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Colpa grave del debitore: quando preclude l’accesso alla ristrutturazione del sovraindebitamento - Studio Legale MP - Verona

Un’analisi approfondita della sentenza del Tribunale di Roma (30 maggio 2025) che esclude la ristrutturazione dei debiti in presenza di colpa grave del debitore, evidenziando come sia richiesto un livello minimo di diligenza nei comportamenti del consumatore. Un tema di grande rilevanza per i cittadini interessati alla procedura di composizione delle crisi da sovraindebitamento ex art. 67 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII).

 

Contesto normativo: meritevolezza e colpa grave nel sovraindebitamento

Il sovraindebitamento del consumatore – ossia la situazione di insolvenza o crisi in cui un soggetto non riesce a far fronte ai propri debiti – è oggetto di una specifica procedura di ristrutturazione dei debiti prevista dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019, CCII). Per accedere a tale procedura (disciplinata dagli artt. 67 e seguenti CCII), il debitore consumatore deve però superare alcuni requisiti soggettivi, tra cui spicca l’assenza di colpa grave nella genesi del proprio indebitamento. In altre parole, la legge esclude la ristrutturazione dei debiti del consumatore quando l’eccesso di debiti è dovuto a un comportamento gravemente colposo, in malafede o addirittura fraudolento da parte del debitore. Questo riflette l’antico brocardo latino culpa lata dolo aequiparatur (la colpa grave è equiparata al dolo), a indicare la gravità attribuita dall’ordinamento alle condotte di estrema negligenza.

In passato, sotto la vigenza della Legge 3/2012 (la precedente normativa sul sovraindebitamento), si parlava più ampiamente di meritevolezza del debitore: il giudice valutava se il soggetto sovraindebitato fosse “meritevole” di accedere al beneficio, considerando il suo comportamento nell’assunzione dei debiti. Tale concetto è stato ora ridimensionato dal nuovo Codice della crisi. Come chiarito dal Tribunale di Brindisi (sentenza 2 aprile 2025), il legislatore ha ristretto la portata del requisito di meritevolezza, richiedendo adesso la presenza di profili di colpa grave o frode ai danni dei creditori per negare l’accesso alla procedura; non è più sufficiente, quindi, la semplice colpa lieve del debitore nell’aver causato il proprio indebitamento. In sostanza, oggi la non meritevolezza coincide solo con condotte marcatamente imprudenti o dolose. Ne discende un significativo favor debitoris: la maggior parte degli errori gestionali del consumatore sovraindebitato – se non raggiungono la soglia della colpa grave – non impediscono l’apertura della procedura di ristrutturazione.

Un’ulteriore novità di rilievo riguarda l’onere della prova sulla condotta del debitore. Prima della riforma, spettava al debitore dimostrare di aver assunto le proprie obbligazioni con ragionevole prospettiva di adempimento e in modo proporzionato ai propri mezzi; oggi, al contrario, è carico dei creditori provare che lo stato di sovraindebitamento è dovuto a una condotta gravemente imprudente del debitorediritto.it. Questo spostamento dell’onere probatorio, introdotto dal D.L. 137/2020 che ha modificato la L.3/2012 e confermato dal CCII, tutela maggiormente il consumatore: in caso di dubbio, si tende a consentire l’accesso alla procedura, a meno che i creditori dimostrino chiaramente un comportamento colposo grave del debitore. Tale impostazione risponde alla logica sociale della normativa sul sovraindebitamento, pensata per offrire una “seconda chance” a chi si trova schiacciato dai debiti, pur senza scusare eventuali abusi del credito.

“Non prendere a prestito e non prestare, perché un prestito, spesso, perde se stesso e l’amico, e il prendere a prestito smussa il filo dell’economia.” Questo celebre monito letterario di Shakespeare (consiglio di Polonio in Amleto) richiama la saggezza popolare sull’evitare i debiti eccessivi. Ebbene, il diritto moderno cerca un equilibrio: se da un lato scoraggia il sovraindebitamento imprudente, dall’altro predispone strumenti per ristrutturare i debiti quando la situazione è compromessa, purché il debitore non abbia violato le più elementari regole di diligenza nella gestione delle proprie finanze.

