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Autovelox non omologati: multe nulle? Le ultime sentenze tra caos e riforme - Studio Legale MP - Verona

Multe da autovelox senza omologazione: quando sono nulle e cosa sta cambiando

Le recenti sentenze della Cassazione nel 2024–2025 hanno acceso un vivace dibattito sulla validità delle multe elevate con autovelox non omologati. Questo articolo analizza il quadro normativo e giurisprudenziale attuale – dalle decisioni contrastanti della Suprema Corte alle iniziative di riforma – per chiarire in quali casi le sanzioni possono essere annullate e quali soluzioni si prospettano per risolvere l’incertezza.

 

Introduzione

«Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?» – Dante Alighieri, Purgatorio XVI. Questa celebre riflessione poetica ben descrive la recente vicenda degli autovelox non omologati. La legge, infatti, da anni prevede espressamente l’obbligo di omologazione per i dispositivi di rilevazione della velocità; eppure, solo di recente il tema è emerso con forza nei tribunali, portando alla luce un vuoto applicativo e interpretativo. Nel biennio 2024–2025 la Corte di Cassazione è intervenuta ripetutamente sulla questione, inizialmente dichiarando nulle le multe elevate con apparecchi privi di omologazione, per poi assistere a un improvviso cambio di rotta in alcune pronunce successive. Il risultato? Un contrasto giurisprudenziale che ha generato incertezza tra gli automobilisti e le amministrazioni, e che ha spinto il legislatore a preparare un intervento correttivo d’urgenza.

In questo articolo esploreremo il quadro normativo di riferimento e le ultime sentenze che hanno fatto discutere, cercando di fare chiarezza su quando le sanzioni da autovelox non omologati possono essere annullate e su quali riforme sono in arrivo per riportare uniformità e certezza del diritto. La vicenda offre anche spunti su come tutelarsi: conoscere i propri diritti è fondamentale per decidere se presentare un ricorso contro una multa automatica ritenuta illegittima. Procediamo con ordine, partendo dalle basi normative e arrivando alle soluzioni prospettate.

 

Omologazione vs approvazione: il quadro normativo

Il Codice della Strada è chiaro nel fissare un principio fondamentale: per costituire prova valida di un eccesso di velocità, le rilevazioni devono provenire da apparecchi “debitamente omologati”. In particolare, l’art. 142, comma 6, C.d.S. stabilisce che “per la determinazione dell’osservanza dei limiti di velocità sono considerate fonti di prova le risultanze di apparecchiature debitamente omologate. Questo significa che la legge distingue tra un dispositivo meramente approvato e uno omologato.

Approvazione: il Ministero delle Infrastrutture (ex Lavori Pubblici) rilascia un decreto di approvazione del prototipo dell’apparecchio, dopo averne verificato la funzionalità di base. È una sorta di autorizzazione all’uso, basata su test tecnici generali. Ad esempio, un autovelox approvato è ritenuto idoneo a rilevare la velocità entro margini di tolleranza (viene applicato automaticamente un 5% di riduzione come margine di errore strumentale).

Omologazione: è un procedimento più rigoroso e approfondito, volto ad accertare la piena conformità dello strumento a tutte le prescrizioni normative e tecniche. In teoria, l’omologazione dovrebbe garantire che l’apparecchio rispetti determinati standard codificati nel regolamento di attuazione (D.P.R. 495/1992). In pratica, l’omologazione implica un “giudizio tecnico” più stringente, volto a certificare l’affidabilità dello strumento ai fini dell’accertamento di polizia stradale.

