
Negli ultimi anni, l’ordinamento italiano ha notevolmente ampliato le possibilità di cancellare i debiti residui e offrire al debitore sommerso una vera seconda opportunità. Nemo tenetur ad impossibilia: nessuno è tenuto a fare l’impossibile, e il sistema giuridico sta traducendo in realtà questo principio di umanità. Emblematico è come il nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) abbia introdotto strumenti rivoluzionari, primo fra tutti l’esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII). Oggi anche un soggetto totalmente privo di beni o redditi pignorabili – se la sua insolvenza non dipende da colpa grave o dolo – può ottenere l’esdebitazione integrale “a costo zero”. Si tratta di un cambio di paradigma epocale: in passato un nullatenente restava inseguito dai creditori a vita, mentre ora il giudice può cancellare tutti i suoi debiti, consentendogli di ripartire da zero. Ad esempio, il Tribunale di Rimini ha recentemente applicato con decisione questo principio, concedendo il beneficio a un uomo incapiente indebitatosi per aver fatto da garante ai genitori, valutando la sua imprudenza come scusabile perché dettata da solidarietà familiare (Trib. Rimini, sent. 18 aprile 2025). In sostanza, un debitore meritevole – ossia sinceramente incolpevole o responsabile solo di leggerezze veniali – non sarà condannato a una “pena perpetua” per obblighi che comunque non potrebbe mai pagare.
Un’altra svolta fondamentale riguarda i debiti tributari. Le somme dovute al Fisco, un tempo quasi impossibili da ridurre, oggi possono rientrare a pieno titolo in un piano di sovraindebitamento. La Cassazione ha chiarito che il decreto di omologa del piano del consumatore può cancellare anche i debiti verso l’erario senza la formale adesione del creditore pubblico, purché la proposta assicuri a quest’ultimo un recupero non inferiore a quello ottenibile in una liquidazione (Cass. civ., Sez. I, ord. n. 5157/2025). Inoltre, per tutelare la stabilità delle soluzioni raggiunte, la Suprema Corte ha stabilito che solo i creditori ritualmente coinvolti nell’omologazione possono impugnare l’esito: chi è rimasto fuori per mancata notifica potrà semmai proporre reclamo, ma non sarà ammessa un’opposizione tardiva di chi, pur avvisato, è rimasto inerte. Questo orientamento sprona il Fisco a partecipare attivamente alle trattative e, al contempo, protegge il debitore onesto da contestazioni dell’ultimo minuto una volta ottenuta l’omologazione del suo piano.
Si registra poi un approccio più inclusivo nell’accesso alle procedure. La legge “salva suicidi” sul sovraindebitamento, già modificata dal D.Lgs. 14/2019, mira a non lasciare indietro nessuno: anche chi in passato era rimasto escluso dai benefici può oggi trovare una via d’uscita. Un esempio lampante è offerto dal Tribunale di Verona, che con una recente pronuncia ha aperto le porte della liquidazione controllata persino a un ex imprenditore individuale già fallito anni addietro (Trib. Verona, sent. 13 giugno 2025). In quel caso l’artigiano si trovava ancora oberato da debiti non soddisfatti nel fallimento precedente (all’epoca non aveva ottenuto l’esdebitazione). Ebbene, il giudice veronese ha ritenuto ammissibile una nuova procedura da sovraindebitamento, pur essendo quei debiti “eredità” del vecchio crack. Si è affermato che anche chi non è riuscito a uscire pulito da un fallimento meritava un ulteriore tentativo di liberarsi dai debiti residuali: grazie al CCII, l’interessato – cancellato dal Registro delle Imprese – ha potuto accedere come privato cittadino agli strumenti di composizione della crisi. In sostanza, ogni peccatore ha un futuro, per citare Oscar Wilde: se anni fa il soggetto non ha beneficiato del “colpo di spugna” finale (magari perché la legge allora non lo prevedeva, o per una sua mancata iniziativa), oggi può rifarsi con le nuove procedure. La Corte di Cassazione ha confermato questa impostazione evolutiva, ammonendo che eventuali ombre sulla condotta del debitore non devono precludergli a priori l’accesso al procedimento: conta prima di tutto offrire ai creditori la soddisfazione possibile, mentre la valutazione definitiva sulla buona fede del debitore avverrà solo al termine, in fase di esdebitazione (Cass. civ., ord. n. 22074/2025). Questo significa che anche un indebitato con qualche leggerezza alle spalle può essere ammesso alla procedura, in linea con la funzione “riabilitativa” voluta dal diritto comunitario: l’importante è mettere a disposizione tutte le risorse disponibili e agire con trasparenza, poi si vedrà se concedergli o meno la cancellazione dei debiti. “Summum ius, summa iniuria”: un’applicazione troppo rigida delle preclusioni finirebbe col tradire lo scopo sociale di queste norme, producendo ingiustizie paradossali.
