La scuola dovrebbe offrire opportunità e supporto a tutti gli studenti, a maggior ragione a chi affronta ostacoli aggiuntivi. Eppure, nella pratica quotidiana, non sempre le misure previste per gli alunni con disabilità o con bisogni educativi speciali vengono attuate correttamente. Ciò può portare a situazioni gravi, come bocciature che potevano essere evitate se la scuola avesse fornito tutti gli strumenti di supporto dovuti.
«Non c’è nulla di più ingiusto che fare parti uguali fra disuguali.» – Don Lorenzo Milani
Questa celebre frase ricorda che trattare allo stesso modo situazioni diverse può creare ingiustizia. Ed è proprio il principio che i tribunali italiani stanno ribadendo con forza nelle ultime pronunce sul diritto allo studio inclusivo: le sentenze recenti confermano che se la scuola non adatta la didattica alle esigenze particolari di uno studente, non può poi pretendere di valutarlo con gli stessi criteri degli altri. In questo articolo esaminiamo le novità giurisprudenziali degli anni 2024–2025 in materia di inclusione scolastica, tra ore di sostegno negate e bocciature illegittime, offrendo anche consigli pratici su come tutelare i propri diritti.
“L’arte dell’educazione è l’arte di rendere l’uomo etico” diceva Hegel. Nel nostro ordinamento, il diritto all’istruzione ha rango costituzionale (art. 34 Cost.) e include il diritto allo studio degli studenti con disabilità (art. 38 Cost.). La normativa italiana prevede strumenti specifici per garantire un’istruzione su misura agli alunni con esigenze particolari, affinché possano sviluppare appieno le proprie potenzialità in un ambiente equo.
In particolare, la Legge 5 febbraio 1992 n. 104 sancisce il diritto degli alunni con handicap certificato a forme di integrazione e sostegno. Sulla base di questa legge, ogni studente con disabilità ha diritto a un insegnante di sostegno specializzato che lo affianchi nelle ore scolastiche, in aggiunta ai docenti curricolari. Il numero di ore di sostegno viene stabilito in sede di Piano Educativo Individualizzato (PEI), un documento redatto dal Gruppo di Lavoro Operativo (G.L.O.) in cui scuola, famiglia, specialisti e istituzioni definiscono il progetto formativo dell’alunno disabile. Il PEI individua obiettivi, strategie didattiche e risorse (come appunto le ore di sostegno) necessarie per l’inclusione dell’alunno. L’istituzione scolastica ha l’obbligo di attuare fedelmente quanto previsto nel PEI, senza poter arbitrariamente ridurre le ore di sostegno o omettere gli accomodamenti indicati.
Anche per gli studenti con Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) o altre difficoltà (i cosiddetti BES – bisogni educativi speciali), esistono tutele normative. La Legge 170/2010 dispone che agli alunni con dislessia, disgrafia, discalculia e altri DSA sia garantito un Piano Didattico Personalizzato (PDP). Il PDP è un documento in cui la scuola dettaglia misure compensative e dispensative per aiutare lo studente nell’apprendimento: ad esempio più tempo per le verifiche, verifiche adattate, l’uso di strumenti di supporto (sintesi vocali, calcolatrice, mappe concettuali), interrogazioni programmate e criteri di valutazione adeguati alla specifica difficoltà. Analogamente, dal 2012 il Ministero dell’Istruzione ha esteso l’obbligo di predisporre piani personalizzati a tutti gli alunni con BES (anche temporanei, come problemi di salute, o svantaggio sociale), in virtù della Direttiva Ministeriale 27/12/2012. In poche parole, ogni studente che abbia una condizione che ostacola il rendimento scolastico ha diritto a un percorso personalizzato, documentato da PDP o PEI a seconda dei casi.