In altre parole, approvazione e omologazione non sono sinonimi: la prima è un via libera tecnico-amministrativo, la seconda è una certificazione di piena rispondenza a standard normativi. Proprio su questa differenza si gioca la questione giuridica: un autovelox semplicemente approvato ma non omologato può fondare legittimamente un verbale di multa? Fino a poco tempo fa, molti davano per scontato di sì, complici anni di prassi amministrative che non distinguevano i due concetti. Di fatto, fino al 2017 non esisteva nemmeno uno specifico decreto ministeriale sulle procedure di omologazione: il Ministero rilasciava solo decreti di approvazione dei dispositivi, ritenendo implicitamente quella procedura equivalente all’omologazione. Ne è derivata una zona grigia: la norma c’è (art. 142 CdS), ma i dispositivi in circolazione erano solo “approvati” formalmente, non essendovi linee guida chiare per un’omologazione separata.

Questa discrepanza è rimasta latente finché la questione non è esplosa nelle aule giudiziarie. A dare fuoco alle polveri sono state alcune pronunce della Cassazione nel 2024, che hanno interpretato alla lettera la legge: se serve l’omologazione e questa manca, la sanzione deve essere annullata. Vediamo in dettaglio come si è sviluppato questo orientamento e quali reazioni ha provocato.

 

Le sentenze del 2024: la Cassazione richiede l’omologazione

La svolta arriva in primavera 2024. Con l’ordinanza n. 10505/2024, depositata il 18 aprile 2024 (Cass. civ., Sez. II), la Corte di Cassazione ha affrontato il caso di un automobilista multato tramite autovelox privo di omologazione ministeriale. La Suprema Corte ha colto l’occasione per ribadire un principio che definisce “inequivoco”: senza omologazione, le multe per eccesso di velocità sono illegittime. In questa pronuncia la Cassazione chiarisce che l’approvazione di un dispositivo non equivale all’omologazione prescritta dalla legge. Solo quest’ultima – in quanto comporta un controllo tecnico-normativo completo – può dare piena validità agli accertamenti automatizzati.

Nell’ordinanza n. 10505/2024 i giudici sottolineano che il dettato normativo va rispettato: l’art. 142 CdS e l’art. 345 del relativo Regolamento di attuazione richiedono espressamente la previa omologazione. Pertanto un verbale basato su un autovelox “solo approvato” e non omologato risulta viziato e deve essere annullato in sede di opposizione. In altre parole, la Cassazione ha affermato che la semplice taratura periodica e la regolare approvazione ministeriale non bastano a salvare la multa: se manca l’omologazione formale, il verbale è nullo. Si tratta di un’affermazione dirompente, perché mette in dubbio la legittimità di migliaia di sanzioni elevate in tutta Italia con apparecchiature utilizzate da anni solo in virtù di decreti di approvazione.

Questa decisione ha fatto scalpore, rimbalzando nelle aule dei giudici di pace e dei tribunali. Molti ricorsi pendenti per multe analoghe hanno trovato nuovo slancio. Non a caso, appena poche settimane dopo, la Cassazione ha avuto modo di tornare sull’argomento, confermando la linea rigorosa. Con l’ordinanza n. 20913/2024, depositata il 26 luglio 2024 (Cass. civ., Sez. II), la Suprema Corte – nel giudicare il ricorso di un Comune – ha richiamato integralmente la precedente pronuncia di aprile, ribadendo che approvazione e omologazione sono procedimenti diversi e che “è illegittimo l’accertamento eseguito con apparecchio autovelox approvato ma non debitamente omologato”. Anche in questo caso, la multa è stata annullata. La Cassazione ha evidenziato come l’onere di provare la regolare omologazione dello strumento spetti all’amministrazione che emette la sanzione: il Comune deve esibire in giudizio il certificato di omologazione e la documentazione di conformità. In assenza di tali prove, la multa va cancellata.

Le due ordinanze del 2024 (Cass. n. 10505/2024 e Cass. n. 20913/2024) hanno dunque tracciato un orientamento chiaro: le sanzioni da autovelox non omologati sono nulle. Questo orientamento si è subito imposto come “diritto vivente” in molte decisioni di merito, inducendo diversi giudici di pace e tribunali a dar ragione agli automobilisti ricorrenti. Ad esempio, alcune sentenze di giudici di merito (come il Tribunale di Sondrio e altri) hanno annullato verbali proprio richiamando la necessità dell’omologazione. Il principio, del resto, appare conforme al tenore letterale della legge e tutela il diritto dei cittadini alla certezza sul corretto funzionamento degli strumenti di controllo.

