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Usucapione: nuovi orientamenti nelle sentenze recenti - Studio Legale MP - Verona

Come la Cassazione ha ridefinito i requisiti del possesso utile, chiarendo quando e come si può acquisire la proprietà per usucapione

 

Il possesso utile ai fini dell’usucapione:
Per acquisire un bene tramite usucapione è indispensabile dimostrare un possesso continuo, ininterrotto e pacifico, esercitato come vero proprietario. In termini giuridici, il possesso deve essere “utile”, cioè non violento, non clandestino e non precario (nec vi, nec clam, nec precario). Una recente pronuncia della Cassazione ha ribadito con forza questo concetto. In particolare, coltivare un terreno altrui per anni non basta di per sé a usucapirlo se tale attività può essere ricondotta a un semplice permesso o alla tolleranza del proprietario. Serve un comportamento che mostri chiaramente la volontà di tenere la cosa come propria. Ad esempio, la Cass. civ., Sez. II, ord. n. 11663/2024 ha negato l’usucapione a chi si era limitato a coltivare un fondo: la mera coltivazione è compatibile con un rapporto di comodato o favore e non prova un possesso esclusivo da “padrone” del bene. Il possessore deve invece aver manifestato un’opposizione evidente al proprietario, un atteggiamento inequivoco da cui risulti che non riconosce più l’altrui diritto. In altri termini, l’intento di possedere uti dominus deve emergere da fatti concludenti, non bastando un’aspirazione interna o atti ambigui. Il principio affonda le radici nel diritto romano ed è oggi più attuale che mai: solo un possesso che esclude effettivamente il controllo altrui sul bene può portare all’usucapione.

 

Usucapione tra parenti e comproprietari:
Mio, tuo: inizio e immagine dell’usurpazione di tutta la terra.” – Blaise Pascal. Questa citazione paradossale ricorda quanto il confine tra proprietà e possesso possa essere sottile e conteso, specie in famiglia. Un caso tipico è l’immobile ereditato da fratelli o cointestato tra parenti: uno di essi può diventare proprietario esclusivo per usucapione? La risposta è sì, ma con condizioni molto stringenti. La convivenza familiare e la comproprietà implicano infatti una naturale tolleranza: l’uso esclusivo di un bene comune da parte di uno dei comproprietari spesso non insospettisce gli altri, che possono consentirlo senza intenti ablativi. La Cassazione ha chiarito che, in simili situazioni, occorre un quid pluris. Con ordinanza n. 3493/2024 (Cass. civ., Sez. II) è stato affermato che tra fratelli comproprietari non basta il godimento esclusivo prolungato di un bene per usucapirne le quote altrui. È necessario dimostrare una volontà inequivoca di possedere da solo (animus possidendi esclusivo) comunicata chiaramente agli altri comproprietari. In pratica, il fratello che vuole “far suo” l’immobile comune deve compiere atti evidenti di appropriazione esclusiva – ad esempio modifiche, esclusione degli altri, rifiuto di riconoscere i diritti altrui – tali da far capire agli altri contitolari che non intende più condividere la proprietà. Solo da quel momento, infatti, decorre il termine utile per l’usucapione in suo favore. Senza una simile esternazione dell’intento dominicale, gli altri comproprietari potrebbero ritenere che l’uso esclusivo altrui sia frutto di un accordo tacito o della fiducia familiare, e non reagire – impedendo però, con la loro mancata reazione formale, la decorrenza dell’usucapione. Dunque la “tolleranza” tra parenti è un forte antidoto all’usucapione: chi invoca di aver usucapito ai danni dei congiunti deve provare di aver chiaramente “rotto il patto” e di essersi comportato da unico proprietario in modo notorio, superando la normale indulgenza familiare. La Cassazione, con l’ord. 3493/2024 menzionata, ha annullato una sentenza che aveva riconosciuto l’usucapione in una comunione ereditaria proprio perché mancava questa prova di interversio possesionis: la trasformazione del compossesso in possesso esclusivo non può mai essere presunta, specie in presenza di legami stretti, ma va dimostrata con atti concludenti e notorii.