Da ultimo, un tassello spesso trascurato ma cruciale per il vero fresh start del debitore riguarda la cancellazione delle segnalazioni pregiudizievoli e dei dati negativi una volta conclusa la procedura. Che sollievo ci sarebbe, infatti, a ottenere l’esdebitazione se poi il nominativo del debitore restasse “marchiato” nelle banche dati creditizie? Su questo punto è intervenuto il Tribunale di Verona con un provvedimento assai pratico: in sede di chiusura di un piano di ristrutturazione, ha ordinato all’OCC di eliminare la pubblicità del decreto di apertura e della sentenza di omologa, nonché di comunicare la chiusura ai sistemi di informazione creditizia come la Centrale Rischi, così che il debitore potesse davvero ripartire pulito (Trib. Verona, decr. 12 marzo 2025). Queste disposizioni operative assicurano che, dopo aver pagato quanto stabilito e ottenuto l’esdebitazione, l’interessato non sia più perseguitato né dalle pretese né dalla reputazione di “cattivo pagatore”. È la concretizzazione del concetto di seconda opportunità: una volta chiusa la procedura, il passato viene archiviato e si può finalmente guardare al futuro senza strascichi.
Nonostante il quadro normativo proponga oggi la più ampia clemenza verso il debitore sfortunato, permangono alcune zone d’ombra in cui la liberazione totale dai debiti non è (ancora) garantita. In primis, il legislatore ha tracciato un confine netto a tutela degli affetti familiari: gli obblighi di mantenimento verso il coniuge e i figli sono esclusi da qualsiasi esdebitazione. Questo significa che debiti come gli alimenti per i figli minori o l’assegno divorzile non potranno mai essere falcidiati o cancellati da un piano – nemmeno se il resto dei creditori accetta decurtazioni. L’art. 282 CCII lo ribadisce espressamente, in continuità con quanto già prevedeva la vecchia Legge 3/2012: la “mano tesa” al debitore non può spingersi fino a ledere i diritti del coniuge o dei figli a essere mantenuti. Si tratta di un limite inderogabile, fondato su principi di ordine pubblico e solidarietà familiare: in caso di sovraindebitamento, lo Stato aiuta il debitore a risollevarsi, ma non a scapito della sua famiglia. Dunque, anche dopo una procedura di successo, eventuali arretrati per mantenimenti resteranno dovuti e andranno onorati a parte. Questo è un elemento importante da comprendere per chi intraprende il percorso: il “colpo di spugna” può pulire quasi tutto, ma non cancella i doveri verso i propri cari.