Questi strumenti non sono “favori”, ma diritti esigibili. La scuola, una volta riconosciuta la disabilità o il disturbo, deve mettere in campo le misure previste. Se ciò non avviene, o se vengono fornite in modo insufficiente, l’alunno potrebbe trovarsi valutato ingiustamente. Immaginiamo, ad esempio, uno studente dislessico che abbia diritto a verifiche scritte semplificate e maggior tempo: se gli vengono somministrate le stesse prove degli altri in tempi standard, è probabile che otterrà risultati peggiori non per scarso impegno, ma perché non sono state rispettate le sue necessità di apprendimento. Allo stesso modo, uno studente con grave disabilità motoria o cognitiva potrebbe aver bisogno di tutto l’orario di sostegno disponibile; se la scuola gli assegna meno ore di quelle indicate dagli specialisti, lo lascia di fatto senza adeguato supporto per parte delle lezioni, compromettendone il percorso formativo.
Il Ministero e le scuole sono tenuti per legge a garantire il supporto necessario. Un eventuale provvedimento sfavorevole (come una bocciatura) adottato senza aver prima attuato i sostegni dovuti risulta viziato, perché contrario ai principi di correttezza, buon andamento e tutela del diritto allo studio. In questi casi entra in gioco il controllo del giudice: i provvedimenti scolastici possono essere impugnati davanti al Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) competente, che ha giurisdizione sulle controversie riguardanti i servizi pubblici, istruzione compresa. Come vedremo, i TAR negli ultimi anni hanno dimostrato una sensibilità crescente verso queste tematiche, intervenendo spesso a correggere gli errori delle istituzioni scolastiche.
Nel contesto descritto, una delle violazioni più gravi e frequenti è la mancata applicazione del Piano Didattico Personalizzato o del PEI, che può condurre a bocciature ingiuste. I giudici amministrativi hanno affrontato diversi casi emblematici in cui studenti con disabilità o DSA erano stati respinti nonostante la scuola non avesse rispettato gli obblighi di adattamento didattico. Le sentenze del 2024 confermano con chiarezza un principio: non si può bocciare un alunno “fragile” addebitandogli lacune provocate dall’omissione della scuola.
Un caso significativo è quello deciso dal TAR Lazio (Sezione di Latina) con sentenza n. 748/2024. Protagonista, uno studente di liceo affetto da DSA e ADHD, dunque con diritto a misure educative personalizzate. Nel corso dell’anno scolastico, tuttavia, i professori avevano sostanzialmente ignorato quanto previsto dal suo PDP: le verifiche compensative e dispensative indicate dalla certificazione ASL non erano state applicate, né durante l’anno né nei corsi di recupero estivi. In pratica, il ragazzo aveva sostenuto prove identiche a quelle degli altri compagni, senza tenere conto delle sue difficoltà di apprendimento. Inoltre, il suo PDP era risultato inadeguato e non conforme alle indicazioni cliniche: un documento formale ma privo di misure utili. Infine, il Consiglio di Classe aveva perfino violato i criteri fissati dal Collegio docenti, assegnando al ragazzo tre materie da recuperare a settembre invece delle due previste per studenti con problemi di apprendimento. Allo scrutinio, lo studente era stato bocciato per insufficienze in più discipline.
I genitori hanno impugnato la non ammissione davanti al TAR, evidenziando tutte queste mancanze. Il tribunale amministrativo ha dato loro ragione: ha accertato che la scuola non aveva messo lo studente nelle condizioni di apprendere, ignorando le sue necessità educative speciali, e ciò rendeva irragionevole e viziato il provvedimento di bocciatura. Di conseguenza, con la sentenza n. 748/2024, il TAR ha disposto l’annullamento della bocciatura e l’immediata ammissione del ricorrente alla classe successiva. In sostanza, l’anno scolastico perso è stato “restituito” all’alunno, perché l’esito negativo non era dipeso da lui ma dalle omissioni della scuola. Vale la pena notare che il TAR ha compensato le spese di giudizio, riconoscendo la particolarità del caso, ma la decisione segna un punto fermo: bocciare uno studente DSA senza aver applicato il PDP è illegittimo.