 

La sentenza del Tribunale di Roma (30 maggio 2025)

In questo contesto normativo si inserisce la rilevante sentenza del Tribunale di Roma del 30 maggio 2025, che fornisce un importante chiarimento sui confini della colpa grave del debitore ai fini dell’accesso alla procedura di ristrutturazione. Il caso riguardava un consumatore che aveva presentato un piano di ristrutturazione dei debiti ex art. 67 CCII, al quale alcuni creditori si opponevano contestando la meritevolezza del proponente. In particolare, i creditori sostenevano che il debitore avesse contratto obbligazioni in modo imprudente, rilevando alcune incongruenze nelle dichiarazioni fornite in sede di richiesta di finanziamenti. Il giudice romano era dunque chiamato a valutare se tali comportamenti integrassero o meno quella “colpa grave” che, ai sensi dell’art. 69 CCII, costituisce causa ostativa all’omologazione del piano.

La pronuncia – Tribunale di Roma, Sez. Fallimentare, estensore dott.ssa Cavaliere – ha escluso la presenza di colpa grave nel caso di specie, delineando un principio di grande interesse generale. Secondo il tribunale, l’assenza di colpa grave va valutata adottando il parametro della “minima diligenza” esigibile, tarato sulle condizioni soggettive del debitore e sul contesto concreto in cui i debiti sono stati contratti. Ciò significa che non si richiede al consumatore sovraindebitato di aver tenuto un comportamento finanziario impeccabile o prudente secondo criteri oggettivi assoluti (come farebbe un “buon padre di famiglia” in astratto); è invece sufficiente che il suo operato non evidenzi una condotta consapevolmente irresponsabile o gravemente imprudente. In altri termini, il giudice deve verificare che il debitore abbia mantenuto almeno un livello base di attenzione e buon senso (la minima diligenza, appunto), escludendo solo quei soggetti che si siano lanciati in scelte finanziarie avventate in modo deliberato o con colpevole leggerezza estrema.

Questo criterio della minima diligenza rappresenta un bilanciamento importante. Da un lato, ribadisce che la procedura di sovraindebitamento non è accessibile a chi abbia abusato del credito in modo sfacciato o abbia aggravato volontariamente la propria situazione debitoria (in tali frangenti scatta la colpa grave, equiparata quasi al dolo). Dall’altro lato, però, impedisce interpretazioni eccessivamente restrittive: il semplice errore di valutazione o l’ottimismo malriposto del consumatore medio non bastano a far parlare di colpa grave. Questa impostazione “elastica” pro-consumatore è coerente con altre pronunce coeve in materia. Ad esempio, il Tribunale di Brindisi nel 2025 ha osservato che il requisito di meritevolezza deve ritenersi mancante solo in presenza di colpa grave o frode, mentre non rilevano le colpe lievi o veniali. Analogamente, il Tribunale di Napoli (5 maggio 2025) ha ammesso un piano del consumatore nonostante il ricorso a debiti “promiscui” (in parte derivanti da attività d’impresa cessata), proprio valorizzando l’assenza di dolo o colpa grave e la prevalente natura personale dei debiti. Questi orientamenti confermano che la soglia di tolleranza verso le imperfezioni del debitore si è innalzata: la procedura è preclusa soltanto ai casi di gravissima negligenza o malafede.

