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Malasanità odontoiatrica: danni parodontali e da impianti dentali - Studio Legale MP - Verona

Come errori del dentista in parodontologia e implantologia possono causare gravi danni e quali sono le responsabilità legali e i risarcimenti dovuti al paziente

Un sorriso sano è il risultato di cure odontoiatriche attente e competenti. Purtroppo, non tutti i dentisti sono uguali nella loro professionalità e abilità, e quando qualcosa va storto il paziente può subire conseguenze pesanti. Come osservò ironicamente Giulio Andreotti, “Siamo tutti eguali dinanzi al dentista, ma non tutti i dentisti sono uguali tra loro.” Questa amarezza riflette una realtà: errori nella diagnosi e nei trattamenti dentistici possono provocare danni seri – dalla perdita di denti e di tessuto osseo fino a lesioni nervose permanenti – aprendo la strada a richieste di risarcimento e a complesse cause legali.

Nel diritto sanitario, la responsabilità dell’odontoiatra (cioè del dentista) rientra nell’alveo della responsabilità medica professionale. In caso di malasanità odontoiatrica, due scenari oggi particolarmente dibattuti riguardano: 1) la parodontite trascurata o mal curata, che porta a un peggioramento evitabile della salute orale del paziente; 2) gli errori nell’implantologia dentale, con impianti mal posizionati o gestiti che falliscono e causano ulteriori patologie. Vediamo in dettaglio questi due ambiti, le ultime novità giurisprudenziali in materia e cosa può fare il paziente per ottenere giustizia.

 

Parodontite trascurata: doveri del dentista e danni al paziente

La parodontite – un’infiammazione cronica delle gengive e dei tessuti di supporto del dente – è una patologia insidiosa che, se non trattata adeguatamente, conduce alla perdita progressiva dell’osso alveolare e infine dei denti. Il dentista ha il dovere di diagnosticarla precocemente e di curarla secondo le regole dell’arte (leges artis), evitando negligenze o sottovalutazioni. Omessa diagnosi o cure parodontali approssimative possono configurare un grave inadempimento contrattuale (ex art. 1218 c.c.), dato che il rapporto paziente-odontoiatra in ambito privato è tipicamente di natura contrattuale. In parole semplici, il dentista promette una prestazione professionale diligente: se non la esegue correttamente, risponde dei danni causati.

Gli errori in parodontologia possono assumere varie forme. Ad esempio, il dentista potrebbe:

non accorgersi di una parodontite in fase iniziale, ritardando la diagnosi finché il danno ai tessuti non è avanzato;

eseguire una terapia causale (pulizia profonda delle tasche parodontali) in modo incompleto o scorretto, lasciando placca e tartaro che alimentano l’infezione;

non istruire il paziente sull’igiene orale domiciliare necessaria a controllare la malattia (uso corretto di spazzolino, filo interdentale, scovolini e collutori);

intraprendere interventi chirurgici parodontali invasivi senza indicazione o prima di avere stabilizzato l’infiammazione con terapie conservative, finendo per peggiorare la situazione;

prescrivere antibiotici in modo inappropriato (troppo tardi, oppure inutilmente e senza copertura mirata), vanificando l’efficacia della terapia e favorendo recidive;

trascurare il follow-up periodico: dopo il trattamento attivo, il paziente parodontale va rivisto ogni 3-4 mesi per mantenimento; se il dentista lo lascia senza controlli per un anno, eventuali recidive possono progredire indisturbate fino a causare perdite irreversibili.

Tutti questi comportamenti possono configurare colpa professionale. Se una parodontite trascurata peggiora oltre il dovuto, causando al paziente la perdita di elementi dentari o la necessità di cure molto più invasive, il dentista ne può essere ritenuto responsabile. In sostanza “primum non nocere” – prima di tutto, non fare del male: questo principio medico si traduce giuridicamente nel dovere di non aggravare (per negligenza o imperizia) la salute del paziente.