Interversione del possesso e atti nulli:
Un altro importante sviluppo giurisprudenziale recente riguarda il modo in cui può iniziare il possesso utile ad usucapire quando prima di esso vi era un diverso titolo di detenzione. In generale, chi ha iniziato a tenere un bene altrui in modo non ostile (ad esempio, come inquilino, comodatario, custode, ospite, etc.) non può iniziare a usucapire finché non “interverte” la propria detenzione in possesso, ossia finché non manifesta chiaramente l’intenzione di tenere la cosa come propria contro il proprietario. Tradizionalmente, l’art. 1141 c.c. richiede per l’interversione del possesso un atto oppositivo verso il titolare (come una diffida o il rifiuto di restituzione) oppure l’origine da una causa proveniente da un terzo (ad esempio l’acquisto di fatto del bene da chi non ne è proprietario). Ebbene, proprio su questo secondo aspetto è intervenuta una novità della Cassazione nel 2024: anche un atto di trasferimento nullo può valere ad innescare l’interversione del possesso. Con ordinanza n. 9566/2024 (Cass. civ., Sez. III) la Suprema Corte ha stabilito che se Tizio vende o dona un immobile a Caio con un contratto nullo (ad esempio perché manca la forma scritta notarile, come nel caso di una “donazione verbale” del bene), quell’atto, pur non trasferendo la proprietà, può segnare l’inizio di un possesso ad usucapionem da parte di Caio. In pratica Caio, entrando nel bene convinto di esserne proprietario in base a quell’atto (benchè invalido), comincia a possedere con l’animus domini, senza bisogno di ulteriori atti di opposizione verso il vero proprietario. La conseguenza è notevole: Caio potrebbe usucapire il bene dopo il tempo previsto (ad esempio 20 anni, o 10 anni in caso di usucapione abbreviata se ve ne sono i presupposti di legge), sfruttando come punto di partenza l’atto nullo. La Cassazione ha dovuto precisare che non è richiesta un’ulteriore manifestazione ostile verso il proprietario originario, in quanto l’atto nullo di acquisto è sufficiente a mutare la detenzione di Caio in possesso idoneo all’usucapione. Questo orientamento, innovativo, tutela la buona fede di chi abbia confidato in un trasferimento poi caducato: se il “nuovo proprietario di fatto” si comporta in ogni modo da titolare (pagando imposte, curando il bene, investendo su di esso) e trascorre il tempo di legge, la proprietà gli verrà riconosciuta per usucapione. Chiaramente, situazioni simili richiedono un’attenta valutazione legale: non ogni atto nullo genera possesso utile, ma solo quelli che denotano un completo subentro uti dominus dell’avente causa nel godimento del bene. Questa sentenza (Cass. n. 9566/2024) invita perciò i proprietari a vigilare: anche un trasferimento informale, se seguito dal silenzio e dall’inerzia del vero titolare, potrebbe con gli anni consolidare una perdita definitiva del bene per usucapione in capo all’occupante.

 