 

Il ruolo dei finanziatori e il merito creditizio: responsabilità condivise

Un elemento innovativo della sentenza del Tribunale di Roma è l’accento posto sulla responsabilità dei creditori finanziatori nella genesi del sovraindebitamento. I giudici romani hanno richiamato espressamente l’obbligo degli istituti finanziari, previsto dall’art. 124-bis del Testo Unico Bancario (TUB), di effettuare una adeguata valutazione del merito creditizio del consumatore prima di concedere un finanziamento Questa norma impone al creditore di raccogliere informazioni accurate – anche presso fonti indipendenti – sulla situazione reddituale e patrimoniale del richiedente, al fine di erogare credito in modo responsabile.

Nel caso in esame, sembrerebbe che alcune “dichiarazioni standard” fornite dal consumatore (forse tramite moduli precompilati da un mediatore del credito) presentassero delle discrasie o incongruenze. I creditori insinuavano che tali dichiarazioni inesatte fossero indice di malafede o grave negligenza del debitore. Il Tribunale di Roma ha invece escluso che semplici irregolarità formali o dichiarazioni unilaterali non verificate possano costituire, di per sé, prova di colpa grave ostativa. In particolare, la pronuncia afferma che non è lecito attribuire automaticamente al debitore la responsabilità di eventuali dati discordanti inseriti in moduli standard (magari compilati frettolosamente da un intermediario), soprattutto se poi il finanziatore non ha adempiuto al suo dovere di verifica approfondita. Una generica dichiarazione del consumatore – non opportunamente controllata dalla banca o finanziaria erogante – non può fondare una colpa grave tale da sbarrargli la via della ristrutturazione

Questa posizione richiama il principio di equa distribuzione delle colpe: il finanziatore imprudente che concede credito senza le necessarie cautele non può poi scaricare l’intera colpa sul debitore in difficoltà. Anzi, lo stesso art. 69, comma 2 CCII prevede espressamente che se il creditore ha contribuito con negligenza all’indebitamento (ad esempio violando i criteri di concessione del credito fissati dall’art. 124-bis TUB), egli non potrà neppure opporsi all’omologazione del piano del consumatore contestandone la convenienza. Si tratta di un chiaro incentivo normativo al credito responsabile: la procedura di sovraindebitamento ha natura concorsuale e mira a un equilibrio tra diritti del debitore e dei creditori, ma questo equilibrio tiene conto anche di come il debito si è formato. In presenza di banche che hanno agevolmente alimentato l’indebitamento senza la dovuta diligenza, il debitore non sarà considerato l’unico colpevole del proprio dissesto. D’altronde, già nella Relazione illustrativa al CCII e nella giurisprudenza formatasi sotto la L.3/2012, emergeva l’idea che la valutazione sulla meritevolezza del debitore dovesse comprendere anche il comportamento degli operatori finanziari (il c.d. “merito creditizio inverso”): un debitore magari imprudente, ma indebitatosi anche per l’altrui facile concessione di credito, non è equiparabile a chi ha agito in totale spregio di ogni regola confidando poi di farla franca.

In definitiva, la sentenza romana sancisce che la colpa nel sovraindebitamento è spesso condivisa: il consumatore deve aver osservato almeno le regole basilari di buonsenso nel contrarre debiti, ma i finanziatori hanno il dovere di non favorire un indebitamento eccessivo senza controllo. Questa prospettiva equilibrata rafforza la fiducia nella procedura di ristrutturazione dei debiti, perché la rende uno strumento equo di soluzione della crisi debitoria, non un “premio” per furbi o irresponsabili.