Un altro nodo irrisolto attiene a una lacuna della normativa attuale che rischia di frustrare la piena efficacia dell’esdebitazione in casi particolari. La legge prevede infatti che la cancellazione dei debiti non operi nei confronti dei creditori che non si sono insinuati nella procedura oltre una certa misura. In altre parole, se un creditore – pur informato dell’apertura della procedura – resta volutamente inerte e non presenta la sua domanda di partecipazione al concorso, potrebbe continuare a pretendere il pagamento a procedura conclusa (salvo la quota che avrebbe forse ricevuto in riparto). Si tratta di una disposizione discutibile, che può vanificare il “fresh start” del debitore in situazioni limite. Pensiamo al caso (non solo teorico) in cui il debitore riesca a soddisfare interamente tutti i creditori che si sono presentati: se qualcuno è rimasto fuori, avrebbe ancora titolo per esigere il 100% del proprio credito, riportando il malcapitato in uno stato di insolvenza immediata nonostante il successo apparente della procedura. Proprio questo scenario si è verificato e ha indotto il Tribunale di Verona a sollevare una questione di legittimità costituzionale sulla norma in questione (Trib. Verona, ord. 18 luglio 2025). In quel caso, durante una liquidazione controllata, tutti i creditori insinuati furono soddisfatti integralmente, con persino un avanzo finale; alcuni creditori (tra cui una banca ipotecaria) però non avevano partecipato. Applicando alla lettera l’art. 278, comma 2 CCII, l’esdebitazione avrebbe dovuto “non operare” verso quei creditori assenti, lasciando il debitore nuovamente esposto nei loro confronti. Il giudice veronese ha giudicato questo esito irragionevole e contrario ai principi costituzionali e comunitari: qui la massima del favor debitoris verrebbe capovolta a causa di una scelta opportunistica dei creditori assenti, in contrasto sia con l’art. 3 Cost. (principio di eguaglianza e ragionevolezza) sia con la finalità di second chance sancita dall’UE (Direttiva 2019/1023). La questione è ora all’attenzione della Corte Costituzionale: se la norma venisse corretta, si chiuderebbe un’importante falla, garantendo che il debitore meritevole, una volta pagato il dovuto ai creditori diligenti, sia liberato anche verso chi ha ignorato volutamente la procedura. Questa vicenda dimostra come il sistema sia in evoluzione: la spinta verso un’esdebitazione completa comporta anche l’aggiustamento di regole che, alla prova dei fatti, si rivelano incoerenti con lo spirito di fondo.
Va poi ricordato che la meritevolezza del debitore rimane la pietra angolare per accedere ai benefici. La legge – pur indulgente – non perdona chi abbia provocato il proprio dissesto con mala fede o grave imprudenza. Se emergono atti in frode ai creditori, sperperi volontari di patrimonio o un ricorso sconsiderato al debito senza possibilità di restituzione, le porte dell’esdebitazione si chiudono. La giurisprudenza recente non ha fatto sconti su questo fronte: ad esempio, è stato negato il beneficio a chi aveva accumulato passività principalmente firmando fideiussioni sproporzionate rispetto alle proprie finanze, nel tentativo avventato di sostenere un’azienda decotta. In quel caso, i giudici hanno ritenuto che indebitarsi oltre ogni misura costituiva di per sé un indice di colpa grave, tale da precludere l’esdebitazione. Allo stesso modo, la Corte di Cassazione ha precisato che l’eventuale negligenza di una banca nel concedere credito non scusa la condotta dell’indebitato che abbia accettato passivamente di peggiorare la propria esposizione: in altri termini, chi assume obbligazioni ben al di là delle sue capacità economiche non può poi invocare la faciloneria altrui per cancellare i debiti (Cass. civ., Sez. I, sent. n. 21048/2025). Questo principio ribadisce un messaggio chiaro: le procedure di sovraindebitamento non sono un “liberi tutti” per chi ha agito spregiudicatamente. Al contrario, funzionano come un meritato sollievo per il debitore sventurato ma corretto, mentre restano precluse al debitore scaltro e irresponsabile. In definitiva, il sistema perdona il “debitor pauper” onesto, ma non premia il “debitor fraudulentus”. Chi ha abusato della fiducia dei creditori dovrà continuare a rispondere dei propri errori, senza scorciatoie.
