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Abusi edilizi: tra rigore e sanatoria nelle nuove pronunce - Studio Legale MP - Verona

La giurisprudenza recente ridefinisce i confini tra demolizione e legittimazione delle opere edilizie, bilanciando la dura lex sed lex con la tutela dell’affidamento del cittadino

 

Permesso implicito: i disegni valgono come autorizzazione
Le più recenti pronunce amministrative introducono un’importante apertura a favore del proprietario onesto: se un elemento edilizio è chiaramente rappresentato nei disegni allegati a un permesso di costruire, esso si considera implicitamente autorizzato. In altre parole, ogni parte dell’opera disegnata e approvata nei grafici progettuali viene inclusa nello stato legittimo dell’immobile. Questo principio, affermato dal Consiglio di Stato (sent. n. 7992/2025 del 13 ottobre 2025), ha portato ad annullare un’ordinanza di demolizione comunale: l’ente locale aveva ritenuto abusivo un vano (una cucina di servizio per un esercizio commerciale) non menzionato espressamente nel testo del permesso, ma la Corte ha verificato che quel vano compariva nelle tavole progettuali approvate. Di conseguenza, esso non poteva essere dichiarato illegittimo senza prima rimuovere il titolo edilizio che lo legittimava. La sentenza ha ribadito che un manufatto conforme a un permesso vigente rientra nello stato legittimo e non può essere demolito se non previa formale annullamento in autotutela di quel permesso (come previsto dall’art. 21-nonies L. 241/1990). Il messaggio ai Comuni è chiaro: prima si annulla il titolo viziato, poi eventualmente si sanziona l’opera. Questa interpretazione riconosce un effetto “sanante” implicito all’ultimo titolo abilitativo, evitando che errori o omissioni formali ricadano sul cittadino che ha costruito in buona fede seguendo un progetto autorizzato. Si tratta di un orientamento innovativo rispetto al passato, in cui spesso prevaleva una lettura più restrittiva: ora la documentazione progettuale approvata fa piena prova della legittimità delle opere in essa indicate, salvo che l’amministrazione dimostri e annulli un vizio originario del permesso.

Pertinenze o nuovi volumi? Rigore verso le trasformazioni
Accanto a tali aperture, la giurisprudenza mantiene però una linea rigorosa contro quegli interventi che, sotto l’apparenza di piccole modifiche, creano in realtà nuovi spazi o aumenti di volume senza autorizzazione. Un esempio emblematico viene da Cons. Stato, Sez. III, sent. n. 7486/2025 (24 settembre 2025): il caso riguardava alcune opere realizzate sul lastrico solare di un condominio (un locale veranda di circa 21 mq adibito a studio con annesso bagno e disimpegno, oltre a una piccola doccia esterna e un vano caldaia). In primo grado il TAR aveva giudicato queste aggiunte come semplici pertinenze, assoggettabili al massimo a sanzione pecuniaria. Tuttavia, in appello il Consiglio di Stato ha rovesciato la decisione, chiarendo un importante principio: in urbanistica il concetto di pertinenza è molto più ristretto rispetto a quello civilistico e vale solo per opere di modesta entità, prive di autonomia funzionale e che non comportino alcun incremento del carico urbanistico. Nel caso concreto, la cosiddetta “veranda” costruita sul terrazzo era grande, stabilmente infissa e atta a costituire un nuovo locale abitativo, comportando aumento di volumetria e modifica del prospetto dell’edificio. Altro che pertinenza innocua: si trattava di una trasformazione edilizia rilevante, realizzata senza permesso di costruire. I giudici hanno quindi ritenuto legittimo l’ordine di demolizione, sottolineando come “dura lex, sed lex” – la legge è dura ma va applicata – quando un intervento abusivo altera consistenza e sagoma dell’immobile. Neppure l’argomento difensivo secondo cui le opere risalivano a prima del 1967 (anno oltre il quale gli immobili all’interno dei centri abitati necessitavano di licenza) ha potuto salvare i proprietari: mancando prove documentali solide della realizzazione in epoca così risalente e non risultando le opere nel vecchio titolo edilizio del 1963, l’obbligo di permesso non poteva dirsi superato. Insomma, chi crea nuovi spazi senza autorizzazione va incontro alla linea dura: demolizione e ripristino dello stato dei luoghi, senza sconti. La legge infatti considera questi interventi come nuovi manufatti abusivi a tutti gli effetti, non come semplici migliorie accessorie. L’obiettivo della giurisprudenza, in tal senso, è scoraggiare il fenomeno dell’“abusivismo di fatto” – piccole o grandi opere costruite sperando in future sanatorie – ribadendo che solo gli interventi davvero minori e strumentali (coessenziali a un edificio principale, di dimensioni ridotte e senza impatto urbanistico) possono evitare la demolizione, venendo semmai sanzionati con una multa.