Tuttavia, questa nuova linea rigorosa ha anche provocato reazioni preoccupate da parte delle amministrazioni locali e dello stesso Ministero dell’Interno. Se tutte le multe da autovelox “solo approvati” fossero realmente illegittime, si profilava il rischio di un contenzioso di massa e di un vuoto di enforcement delle regole sul traffico. A fine 2024, la questione era ormai esplosiva: i Comuni temevano di dover rimborsare multe e disattivare dispositivi, mentre migliaia di ricorsi fioccavano in tutta Italia. In questo clima, due sviluppi paralleli hanno preso forma: da un lato, il Ministero ha cercato di correre ai ripari con linee guida e circolari; dall’altro, la giurisprudenza ha conosciuto un improvviso revirement all’inizio del 2025, segno di un contrasto interno alla stessa Cassazione.

 

Caos nel 2025: pronunce contrastanti e incertezza

All’alba del 2025, la vicenda ha assunto contorni di incertezza. Da un lato, le pronunce del 2024 continuavano ad essere applicate: anche la Cassazione, con altre decisioni depositate a gennaio e febbraio 2025, ha inizialmente continuato sulla scia del rigore. Si contano in totale almeno sei interventi della Suprema Corte tra aprile 2024 e febbraio 2025 a favore dell’obbligo di omologazione, a dimostrazione di quanto il problema fosse sentito. In particolare, un’ordinanza della Cassazione di metà febbraio 2025 ha confermato “un principio ormai inequivocabile: i dispositivi autovelox devono essere non solo approvati, ma anche omologati per poter essere legittimamente utilizzati” (così si esprime la motivazione, richiamando le precedenti Cass. n. 10505/2024 e n. 20913/2024). In casi esaminati dalla Corte, i verbali sono stati annullati perché il Comune non aveva dimostrato l’esistenza di un decreto di omologazione ministeriale dell’apparecchiatura usata.

Eppure, quasi in contemporanea, un’altra pronuncia ha seminato il dubbio. Con l’ordinanza n. 2857/2025, depositata il 5 febbraio 2025 (Cass. civ., Sez. II), la Cassazione sembra aver cambiato rotta in un caso specifico, ritenendo valida la multa basata su dispositivo approvato e regolarmente tarato, anche in assenza di omologazione. In questa decisione la Corte – pur senza negare l’esistenza del requisito normativo – ha dato rilievo al fatto che l’autovelox in questione disponeva di due autorizzazioni ministeriali e di certificati di taratura annuale, elementi ritenuti sufficienti a garantire la funzionalità dello strumento. In pratica, la Cassazione (con un diverso collegio) ha giudicato non necessario annullare il verbale, sostenendo che approvazione + taratura periodica potessero considerarsi garanzie adeguate di affidabilità, in attesa che il legislatore chiarisse formalmente la questione dell’omologazione. Questa pronuncia rappresenta una sorta di eccezione rispetto al filone precedente e ha subito fatto parlare di contrasto giurisprudenziale.

