
La prescrizione è l’estinzione di un diritto per il mancato esercizio entro un certo termine. Nel caso delle cartelle esattoriali – gli atti con cui Agenzia Entrate Riscossione richiede il pagamento di imposte, multe o contributi non versati – la legge prevede termini di prescrizione specifici (in genere 5 anni per multe e contributi, 10 anni per alcune imposte, salvo eccezioni). In passato, molti debitori confidavano che, trascorso il tempo, il debito si estinguesse automaticamente. Se l’ente di riscossione inviava un’intimazione di pagamento (un sollecito che precede l’esecuzione forzata) per somme già prescritte, il destinatario spesso poteva limitarsi a eccepire la prescrizione in un’eventuale opposizione successiva, ritenendo di non dover reagire subito. La prassi comune era infatti di non impugnare immediatamente l’intimazione su un credito ormai prescritto, perché si riteneva che il termine decorso fosse sufficiente a far valere la propria ragione in qualsiasi momento. In altre parole, se una cartella era ormai “scaduta”, il contribuente poteva dormire sonni relativamente tranquilli, certo che il tempo trascorso fosse dalla sua parte. Ma le cose sono cambiate: una recente svolta giurisprudenziale impone molta più attenzione.
Nel 2025 la Corte di Cassazione ha emesso decisioni dirompenti che ogni contribuente indebitato deve conoscere. In particolare, la Cassazione civile, Sez. V, ord. n. 20476/2025 (depositata il 21 luglio 2025) ha stabilito un principio rigoroso: ignorare un’intimazione di pagamento può sanare la prescrizione maturata. In questo caso, un contribuente aveva ricevuto un avviso di intimazione per cartelle esattoriali relative a debiti molto datati (oltre il termine di prescrizione). Convinto che fossero prescritti, non aveva impugnato l’atto entro i 60 giorni previsti. La sorpresa è arrivata in sede giudiziale: la Cassazione ha ritenuto che l’intimazione non contestata tempestivamente “cristallizza” la pretesa del Fisco. In sostanza, chi non fa ricorso contro l’intimazione entro il termine perde definitivamente la possibilità di far valere la prescrizione del debito. Questo orientamento è stato confermato e rafforzato anche da un’altra pronuncia coeva (Cass. civ., Sez. V, ord. n. 29594/2025), tracciando una linea chiara: il silenzio del debitore equivale ad accettazione della richiesta di pagamento, persino se il debito era già prescritto. Si tratta di un cambio di rotta epocale rispetto al passato. Dove prima “chi tace sta bene”, ora chi tace rischia grosso. In virtù di queste sentenze, ogni intimazione va presa sul serio: anche se pensi che la cartella sia caduta in prescrizione, devi comunque reagire formalmente, altrimenti il debito potrà essere legittimamente riscuotibile. La logica alla base di queste decisioni è tutelare la certezza del diritto e prevenire abusi: non è ammissibile che un debitore rimanga inerte di fronte a un atto formale e sollevi l’eccezione solo all’ultimo momento, magari durante un pignoramento. Vigilare sempre: lo abbiamo anticipato con il brocardo latino, la legge aiuta chi non dorme sui propri diritti. Da ora, chi riceve un intimazione e la ignora potrebbe vedersi preclusa per sempre la possibilità di far valere la prescrizione. In altri termini, il debito “risorge” e torna esigibile come se il tempo non fosse mai passato.
Se da un lato la Cassazione ha imposto una stretta sui tempi di reazione del debitore, dall’altro ha continuato a riconoscere importanza ai vizi formali delle cartelle esattoriali e degli atti di notifica. Non tutte le partite si giocano a favore del Fisco: esistono casi in cui è il contribuente a spuntarla, se l’ente di riscossione commette errori. Ad esempio, la Cassazione civile, Sez. V, ord. n. 21635/2025 (28 luglio 2025) ha affrontato il caso di una cartella emessa da un ufficio incompetente territorialmente. La Suprema Corte ha annullato quella cartella, confermando che un vizio radicale – come l’incompetenza dell’Agente della riscossione – rende nullo l’atto. In pratica, se la cartella è stata emessa dall’ente sbagliato (ad esempio un ufficio non autorizzato per quel territorio o tributo), tutto l’iter è viziato e il debitore può far annullare la richiesta. Un altro fronte riguarda le irregolarità nella notifica. La legge richiede procedure rigorose: si pensi alla consegna dell’atto al portiere dello stabile in assenza del destinatario, che dev’essere seguita dall’invio di una raccomandata informativa. Giurisprudenza costante (Cassazione compresa) ribadisce che se manca la prova di questa seconda raccomandata, la notifica è nulla. Ciò significa che la cartella (o l’intimazione) potrebbe essere annullata perché il contribuente non è stato avvisato correttamente. Un altro esempio: la notifica via PEC (Posta Elettronica Certificata). Su questo tema la Cassazione ha precisato che alcuni vizi non incidono sulla validità – ad esempio, con ord. n. 15710/2025 ha ritenuto valida la notifica PEC inviata da un indirizzo elettronico dell’Agente diverso da quello risultante dai registri ufficiali, purché sia garantita l’autenticità e la ricezione. Tuttavia, rimane imprescindibile che la PEC sia indirizzata all’esatto domicilio digitale del contribuente e che l’allegato sia conforme (il file deve essere in formato .p7m). Insomma, il diavolo sta nei dettagli: una cartella può cadere su un dettaglio formale, ma non bisogna dare per scontato che ogni errore sia decisivo. Il consiglio è di controllare attentamente ogni atto: dalla busta della notifica alle firme, dai riferimenti dell’ufficio emittente ai termini indicati. Le armi difensive del contribuente esistono e sono affilate, ma vanno utilizzate con tempestività e precisione tecnica.