La giurisprudenza recente evidenzia come i pazienti abbiano diritto al risarcimento in tali casi. Ad esempio, il Tribunale di Pavia (Sez. III Civile), con sentenza n. 706/2025, ha affrontato la vicenda di una paziente cui erano state fornite cure odontoiatriche inadeguate per anni, tra cui trattamenti parodontali e implantari poi risultati inutili o dannosi. Il Tribunale ha dichiarato risolto il contratto per grave inadempimento del dentista e lo ha condannato a restituire le somme pagate dalla paziente per le cure (diverse migliaia di euro) nonché a risarcire tutti i danni conseguenti – inclusi i costi per sottoporsi a nuove terapie correttive presso altro specialista, il danno biologico per la perdita di alcuni denti e il danno morale per le sofferenze patite – per un importo complessivo superiore a 60.000 euro. In casi del genere, il giudice può disporre una consulenza tecnica (CTU) per accertare se vi sia stato errore sanitario e quantificare l’entità dei postumi e delle spese future necessarie: tale perizia spesso è decisiva per dimostrare il nesso tra la negligenza nelle cure parodontali e il danno finale.

Va sottolineato che l’onere della prova nelle cause di responsabilità medica odontoiatrica segue il regime “contrattuale”: il paziente deve provare di aver subito un danno e indicare in cosa il trattamento è stato scorrettamente eseguito; tocca poi al dentista dimostrare di aver fatto tutto secondo le regole dell’arte. Questa ripartizione, affermata dalla Cassazione (v. ad es. Cass. civ., Sez. III, ord. n. 4764/2024), tutela il paziente da un’eccessiva difficoltà probatoria: se ho perso un dente per un’infezione non curata, non devo individuare io l’errore preciso del dentista, ma è il professionista che deve provare di non aver colpa. In mancanza di tale dimostrazione, la responsabilità viene presunta.

 

Errori nell’implantologia dentale: responsabilità e casi recenti

L’implantologia dentale è un settore delicato dove precisione e pianificazione sono fondamentali. Inserire un impianto dentale (una vite in titanio che sostituisce la radice di un dente mancante) è un atto chirurgico vero e proprio: richiede un’attenta valutazione pre-operatoria (esami radiografici come TAC 3D, pianificazione digitale dell’inserzione nell’osso, eventuali interventi preliminari di rigenerazione ossea) e una mano esperta. Un errore in questa fase può causare danni gravi: perforazione di strutture anatomiche adiacenti (seni paranasali, nervi mandibolari), infezioni profonde come la peri-implantite (infezione attorno all’impianto che porta alla perdita dell’osso di supporto), oppure un fallimento biomeccanico con mobilizzazione e perdita dell’impianto. In tutti questi casi il paziente, oltre al danno biologico, affronta nuove cure correttive, disagi e costi aggiuntivi – tutti elementi risarcibili in sede civile.

Le ultime sentenze confermano che il dentista risponde per colpa anche in ambito implantologico. Una vicenda emblematica è stata decisa con Cass. civ., Sez. III, sent. n. 27099/2023: una paziente aveva subito gravi danni da cure implantologiche errate. In quel caso, erano emersi due gravi errori del dentista: (1) non aver effettuato un necessario intervento preliminare di chirurgia ossea (un rialzo del seno mascellare) prima di inserire gli impianti nell’arcata superiore, dove l’osso era insufficiente; (2) aver poi applicato delle protesi incongrue sugli impianti, che non combaciavano correttamente. Il risultato per la paziente fu disastroso: infezioni, dolore e la necessità di ulteriori interventi per sistemare la bocca. La Cassazione ha confermato la condanna del dentista, ritenendo la sua condotta “non conforme alle metodiche scientifiche”. In concreto, il professionista è stato condannato a pagare circa €25.000 tra costi di nuovi interventi chirurgici e indennizzi per l’invalidità temporanea causata alla paziente.

Un altro caso indicativo ha riguardato un centro odontoiatrico in cui più operatori erano coinvolti. Il Tribunale di Venezia, con sentenza n. 1127/2024, ha stabilito che tutti i sanitari coinvolti in un trattamento implantologico risultato dannoso rispondono in solido verso il paziente. In pratica, sia il dentista implantologo che il collega protesista della stessa clinica (che aveva realizzato la corona sull’impianto) sono stati ritenuti entrambi responsabili dei danni, dovendo risarcire congiuntamente la paziente. Questa responsabilità solidale tutela la vittima, che può agire per l’intero risarcimento nei confronti di entrambi i professionisti (i quali poi eventualmente si ripartiranno le colpe in sede di rivalsa interna). Il messaggio è chiaro: in una equipe odontoiatrica, ciascuno è tenuto a vigilare sul corretto esito complessivo del trattamento, altrimenti errare è umano, ma perseverare è diabolico – e giuridicamente fonte di condanna.

