Diventare amministratore di condominio significa assumere una posizione di fiducia verso la comunità dei proprietari, ma anche precisi oneri imposti dalla legge. Il codice civile e le normative speciali delineano obblighi stringenti per chi ricopre questo incarico, al fine di garantire una gestione oculata e nell’interesse comune. Ogni condomino affida all’amministratore la cura dei beni e servizi condivisi – dalle parti comuni agli impianti – e si aspetta competenza, trasparenza e tempestività. Non a caso, “tu diventi responsabile per sempre di ciò che hai addomesticato”, scrive Antoine de Saint-Exupéry nel Piccolo Principe, a sottolineare che chi si prende cura di qualcosa (o di qualcuno) ne risponde poi personalmente. Allo stesso modo l’amministratore, una volta accettato l’incarico, diventa il garante della buona gestione condominiale: deve agire con diligenza, onestà e nell’esclusivo interesse del condominio, senza abusare del proprio potere né trascurare i propri doveri. In questo equilibrio delicato tra potere e responsabilità, la legge fissa paletti chiari e i giudici – con pronunce sempre più puntuali – intervengono a sanzionare gli amministratori negligenti o scorretti.
Ogni condomino ha diritto a una gestione professionale e conforme alle norme; dall’altro lato, l’amministratore diligente dev’essere messo in condizione di operare correttamente, sapendo quali sono le regole del gioco. Vediamo allora quali requisiti deve avere un amministratore per essere nominato, quali obblighi inderogabili gravano sul suo operato quotidiano e in quali situazioni può incorrere in responsabilità civili o penali. Il tutto alla luce delle ultime novità legislative (come la riforma del condominio del 2012) e delle sentenze recentissime che, tra 2024 e 2025, hanno ulteriormente definito il perimetro di questo ruolo. Del resto, honeste vivere, neminem laedere, suum cuique tribuere: vivere onestamente, non ledere nessuno e dare a ciascuno il suo sono principi antichi ma sempre attuali, che ben riassumono l’etica alla base del mandato di ogni buon amministratore.
Per garantire che l’amministratore di condominio svolga il suo compito con professionalità e trasparenza, il legislatore ha stabilito alcuni requisiti essenziali che questa figura deve possedere. Tali requisiti – introdotti dalla riforma del condominio (L. 220/2012) e oggi elencati nell’art. 71-bis delle disposizioni di attuazione del codice civile – includono, ad esempio, il godimento dei diritti civili, l’assenza di condanne penali per determinati reati (in particolare quelli contro la pubblica amministrazione, la fede pubblica, il patrimonio, ecc.), l’assenza di protesti cambiari, il non essere interdetti o inabilitati, e il possesso di un titolo di studio di scuola superiore e di una specifica formazione in materia condominiale (oppure esperienza pregressa come amministratori, per chi già svolgeva l’attività prima della riforma). Inoltre, se l’amministratore è una società, questi requisiti devono essere posseduti dai soci e dai dipendenti che materialmente svolgono le funzioni gestorie.
Queste condizioni non sono facoltative: la loro presenza è richiesta ex lege a tutela degli interessi generali del condominio e, più in generale, della collettività dei condomini. Proprio perché si tratta di requisiti dettati da norme inderogabili, la giurisprudenza più recente ha chiarito che la loro mancanza incide sulla validità della nomina stessa. In particolare, la Corte di Cassazione ha stabilito che la delibera assembleare che designa un amministratore privo dei requisiti di onorabilità e professionalità previsti dalla legge è nulla per violazione di norma imperativa (Cass. civ., Sez. II, sent. n. 28195/2024 del 31 ottobre 2024). Ciò significa che, se l’assemblea condominiale elegge amministratore una persona (fisica o giuridica) che non ha le qualità richieste dall’art. 71-bis disp. att. c.c., tale nomina non produce effetti giuridici validi: in caso di contestazione, il giudice potrà dichiararla nulla ab origine.