Alla luce di queste novità, l’atteggiamento del debitore verso le cartelle esattoriali deve cambiare. Ecco alcuni punti fermi: primo, non ignorare mai una comunicazione dell’Agente della Riscossione. Anche se ritieni che il debito sia prescritto, è fondamentale consultare subito un professionista e valutare un ricorso. Ricorda che hai 60 giorni dalla notifica per impugnare un’intimazione di pagamento o una cartella. Secondo, verifica sempre i termini di prescrizione e tieni traccia di tutte le comunicazioni ricevute negli anni (avvisi, solleciti, ecc.): spesso la prescrizione decorre nuovamente da ogni atto notificato, quindi è cruciale capire se davvero il credito era “fermo” da più di 5 o 10 anni. Terzo, sfrutta eventuali vizi di notifica o di contenuto: un occhio esperto può individuare irregolarità che rendono nulla la cartella (per esempio importi errati, mancata indicazione del responsabile del procedimento, notifica a un indirizzo sbagliato, ecc.). Quarto, tieniti informato sulle possibili definizioni agevolate: negli ultimi anni ci sono state “rottamazioni” e stralci di cartelle per debiti fino a una certa data. Anche nel 2025, il legislatore è intervenuto con misure di saldo e stralcio e rateizzazioni più favorevoli. Verifica se il tuo debito rientra in qualche sanatoria: potresti pagare molto meno o addirittura azzerare il dovuto, evitando il contenzioso. In ogni caso, la chiave di volta è la tempestività: appena ricevi un atto, attivati. Chi ha tempo non aspetti tempo – soprattutto quando si tratta di far valere un diritto di opposizione. Il nuovo orientamento della Cassazione non lascia spazio ai procrastinatori: sedersi sugli allori di una prescrizione maturata può equivalere a perdere la partita a tavolino. Al contrario, una reazione pronta permette ancora di far valere le proprie ragioni davanti al giudice tributario e di fermare la riscossione ingiusta.
Le pronunce innovative della Cassazione nel 2025 sul tema delle cartelle esattoriali sono un chiaro segnale: il contenzioso tributario diventa più serrato, e al contribuente è richiesto di essere più vigile e reattivo. Ignorare gli atti può avere conseguenze disastrose, mentre attivarsi per tempo consente di sfruttare tutte le tutele previste dall’ordinamento. Se ti trovi alle prese con cartelle esattoriali, intimazioni di pagamento o altre procedure di riscossione, non affidarti al caso o al trascorrere del tempo: informati, verifica e agisci. La legge offre strumenti efficaci per annullare i debiti non dovuti o illegittimi, ma va conosciuta e utilizzata con competenza. In situazioni complesse come quelle descritte – che intrecciano aspetti tecnici di diritto tributario, procedura e recente giurisprudenza – affidarsi a un avvocato esperto è la scelta più saggia. Un intervento professionale può fare la differenza tra subire passivamente un debito ingiusto e risolvere definitivamente il problema, sia attraverso il ricorso in Commissione Tributaria, sia tramite accordi di definizione o piani di rientro sostenibili. In conclusione, le cartelle esattoriali non vanno mai sottovalutate: ogni busta verde può nascondere una minaccia, ma anche un’opportunità di chiarire la propria posizione e, se del caso, di azzerare un’obbligazione ormai spenta. Agisci con consapevolezza e tempestività, e ricorda che la conoscenza delle regole del gioco è la tua migliore arma contro errori e abusi nella riscossione.
Redazione - Staff Studio Legale MP