Chi segnala condotte illecite sul lavoro oggi gode di una protezione rafforzata. La direttiva europea sul whistleblowing, attuata in Italia nel 2023, impone nullità dei licenziamenti ritorsivi e sanzioni per i datori di lavoro che non istituiscono canali di segnalazione sicuri. Nell’articolo esaminiamo le nuove tutele e gli obblighi per aziende e Pubblica Amministrazione, alla luce delle prime pronunce giudiziarie.
“Quando si dice la verità non bisogna dolersi di averla detta. La verità è sempre illuminante. Ci aiuta ad essere coraggiosi.” Questo celebre pensiero di Aldo Moro richiama l’importanza etica del dire la verità, anche in contesti difficili. Nel mondo del lavoro, avere il coraggio di denunciare irregolarità o reati commessi all’interno di un’azienda o ente pubblico è un atto di grande integrità. Fino a pochi anni fa, tuttavia, il dipendente onesto che segnalava illeciti spesso rimaneva esposto a possibili ritorsioni da parte del datore di lavoro o dei superiori gerarchici. Il whistleblower – termine anglosassone con cui si indica chi “soffia il fischietto” per richiamare l’attenzione su un illecito – rischiava sanzioni disciplinari o addirittura il licenziamento per aver parlato. Oggi, fortunatamente, fiat iustitia, ruat caelum: la giustizia fa il suo corso anche a costo che “cada il cielo”. Una significativa evoluzione normativa, accompagnata dalle prime applicazioni giurisprudenziali, sta infatti rivoluzionando la tutela di chi segnala condotte illecite, rafforzando le garanzie contro le ritorsioni e imponendo nuove responsabilità a carico di enti pubblici e aziende private.
Nel 2023 l’Italia ha recepito la Direttiva UE 2019/1937 emanando il D.Lgs. 24/2023, che ha introdotto una disciplina organica sul whistleblowing applicabile sia al settore pubblico sia a quello privato. Questa nuova normativa ha ampliato la platea dei soggetti tutelati e ha imposto precisi obblighi ai datori di lavoro per favorire l’emersione di comportamenti illeciti. Enti pubblici e aziende private con oltre 50 dipendenti (nonché imprese di dimensioni minori attive in determinati settori sensibili, come servizi finanziari, trasporti, ambiente e sanità) sono ora tenuti a predisporre canali interni per le segnalazioni di illeciti. Tali canali devono garantire la riservatezza dell’identità del segnalante e dei soggetti coinvolti, prevedendo eventualmente anche la possibilità di segnalazioni anonime. Inoltre, le imprese già dotate di un modello organizzativo ai sensi del D.Lgs. 231/2001 (responsabilità amministrativa degli enti) sono obbligate a integrare nel modello procedure efficaci per la gestione delle segnalazioni: un sistema di whistleblowing interno è ormai requisito fondamentale affinché il modello 231 sia considerato idoneo ed efficace.
Lo scopo dichiarato della riforma è duplice: da un lato offrire a chi denuncia illeciti una protezione concreta sul piano lavorativo (tutela del segnalante), dall’altro incentivare le organizzazioni a individuare tempestivamente condotte scorrette al proprio interno prima che sfocino in reati o in danni gravi (“favorire l’emersione dall’interno degli illeciti” come sottolineato anche dalla Cassazione). Per assicurare il conseguimento di questi obiettivi, la legge prevede sanzioni significative in caso di violazione: il datore di lavoro che ostacola o reprime le segnalazioni, o che non adempie all’obbligo di istituire canali e procedure adeguate, può incorrere in sanzioni amministrative pecuniarie fino a 50.000 euro.
Una delle innovazioni chiave introdotte dal D.Lgs. 24/2023 è la presunzione legale di natura ritorsiva per qualsiasi misura sfavorevole subita da un lavoratore in seguito a una sua segnalazione effettuata nelle forme previste. In altre parole, se un dipendente viene licenziato, demansionato o sanzionato poco dopo aver segnalato un illecito, la legge presume che si tratti di una rappresaglia illegittima. Spetta al datore di lavoro provare l’esistenza di ragioni estranee alla segnalazione per giustificare quel provvedimento. Si tratta di un netto ribaltamento dell’onere della prova rispetto al passato, destinato a rendere molto più efficace la tutela del segnalante.
Questo principio ha già trovato concreta applicazione nei tribunali italiani. In un caso recente, il Tribunale di Milano ha affrontato la vicenda di un dipendente licenziato poco dopo aver utilizzato il canale interno di whistleblowing per denunciare irregolarità nella propria azienda. Con la sentenza 6 giugno 2025, n. 1680/2025, il Tribunale di Milano (Sez. Lavoro) ha dichiarato nullo il licenziamento, in quanto ritorsivo e direttamente collegato alla segnalazione del lavoratore. Richiamando l’art. 17 del D.Lgs. 24/2023, il giudice ha applicato la presunzione di ritorsione prevista dalla nuova legge, sottolineando come gli addebiti disciplinari contestati al dipendente fossero generici e pretestuosi, privi di reale gravità. Di conseguenza, è stata disposta la reintegrazione piena del lavoratore nel suo posto di lavoro, con il risarcimento di tutte le retribuzioni perdute. Si tratta della prima pronuncia giurisprudenziale che dà attuazione alla tutela rafforzata introdotta dalla riforma: un precedente importante, che lancia un messaggio chiaro a favore di chi denuncia illeciti sul luogo di lavoro.
