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Vaccini – indennizzi per danni e tutele legali - Studio Legale MP - Verona

Cosa succede se un vaccino causa danni? La legge garantisce un indennizzo statale ai danneggiati, e recenti sentenze ampliano le tutele: anche le vaccinazioni non obbligatorie rientrano nell’indennizzo, i termini per richiederlo decorrono più tardi e, in caso di mancato consenso informato, scatta il risarcimento. Vediamo come funzionano queste protezioni e come ottenere giustizia

 

Indennizzo per danni da vaccino: cos’è e chi ne ha diritto

In Italia esiste uno specifico indennizzo statale per le persone che abbiano riportato lesioni o infermità permanenti a causa di vaccinazioni. Questa tutela è prevista dalla legge n. 210/1992, nata per offrire un sostegno economico in casi di complicanze gravi da vaccini obbligatori, trasfusioni di sangue infetto e somministrazione di emoderivati. L’indennizzo consiste in un assegno non tassabile, erogato in rate bimestrali vita natural durante, oltre a un’eventuale somma integrativa una tantum, ed è cumulabile con pensioni o altre prestazioni assistenziali. Si tratta di una misura di solidarietà sociale, dovuta indipendentemente da ogni accertamento di colpa: anche in assenza di responsabilità medica o difetti del vaccino, lo Stato si fa carico di indennizzare il cittadino danneggiato pro bono publico, riconoscendo che il sacrificio individuale (il danno alla salute) è avvenuto nell’interesse della collettività (la prevenzione delle malattie).

Per ottenere l’indennizzo, l’interessato deve presentare una domanda amministrativa al Ministero della Salute (tramite la ASL competente), corredata da documentazione medica, entro 3 anni dal momento in cui la lesione si è manifestata (o 10 anni in caso di decesso della persona vaccinata). Questo termine di tre anni è stabilito proprio dall’art. 3 comma 1 della legge 210/1992. In caso di diniego o silenzio del Ministero, è possibile ricorrere in sede giudiziaria (generalmente davanti alla Corte d’Appello o in alcuni casi al Tribunale in funzione di giudice del lavoro) per far valere il proprio diritto. Importante: l’indennizzo in questione non equivale a un risarcimento integrale del danno, ma è una somma predeterminata per legge, uguale per tutti i casi (con importi aggiornati annualmente in base al tasso di inflazione) e volta a garantire un minimo sostegno economico. Chi subisce un danno da vaccino, dunque, può percorrere due strade parallele: da un lato chiedere l’indennizzo statale, dall’altro – se vi sono i presupposti – agire per il risarcimento del danno in sede civile nei confronti dei responsabili (ad esempio il Ministero della Salute, l’azienda sanitaria o il produttore del vaccino), al fine di ottenere il ristoro completo di tutte le conseguenze subite. Si tratta di due tutele diverse: l’indennizzo ha natura assistenziale e prescinde da colpe, mentre il risarcimento presuppone un illecito o una responsabilità e punta a coprire per intero il danno subito. Vediamo ora quali novità sono emerse tra 2024 e 2025 su entrambi questi fronti, grazie a importanti pronunce dei giudici.

Vaccini raccomandati ora inclusi nell’indennizzo (Cass. civ., Sez. Lav., ord. n. 16875/2024)

Originariamente, la legge 210/1992 riconosceva l’indennizzo solo per i danni da vaccinazioni obbligatorie. Ciò significava che, se un vaccino non era previsto come obbligatorio per legge o per ordinanza sanitaria, un eventuale danno non dava diritto all’indennizzo statale. Negli anni però la Corte Costituzionale è più volte intervenuta per ampliare la platea dei beneficiari, dichiarando illegittima questa distinzione. Già nel 2012 la Consulta aveva incluso i vaccini raccomandati contro morbillo, parotite e rosolia (sent. n. 107/2012), e successive pronunce hanno esteso la tutela anche ad altri trattamenti non obbligatori ma raccomandati nell’interesse pubblico (come ad esempio il vaccino antipolio Sabin orale, con sent. n. 423/2000). Più recentemente, con la riforma sui vaccini del 2017, il legislatore ha reso obbligatorie alcune vaccinazioni infantili e contestualmente ne ha raccomandate altre. In particolare, il vaccino antimeningococco inizialmente inserito tra gli obbligatori fu poi declassato a raccomandato in sede di conversione di legge (D.L. 73/2017 conv. in L. 119/2017). Questo ha generato dubbi interpretativi sulla copertura dell’indennizzo.