Un’ultima situazione, in cui la giurisprudenza ha mostrato rigore, riguarda tentativi di uso strumentale delle procedure di sovraindebitamento per eludere norme di responsabilità. Ad esempio, non è ammesso che il socio di una società di persone cerchi di risolvere solo a livello personale i debiti sociali, lasciando la società ancora in attività. Una recente decisione (Trib. Verona, sent. 17 agosto 2025) ha dichiarato inammissibile un concordato minore proposto da un socio illimitatamente responsabile di due S.n.c. non ancora sciolte: egli tentava di includere nella propria procedura anche i debiti delle società, ma così facendo avrebbe di fatto azzerato le responsabilità solidali sancite dal codice civile (art. 2291 c.c.). Il tribunale ha chiarito che, finché la società è in bonis e operativa, dev’essere quest’ultima a cercare una soluzione concorsuale (come un concordato minore collettivo), i cui effetti positivi poi si estendono ai soci. Consentire al singolo socio di “ritagliarsi” i debiti sociali in una procedura individuale violerebbe la par condicio tra creditori e le norme sull’autonomia patrimoniale: un esito inaccettabile. Insomma, la legge favorisce il debitore in difficoltà, ma non permette scorciatoie che compromettano i diritti altrui o aggirino i principi fondamentali. Su questo punto la giurisprudenza è ferma, pur con isolate eccezioni legate a situazioni particolarissime (come società di persone di fatto inattive da tempo, in cui qualche giudice ha comunque aperto la liquidazione su istanza di creditori per sbloccare lo stallo). In linea generale, però, chi vuole uscire dal tunnel dei debiti dovrà farlo senza trucchi, rispettando le regole del gioco.
L’evoluzione normativa e giurisprudenziale delineata fin qui traccia una rotta di speranza per i debitori onesti: oggi più che mai uscire dai debiti è un obiettivo realisticamente raggiungibile. Tuttavia, per sfruttare queste opportunità al meglio, è fondamentale affrontare la situazione con il giusto approccio. “Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”, ammoniva Seneca: nella tempesta dei debiti, occorre fissare la rotta e affidarsi a chi conosce le correnti. In concreto, il primo passo per risollevarsi è non aspettare oltre: prima si interviene, maggiori sono le chance di successo. Chi si trova in grave indebitamento dovrebbe rivolgersi quanto prima a professionisti competenti o a un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) per un’analisi personalizzata del caso. Esistono diverse soluzioni (piano del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata) e capire quale sia la più adatta richiede uno studio attento della posizione debitoria, del patrimonio disponibile e delle cause del dissesto. Con l’aiuto di consulenti esperti si potrà predisporre una strategia su misura: raccolta dei documenti finanziari, predisposizione di un piano di rientro sostenibile, dialogo con i creditori. Una volta presentata la domanda di procedura in tribunale, il debitore beneficia subito di misure protettive – vengono sospesi pignoramenti, interessi e altre azioni esecutive – creando uno “spazio sicuro” dove negoziare la soluzione senza pressioni esterne. Da lì in avanti, seguendo passo passo le indicazioni del professionista e dell’OCC, basterà mantenere un atteggiamento collaborativo e trasparente: i creditori valuteranno la proposta e, se tutto andrà per il verso giusto, si arriverà all’omologazione del piano o all’apertura della liquidazione. Al termine del percorso, per chi avrà rispettato gli impegni e si sarà dimostrato meritevole, arriverà l’agognato decreto di esdebitazione, che cancella i debiti rimasti e consente di ripartire davvero.
In conclusione, il sovraindebitamento non è più una condanna senza appello. Il nostro ordinamento sta armonizzando il favor debitoris con il doveroso rigore selettivo: da un lato si tende la mano al debitore incolpevole per aiutarlo a risollevarsi completamente, dall’altro lo si sprona a fare la propria parte con serietà e correttezza. Chi impara dalla crisi, mette a disposizione tutto il possibile e agisce in buona fede può vedere i propri debiti trasformarsi in un ricordo del passato, senza che ciò rappresenti un torto per alcuno. Se ti trovi sommerso dai debiti ma hai la volontà di uscirne pulito, le soluzioni legali ci sono e funzionano – bisogna solo attivarsi e coglierle per tempo.
Redazione - Staff Studio Legale MP