Gli errori in implantologia spesso sono dovuti a imperizia (scarsa competenza tecnica) o negligenza (superficialità). Può accadere, ad esempio, che il dentista:

ometta di eseguire una TAC 3D pre-operatoria e inserisca l’impianto “alla cieca”, magari troppo vicino a un nervo o sporgendo nel seno mascellare;

utilizzi un impianto di lunghezza o diametro errati rispetto all’osso disponibile, provocando una perforazione o una stabilità insufficiente;

posizioni male l’impianto (inclinato, troppo superficiale o troppo profondo): questo può portare a un carico masticatorio scorretto e all’insuccesso della protesi, nonché a un riassorbimento osseo per la violazione delle “distanze biologiche” con i denti vicini;

trascuri di riconoscere segnali di infezione post-operatoria (gonfiore, dolore, suppurazione) e non intervenga tempestivamente con antibiotici o drenaggio, permettendo lo sviluppo di una peri-implantite grave;

non informi adeguatamente il paziente sulle cure di igiene necessarie dopo l’inserimento degli impianti: scarsa igiene = maggiore rischio di infezione e fallimento, e se il paziente non è stato istruito è il medico a esserne responsabile.

Anche sul fronte implantologico, i giudici hanno mostrato rigorosità verso i professionisti negligenti. Vi sono casi in cui il risarcimento riconosciuto ha superato abbondantemente i 100.000 euro (comprendendo interventi futuri di riabilitazione, danni biologici ed esistenziali). In un episodio notevole, il Tribunale di Monza (2023) ha condannato un dentista non solo a risarcire oltre 100 mila euro a una paziente per impianti sbagliati, ma anche al pagamento di una sanzione ex art. 96 c.p.c. per lite temeraria, avendo egli ostinatamente negato le proprie responsabilità durante il processo. Segnali forti, che ribadiscono un concetto: il dentista che sbaglia paga.

 

Danno risarcibile e diritti del paziente

Dal punto di vista del risarcimento, quali voci di danno può reclamare il paziente leso da un trattamento dentistico mal eseguito? In genere:

Danno biologico: il pregiudizio alla salute in senso stretto. Ad esempio l’aver perso uno o più denti, l’aver subito un’infezione, una lesione nervosa con conseguente perdita di sensibilità, ecc. Questo danno viene valutato in punti percentuali d’invalidità permanente e temporanea (anche un danno “locale” come la mancanza di un dente ha un impatto sulla qualità della vita e viene monetizzato secondo tabelle medico-legali).

Danno morale ed esistenziale: la sofferenza interiore, lo stress, il dolore patito, nonché le ripercussioni sulla vita quotidiana. Pensiamo all’impatto psicologico di dover affrontare continue cure, alla vergogna estetica per un sorriso rovinato, o alla difficoltà nelle relazioni e nel mangiare. Tutti aspetti che possono essere oggetto di risarcimento in via equitativa.

Danno patrimoniale: include il danno emergente, cioè le spese sostenute inutilmente (ad esempio quanto pagato per cure rivelatesi inutili o dannose, esami, viaggi, giorni di lavoro persi) e le spese future che si dovranno sostenere per rimediare al danno (costi di nuovi interventi, impianti sostitutivi, protesi, terapie riabilitative). In più c’è il lucro cessante, se ad esempio il problema ai denti ha impedito di lavorare per un periodo significativo o ha diminuito la capacità lavorativa (caso meno frequente, ma possibile in situazioni gravi).

Danno estetico: viene solitamente considerato parte del danno biologico, ma merita menzione separata quando il danno ai denti altera visibilmente l’estetica del volto e del sorriso. La perdita degli incisivi, ad esempio, comporta un indubbio pregiudizio all’immagine personale che il giudice può valorizzare specificamente.

Danno da mancato consenso informato: attenzione, perché anche volenti non fit iniuria – “a chi consente non viene fatto torto” – vale solo se il consenso del paziente è consapevole. La legge (art. 1 L. 219/2017) e la giurisprudenza impongono all’odontoiatra di informare il paziente, prima di ogni trattamento, su diagnosi, alternative, rischi prevedibili e costi. Se questo non avviene, si configura una lesione del diritto all’autodeterminazione del paziente. In concreto, il paziente può chiedere un risarcimento anche solo perché non è stato messo in condizione di scegliere con cognizione di causa se sottoporsi o meno a quella cura, a prescindere dal fatto che l’intervento sia riuscito o meno. Il danno da consenso informato violato è ormai riconosciuto in giurisprudenza come autonoma voce risarcitoria.