Un caso emblematico riguarda un bambino che nel 2008 riportò gravi lesioni permanenti dopo la vaccinazione antimeningococcica, allora non obbligatoria ma raccomandata. La Corte d’Appello di Brescia aveva riconosciuto comunque l’indennizzo, interpretando in modo costituzionalmente orientato la legge. Investita della questione, la Corte di Cassazione ha inizialmente sollevato un dubbio di legittimità costituzionale sulla mancata previsione dell’indennizzo per i vaccini raccomandati – questione che però la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile (sent. n. 129/2023), evidenziando che nel frattempo la normativa era cambiata inserendo un’apposita clausola di estensione. Infatti, l’art. 5-quater del D.L. 73/2017 stabilisce espressamente che le disposizioni della legge 210/1992 si applicano a tutte le vaccinazioni indicate nell’art. 1 di quel decreto, includendo dunque non solo quelle obbligatorie ma anche quelle semplicemente consigliate (come meningococco C e B, pneumococco, rotavirus, etc.). Tale norma ha efficacia retroattiva.

Recependo questo quadro, la Cassazione – Sezione Lavoro – con l’ordinanza n. 16875 del 19 giugno 2024 ha finalmente sancito in modo chiaro che anche le vaccinazioni raccomandate danno diritto all’indennizzo previsto dalla legge. Nel caso specifico, è stato respinto il ricorso del Ministero della Salute e confermata la condanna a indennizzare il minore danneggiato dal vaccino antimeningococco. Questo principio vale in generale: oggi chi subisce una menomazione permanente da un vaccino non obbligatorio ma raccomandato (ad esempio vaccini pediatrici raccomandati, antinfluenzale in soggetti a rischio, anti-Covid quando era raccomandato per certe fasce d’età, ecc.) può accedere all’indennizzo statale alle stesse condizioni di chi ha avuto danni da un vaccino obbligatorio. Si tratta di un importante avanzamento della tutela, in nome del principio di equità: non vi sono ragioni per trattare diversamente chi si è vaccinato per dovere legale e chi lo ha fatto per responsabilità civica seguendo le indicazioni sanitarie. In entrambi i casi il cittadino ha confidato nella protezione vaccinale per il bene proprio e della collettività, e quindi merita sostegno se ha subìto un evento avverso grave.

 

Quando decorre il termine per chiedere l’indennizzo: la prescrizione pro malato (Cass. civ., Sez. Lav., sent. n. 23590/2025)

Come accennato, la legge impone di presentare la domanda di indennizzo entro tre anni dal momento in cui “si è manifestato il danno”. Ma cosa significa esattamente questo momento di decorrenza? In alcuni casi, infatti, il danneggiato potrebbe scoprire solo successivamente che la sua patologia è dovuta al vaccino, oppure – come successo per alcuni vaccini non obbligatori – la legge che riconosce il diritto all’indennizzo entra in vigore quando il termine sarebbe già scaduto. Applicare rigidamente la prescrizione in tali situazioni porterebbe a escludere persone che, in buona fede, non avevano potuto attivarsi in tempo perché ignoravano l’esistenza del diritto. Summum ius, summa iniuria – il massimo rigore del diritto può talvolta sfociare in ingiustizia. Per evitare questi esiti, la giurisprudenza ha abbracciato un principio di favore verso il cittadino: “contra non valentem agere non currit praescriptio”, ovvero il tempo della prescrizione non corre contro chi non è in grado di agire.

Una tappa fondamentale è la sentenza della Corte Costituzionale n. 35/2023, che ha affrontato il caso di una bimba danneggiata da un vaccino non obbligatorio (il morbillo) i cui genitori avevano presentato domanda oltre il triennio, ma prima che una sentenza del 2012 rendesse quel vaccino indennizzabile. La Consulta ha affermato che il termine di tre anni inizia a decorrere solo da quando l’interessato è consapevole non solo del danno, ma anche della indennizzabilità di quel danno. In altre parole, se al momento della scadenza dei tre anni la legge (o una sentenza) ancora non prevedeva il diritto all’indennizzo per quello specifico caso, la prescrizione non può iniziare a consumarsi; il termine parte invece da quando viene riconosciuto il diritto e il danneggiato può materialmente esercitarlo. Questa interpretazione evita ingiustificate decadenze e garantisce l’effettività della tutela.

