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Impatto delle Recensioni Online sulla Reputazione Aziendale: Strategie Legali e Responsabilità dei Provider e dei motori di ricerca (es. Google) - Studio Legale MP - Verona

Scopri come le recensioni digitali possono influenzare l'onorabilità delle imprese e quali sono le tutele legali disponibili per contrastare le informazioni diffamatorie

 

In un'era dominata dalla digitalizzazione, le recensioni online sono diventate uno degli strumenti più potenti per modellare la reputazione delle imprese. Questo articolo esplora le dinamiche legali e le responsabilità associate alle recensioni su piattaforme come Google, offrendo una guida essenziale per imprenditori e professionisti.

Ai giorni nostri il culto dell’immagine e l’ossessione per l’opinione altrui si stagliano sul paesaggio intellettuale con l’imponenza di nuove categorie concettuali, mentre l’autopromozione narcisistica, specialmente via social, occupa buona parte delle giornate di molti, modellandone pervasivamente la forma[m, acc.] mentis. In questo contesto le più sofisticate strategie di marketing  possono, in termini di efficacia, essere assimilate a operazioni semplicissime, come la pubblicazione di recensioni su piattaforme deputate alla registrazione di giudizi e pareri rilasciati da linguacciuti avventori senza volto, e ciò in virtù della loro capacità di diffondersi condizionando il gusto e l’immaginativa generali.

Il meccanismo di raccolta e divulgazione delle recensioni ha assunto oggidì dimensioni sesquipedali, prestandosi talora ad usi distorti, abusi e deviazioni rispetto al suo normale impiego. Sicché non è raro che qualche esercizio commerciale o certe imprese vedano violati i loro diritti alla reputazione, all’onorabilità, talora alla riservatezza e finanche all’identità personale (posizioni giuridiche tutte tutelate dall’art. 2 della Costituzione e, anche se solo in parte, dal Codice Civile) in ragione di temerarie recensioni postate da qualche utente tanto garrulo e  loquace quanto menzognero e malevolo. Il che non stupisce dato che il sistema de quo si pone come massimamente partecipativo ed esasperatamente inclusivo, dando voce a chiunque si senta prudere i polpastrelli e voglia trovare sfogo in un post al vetriolo. E questa immanente democraticità è croce e delizia di qualsiasi realtà virtuale, e già riecheggiano tra gli spazi bianchi di codesto scritto le parole del celeberrimo intellettuale Umberto Eco:  “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli”. Nel corso del tempo Google è assurto a punto di riferimento fondamentale per gli utenti, rappresentando, proprio grazie al meccanismo di raccolta e pubblicazione di recensioni, un fattore rilevantissimo e assai influente in punto di definizione delle scelte di consumo.

In particolare, le valutazioni lasciate su Google dagli utenti campeggiano accanto alle informazioni generiche dell’attività rinvenibili sul web, mandando un immediato segnale di affidabilità e credibilità dell’impresa e/o del professionista, incoraggiando o scoraggiando nuovi potenziali clienti a cliccare sul sito dell’attività e/o a prendere contatti con la stessa. Da un punto di vista sociale, anche ai fini del corretto andamento del mercato e dell’esatto funzionamento dei meccanismi di fondo di un sistema economico fondato sulla libera concorrenza e l’iniziativa privata, non si può non rilevare che il principale interesse da tutelare e preservare massimamente sia quello alla veridicità di quanto dichiarato. Invero, le potenzialità offerte dalla raccolta e dalla pubblicazione di recensioni rimangono inespresse e latenti se si addebitano pregi e limiti inesistenti a una determinata attività.

 

Da un punto di vista strettamente normativo, a rilevare sono gli artt. 21 Cost. e 595 c.p.

L’articolo 21, comma 1, della legge Fondamentale prevede che “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. La previsione, volutamente ampia, riflette la volontà dell’Assemblea Costituente di tutelare in massimo grado la libertà oggetto della disposizione, proteggendo col guscio costituzionale i più diversi “mezzi di diffusione” delle opinioni personali. Non si insisterà in questa sede sulle note ragioni di ordine storico e ideologico che hanno portato i Padri Costituenti a scrivere questo articolo con grande sollecitudine e premura, per quanto sia evidente l’importanza che tale disposizione assuma in un ordinamento democratico e liberale. Tuttavia, già gli eletti all’Assemblea Costituente, temprati dalla censura fascista e da tutti i limiti che la libertà di espressione aveva incontrato nel Ventennio, non esitarono a riconoscere la necessità di un argine alla manifestazione del pensiero per tutelare e preservare beni giuridici di rilevante e primario interesse, quali il “buon costume”, espressamente menzionato nell’ultimo comma dell’articolo. Inoltre detto articolo considera direttamente mezzi e istituti con i quali comprimere concretamente la libertà di espressione, come il sequestro - cui ricorrere evidentemente in presenza di certuni stringenti presupposti puntualmente individuati dalla legge. Quindi lo stesso articolo che garantisce e tutela la libertà di espressione, contestualmente, pone a questa dei limiti, confermando l’idea che si tratti di un diritto razionalizzabile a fronte e a tutela di altri valori primari.