 

Profili penali e ultime tendenze

La responsabilità del dentista si gioca principalmente sul piano civile (risarcimento danni), ma in casi estremi può sconfinare nel penale. L’odontoiatra che provoca lesioni gravi a un paziente per imperizia o negligenza può essere imputato del reato di lesioni colpose (art. 590 c.p.). Ad esempio, il caso di un nervo lesionato durante un’estrazione complessa può portare non solo alla causa civile, ma anche a un procedimento penale d’ufficio. La legge Gelli-Bianco del 2017 ha introdotto l’art. 590-sexies c.p., che esclude la punibilità penale del medico per imperizia lieve quando sono state rispettate le linee guida appropriate al caso concreto. Tuttavia, questa “protezione” non copre i casi di negligenza grave o imperizia grave. In odontoiatria, se un dentista viola macroscopicamente le buone pratiche – ad esempio operando senza gli esami diagnostici indispensabili o ignorando precauzioni basilari – difficilmente potrà invocare l’esimente dell’operare secondo linee guida, perché il suo errore sta proprio nell’averle ignorate.

Emblematica è Cass. pen., Sez. IV, sent. n. 22474/2025: la Suprema Corte ha confermato la responsabilità penale di un dentista per gravi lesioni colpose causate a una paziente durante l’estrazione di un dente del giudizio. In quel caso, l’odontoiatra aveva omesso di eseguire una TAC di approfondimento nonostante il dente fosse in posizione rischiosa vicino al nervo mandibolare; procedendo “alla cieca”, aveva asportato una quantità eccessiva di osso mandibolare e finito per recidere il nervo alveolare inferiore, provocando alla paziente una parestesia permanente (perdita di sensibilità) alla lingua e al labbro. La Corte d’Appello aveva dichiarato il reato estinto per sopraggiunta prescrizione, ma ciò non ha eliminato il dovere di risarcire il danno in sede civile: al contrario, il dentista è stato condannato a pagare €15.000 alla paziente quale ristoro per il danno biologico e morale subito. Questa sentenza lancia un chiaro monito: sul piano penale, anche se la condanna può talvolta essere evitata per questioni procedurali (come la prescrizione), la responsabilità civile segue comunque il suo corso e il sanitario dovrà risarcire le vittime dei suoi errori.

 

Come tutelarsi: conclusioni e consigli

Di fronte a questi scenari, il paziente danneggiato da un trattamento dentistico errato deve sapere che ha dei diritti e che esistono strumenti per farli valere. Innanzitutto, è importante raccogliere tutta la documentazione sanitaria relativa alle cure ricevute: cartella clinica o scheda odontoiatrica, preventivi e fatture, radiografie pre e post, eventuali fotografie, referti di altri dentisti consultati successivamente per rimediare al danno. Queste prove saranno preziose per dimostrare cosa è stato fatto e con quali esiti. In secondo luogo, è consigliabile richiedere una consulenza medico-legale odontoiatrica: un esperto potrà valutare se vi sono stati errori rispetto alle linee guida odontoiatriche e quantificare i danni biologici subiti. Questo parere sarà la base per un’eventuale richiesta risarcitoria.

Dal canto suo, il dentista diligente dovrebbe sempre mettere il paziente al centro: informarlo compiutamente, ottenere un consenso informato scritto e soprattutto operare con prudenza. Ad esempio, se un paziente presenta una grave parodontite, non proporre subito impianti costosi senza prima aver curato l’infezione (come purtroppo talvolta accade in certi centri low-cost poco etici); oppure, se un caso appare oltre le proprie competenze, riferirlo a uno specialista. L’umiltà professionale è una virtù che può prevenire molti contenziosi.

In definitiva, la legge italiana offre piena tutela al paziente vittima di malasanità odontoiatrica. In iure prevalet aequitas – in diritto prevale l’equità: nei tribunali questo si traduce in risposte chiare e ferme. Chi ha subito un torto dal dentista può e deve essere risarcito. Gli errori del medico non devono mai ricadere sul paziente: se il dentista sbaglia, sarà chiamato a rispondere delle sue azioni in ogni sede opportuna.

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  • 16 ottobre 2025
  • Redazione

Autore: Redazione - Staff Studio Legale MP


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