Come si spiega questo apparente voltafaccia? Molto dipende dal contesto in cui è maturato. Nel gennaio 2025 il Ministero dell’Interno, preoccupato dall’ondata di ricorsi, aveva diramato una circolare (prot. n. 0000995 del 23/01/2025) alle Prefetture, sposando la tesi dell’Avvocatura dello Stato secondo cui approvazione e omologazione, in fondo, sarebbero “procedimenti sostanzialmente identici”. In pratica, il Viminale ha istruito gli organi periferici a sostenere in giudizio che l’art. 142 CdS non va inteso letteralmente, poiché i due termini (approvazione e omologazione) nella prassi coincidono: entrambi mirano a verificare la conformità dello strumento, entrambi sono rilasciati dalla stessa Autorità (Ministero dei Trasporti), ecc. Questo tentativo di smorzare il contenzioso invitava i Prefetti (e i Comuni nei giudizi) a produrre copie dei decreti di approvazione e di documenti tecnici per dimostrare la “sovrapposizione” tra le procedure. È in questo clima che la Cassazione, in febbraio, ha emesso la citata ordinanza n. 2857/2025, che di fatto recepisce – almeno in parte – l’impostazione più indulgente: se il dispositivo è approvato e tarato, la mancanza di omologazione non invalida la multa.

Tuttavia, va sottolineato che tale orientamento “permissivo” non è divenuto maggioritario. Pochi mesi dopo, infatti, la Cassazione è intervenuta nuovamente riaffermando la linea dura. Con l’ordinanza n. 12924/2025, depositata il 14 maggio 2025 (Cass. civ., Sez. II), la Corte ha accolto il ricorso di un automobilista sanzionato a Modena e ha annullato ben tredici verbali basati su autovelox non omologato, sconfessando l’interpretazione lassista. In quella sentenza, molto dettagliata, la Cassazione ribadisce che: (a) l’approvazione del prototipo non basta, serve l’omologazione ministeriale per la validità degli accertamenti; (b) le circolari ministeriali che sostengono il contrario non hanno forza di legge e non possono derogare a un obbligo previsto dalla legge; (c) in caso di mancata omologazione, i verbali sono illegittimi ab origine, indipendentemente dalle tarature effettuate. La Suprema Corte dunque “ribalta l’orientamento” del tribunale locale che aveva ritenuto sufficiente l’approvazione + taratura, e chiarisce definitivamente che l’unica strada è rispettare il dettato normativo: omologazione o multa nulla.

Questa altalena di pronunce ha creato confusione. Di fronte a decisioni di segno opposto, molti giudici di merito non sapevano quale precedenza seguire. Alcuni hanno continuato ad annullare sanzioni in mancanza di prova dell’omologazione; altri, facendo leva sull’ordinanza di febbraio 2025, hanno respinto i ricorsi quando risultava che l’apparecchio era periodicamente tarato e autorizzato dal Ministero. Insomma, fino all’estate 2025 regnava un caos interpretativo: la legge diceva una cosa, ma la sua applicazione dipendeva dalla sensibilità del giudice adito e da quale pronuncia di Cassazione venisse presa a riferimento.

È importante notare che questa incertezza non giustifica comportamenti scorretti o illeciti. Ad esempio, un fornitore di autovelox che aveva installato apparecchi privi di omologazione è finito indagato per frode nelle forniture pubbliche, e la Cassazione penale ha confermato il sequestro di numerosi dispositivi “irregolari” (Cass. pen., sent. n. 10365/2025). In quella sede la Suprema Corte ha ricordato il principio ignorantia legis non excusat: l’ignoranza o la confusione normativa non scusa chi viola la legge. “Ignorantia legis non excusat” – l’ignoranza della legge non scusa – è un monito valido tanto per i privati quanto per le amministrazioni: il caos giurisprudenziale non autorizza comunque a ignorare le prescrizioni di legge a proprio vantaggio. Dunque i Comuni non possono far finta di nulla: finché la questione non sarà risolta, usare dispositivi non omologati espone l’ente al rischio di vedere annullate le sanzioni e persino a possibili profili di responsabilità (si pensi agli eventuali rimborsi dovuti o, come nel caso citato, a implicazioni penali se vi è stata consapevolezza nel fornire strumenti non conformi).