Sulla scia di questo orientamento, la Corte di Cassazione ha ulteriormente ribadito il concetto con una recente pronuncia del 2025. In particolare, la Cass. civ., Sez. Lavoro, sentenza n. 23590 del 20 agosto 2025 ha stabilito che ai fini del termine triennale di prescrizione per richiedere l’indennizzo ex lege 210/92 non rileva solo la conoscenza del danno, ma anche la conoscenza della sua indennizzabilità. Pertanto, il “dies a quo” (giorno iniziale) del termine coincide con il momento in cui il danneggiato ha avuto piena conoscenza sia della patologia causata dal vaccino sia del fatto che per tale patologia esiste il diritto all’indennizzo riconosciuto dalla legge. Questo significa, ad esempio, che se una persona ha riportato un danno da vaccino Covid-19 nel 2021 ma la legge che ha esteso l’indennizzo a tutti i danneggiati da vaccino anti-Covid è entrata in vigore nel 2022 (si pensi al DL 4/2022), il termine di tre anni partirà dal 2022 e non dal 2021. Analogamente, chi ha subito un danno da vaccino raccomandato prima del 2017 (anno in cui la normativa ha incluso i vaccini raccomandati) non sarà considerato decaduto se presenta richiesta entro tre anni da quando, a seguito delle pronunce costituzionali e del 2017, ha avuto concreta possibilità di chiedere l’indennizzo. Questa interpretazione “pro-malato” è stata ora pienamente accolta, mettendo al riparo i cittadini da perdite di diritti dovute a mere questioni temporali di conoscenza.

In sintesi, oggi la prescrizione per l’indennizzo decorre in modo favorevole al danneggiato: conta il momento in cui egli viene a sapere (o avrebbe potuto sapere con ordinaria diligenza) sia del danno da vaccino sia della esistenza del diritto all’indennizzo per quel danno. Questo garantisce una finestra temporale equa per attivarsi, evitando che chi ha scoperto tardi la causa vaccinale della propria malattia o chi è stato inizialmente escluso dalla legge resti privo di tutela. Ovviamente ciò non significa che il termine sia indefinito: una volta riconosciuto il diritto e noto il nesso causale, è importante muoversi tempestivamente e presentare la domanda entro i tre anni successivi.

 

Indennizzo e risarcimento: nessuna compensazione sul danno temporaneo (Cass. civ., Sez. III, ord. n. 4415/2024)

Come accennato, ottenere l’indennizzo statale non preclude la possibilità di agire per il risarcimento integrale del danno nei confronti dei responsabili (ad esempio il Ministero della Salute, nel caso di omessa vigilanza su lotti di vaccino difettosi, oppure l’azienda farmaceutica se il prodotto era viziato, o ancora l’azienda sanitaria locale per omessa informazione o errore nella somministrazione). In tali cause di responsabilità civile, però, si pone il problema di come coordinare l’indennizzo già erogato con il risarcimento da liquidare: il danneggiato può cumulare entrambe le somme? Oppure l’indennizzo va “scomputato” (detratto) dall’ammontare del risarcimento, per evitare duplicazioni? Su questo tema si è formato un orientamento giurisprudenziale che applica il principio della compensatio lucri cum damno: in generale, quando un danneggiato riceve una somma a titolo indennitario o assicurativo per lo stesso fatto dannoso, tale importo va sottratto dal risarcimento dovuto dal responsabile, al fine di evitare che la vittima ottenga più di quanto è il suo effettivo danno (arricchendosi ingiustamente). Anche l’indennizzo ex lege 210/92 rientra in questa logica, in quanto volto a ristorare (seppur parzialmente) il medesimo pregiudizio oggetto poi dell’azione civile.

Tuttavia, occorre distinguere quali voci di danno copre l’indennizzo. La legge 210/92, infatti, concede l’indennizzo solo in presenza di una menomazione permanente dell’integrità psicofisica conseguente a vaccinazione. Il parametro per concederlo è dunque l’esistenza di un danno biologico permanente. Nulla invece viene corrisposto per il periodo di malattia temporanea, ovvero per la sofferenza e la invalidità patita dal momento dell’evento avverso fino alla stabilizzazione (guarigione o stabilizzazione dell’infermità). Nei giudizi civili, invece, il risarcimento del danno biologico copre sia la invalidità permanente sia la invalidità temporanea, generalmente quantificando quest’ultima su base giornaliera per il periodo in cui la persona è stata in convalescenza o incapacità temporanea.