 

Colpa grave: esempi giurisprudenziali recenti e limiti del concetto

Per comprendere concretamente quali comportamenti possano integrare la colpa grave del debitore, vale la pena considerare alcune situazioni esaminate dai tribunali italiani di recente. Un caso emblematico è quello affrontato dal Tribunale di Taranto (sentenza del 6 aprile 2025), relativo a una famiglia sprofondata nei debiti a causa della ludopatia del capofamiglia. Qui i giudici pugliesi hanno distinto nettamente tra dipendenza patologica dal gioco d’azzardo e semplice condotta ludica imprudente: “l’ingente impiego di risorse nel gioco d’azzardo, inopinato a fronte di una già compromessa condizione economica familiare, non può che ritenersi gravemente colposo in difetto di una sicura e comprovata dipendenza patologica... dovendosi distinguere tra dipendenza dal gioco, mai colposa quando patologica, e dedizione al gioco, sempre colpevole”. In sostanza, se il debitore prova di essere affetto da una vera patologia (gioco d’azzardo compulsivo certificato), la sua condotta pur rovinosa non viene considerata “colpa grave” in senso giuridico, perché la patologia ne annulla la volontarietà e la capacità di autodeterminazione. Viceversa, chi accumula debiti al tavolo da gioco o alle scommesse per “dedizione” eccessiva, ma senza una dipendenza clinicamente accertata, resta pienamente responsabile delle proprie azioni: quell’indebitamento sarà giudicato frutto di grave imprudenza. La conseguenza pratica è chiara: un giocatore d’azzardo non patologico difficilmente potrà accedere al piano del consumatore, perché la sua situazione debitoria è stata causata da colpa grave (imprudenza estrema e cosciente) nel gestire le finanze familiari.

Un altro esempio riguarda il ricorso smodato e reiterato al credito al consumo per sostenere spese voluttuarie (acquisti non necessari, viaggi, beni di lusso al di sopra delle proprie possibilità). Se il debito complessivo accumulato risulta palesemente sproporzionato rispetto al reddito e al patrimonio del debitore, i giudici tendono a ravvisare una condotta gravemente colposa. In dottrina si è affermato che la colpa grave ricorre ogniqualvolta l’indebitamento si riveli sproporzionato rispetto ai flussi di reddito del debitore e/o sia determinato da consumi voluttuari irrazionali, pur in assenza di uno specifico intento fraudolento. Questa linea interpretativa – sposata da varie decisioni di merito – delimita la colpa grave alle ipotesi di scostamento marcato dalle normali regole di prudenza economica: indebitarsi oltre ogni ragionevole aspettativa di poter rimborsare costituisce di per sé un indice di grave irresponsabilità. Ad esempio, il Tribunale di Bologna (21 marzo 2025) ha ritenuto inammissibile il piano di un consumatore che aveva accumulato numerosi finanziamenti a breve termine senza alcuna prospettiva realistica di rimborso, evidenziando come il “ripetuto ricorso a finanziamenti bancari” avesse determinato un sovraindebitamento insostenibile e imputabile a lui, cioè frutto di condotta gravemente imprudente. Al contrario, in presenza di eventi sfortunati imprevedibili (come una malattia grave, la perdita del lavoro, spese straordinarie inevitabili) che hanno fatto precipitare una situazione finanziaria prima equilibrata, il debitore verrà quasi sempre considerato esente da colpa grave: la crisi in questo caso non deriva da leggerezza o azzardo morale, bensì dalla sfortuna o da cause esterne.

È importante sottolineare che la valutazione della colpa del sovraindebitato viene svolta caso per caso, con un esame complessivo della condotta tenuta nel tempo. Come osservato, non ci si limita a considerare l’ultimo debito o la singola insolvenza, ma si guarda all’intero percorso di indebitamento (principio dello “sviluppo dinamico” della valutazione). L’assenza di colpa grave è un presupposto indefettibile per aprire la procedura di ristrutturazione, per cui il giudice, supportato dalla relazione dell’Organismo di Composizione della Crisi (OCC), analizza i molteplici fattori che hanno contribuito allo stato di insolvenza del consumatore. In definitiva, saranno esclusi dalla procedura quei debitori la cui crisi appare autoinflitta da condotte assai avventate, mentre saranno ammessi coloro che – pur avendo commesso errori – non hanno superato la soglia della “gravità” colposa o hanno agito in buona fede confidando ragionevolmente di poter adempiere.

