe da dire: l’applicazione inflessibile di un privilegio processuale (il “massimo diritto” delle banche) può tradursi in una “massima ingiustizia” sostanziale per la famiglia indebitata. Non a caso, molti commentatori auspicano un intervento legislativo correttivo per ristabilire l’equilibrio tra le parti, ad esempio introducendo una sospensione delle aste giudiziarie sugli immobili prima casa quando il debitore accede a una procedura di sovraindebitamento. Al momento, però, questa criticità rimane: chi ha un mutuo fondiario deve sapere che la banca potrebbe comunque procedere con l’esecuzione, e dunque è fondamentale affrontare tempestivamente la situazione con l’aiuto di un legale, valutando le strategie migliori (come trattative dirette con l’istituto di credito) per preservare l’abitazione.
In conclusione, la direzione tracciata dalle ultime sentenze è quella di un sistema più maturo ed equilibrato. Il messaggio per chi è oppresso dai debiti è chiaro: esiste una via d’uscita legale, concreta e sempre più accessibile. Grazie alle novità normative e interpretative degli anni 2024-2025, oggi il debitore in buona fede può contare su piani di ristrutturazione più sostenibili, su criteri di ammissione meno stringenti e sulla possibilità reale di veder cancellati i propri debiti residui e ricominciare da capo. D’altro canto, i creditori conservano garanzie fondamentali – dalla verifica di convenienza dei piani, al diritto di voto, fino a tutele speciali come il privilegio fondiario – a salvaguardia dei loro interessi. Si sta cercando quindi un punto di equilibrio: offrire al debitore meritevole una seconda opportunità senza però ledere in modo irragionevole i diritti dei creditori.
Per le persone e le famiglie schiacciate dai debiti, questo significa poter sperare concretamente in un futuro migliore. Le procedure di sovraindebitamento, se ben utilizzate, permettono di bloccare pignoramenti, ridurre l’importo dovuto e dilazionare i pagamenti, fino ad ottenere l’esdebitazione finale. È un percorso legale impegnativo ma liberatorio, che richiede trasparenza e impegno da parte del debitore, ma che in cambio offre la prospettiva di tornare a vivere senza l’angoscia delle obbligazioni pregresse.
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Avv. Marco Panato, avvocato del Foro di Verona e Dottore di Ricerca in Diritto ed Economia dell’Impresa – Discipline Interne ed Internazionali - Curriculum Diritto Amministrativo (Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Verona).
E' autore di pubblicazioni scientifiche in materia giuridica, in particolare nel ramo del diritto amministrativo. Si occupa anche di docenza ed alta formazione.