Un orientamento analogo emerge da un’altra pronuncia di rilievo, la sentenza n. 1444/2024 del TAR Lombardia. In questo caso, si trattava di una studentessa colpita da sclerosi multipla durante l’anno scolastico. La grave patologia, insorta a inizio 2023, era stata immediatamente comunicata alla scuola, che avrebbe dovuto attivare tutte le misure di supporto previste (in base alla sua condizione la ragazza rientrava nei BES, se non già tra i disabili ex L.104). Purtroppo, l’istituto scolastico si muove con colpevole ritardo: solo a fine maggio, a anno praticamente concluso, redige un PDP per la studentessa, quando ormai molte verifiche erano state affrontate senza alcuna personalizzazione. In quel periodo la scuola aveva attivato soltanto un progetto di istruzione domiciliare durante le prime assenze per terapie, ma nulla di sistematico. Allo scrutinio finale, la ragazza – che aveva riportato quattro insufficienze lievi (alcuni voti 5, appena sotto la sufficienza) – viene non ammessa alla classe successiva.
Anche in questo caso la famiglia ricorre al TAR, lamentando che la bocciatura è ingiusta: la scuola non aveva predisposto per tempo alcun vero supporto né un piano personalizzato nonostante la malattia grave, violando il dovere di inclusione. Il TAR Lombardia, con sentenza n. 1444 del 1 giugno 2024, accoglie il ricorso. Nella motivazione il giudice sottolinea che la normativa tutela non solo gli alunni con DSA certificati, ma tutti gli studenti con bisogni educativi speciali, richiamando la direttiva ministeriale del 27/12/2012 e la L.170/2010. Queste fonti impongono alle scuole di assicurare misure di inclusività anche in presenza di altre difficoltà (come malattie gravi sopravvenute), proprio per evitare che lo studente subisca svantaggi scolastici dalla sua condizione. Nel caso concreto, alla ragazza non era stato garantito alcun vero Piano Didattico Personalizzato tempestivo: redigerlo a fine maggio, a ridosso degli scrutini, è servito a nulla. La bocciatura è risultata perciò illegittima, perché fondata su valutazioni fatte senza gli strumenti compensativi dovuti. Il TAR afferma chiaramente che se le misure fossero state attivate per tempo, gli esiti scolastici avrebbero potuto essere diversi, specie considerando che tre delle quattro insufficienze finali erano di lieve entità (voti 5 su 10, appena sotto la soglia). Anche qui, il verdetto è stato l’annullamento della non ammissione. La studentessa ha avuto diritto a proseguire gli studi senza ripetere l’anno, vedendo riconosciuto ex post quel sostegno che avrebbe dovuto ricevere ex ante.
Queste pronunce, assieme ad altri casi simili (si pensi a TAR Puglia, TAR Lazio Roma, TAR Toscana, tutte intervenute in vicende analoghe), delineano un messaggio univoco: la bocciatura di un alunno con disabilità o BES è illegittima se la scuola non ha prima messo in atto tutti gli interventi di sostegno e personalizzazione necessari. Non conta quante insufficienze abbia formalmente lo studente in pagella: ciò che rileva è se quelle insufficienze sono in parte causate dalla colpa dell’istituzione, che non ha fornito gli strumenti opportuni.
Va aggiunto che, in diversi casi, i TAR hanno adottato provvedimenti cautelari urgenti (decreti o ordinanze) per permettere subito allo studente di proseguire gli studi in attesa della sentenza. Ad esempio, nel caso laziale sopra descritto, già a ottobre il TAR aveva disposto l’ammissione con riserva della ragazza alla classe successiva, consentendole di frequentare mentre il giudizio era in corso. Ciò ha evitato un danno irreparabile (perdere l’anno scolastico). La sentenza finale nel 2025 ha poi confermato definitivamente la promozione. Questo per dire che la giustizia amministrativa, consapevole dei tempi stretti del calendario scolastico, può intervenire con urgenza per salvaguardare immediatamente il diritto allo studio di un alunno, senza attendere i lunghi tempi di una causa ordinaria.
Oltre alle bocciature, un altro tema cruciale per l’inclusione scolastica è il numero di ore di sostegno assegnato agli studenti disabili. Purtroppo, per ragioni di organico o di bilancio, talvolta le scuole (o gli Uffici Scolastici) assegnano meno ore di insegnante di sostegno di quante ne siano state indicate nel PEI. Questo comporta che l’alunno resti privo del supporto specializzato per alcune ore alla settimana, con possibili ricadute negative sul suo apprendimento e sulla sua integrazione in classe.