Si tratta di un principio di grande rilievo pratico. Prima di questa pronuncia, alcuni tribunali ritenevano che la mancanza di requisiti fosse sì un’irregolarità, ma non così grave da invalidare la delibera: al più avrebbe comportato la decadenza immediata dall’incarico dell’amministratore non idoneo. La Cassazione invece ha espresso un orientamento più rigoroso, affermando che il rispetto dei requisiti è condizione di validità della nomina. La ratio è chiara: le norme che impongono determinati requisiti perseguono fini di interesse pubblico (come assicurare una gestione onesta e competente dei patrimoni comuni e prevenire infiltrazioni criminali o gestioni improvvisate), quindi non possono essere eluse. Una delibera contraria a queste regole fondamentali viola norme imperative e, come tale, è nulla.
Cosa implica questo per i condomini? In pratica, se viene nominato amministratore un soggetto inadatto (ad esempio un parente privo di titolo di studio o un prestanome con precedenti penali), ogni condomino può impugnare in ogni tempo la delibera, facendola annullare dal giudice per nullità e ottenendo la rimozione di quella persona. È quindi importante, al momento dell’assemblea, verificare sempre che il candidato amministratore autocertifichi il possesso dei requisiti di legge. E se l’assemblea, magari per negligenza o urgenza, nomina comunque qualcuno che non li ha? Meglio procedere subito a revocarlo e scegliere un professionista idoneo, prima di incorrere in problemi maggiori. La nomina nulla, infatti, potrebbe significare che tutti gli atti compiuti da quell’amministratore sono privi di legittimazione (sebbene per evitare il caos, di norma si ritiene che gli atti gestori ordinari restino efficaci verso i terzi in buona fede). In ogni caso, la chiarezza offerta da questa sentenza tutela i condomini: nemo praesumitur bonus administratore, potremmo dire parafrasando un brocardo, nessuno è presunto buon amministratore a meno che non ne abbia i requisiti!
Ottenuta (validamente) la nomina, l’amministratore entra nel pieno delle sue funzioni e deve svolgerle attenendosi a una regola fondamentale: la diligenza del buon padre di famiglia, richiamata dall’art. 1176 c.c. e – per i mandatari – dall’art. 1710 c.c. In sostanza l’amministratore, quale mandatario dei condomini, ha l’obbligo di curare gli interessi comuni con la massima attenzione, competenza e correttezza possibile, come farebbe un bonus pater familias. Ma quali sono, concretamente, i compiti obbligatori di un amministratore? L’art. 1130 c.c. ne elenca diversi, e tra i principali possiamo ricordare:
Esecuzione delle delibere assembleari: l’amministratore deve dare pronto seguito a quanto deciso dall’assemblea (ad esempio, far partire i lavori di manutenzione deliberati, attivare un nuovo fornitore, ecc.), senza agire di testa propria.
Disciplina dell’uso delle cose comuni e dei servizi: deve far rispettare il regolamento condominiale e ripartire equamente tra i condomini l’utilizzo dei beni comuni, intervenendo contro eventuali abusi (rumori molesti, occupazioni illegittime di spazi comuni, ecc.).
Gestione finanziaria e riscossione dei contributi: è tenuto a riscuotere i millesimi dovuti da ciascun proprietario e a utilizzare quei fondi per pagare le spese comuni (manutenzione, utenze, pulizie, assicurazioni…). La legge (dopo la riforma del 2012) impone all’amministratore di agire contro i condomini morosi entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio in cui il credito è divenuto esigibile, salvo espressa dispensa dell’assemblea. Ciò significa che, se un condomino non paga, entro poco tempo l’amministratore deve procedere con i solleciti e poi con un decreto ingiuntivo: non può aspettare indefinitamente, perché altrimenti viola i suoi doveri (oltre a mettere in difficoltà le casse comuni). Pacta sunt servanda: chi vive in condominio ha il dovere legale (e morale) di contribuire alle spese comuni secondo le tabelle millesimali; l’amministratore è lo strumento attraverso cui questo patto di convivenza viene reso effettivo.