A conferma di ciò si riporta uno stralcio della “Relazione del Presidente della Commissione per la Costituzione Meuccio Ruini che accompagna il Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (1947)”: Alla libertà di coscienza e di fede religiosa si assicura la più ampia sfera di manifestazione. Ciascuno è libero di esprimere il proprio pensiero con la stampa e con ogni mezzo di diffusione. Vietato il regime di censura e di autorizzazione, si è ammesso il sequestro, anche qui col doppio presidio di una precisa designazione da parte della legge di reati o violazioni di norme, e l’intervento dell’autorità giudiziaria”.

E proprio su questo presupposto si imperniano le diverse disposizioni che nel nostro ordinamento sottendono o comportano una compressione della libertà in esame. Diverse sono le ipotesi di rideterminazione e ricalibramento della libertà di parola e di manifestazione del pensiero, tra cui quelle su segreto di stato, segreto giudiziario, apologia di reato e riservatezza e onorabilità della persona. Invero i diversi articoli della Costituzione, laddove cozzino tra loro e tutelino beni differenti, debbono bilanciarsi tra loro, a seconda dell’interesse e del bene giuridico prevalente nella singola fattispecie.

Dello stesso tenore è la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, che così prevede “la libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni, uno dei diritti più preziosi dell’Uomo;ogni cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente, salvo a rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla legge”. Nel caso in cui la libera manifestazione del pensiero si sostanzi indebitamente in un vulnus all’immagine e alla dignità della persona, ad assumere pregnanza è senz’altro il raffronto tra la libertà di espressione e il proprio diritto all’immagine e alla reputazione, tutelato dall’articolo 2 della Costituzione con gli altri diritti fondamentali dell’uomo. L’articolo 2 menziona direttamente il novero di diritti che è necessario garantire alla persona affinché questa si realizzi personalmente anche in contesti corali che esigono il riconoscimento e la rispettabilità da parte della società.

Non si può inoltre ignorare come a rilevare nel singolo caso di specie, che vede destinatario della recensione negativa uno Studio commerciale, sia pure la libertà di impresa, salvaguardata e tutelata dalla costituzione all’art. 41.

Invero, gli sforzi organizzativi e il rischio che ogni imprenditore assume per l’avvio e la gestione della propria attività, risultano ulteriormente aggravati da giudizi falsi e valutazioni tendenziose, che sono un vero e proprio sfregio all’esercizio di una libertà tutelata dalla Costituzione.

A subire un pregiudizio è inoltre l’intero traffico del consumo, dacché nel corso del tempo, come già anticipato, Google si è affermato quale punto di riferimento fondamentale per gli utenti incidendo direttamente sulle scelte di consumo.

 

FORMA DI TUTELA E RESPONSABILITA’ DI GOOGLE

Le imprese devono essere consapevoli delle opportunità e dei rischi associati alle recensioni online. Una recensione negativa può danneggiare seriamente la reputazione aziendale, ma esistono strumenti legali efficaci per gestire e contrattaccare le recensioni diffamatorie. Scopri come proteggere legalmente la tua impresa dalle false recensioni e migliorare la tua presenza digitale

A salvaguardia delle ragioni dell’offeso è prevista, come prima forma di tutela, la facoltà di segnalare a Google il commento lesivo, affinché questo venga espunto laddove giudicato inappropriato dallo stesso motore di ricerca sulla scorta delle regole interne che lo stesso  motore di ricerca si è dato.

Laddove la segnalazione non dovesse sortire alcun effetto – nel caso in cui, cioè, Google non si determinasse alla rimozione del commento lesivo - con apposito ricorso l’interessato può chiedere la cancellazione di una recensione che sia causa di disinformazione in quanto latrice, per avvalerci del lessico dello stesso motore di ricerca, di “Informazioni false, imprecise o ingannevoli che possono causare danni significativi a individui, attività e società”, o che offrono una rappresentazione distorta della realtà per via di “Considerazioni false o fuorvianti relative alla descrizione o alla qualità di un bene o servizio” e che, dati gli intrecci, i rapporti pregressi e attuali tra destinatario del commento e suo autore, riflettono “Contenuti basati su un conflitto di interessi” o che sono vergati a scopo di deturpazione a causa di cattiveria in virtù dei “contenuti che mirano a distruggere o danneggiare la presenza digitale di una funzionalità. È inclusa la modifica di informazioni su un luogo per renderlo inappropriato o abbassarne la qualità, come uno scherzo o per esprimere le tue opinioni sociali o politiche”.

Quelle appena menzionate sono solo alcune delle fattispecie esplicitamente considerate da Google, che, attento all’igiene dei servizi che eroga, vuole reprimere ogni abuso delle prerogative accordate agli utenti del web.

A questo punto del guado giova rammenta, a riprova della grande importanza assunta dal fenomeno delle recensioni mendaci, che il legislatore è di recente intervenuto, con il Decreto legislativo n. 26 del 7 marzo 2023, a dare attuazione alla direttiva europea 2161/2019, in cui si stabilisce che gli e-commerce, ma, per analogia, tutti i siti o piattaforme atte a ricevere e pubblicare recensioni, per quanto non obbligati a rilasciare recensioni, ove vi provvedano, debbano indicare se e come garantiscono che tali recensioni provengano da consumatori che hanno effettivamente acquistato o utilizzato il prodotto. Questo a salvaguardia della veridicità e della fondatezza dei commenti pubblicati.