Ebbene, con l’ordinanza n. 4415 del 19 febbraio 2024 la Suprema Corte (Sez. III civile) ha affermato un principio molto preciso: quando si liquida il risarcimento del danno in giudizio, l’indennizzo ex lege 210/92 deve essere detratto solo rispetto alla componente di danno permanente, ma non rispetto al danno biologico temporaneo.. La Corte evidenzia infatti che l’indennizzo statale è calcolato e riconosciuto unicamente in funzione della menomazione permanente subita dal danneggiato, mentre il risarcimento copre anche il periodo di invalidità temporanea. Si tratta di due pregiudizi diversi, pur derivando dal medesimo fatto lesivo. Dunque, non c’è rischio di “doppio pagamento” su quella specifica voce di danno, perché lo Stato non ha mai indennizzato i giorni di malattia temporanea: ha indennizzato solo la disabilità permanente. Quindi, se un Tribunale in una causa per sangue infetto, ad esempio, riconosce 100 come risarcimento per la invalidità permanente e 20 per la invalidità temporanea, e il danneggiato ha già ottenuto dallo Stato 100 di indennizzo, il giudice dovrà sottrarre quei 100 dal risarcimento permanente (evitando duplicazione su quel punto), ma non potrà sottrarre nulla dalla voce di 20 relativa alla temporanea, perché l’indennizzo non aveva mai coperto quei 20. In pratica, al danneggiato spetterà ancora 20 come risarcimento ulteriore.

La Cassazione ha così chiarito che la compensazione tra indennizzo e risarcimento non va fatta in modo generico sull’intero importo, ma in modo mirato sulle singole poste di danno. Il risultato è favorevole per i danneggiati, che potranno cumulare l’indennizzo statale con il risarcimento delle componenti di danno non coperte dall’indennizzo stesso. Questo principio era già stato affermato in precedenza per altri tipi di indennità, ma la pronuncia del 2024 lo esplicita chiaramente per i casi di indennizzo da emotrasfusioni e vaccini, con enunciazione di un principio di diritto destinato a guidare le future decisioni. In sostanza, l’indennizzo non “sconta” il risarcimento del danno temporaneo: chi fa causa per ottenere il pieno ristoro dei danni potrà vedersi detratto quanto già ricevuto dallo Stato solo sulla parte di invalidità permanente, evitando però che tale detrazione intacchi il risarcimento di altri pregiudizi (giorni di malattia, sofferenza temporanea, spese, danni morali, ecc.). Ciò è equo, perché il risarcimento mira a coprire tutto il danno effettivo subito dalla vittima, mentre l’indennizzo era parziale e specifico. Si evita in tal modo un indebito arricchimento, ma al contempo si garantisce che il danneggiato non resti privo di compensazione per parte delle proprie sofferenze.

 

Consenso informato e vaccinazioni: quando scatta il risarcimento per violazione del diritto alla scelta (Cass. civ., Sez. III, ord. n. 28691/2024)

Un ulteriore profilo di tutela riguarda il consenso informato nel campo delle vaccinazioni. Il consenso informato è un principio cardine: ogni trattamento sanitario richiede che il paziente sia correttamente informato sui benefici e sui rischi, e possa così esprimere una scelta libera e consapevole. Nel caso delle vaccinazioni obbligatorie, poiché sussiste un dovere di legge a vaccinarsi (pena sanzioni), il margine di scelta del singolo è fortemente ridotto; ciò non toglie che anche in tali casi le autorità sanitarie debbano fornire informazioni esaurienti, ma di fatto la persona non può opporsi legalmente all’obbligo se non in presenza di specifiche esenzioni mediche. Diverso è il caso delle vaccinazioni facoltative (non obbligatorie): qui la decisione finale spetta al cittadino (o ai genitori, se si tratta di minore), che deve poter valutare liberamente il rapporto rischio/beneficio. Un’informazione carente o scorretta su possibili effetti collaterali può dunque ledere il diritto all’autodeterminazione del paziente.