 

Verso la soluzione: intervento legislativo e tutele per i cittadini

Consapevole del problema, il Governo ha deciso di intervenire per sanare il vuoto normativo e le divergenti interpretazioni. Già a fine 2024 era stato istituito un tavolo tecnico interministeriale (coinvolgendo Ministero delle Infrastrutture, Ministero dell’Interno, ANCI e altri enti) per definire criteri chiari di omologazione degli autovelox. I lavori si sono conclusi all’inizio del 2025 con la predisposizione di uno schema di decreto interministeriale. Nel marzo 2025 è stata avviata la procedura di notifica alla Commissione Europea (tramite il sistema TRIS) di questo schema: passaggio necessario trattandosi di norme tecniche su prodotti che circolano nel mercato UE.

Cosa prevede in sintesi la riforma in arrivo? Dalle anticipazioni emerse, il nuovo decreto fisserà requisiti tecnici stringenti per l’omologazione degli strumenti di misurazione della velocità, colmando finalmente quel “buco normativo” lasciato aperto dal 1992. Verranno stabilite procedure uniformi per testare e certificare gli apparecchi, in modo da garantire “la massima affidabilità e precisione delle misurazioni” effettuate dagli autovelox. Importante, inoltre, è che lo schema di decreto renderà automaticamente omologati tutti i dispositivi approvati dal 2017 in poi (poiché conformi ai criteri tecnici già delineati dal DM n. 282/2017). In pratica, il legislatore intende dichiarare ex lege che i modelli di autovelox autorizzati negli ultimi anni soddisfano i nuovi standard di omologazione – una sorta di “sanatoria tecnica” – e prevedere un regime transitorio per adeguare eventuali apparecchi più datati. Questo dovrebbe far sì che, una volta in vigore il decreto, non ci siano più dubbi sulla regolarità degli strumenti attualmente utilizzati su strade e autostrade. Si rimedierebbe così a monte all’annosa distinzione, ponendo fine alle contestazioni basate sulla mancanza di omologazione.

Nel frattempo, va segnalato che proprio l’eco delle pronunce della Cassazione ha prodotto un effetto positivo: un controllo più rigoroso da parte delle amministrazioni. Molti Comuni hanno iniziato a verificare la documentazione dei propri autovelox, alcuni hanno sostituito apparecchi obsoleti o privi di alcuna certificazione, e in generale vi è maggiore attenzione a rispettare le prescrizioni (come le tarature periodiche obbligatorie, in ottemperanza anche alla sentenza della Corte Costituzionale n. 113/2015 che impone la verifica annuale di funzionamento). Dunque, paradossalmente, il “giro di vite” giurisprudenziale ha accelerato la soluzione del problema: ha costretto tutti gli attori – giudici, Ministeri, enti locali – a prendere atto dell’anomalia e a intervenire.

 

Cosa può fare il cittadino?

In questa fase di transizione, chi riceve una multa per eccesso di velocità da autovelox potrebbe chiedersi come comportarsi. Innanzitutto, è bene controllare il verbale: spesso esso indica il tipo di apparecchiatura utilizzata e gli estremi dell’approvazione ministeriale. Se si sospetta che l’autovelox non abbia un’omologazione (evenienza molto probabile, dato che finora nessun dispositivo di ultima generazione è passato per un distinto procedimento di omologazione), il cittadino ha la possibilità di presentare ricorso. Due sono le vie: ricorso al Prefetto entro 60 giorni, oppure ricorso al Giudice di Pace entro 30 giorni dalla notifica della multa. Alla luce della giurisprudenza recente, il punto chiave del ricorso consisterà nel contestare la mancanza di omologazione dell’apparecchio e quindi la violazione dell’art. 142 CdS. Nel giudizio, spetterà all’amministrazione provare il contrario, esibendo un valido certificato di omologazione; prova che, allo stato attuale, spesso non esiste. Molti giudici di pace, in scia alle sentenze della Cassazione 2024–2025, stanno accogliendo ricorsi di questo tipo, annullando i verbali e conseguentemente le sanzioni (pecuniarie e accessorie come i punti patente).