Usucapione e diritti dei terzi: il dibattito sull’usucapio libertatis:
Una delle novità più discusse emerse di recente riguarda l’interazione tra usucapione e altri diritti reali che gravano sul bene, come servitù e ipoteche. Tradizionalmente, il nostro diritto nega che l’usucapione di un immobile faccia automaticamente cadere i pesi altrui sullo stesso: chi usucapisce un terreno o una casa non la libera ipso facto da ipoteche o servitù esistenti, salvo che queste si estinguano per le loro regole (ad esempio, la servitù si estingue per non uso ventennale ex art. 1073 c.c.). In passato la Cassazione ha più volte escluso l’ammissibilità della cosiddetta “usucapio libertatis”, cioè l’acquisto per usucapione di un bene “libero” da diritti altrui, affermando il principio che solo la legge può stabilire quali effetti derivano dall’usucapione e il codice civile non prevede l’estinzione automatica dei diritti minori (Cass. civ., Sez. II, sent. n. 4412/2001; Cass. n. 28675/2024, etc.). Ha fatto molto rumore, dunque, una sentenza del 2025 che sembra aver aperto, seppur timidamente, a un’interpretazione diversa. La Cass. civ., Sez. II, sent. n. 12744/2025 ha riconosciuto che, in un caso particolare, l’usucapione decennale di un immobile comportasse l’acquisto dello stesso libero da servitù, equiparando di fatto la situazione a quella in cui il bene viene acquistato a titolo originario privo di pesi. Questa pronuncia ha dato una sorta di “diritto di cittadinanza” all’idea di usucapio libertatis nel nostro ordinamento, concetto finora respinto. Il ragionamento seguito è che l’acquisto per possesso ventennale ha efficacia retroattiva tale da “ripulire” la proprietà da vincoli incompatibili con il nuovo dominio esclusivo. Tuttavia, occorre cautela: la dottrina e la giurisprudenza maggioritaria ritengono che questa rimanga un’eccezione isolata. Il principio tradizionale resta fermo: l’usucapione ordinaria ventennale può eliminare pesi come ipoteche o servitù solo se i titolari di questi diritti restano inattivi per il periodo di prescrizione previsto per quei diritti (prescrizione estintiva). Non è dunque sufficiente che chi usucapisce ignori un peso o creda inesistente una servitù per 10 anni; ne occorrono 20 di mancato utilizzo della servitù da parte dell’avente diritto perché questa si estingua. L’apertura della sentenza 12744/2025 sembra più legata alle peculiarità del caso concreto che a un cambiamento di orientamento generale. In ogni caso, il messaggio è chiaro: l’usucapione è un istituto complesso, con effetti potenzialmente dirompenti anche sui diritti altrui, e dev’essere valutato con attenzione caso per caso. Chi rivendica un acquisto per usucapione dovrà considerare anche la presenza di eventuali servitù attive o passive, ipoteche e altri vincoli sul bene, per capire se e come questi possano influire sul pieno acquisto della proprietà.

 

Conclusioni – come muoversi e tutelarsi:
Le pronunce più recenti confermano che l’usucapione non è affatto una scorciatoia semplice per diventare proprietari, ma un percorso a ostacoli giuridici: bisogna agire come veri proprietari e poterlo provare in giudizio, evitando ogni ambiguità. D’altro canto, per chi subisce un possesso altrui sul proprio bene, queste sentenze suonano come un avvertimento: non restare passivi. Se il proprietario tollera troppo a lungo situazioni anomale (uso esclusivo altrui, atti di disposizione non autorizzati, vendita informale del bene, ecc.), rischia di vedere affievolire o perdere i propri diritti. In un mondo in cui immobili e terreni possono passare di mano anche senza un contratto regolare, il confine tra possesso e proprietà è determinato dal tempo e dall’inerzia: “Dormientibus iura non succurrunt”, le leggi non soccorrono chi dorme. È fondamentale, quindi, valutare per tempo la propria posizione: hai utilizzato per decenni un immobile credendolo tuo? Potresti già esserne proprietario per usucapione, ma devi dimostrarlo solidamente. Un vicino sostiene di aver usucapito parte della tua proprietà? Occorre verificare se ne aveva davvero i presupposti o se puoi interrompere il decorso prima che sia tardi. Data la tecnicità della materia, è consigliabile affidarsi a professionisti esperti in diritto civile e proprietà, per raccogliere le prove necessarie o per predisporre le opposizioni utili a difendere i propri beni.

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  • 22 settembre 2025
  • Marco Panato

Autore: Avv. Marco Panato


Avv. Marco Panato -

Avv. Marco Panato, avvocato del Foro di Verona e Dottore di Ricerca in Diritto ed Economia dell’Impresa – Discipline Interne ed Internazionali - Curriculum Diritto Amministrativo (Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Verona).

E' autore di pubblicazioni scientifiche in materia giuridica, in particolare nel ramo del diritto amministrativo. Si occupa anche di docenza ed alta formazione.