Anche su questo fronte la giurisprudenza recente è netta: ridurre le ore di sostegno rispetto al PEI è illegittimo. Una sentenza esemplare è la TAR Campania (Napoli), Sez. II, n. 3324/2025. In quel caso, i genitori di un bambino con grave disabilità (riconosciuta ex art. 3 comma 3 L.104/1992) si erano rivolti al giudice dopo aver scoperto che, a fronte di un orario scolastico di 40 ore settimanali, al figlio erano state assegnate solo 12 ore e 30 minuti di sostegno da parte dell’insegnante specializzato. Nel PEI dell’alunno, invece, il Gruppo di Lavoro Operativo (G.L.O.) aveva proposto un supporto ben più ampio, fino alla copertura integrale dell’orario scolastico, in ragione della gravità della patologia e dei bisogni educativi del minore. L’amministrazione scolastica si era difesa sostenendo che il monte ore ridotto era il massimo ottenibile con le risorse di organico disponibili, e che la scuola non poteva richiedere più di 12,5 ore settimanali per quell’alunno.
Il TAR Campania Napoli, con la sentenza n. 3324/2025 (depositata il 22 aprile 2025), ha respinto questa giustificazione e ha dato ragione alla famiglia. Richiamando una propria precedente pronuncia (TAR Campania Napoli, Sez. II, n. 2133/2025 del marzo 2025) e altre decisioni conformi, il tribunale ha ribadito il principio che l’assegnazione delle ore di sostegno non può discostarsi da quanto stabilito dal G.L.O. nel PEI. Se il gruppo tecnico multidisciplinare ha individuato un certo quantitativo di ore come necessario all’alunno, l’amministrazione scolastica non ha discrezionalità di ridurlo unilateralmente. Ogni provvedimento che assegni un monte ore inferiore a quello previsto nel PEI è affetto da eccesso di potere e viola la normativa di tutela dei disabili.
Nella sentenza, il TAR campano ha evidenziato come la normativa vigente – aggiornata dal D.Lgs. 96/2019 e dal recente D.Lgs. 66/2017 (come modificato dal D.Lgs. 96) – abbia rafforzato il carattere vincolante del PEI. In particolare, l’art. 3 comma 5 del D.Lgs. 66/2017 prevede che l’amministrazione “assegna le risorse di sostegno nei limiti dell’organico disponibile”, ma ciò va interpretato alla luce dei principi costituzionali e internazionali che tutelano il diritto allo studio del disabile. Infatti, come ricorda il TAR, la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (ratificata dall’Italia) e la stessa Costituzione impongono allo Stato di rimuovere le barriere che impediscono l’istruzione. Dunque, il limite delle risorse non può tradursi in un pregiudizio per l’alunno disabile: in caso di carenza di organico, spetta al Ministero trovare soluzioni (ad esempio nominare un docente di sostegno aggiuntivo in deroga) per coprire le ore necessarie. Non è lecito scaricare sulla famiglia o sul minore le conseguenze di vincoli di bilancio.
Il TAR Campania, applicando questi principi, ha dichiarato illegittimo l’atto amministrativo che concedeva solo 12,5 ore di sostegno e ha ordinato all’amministrazione di assegnare tutte le ore di sostegno corrispondenti al tempo pieno dell’alunno, come da PEI. Inoltre, nella stessa sentenza, il giudice ha condannato l’Ufficio scolastico a predisporre immediatamente un PEI aggiornato (poiché risultava che la scuola non aveva nemmeno redatto il PEI per l’anno in corso, ulteriore grave omissione) e a risarcire i danni subiti dalla famiglia a causa del mancato sostegno adeguato. Quest’ultimo aspetto è importante: oltre a ordinare di fare ciò che si doveva (dare le ore di sostegno), il TAR ha riconosciuto ai genitori un indennizzo per il periodo in cui il bambino è stato privato del supporto necessario. Significa che l’amministrazione scolastica può essere chiamata a pagare se viola i diritti degli studenti disabili, un forte incentivo a rispettare da subito le norme.