Va detto però che l’esito non è garantito al 100%: data la citata ordinanza “contraria” di febbraio 2025, qualche tribunale potrebbe respingere il ricorso ritenendo sufficiente l’approvazione + taratura. Inoltre, se nel frattempo entrerà in vigore il nuovo decreto che equipara approvazione e omologazione per i dispositivi recenti, è possibile che i giudici ne tengano conto anche per le cause pendenti (interpretando retroattivamente la volontà del legislatore). Insomma, conviene valutare caso per caso con l’assistenza di un legale esperto in materia di codice della strada. Importante è agire tempestivamente, rispettando i termini di impugnazione, senza attendere troppo: una volta pagata la multa o decorso il termine di legge, non sarà più possibile far valere successivamente l’illegittimità del verbale.

In ogni caso, l’intervento normativo imminente dovrebbe riportare la certezza del diritto. Nel prossimo futuro, gli automobilisti sapranno con chiarezza che i controlli di velocità sono svolti con apparecchi regolarmente omologati secondo standard uniformi – e quindi le sanzioni saranno difficilmente attaccabili sotto questo profilo. Dall’altro lato, le amministrazioni potranno continuare a usare la tecnologia per sanzionare gli eccessi di velocità senza temere l’annullamento sistematico dei verbali per motivi formali. L’obiettivo ultimo è quello di coniugare il diritto alla difesa del cittadino con l’esigenza pubblica di sicurezza stradale: regole chiare sugli strumenti di accertamento significano meno contenziosi e più fiducia nel sistema.

 

Conclusioni

La vicenda degli autovelox non omologati evidenzia quanto sia delicato l’equilibrio tra tecnica e diritto. Un dettaglio apparentemente burocratico – l’omologazione formale di un dispositivo – ha generato un effetto domino di proporzioni enormi: migliaia di multe potenzialmente nulle, orientamenti giurisprudenziali ondivaghi, enti locali in allarme per le mancate entrate e la validità dei controlli su strada. Come spesso accade, è servito l’intervento della magistratura per portare all’attenzione generale un problema trascurato. La Cassazione, con le sue pronunce nel 2024–2025, ha suonato un campanello d’allarme: le regole vanno rispettate alla lettera, altrimenti “giustizia ritardata è giustizia negata” anche in materia di sanzioni amministrative (in questo caso, potremmo dire “controllo carente è giustizia carente”).

Fortunatamente, il sistema ha reagito. Le soluzioni normative sono in cammino e presto dovrebbero mettere fine al contenzioso, ripristinando un terreno comune: apparecchi debitamente certificati e multe legittimamente elevate. Fino ad allora, i cittadini hanno strumenti di tutela di cui approfittare in caso di verbali dubbi, e possono far valere i propri diritti nelle sedi opportune. La legge esige precisione – e questo caso lo conferma – ma la stessa precisione è richiesta a chi applica la legge, per evitare che l’automobilista subisca un pregiudizio da eventuali lacune procedurali.

In definitiva, conoscere le ultime novità su questo tema è fondamentale: sia per chi vuole contestare una multa da autovelox, sia per gli operatori del diritto chiamati a districarsi tra sentenze e circolari. L’auspicio è che la riforma annunciata porti finalmente chiarezza, trasformando il “caos autovelox” in un ricordo e rafforzando la fiducia dei cittadini nella giustezza delle sanzioni stradali. Nel frattempo, rimane consigliabile affidarsi a professionisti esperti per valutare ogni singolo caso e agire di conseguenza.

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  • 09 settembre 2025
  • Marco Panato

Autore: Avv. Marco Panato


Avv. Marco Panato -

Avv. Marco Panato, avvocato del Foro di Verona e Dottore di Ricerca in Diritto ed Economia dell’Impresa – Discipline Interne ed Internazionali - Curriculum Diritto Amministrativo (Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Verona).

E' autore di pubblicazioni scientifiche in materia giuridica, in particolare nel ramo del diritto amministrativo. Si occupa anche di docenza ed alta formazione.