CAVE CANEM
CARO FIDO, NON MI FIDO
RIMEDI RISARCITORI IN CASO DI AGGRESSIONE DA ANIMALE DOMESTICO
In caso di aggressione da parte di animali domestici, l’ordinamento riconosce al danneggiato un diritto al risarcimento a carico del proprietario o di chi, ex art.2052 c.c.,“abbia l’uso” dell’animale al momento dell’incidente. E’ possibile liberarsi dagli obblighi risarcitori solo provando il caso fortuito.
Se l’uomo si stia imbestialendo o l’animale antropizzando, è difficile dire. Di sicuro c’è che, nel nostro mondo occidentale, la concordanza animale-uomo è sempre più palmare.
Invero, di divinità a quattro zampe se ne vedono molte, ormai non c’è casa che non ne sia infestata: queste venerande creature, ossequiati despoti caudati, tirannelli da giardino serviti e riveriti, dettano l’agenda e plasmano la routine dei loro bipedi schiavi – che qualcuno, poverello, ancora scambia per “padroni”, quando invece sono solo i primi regnicoli delle suddette bestiole – mentre tra i latrati e le fusa attecchiscono nelle coscienze molto più di quanto possa sperare per lui un primate disgraziatamente nato homo sapiens.
Giuseppe Parini, notorio poeta settecentesco autore del celebre poemetto Il giorno, nella seconda parte della sua opera (vv. 510-556) racconta la grottesca vicenda di un pover’uomo impiegato quale domestico presso una delle famiglie nobili della Milano del suo tempo. Aggredito da una “vergine cuccia”, ossia da una cagnetta, che vorace gli morse il calcagno, egli reagì scacciandola con una pedata. Il gesto, derubricabile, per quanto spiacevole, a una giusta reazione in linea con la legittima difesa così frequentemente invocata nei rapporti umani, suscitò le ire della delicata ed elegante padroncina, che licenziò il servo costringendo lui e la sua famiglia a una vita di stenti. A nulla gli valse, rammenta Parini, aver servito meritevolmente per vent’anni in quella casa: se ne andò via spogliato della livrea, senza più riuscire a trovare un impiego in qualche altra casata, poichè le nobildonne, impietosite dalla triste sorte della cagnetta – ma non del servo – inorridivano al pensiero del maltrattamento subito. Così, mentre la “vergine cuccia” si faceva bella del crisma del martirio, il servo finì a questuare ai bordi della strada, con a fianco i suoi poveri figli e la moglie.
Il poeta narra questa vicenda, costruita ad arte, per satireggiare sull’ipocrisia e le parossistiche sofisticazioni della decadente nobiltà di fine ‘700. Che però sono anche quelle del secolo corrente.
Tuttavia, volendo giocare a fare i legulei in una vicenda inventata messa in versi più di due secoli fa, ci pungerebbe vaghezza di prendere le difese del povero servo. Quid iuris se un animale domestico aggredisce qualcuno arrecandogli un apprezzabile danno biologico?
ART. 2052 C.C E RESPONSABILITA’ OGGETTIVA IN CAPO AL PROPRIETARIO DELL’ANIMALE
Allorché taluno venga aggredito da un animale domestico altrui, a rilevare è l’articolo 2052 c.c., secondo il quale “Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, e' responsabile dei danni cagionati dall'animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito”.
Il diritto al risarcimento così riconosciuto sussiste quando risultino integrati certi presupposti facilmente individuabili: oltre al danno effettivamente subito, questo deve essere riconducibile all’animale, senza che il sinistro sia ascrivibile al caso fortuito, unica causale idonea a spezzare il nesso causale prevista dal disposto normativo
A ciò s'aggiunge il particolare rapporto tra l'animale e il rispettivo proprietario, o chiunque ne abbia la concreta disponibilità: la responsabilità prevista dall’art. 2052 si fonda sul rapporto di fatto con l'animale, in quanto, come pacificamente statuito dalla giurisprudenza, colui che ha la proprietà o l'uso dell'animale risponde per il solo nesso di causalità fra l'azione dell'animale e l'evento, indipendentemente da una sua negligenza, imprudenza o imperizia o da una concreta colpa nella custodia.
Ai fini della definitiva perimetrazione di quanto testé asserito, giova un’ulteriore chiosa. “Avere in uso l'animale” significa esercitare su di esso un potere effettivo (di governo, di gestione, di vigilanza e di controllo, etc.). Affinchè la responsabilità gravi su un soggetto diverso dal proprietario, è necessario che questi si sia spogliato di ogni facoltà legata alla gestione o alla custodia dell’animale, in quanto laddove seguiti ad avere ingerenze nel governo della bestiola, egli rimsane responsabile del danno da esso cagionato (Cass. 5825/2019; Cass. 2414/2014; Cass. 16023/2010).