Proprio su questo tema si inserisce una recente sentenza della Cassazione, che offre un importante precedente. Il caso concreto riguardava un bambino di 13 mesi, al quale una ASL pugliese aveva somministrato, oltre ai vaccini obbligatori, anche un vaccino non obbligatorio (trivalente contro morbillo-parotite-rosolia, cosiddetto MPR). Dopo tali vaccinazioni, il bambino aveva manifestato reazioni avverse e una regressione nello sviluppo psicofisico, poi diagnosticata come disturbo dello spettro autistico. I genitori hanno convenuto in giudizio l’azienda sanitaria, lamentando sia i danni biologici subiti dal figlio (che essi attribuivano al vaccino MPR poi ritirato dal commercio), sia la mancata acquisizione di un consenso informato valido per quella vaccinazione facoltativa. In primo grado il Tribunale ha rigettato la domanda; in appello, la Corte d’Appello di Bari non ha riconosciuto il nesso causale tra vaccino e autismo (alla luce delle evidenze scientifiche, che escludono correlazioni causali dirette), ma ha accolto parzialmente la domanda dei genitori nella parte relativa al consenso informato: ha infatti rilevato che la ASL non aveva fornito informazioni adeguate sui rischi potenziali della vaccinazione non obbligatoria, e per questa omissione ha condannato l’azienda sanitaria a pagare una somma simbolica di €10.000 a titolo di risarcimento del danno da lesione del diritto all’autodeterminazione.

I genitori hanno impugnato la decisione in Cassazione, ritenendo insufficiente quel ristoro e sostenendo che, se correttamente informati, avrebbero potuto evitare di sottoporre il figlio al vaccino MPR (quindi il danno biologico avrebbe dovuto essere risarcito per intero, a loro dire). La Terza Sezione Civile della Cassazione, con l’ordinanza n. 28691 depositata il 7 novembre 2024, ha rigettato il ricorso dei genitori, confermando integralmente la sentenza d’appello. La Suprema Corte ha dunque stabilito due punti fermi: (1) da un lato, ha confermato che non vi era prova scientifica di un nesso causale tra vaccino e autismo, per cui giustamente i giudici di merito non hanno condannato la ASL per il danno biologico del minore; (2) dall’altro lato, ha però confermato la responsabilità della ASL per violazione dell’obbligo di informazione in relazione alla vaccinazione non obbligatoria. In pratica, anche se il vaccino non è risultato colpevole delle patologie, l’averlo somministrato senza fornire tutte le informazioni necessarie sui possibili effetti avversi ha leso il diritto dei genitori e del bambino a una scelta consapevole. Tale lesione è stata risarcita in via equitativa con 10.000 euro, a titolo di danno da mancato consenso informato. Si tratta di un danno di natura non patrimoniale, che viene riconosciuto quando il paziente subisce un intervento (o un trattamento) senza aver potuto effettivamente esercitare la propria autodeterminazione, a prescindere dall’esito sulla salute. È importante notare che questo tipo di risarcimento prescinde dal verificarsi di un danno alla salute: esso remunera la mera violazione di un diritto della persona (il diritto di essere informata e di scegliere).

Questa pronuncia è significativa perché applica i principi consolidati in materia di consenso informato al contesto delle vaccinazioni volontarie. In caso di vaccino obbligatorio per legge, il discorso sul consenso informato assume contorni particolari (essendoci un obbligo normativo, alcuni sostengono che l’eventuale mancanza di informazione non potrebbe tradursi in scelta differente, anche se la giurisprudenza riconosce comunque un risarcimento nel caso di complicanze nonostante l’obbligo, perché una corretta informazione avrebbe quantomeno preparato il paziente al rischio). Ma quando il vaccino non è obbligatorio, una informazione incompleta può effettivamente indurre la persona a sottoporsi a un trattamento che magari, conoscendone i rischi sia pur rari, avrebbe rifiutato. In tal caso, se poi si verifica un evento avverso, il medico o l’ente sanitario possono essere chiamati a risponderne. Nel nostro caso specifico, il danno alla salute (autismo) non è stato ritenuto conseguenza del vaccino; tuttavia, la Cassazione ha comunque ritenuto doveroso risarcire la violazione formale del diritto all’informazione, confermando la condanna simbolica. Questo costituisce un monito importante: le ASL e i medici vaccinatori hanno l’obbligo di ottenere un consenso informato reale e documentato per le vaccinazioni facoltative, fornendo schede tecniche, illustrando benefici e potenziali reazioni avverse, lasciando il tempo per decidere. In mancanza, possono incorrere in responsabilità civile, anche se il paziente non subisce danni gravi oppure se il nesso causale non è provato. È il principio – affermato dalle Sezioni Unite sin dal 2019 – della “autonomia del danno da lesione del consenso informato”: una cosa è il danno alla salute derivante dall’intervento, altra cosa è il danno da trattamento medico non consapevole, che va ristorato separatamente.