In caso contrario, i siti devono comunicare chiaramente ai loro clienti che le recensioni pubblicate non sono verificate. Inoltre, la Direttiva Omnibus appronta un apparato di sanzioni per stigmatizzare recensioni false, considerate pratica commerciale scorretta laddove siano orchestrate criminose iniziative di deviazione del regolare meccanismo di raccolta e pubblicazione di recensioni. È inoltre vietato inviare o incaricare altri di inviare recensioni false o fornire informazioni ingannevoli riguardanti le recensioni al fine di promuovere prodotti. Le sanzioni per queste pratiche scorrette possono essere severe.

E Google può essere investito da qualche pretesa risarcitoria o incorrere in responsabilità laddove non rimuova un commento lesivo opportunamente segnalato e fatto oggetto di ricorso? In punto di responsabilità, Google, in qualità di provider, può essere chiamato a rispondere laddove, con un contegno omissivo, non provveda tempestivamente alla rimozione di commenti che violino non solo le regole della community, ma pure le tradizionali norme previste dall’ordinamento in materia di tutela dell’immagine, della riservatezza, del decoro, della reputazione. Giova richiamare, a tal riguardo, quei precedenti giurisprudenziali che, applicando le norme in materia di responsabilità dell’host-provide, sono addivenute a una sua puntuale sanzione. A tal uopo giova riportare la sentenza della Corte di Giustizia UE (C-610/15 del 14 giugno 2017), con cui pronunciandosi proprio su una vicenda inerente alla diffusione di contenuti illeciti in violazione del diritto d’autore online, ha elaborato il principale principio per cui “I provider, a dire della Corte, non svolgono soltanto una funzione di intermediazione, ma spesso svolgono un’attività di gestione ed amministrazione della piattaforma, ed ulteriori attività, non meramente automatiche e passive, come per esempio l’indicizzazione ed il filtraggio dei contenuti”. Di qui, ecco la base di fatto ma pure di diritto su cui radicare fondate pretese risarcitorie. Sul punto si è pronunciata pure la giurisprudenza di merito nazionale. Il Tribunale di Venezia, con l’ordinanza del 24 febbraio 2015, a seguito di ricorso cautelare d’urgenza ex art. 700 c.p.c. finalizzato alla rimozione di una recensione diffamatoria, ha statuito che “non operando TripAdvisor quale mero intermediario di dati ed informazioni bensì esso agendo quale erogatore di un servizio integrato e, in particolare, quale soggetto che, anche per il tramite delle informazioni offerte dai recensori e di rielaborazione delle stesse offre consigli affidabili di veri viaggiatori e una vasta gamma di opzioni di viaggio e funzioni di pianificazione (…) sul convenuto TripAdvisor sussista, in ragione di quanto stabilito in via generale dall’art. 2043 c.c., l’obbligo, prim’ancora di risarcire il danno, di prevenirlo e, quantomeno, di vagliare le recensioni postate dagli utenti ed escludere quelle apertamente diffamatorie (che fanno uso di forme oggettivamente incivili) ovvero quelle che non appaiono essere state postate da “veri viaggiatori”.

Il Tribunale di Venezia ha configurato TripAdvisor come host provider attivo, per il quale non opera l’art. 17 del d.lgs. 70/2003, che esonera il provider da un obbligo generale di sorveglianza sui contenuti immessi sul portale; non è un intermediario, ma un vero e proprio erogatore di un servizio che offre consigli affidabili ed opzioni di viaggio, e che come tale risponde nel caso in cui venga accertata la falsità della recensione. Date le affinità tra i servizi tripAdvisor e i servizi Google, pure alle piattaforme di quest’ultimo è estensibile quanto statuito con la sentenza di cui sopra. Altra giurisprudenza di merito riconosce che, pur sorgendo di primo acchito la responsabilità esclusivamente in capo all’autore del caricamento, nel momento in cui l’host ha conoscenza dell’illiceità e non fa nulla per rimuoverlo, può tranquillamente essere chiamato a rispondere.

Il fenomeno che è stato preso in esame è destinato a imporsi sullo scenario socio-economico, con un aumento consequenziale delle vertenze e delle controversie. La onde gli operatori del diritto devono affinare la loro sensibilità al tema ed essere solleciti a tutelare gli interessi dei rispettivi assistiti. 

Mantenere una solida reputazione online è fondamentale per il successo di qualsiasi attività commerciale. Le recensioni positive possono attrarre nuovi clienti e incrementare la credibilità, mentre affrontare correttamente quelle negative è cruciale per salvaguardare l'immagine aziendale. Leggi di più per scoprire come navigare tra le complesse questioni legali legate alle recensioni online e assicurarti che la tua impresa sia protetta e rispettata nel mondo digitale.

  • 06 maggio 2024
  • Nicolo Dalla_Benetta

Autore: Nicolò Dalla Benetta


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