Sufficientemente lumeggiato il rapporto tra l’animale e il responsabile del danno, ai fini della completa disamina dell’articolo 2052 c.c. occorre ora soffermarsi sulla configurazione del nesso causale tra l'animale e il fatto dannoso. La responsabilità prospettata dall'art. 2052 è un preclaro esempio di responsabilità oggettiva, ciò che significa che sarà onere dell'attore “provare la sussistenza del nesso eziologico tra l'animale e l'evento lesivo, mentre il convenuto, per liberarsi dalla responsabilità, dovrà provare non già di essere esente da colpa, bensì l'esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo a interrompere il nesso causale” (Cass. 7260/2013).
Ne consegue che solo provando il caso fortuito il proprietario/detentore si metterebbe al riparo da ogni responsabilità. Impresa non facile se si considera, a titolo esemplificativo, che la giurisprudenza di legittimità (Cass.7903/2015) ha escluso che l'imprevedibilità del comportamento costituisca caso fortuito ex art. 2052 c.c, atteso che l'imprevedibilità costituisce caratteristica ontologica di ogni animale.
Al fine di escludere la responsabilità del proprietario, è necessario l'intervento di un fatto esterno idoneo a interrompere il nesso causale tra il comportamento dell'animale e l'evento lesivo, comprensivo anche del fatto del terzo o del fatto colposo del danneggiato che abbia avuto efficacia esclusiva nella produzione del danno (Cass. 6454/2007). Per completezza, è bene sottolineare che allorché si invochi il comportamento avventato del danneggiato quale elemento del caso fortuito, perché questo possa rilevare, deve integrare i caratteri dell’imprevedibilità, dell’inevitabilità e dell’assoluta eccezionalità.
VOCI DI DANNO RISARCIBILI EX ART. 2052 C.C.
Volendo, a questo punto del guado, guardare alle diverse voci di danno di cui è possibile chiedere il risarcimento ex art.2052 c.c., basterà un raccordo con la disciplina generale della responsabilità non patrimoniale.
Rifacendoci alle tre “storiche” pronunce della Suprema Corte del 2003 (03/8827, 03/8828, 03/1214), confortate da una di poco successiva pronuncia della Corte Costituzionale (03/233), possiamo affermare che con l'espressione “danno non patrimoniale”, ai sensi del 2059 c.c., si intenda qualsiasi danno di natura non patrimoniale derivante dalla lesione di valori inerenti alla persona, declinabile nelle seguenti tre voci: danno biologico, danno morale, danno esistenziale. Il primo risponderebbe all'interesse costituzionalmente garantito all'integrità fisica e psichica della persona (art. 32 Cost.); il secondo è da intendersi come “l'ingiusto turbamento dello stato d'animo del danneggiato o anche nel patema d'animo o stato d'angoscia transeunte generato dall'illecito” (Cass. n.10393/2002); il terzo è definito come “il danno alle attività realizzatrici della persona umana”, “il perturbamento dell'agenda quotidiana”, cioè a dire ogni danno discendente dall'impossibilità di accedere a tutte quelle attività tipiche che realizzano la persona umana, con gravi ripercussioni sul grado di benessere della persona.
In caso di aggressione da parte di animali domestici, è facile profezia ritenere inverate la categoria del danno biologico e, laddove questa dovesse comportare un danno estetico o impattare in modo significativo sul benessere psicologico del soggetto – non si può infatti escludere che l’aggressione da parte di un cane o di qualsiasi altro animale possa avere effetti financo traumatici sulla psiche dell’aggredito –, anche quelle del danno morale ed esistenziale.
Ciò che non esclude che a quello non patrimoniale possa aggiungersi il danno patrimoniale, legato alle spese mediche o ad altri esborsi/costi sostenuti in seguito all’aggressione, nonchè all'impossibilità di esercitare la propria attività lavorativa.
CONCLUSIONI
Vista la stringente disciplina dell’articolo 2052 c.c. e la gravosa forma di responsabilità oggettiva ivi descritta, le sorti dell’aggredito possono dirsi sufficientemente garantite, essendo onere esclusivamente del proprietario, o di chi ha la concreta disponibilità dell’animale al momento dell’aggressione, provare il caso fortuito negli incidenti che vedono coinvolto un animale domestico.
Quale panacea dei dispiaceri cui potrebbe andare incontro il proprietario dell’animale, è consigliabile l’attivazione di una polizza assicurativa che lo tenga indenne da esborsi, anche ingenti, dovuti alle bizze della sua bestiola.
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