Le decisioni dei TAR in Campania si allineano a numerosi precedenti analoghi in tutta Italia. È bene ricordare che già la Corte Costituzionale, con una storica sentenza (n. 80/2010), aveva dichiarato illegittimi i tagli lineari alle ore di sostegno, affermando che la tutela degli studenti disabili non può essere condizionata da limiti di spesa generali. “In claris non fit interpretatio”: il diritto all’educazione del disabile è chiaro e non ammette riduzioni arbitrarie. I giudici amministrativi di merito hanno tradotto questo principio in casi concreti, ponendo rimedio a situazioni di grave carenza. Ad esempio, il TAR Sicilia e il TAR Calabria in varie pronunce del 2024 hanno anch’essi annullato provvedimenti di assegnazione parziale di ore di sostegno, ordinando il ripristino integrale del monte ore indicato nei rispettivi PEI.
Va segnalata, per completezza, una recente pronuncia del Consiglio di Stato (organo di appello della giustizia amministrativa) che ha fatto discutere perché sembrava discostarsi da questo orientamento: la sentenza n. 7089/2024 del Consiglio di Stato, pubblicata il 12 agosto 2024. In quel caso, si trattava della riduzione delle ore non dell’insegnante di sostegno, ma dell’assistente all’autonomia e comunicazione (una figura di supporto assegnata dai Comuni per aiutare l’alunno disabile nell’integrazione, distinta dal docente di sostegno). Il Comune aveva dimezzato le ore di assistente per motivi di bilancio. Sorprendentemente, il Consiglio di Stato ha ritenuto legittimo questo taglio, confermando la decisione di primo grado che sosteneva come l’obbligo dell’ente locale fosse “nei limiti delle risorse disponibili” e che il diritto all’assistenza scolastica extrasupporto didattico non sarebbe incondizionato. Questa sentenza ha destato preoccupazione, in quanto pareva concedere prevalenza alle esigenze finanziarie sull’inclusione scolastica, in contrasto con l’orientamento costituzionale e con altre pronunce. Si è trattato però di un caso particolare e minoritario. La generalità delle decisioni continua ad affermare che le risorse si devono trovare: summum ius, summa iniuria – applicare rigidamente la logica del bilancio potrebbe portare a un’ingiustizia massima per gli studenti più deboli. Non a caso, subito dopo, altri giudici amministrativi hanno continuato a riconoscere il diritto pieno alle ore di assistenza. Si attendono future evoluzioni, ma per ora il segnale prevalente è che qualsiasi riduzione ingiustificata del sostegno scolastico può e deve essere censurata in sede giudiziaria.
Di fronte a una bocciatura sospetta o a un taglio delle ore di sostegno, cosa possono fare concretamente studenti e genitori? Il primo passo è sicuramente quello di interloquire con la scuola: richiedere per iscritto chiarimenti al Dirigente Scolastico, consultare i documenti (PEI, PDP, verbali del G.L.O.) e capire le motivazioni ufficiali delle decisioni prese. Talvolta, un confronto immediato può portare la scuola a rivedere in autotutela la propria posizione (ad esempio, integrando le ore di sostegno con un insegnante aggiuntivo in deroga, se sollecitata con forza).
Se però l’istituto rimane fermo su posizioni lesive dei diritti dello studente, è fondamentale agire tempestivamente rivolgendosi alla giustizia amministrativa. I provvedimenti come le non ammissioni (bocciature) o le assegnazioni di sostegno sono atti amministrativi a tutti gli effetti, soggetti a impugnazione davanti al TAR entro 60 giorni dalla loro conoscenza ufficiale. Per esempio, il termine per impugnare una bocciatura decorre dalla data di pubblicazione degli scrutini finali o della comunicazione dell’esito scolastico. Sono termini brevi: non bisogna lasciarli decorrere inutilmente sperando in ripensamenti tardivi della scuola.
In situazioni urgenti – tipicamente a settembre, quando sta per iniziare il nuovo anno scolastico e uno studente è rimasto escluso dalla classe successiva – si può richiedere al TAR una sospensiva o un decreto monocratico, evidenziando il rischio di un danno grave e irreparabile (perdere un anno di formazione). Come abbiamo visto, i TAR sono sensibili a questi profili e spesso concedono misure cautelari rapide, riammettendo provvisoriamente l’alunno. È importante allegare al ricorso tutta la documentazione medica e didattica (certificazioni 104 o DSA, copia del PEI/PDP, pagelle, eventuali relazioni degli specialisti) che provi la situazione e le omissioni della scuola.