Anche la Corte di Cassazione ha contribuito a consolidare questi principi. Con la sentenza n. 17715/2024, depositata il 27 giugno 2024, la Suprema Corte (Sezione Lavoro) ha affermato che il “dipendente virtuoso” non può essere sanzionato, licenziato o discriminato per motivi collegati alla segnalazione effettuata, purché questa riguardi effettive condotte illecite, anche se non costituenti reato. In altri termini, chi segnala in buona fede un comportamento scorretto o illegale deve essere protetto a tutti gli effetti: ogni provvedimento punitivo adottato in conseguenza della denuncia è illegittimo e come tale suscettibile di annullamento. Questa posizione della Cassazione, in linea con la nuova normativa, rafforza ulteriormente l’efficacia deterrente delle norme anti-ritorsione.
La protezione offerta al whistleblower non è però senza condizioni. Proprio la giurisprudenza ha chiarito i confini entro cui opera la tutela, ribadendo che non ogni lamentela del dipendente rientra nell’alveo del whistleblowing. In particolare, non sono coperte dalle speciali garanzie le segnalazioni fatte per scopi essenzialmente personali, oppure le denunce che in realtà mascherano semplici rivendicazioni di natura lavorativa (come contrasti con superiori o richieste retributive). La Corte di Cassazione lo ha sottolineato di recente, confermando un principio di fondo: il divieto di discriminare o licenziare il segnalante non si applica se la “segnalazione” è motivata da ragioni estranee all’interesse pubblico o alla legalità, riducendosi a un pretesto per colpire colleghi o datori di lavoro in beghe private. Ad esempio, un dipendente che denunci un superiore per questioni inerenti esclusivamente i propri turni di lavoro o avanzamenti di carriera, senza che vi sia un illecito da far emergere, non potrà invocare la tutela del whistleblowing.
Un caso concreto illuminante in tal senso è quello deciso dalla Cassazione nella sentenza 27 gennaio 2025, n. 1880/2025 (Sezione Lavoro). La vicenda riguardava un funzionario pubblico sospeso dal servizio dopo aver presentato alcuni esposti contro i propri dirigenti, accusandoli di presunte irregolarità poi non riscontrate. I giudici di merito – e la Cassazione ha concordato – hanno escluso l’applicazione delle tutele anti-ritorsione, evidenziando come il dipendente avesse agito principalmente per finalità di rivalsa personale verso i superiori, a seguito di pregressi contrasti lavorativi. In sostanza, la segnalazione era scaturita da un conflitto individuale più che dalla volontà di far emergere un illecito nell’interesse generale. Di conseguenza, il provvedimento disciplinare (la sospensione dal servizio) è stato ritenuto legittimo e non annullato, poiché ritenuto fuori dall’ambito di applicazione della normativa sul whistleblowing.
Questo limite costituisce un importante monito contro possibili abusi: l’istituto del whistleblowing va utilizzato correttamente, per denunciare fatti oggettivamente illeciti o irregolari rilevanti, e non strumentalizzato per risolvere vicende personali. Solo il segnalante in buona fede, animato da senso di giustizia e non da interesse privato, merita lo status di tutela speciale che la legge riconosce.
Le novità normative e le prime sentenze in materia di whistleblowing indicano chiaramente che è in atto un cambiamento culturale nel mondo del lavoro, sia pubblico che privato. Denunciare un illecito non è più un gesto “folle” destinato a lasciare il lavoratore solo e indifeso: al contrario, l’ordinamento oggi protegge attivamente chi ha il coraggio di parlare. D’altro canto, alle aziende e alle pubbliche amministrazioni è richiesto un salto di qualità nell’affrontare internamente i problemi di legalità: implementare seri canali di segnalazione, promuovere un ambiente dove la trasparenza è valorizzata e le ritorsioni sono bandite, non è solo un obbligo di legge ma un investimento in un clima lavorativo più etico e sereno.
Per i datori di lavoro, adeguarsi alla normativa sul whistleblowing significa anche evitare gravi conseguenze: un licenziamento ritorsivo oggi sarà annullato in tribunale con obbligo di reintegra del dipendente e risarcimento, con evidenti danni economici e reputazionali per l’azienda; la mancata predisposizione di sistemi di segnalazione espone a pesanti sanzioni pecuniarie; infine, un’azienda che tollera o insabbia gli illeciti rischia di vedere aggravata la propria posizione in caso di verifiche ispettive o procedimenti penali, anche ai fini della responsabilità “231”. Al contrario, adottare misure conformi alla legge può costituire un esimente o attenuante in sede di giudizio.
In definitiva, il messaggio che emerge dalle nuove regole è semplice: onestà e trasparenza pagano, mentre la ritorsione contro chi denuncia è non solo ingiusta ma anche controproducente. I lavoratori possono sentirsi più al sicuro nel fare la cosa giusta, e le imprese lungimiranti comprendono che un sistema efficace di whistleblowing è uno strumento di buona governance, utile a prevenire guai ben peggiori. “Se libertà significa qualcosa, significa il diritto di dire alla gente ciò che non vuole sentire”, scriveva George Orwell. In un contesto lavorativo, ciò si traduce proprio nel dare voce anche alle verità scomode: quando chi è dalla parte della ragione non resta in silenzio, il cambiamento diventa possibile. Oggi l’ordinamento giuridico offre gli strumenti perché ciò avvenga, tutelando i coraggiosi e chiamando alle loro responsabilità gli autori di illeciti.
Se hai subito conseguenze sul lavoro dopo aver denunciato condotte illegali, o se la tua azienda ha bisogno di adeguarsi alle norme sul whistleblowing, affidati allo Studio Legale MP.
Redazione - Staff Studio Legale MP