Annullamento tardivo: tolleranza zero per l’inganno
Un’altra questione cruciale emersa nelle decisioni del 2025 è fino a che punto l’amministrazione possa intervenire a posteriori per annullare un titolo edilizio viziato, oltre i ristretti termini temporali ordinari, quando siano state fornite dichiarazioni infedeli o incomplete. Su questo fronte, i giudici hanno lanciato un monito severo a chi tenta di aggirare la normativa con omissioni o falsità: “chi pratica l’inganno tesse una trama in cui finirà impigliato”. «Oh quale intricata rete tessiamo quando iniziamo a ingannare.» – Walter Scott. Questo concetto è stato applicato nella vicenda decisa da Consiglio di Stato, sent. n. 6891/2025 (depositata il 4 agosto 2025), in cui un permesso edilizio in realtà era inficiato dalla rappresentazione non veritiera dei fatti ad opera del privato richiedente. Nel caso specifico, era stata presentata una SCIA per lavori di manutenzione straordinaria in un edificio ad uso misto (commerciale al piano terra, residenziale al primo piano). Solo dai grafici finali dei lavori l’ente comunale aveva scoperto l’esistenza di una scala interna aggiuntiva, mai menzionata nelle relazioni tecniche e per di più priva delle necessarie autorizzazioni sismiche e del collaudo statico. In pratica il progettista e il committente avevano “dimenticato” di dichiarare un’opera strutturale rilevante, creando un vulnus potenziale alla sicurezza dell’edificio aperto al pubblico. Di fronte a questa scoperta, il Comune era intervenuto ben oltre i 12 mesi canonici, annullando d’ufficio il titolo formatisi con la SCIA. Ebbene, il Consiglio di Stato ha giudicato legittimo l’annullamento in autotutela tardivo, proprio perché la situazione era stata alterata artatamente dal privato: la legge (art. 21-nonies L. 241/1990, comma 2-bis) consente di superare il limite temporale dell’autotutela quando il provvedimento favorevole è stato ottenuto mediante false rappresentazioni dei fatti, anche senza condanna penale, se la non veridicità emerge chiaramente dagli atti. In questo scenario, prevale l’interesse pubblico superiore: la tutela della sicurezza e della legalità giustifica il ritiro del titolo fraudolento in qualunque momento. I giudici hanno evidenziato come la seconda scala, non dichiarata ma visibile nei disegni, costituisse un pericolo potenziale per l’incolumità pubblica, dato che mancavano i controlli strutturali. Quando c’è di mezzo la sicurezza, insomma, nessun affidamento può dirsi legittimo: chi ha taciuto informazioni essenziali non può invocare la stabilità del titolo edilizio ottenuto con l’inganno. Questa sentenza suona da avvertimento: il tempo non salva l’abuso nascosto, e anzi chi confida di farla franca col trascorrere dei mesi rischia provvedimenti ancora più severi appena la verità viene a galla. In sede di giudizio, infatti, è emerso che la difformità non era una semplice svista progettuale ma un vero travisamento della realtà, sufficiente a *fuorviare l’istruttoria dell’ente pubblico. Pertanto l’annullamento, sebbene emanato a distanza di anni (SCIA del 2006 annullata nel 2019!), è stato confermato come legittimo e doveroso. Si tratta di un indirizzo giurisprudenziale che da tempo andava consolidandosi e che ora riceve piena conferma: il limite annuale per l’autotutela vale solo finché l’errore non è colpa del privato; diversamente, in caso di frode o mendacio, la P.A. può riprendersi in mano il procedimento e correggere anche molto tempo dopo, per scongiurare situazioni di pericolo o di illegittimità sostanziale. Chi ottiene un permesso “dicendo mezze verità” dunque lo fa a proprio rischio: l’aspettativa di mantenere l’opera non reggerà se l’amministrazione scopre l’inganno e decide di intervenire per ripristinare la legalità.

Equilibrio tra legalità e seconde chance
Dal complesso di queste pronunce emergono chiaramente due poli. Da un lato, tolleranza zero verso l’abusivismo consapevole: le opere rilevanti eseguite senza titolo devono essere rimosse, e i permessi ottenuti con l’inganno possono essere cancellati anche a distanza di anni. Il principio dell’interesse pubblico – la tutela del territorio, della sicurezza e del corretto sviluppo urbanistico – prevale sempre di fronte a chi costruisce violando la legge o aggirando le regole. Dall’altro lato, però, i giudici riconoscono il valore dell’affidamento del cittadino nelle istituzioni: chi ha operato nella convinzione di essere in regola, facendo affidamento su atti autorizzativi validi, non va penalizzato oltre misura per cavilli formali o per cambi di orientamento successivi. In questo senso si inserisce il riconoscimento della “sanatoria implicita”: se un elemento è presente nei disegni approvati di un permesso, quell’elemento fa parte integrante dell’autorizzazione, anche se non esplicitato altrimenti. L’effetto pratico è evitare che vengano colpite opere regolarmente inserite in progetto (magari per dimenticanza di menzione testuale), garantendo così stabilità ai titoli edilizi rilasciati e certezza al diritto. Questo equilibrio tra rigore e comprensione trasmette un messaggio importante: la legalità urbanistica non è cieca punizione, ma neppure indulgenza indiscriminata. Le nuove tutele vanno a favore del proprietario onesto e trasparente, che documenta tutto e rispetta le regole, mentre si inaspriscono le conseguenze per chi prova a fare il furbo. In conclusione, per chi opera in edilizia il 2025 segna un rafforzamento sia delle garanzie (per chi agisce correttamente) sia dei controlli (verso chi trasgredisce): “firmum est jus, et vel durius applicandum”, la legge è ferma e va applicata anche con severità, ma sa anche proteggere i diritti acquisiti in buona fede. L’auspicio è che questi orientamenti stimolino comportamenti più virtuosi: meglio presentare progetti completi e veritieri sin dall’inizio, evitando di incorrere in sanzioni future, e allo stesso tempo confidare che un permesso ottenuto lecitamente rimanga un porto sicuro che lo Studio Legale MP può aiutare a difendere

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  • 21 novembre 2025
  • Redazione

Autore: Redazione - Staff Studio Legale MP


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