 

 

Conclusioni

La sentenza del Tribunale di Roma del 30/05/2025 costituisce un'interessante interpretazione della nuova disciplina sul sovraindebitamento. Essa conferma un approccio equilibrato e innovativo: l’accesso alla ristrutturazione dei debiti ex art. 67 CCII deve essere negato solo in presenza di una colpa grave effettiva da parte del debitore, valutata alla luce di un parametro di diligenza minima rapportato alla situazione concreta. Questa impostazione pone un argine alle condotte davvero irresponsabili, senza però tradire la funzione sociale della normativa, che è quella di offrire una via d’uscita sostenibile ai piccoli debitori onesti in difficoltà. Come in tutte le materie concorsuali, si tratta di trovare un punto di equilibrio tra interessi contrapposti: da un lato il diritto del debitore sovraindebitato a riorganizzare la propria posizione e ripartire da zero (fresh start), dall’altro il diritto dei creditori a non subire perdite causate da comportamenti dolosi o gravemente colposi del debitore stesso.

La giurisprudenza recente – Roma, Brindisi, Taranto, Napoli, Bologna – traccia un filo rosso: l’orientamento maggioritario dei tribunali è di concedere fiducia al debitore-consumatore quando non emergano elementi di grave irresponsabilità o frode. Viene richiesta serietà e correttezza di base (quella che potremmo chiamare buona fede e appunto diligenza minima), ma non una perfezione assoluta nella gestione finanziaria. Il messaggio per i cittadini interessati alla procedura di sovraindebitamento ex art. 67 CCII è duplice. Da un lato, occorre essere consapevoli che abusare del credito – ad esempio accumulare debiti ben oltre le proprie capacità, sperando poi di cancellarli – è un comportamento che preclude le tutele della legge: la colpa grave fungerà da barriera invalicabile. Dall’altro lato, chi si è indebitato magari per necessità o leggerezze comuni, senza intenzioni fraudolente e senza raggiungere livelli di azzardo morale intollerabili, potrà trovare nel piano di ristrutturazione una soluzione alla propria crisi. L’ordinamento italiano, in linea con i principi europei sul sovraindebitamento dei consumatori, sta dunque evolvendo verso un sistema più inclusivo e ponderato, che responsabilizza tutti gli attori (debitori e creditori) e mira a riequilibrare situazioni difficili senza inutili punizioni. In conclusione, la colpa grave del debitore resta il limite oltre il quale non è possibile accedere alla ristrutturazione dei debiti, ma tale limite viene interpretato con ragionevolezza: solo la condotta ben oltre la normale imprudenza – quella gravemente negligente o dolosa – impedirà al sovraindebitato di aspirare a un fresco riavvio economico. Tutti gli altri, nel rispetto delle regole, potranno invece sfruttare l’opportunità di risanamento offerta dalla legge, riflettendo magari sulle parole di Dickens in David Copperfield: «Annual income twenty pounds, annual expenditure twenty pounds nought and six, result misery» – ossia basta sforare di poco il proprio budget per precipitare nell’infelicità. Ecco perché prudenza e educazione finanziaria rimangono le prime alleate per evitare il sovraindebitamento; ma quando ciò non basta, la legge interviene, dosando severità e clemenza, per consentire al debitore meritevole (ancorché imperfetto) di rialzarsi e al creditore di ottenere il miglior soddisfacimento possibile nelle circostanze date.

  • 22 luglio 2025
  • Marco Panato

Autore: Avv. Marco Panato


Avv. Marco Panato -

Avv. Marco Panato, avvocato del Foro di Verona e Dottore di Ricerca in Diritto ed Economia dell’Impresa – Discipline Interne ed Internazionali - Curriculum Diritto Amministrativo (Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Verona).

E' autore di pubblicazioni scientifiche in materia giuridica, in particolare nel ramo del diritto amministrativo. Si occupa anche di docenza ed alta formazione.