In conclusione, sebbene i vaccini restino strumenti sicuri e fondamentali per la sanità pubblica, l’ordinamento giuridico si preoccupa di assicurare una tutela a 360 gradi per quei casi rari in cui qualcosa va storto. Abbiamo oggi:

Indennizzi statali potenziati e inclusivi, che coprono anche i vaccinati “volontari” e che tengono conto di quando il danneggiato ha avuto la possibilità effettiva di agire (grazie alle sentenze costituzionali e di Cassazione sulla prescrizione).

Risarcimenti civili che rimangono esperibili per ottenere il completo ristoro dei danni, con la garanzia che l’indennizzo non penalizzi le voci non coperte (come il periodo di malattia temporanea) e con la responsabilizzazione degli operatori sanitari sul fronte del consenso informato.

Chi si trova ad aver subìto un danno grave da vaccino, dunque, ha a disposizione una serie di strumenti giuridici per ottenere giustizia e compensazione: dal ricorso per l’indennizzo al Ministero, fino alla causa per danni in sede civile se vi sono stati errori, omissioni o difetti. Il messaggio che emerge dalle recenti pronunce è che lo Stato e la magistratura intendono proteggere i cittadini nei confronti dei rischi eccezionali legati ai vaccini, senza inficiare la fiducia generale nella vaccinazione (che rimane altissima), ma assicurando che nessuno resti solo ad affrontare le conseguenze avverse. «La salute non è tutto, ma senza salute tutto è niente», ammoniva Arthur Schopenhauer: per questo la legge tutela in ogni modo il bene salute, sia predisponendo controlli rigorosi e sistemi di sicurezza per i farmaci, sia offrendo rimedi economici e giuridici quando la prevenzione arreca danno invece che beneficio.

 

Come ottenere assistenza legale in caso di danni da vaccino

Affrontare un caso di danno da vaccino richiede competenze medico-legali e una conoscenza approfondita delle procedure amministrative e giudiziarie. È fondamentale agire con tempestività (per rientrare nei termini di legge) e con strategie adeguate. Ogni situazione è unica: ad esempio, c’è differenza tra un danno riconosciuto immediatamente come correlato al vaccino e un danno scoperto solo a distanza di tempo, oppure tra un evento avverso già noto e uno ancora in studio. Per questo motivo, se tu o un tuo familiare vi trovate in una simile circostanza, rivolgersi a professionisti legali esperti in materia sanitaria può fare la differenza. Lo Studio Legale MP, con sede a Verona, vanta esperienza nel settore dei risarcimenti da danno alla salute e nel diritto sanitario. Possiamo assisterti in tutto l’iter necessario: dalla preparazione e invio della domanda di indennizzo al Ministero della Salute, fino all’eventuale ricorso in caso di rigetto; dalla valutazione medico-legale del caso (tramite consulenti specializzati) fino all’azione civile per il risarcimento integrale dei danni subiti, qualora vi siano profili di responsabilità.

Contattaci subito per una consulenza personalizzata: esamineremo la documentazione medica, chiariremo i tuoi diritti e ti indicheremo il percorso più efficace per ottenere il giusto indennizzo o risarcimento. Lo Studio Legale MP ti affiancherà con professionalità e competenza, facendosi carico delle complesse procedure burocratiche e legali, così che tu possa concentrarti sulla tua salute e su quella dei tuoi cari. Non affrontare da solo queste difficili battaglie: insieme, faremo valere i tuoi diritti e ti aiuteremo a ottenere il supporto economico e morale che ti spetta per legge.

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  • 08 ottobre 2025
  • Marco Panato

Autore: Avv. Marco Panato


Avv. Marco Panato -

Avv. Marco Panato, avvocato del Foro di Verona e Dottore di Ricerca in Diritto ed Economia dell’Impresa – Discipline Interne ed Internazionali - Curriculum Diritto Amministrativo (Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Verona).

E' autore di pubblicazioni scientifiche in materia giuridica, in particolare nel ramo del diritto amministrativo. Si occupa anche di docenza ed alta formazione.