Nel caso di ore di sostegno insufficienti, è utile raccogliere evidenze come: copia del PEI con l’indicazione delle ore proposte, comunicazioni ufficiali sulle ore assegnate, eventuali diffide inviate al provveditorato. Anche qui, il ricorso va presentato entro 60 giorni dall’atto di assegnazione dell’organico di sostegno. Spesso queste cause si risolvono positivamente, e talvolta l’amministrazione preferisce evitare la soccombenza ampliando le ore dopo aver ricevuto il ricorso (ciò non toglie che sia bene ottenere comunque una sentenza, anche per le spese e per creare precedenti utili).
Poiché si tratta di materie complesse, che intrecciano aspetti pedagogici e giuridici, è fortemente consigliato farsi assistere da un avvocato esperto in diritto scolastico o diritto amministrativo. Un professionista può valutare la specificità del caso, verificare la presenza di vizi di legittimità nel comportamento della scuola e impostare la strategia legale più efficace. Ad esempio, in alcuni casi limite potrebbe convenire anche intraprendere un’azione civile risarcitoria (quando la bocciatura ha causato danni morali o materiali allo studente), oltre al ricorso al TAR per annullare l’atto.
È importante non scoraggiarsi: la legge è dalla parte degli studenti con disabilità e dei loro genitori. Come dimostrano le sentenze citate, chi subisce un’ingiustizia scolastica ha buone possibilità di vederla riparata in giudizio, purché agisca nei tempi e modi giusti. Affrontare un ricorso può sembrare impegnativo, ma i risultati possono cambiare radicalmente la vita scolastica di un ragazzo, restituendogli opportunità che sembravano negate. Inoltre, l’esperienza insegna che spesso, dopo un intervento del TAR, la stessa scuola adotta in futuro maggiori cautele e attenzione nei confronti dell’alunno, migliorandone complessivamente l’integrazione.
“La scuola è aperta a tutti”, recita l’art. 34 della nostra Costituzione. Per gli studenti con disabilità o DSA, questo principio significa che l’istruzione dev’essere realmente fruibile da tutti, abbattendo gli ostacoli che la loro condizione potrebbe frapporre. Le recenti pronunce giudiziarie hanno riaffermato con forza che la scuola inclusiva non è uno slogan, ma un obbligo giuridico. Dai casi di sostegno negato a quelli di valutazioni ingiuste, i tribunali stanno tracciando un confine netto: oltre quella linea c’è l’illegittimità dell’azione amministrativa.
Se da un lato è triste constatare che per vedere rispettati certi diritti fondamentali si debba ricorrere ai giudici, dall’altro il bilancio è confortante: sempre più famiglie decidono di far valere le proprie ragioni e ottengono giustizia. Ciò contribuisce anche a una crescita della cultura dell’inclusione nelle istituzioni scolastiche, che verranno dissuase dal persistere in comportamenti non conformi alla legge.
In definitiva, un alunno con disabilità o disturbi dell’apprendimento non è mai solo: può contare sulla protezione che l’ordinamento gli offre. “Ogni individuo ha diritto all’educazione” proclama la Dichiarazione universale dei diritti umani, e nel nostro sistema questo diritto si declina in piani educativi individualizzati, sostegni, adattamenti valutativi – strumenti concreti per garantire a tutti pari dignità sui banchi di scuola. Quando queste garanzie non vengono rispettate spontaneamente, interviene il giudice a ristabilirle, confermando che la legge è realmente uguale per tutti, anche tra i banchi di scuola.
Avv. Marco Panato, avvocato del Foro di Verona e Dottore di Ricerca in Diritto ed Economia dell’Impresa – Discipline Interne ed Internazionali - Curriculum Diritto Amministrativo (Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Verona).
E' autore di pubblicazioni scientifiche in materia giuridica, in particolare nel ramo del diritto amministrativo. Si occupa anche di docenza ed alta formazione.