Conservazione e manutenzione delle parti comuni: egli deve attivarsi per far eseguire le opere necessarie a mantenere in buono stato il fabbricato e gli impianti comuni. Se ci sono infiltrazioni dal tetto, l’ascensore si guasta, il cancello automatico non funziona, l’amministratore deve intervenire tempestivamente contattando fornitori e imprese abilitate, raccogliendo preventivi e sottoponendoli (se necessario) all’assemblea per autorizzazione, oppure procedendo direttamente per le urgenze. Non è solo una buona prassi: è un vero obbligo giuridico di custodia e salvaguardia delle parti comuni.
Tenuta dei registri e rendiconto: deve custodire e aggiornare il registro dei verbali assembleari, il registro di contabilità, il registro di anagrafe condominiale (con i dati dei proprietari e dei loro diritti reali o di godimento) e quello di nomina e revoca dell’amministratore. Inoltre, una volta l’anno, deve redigere il rendiconto della gestione e convocare l’assemblea per l’approvazione. La trasparenza contabile è essenziale: i condomini possono chiedere in qualunque momento di visionare i documenti contabili e l’amministratore deve facilitarne il controllo. Dal 2020, per esempio, è previsto che in caso di cambio amministratore, quello uscente consegni a quello entrante tutta la documentazione in formato digitale, per evitare “buchi” o sparizioni di carte.
Rappresentanza legale del condominio: l’amministratore rappresenta il condominio sia nei rapporti con i terzi sia in giudizio. Può quindi, senza bisogno di autorizzazione assembleare, agire in nome del condominio per la tutela delle parti comuni o difenderlo se citato (nei limiti delle attribuzioni stabilite dalla legge o dall’assemblea). Ha inoltre il potere di sporgere querela a nome del condominio in caso di reati che ledano i beni comuni (ad esempio, per danneggiamenti o appropriazioni indebite di somme condominiali da parte di ex amministratori): su questo punto la Cassazione ha confermato la legittimazione autonoma dell’amministratore a presentare denuncia-querela senza bisogno di una delibera preventiva (orientamento costante, v. da ultimo Cass. pen., Sez. VI, sent. n. 14887/2023).
Quelli sopra elencati sono doveri inderogabili: il regolamento o l’assemblea non possono esonerare l’amministratore dalle responsabilità fondamentali di gestione. Se l’amministratore non adempie a tali obblighi o li viola (ad esempio, non convoca l’assemblea per anni, non cura la manutenzione fino a far deperire lo stabile, non tiene la contabilità o distrae somme, non persegue i morosi causando un buco finanziario, ecc.), incorre in quelle che la legge definisce “gravi irregolarità”. In presenza di gravi irregolarità, i condomini possono in qualsiasi momento revocare il mandato all’amministratore, e nei casi più seri possono persino adire l’autorità giudiziaria per ottenere una revoca giudiziaria (art. 1129 c.c.).
Va ricordato che l’amministratore è tenuto a riferire all’assemblea su richiesta dei condomini: una recente riforma ha anche previsto l’obbligo di fornire al singolo condomino che ne faccia richiesta attestazione sullo stato dei pagamenti e sulle eventuali liti in corso. La trasparenza e la comunicazione con i condomini sono quindi parte integrante dei doveri di buona gestione. Un amministratore che “sparisce”, non risponde a email e telefonate, non convoca le assemblee ordinarie annuali o evita di mostrare i conti, sta certamente violando i propri obblighi e può essere richiamato al rispetto degli stessi o, nei casi estremi, revocato.
L’incarico di amministratore non è a vita: la legge anzi prevede che abbia durata di un anno (tacitamente rinnovabile di anno in anno, salvo revoca). L’assemblea condominiale può decidere in qualsiasi momento di sollevare dall’incarico l’amministratore, se perde la fiducia nei suoi confronti – tipicamente perché si sono verificate irregolarità o inadempimenti. Tra le cause tipiche di revoca decise dall’assemblea o dal giudice rientrano:
Omissioni gravi nella gestione: ad esempio, non aver convocato l’assemblea per l’approvazione del bilancio annuale; aver omesso di agire contro un moroso protraendo la situazione debitoria; non aver stipulato le polizze assicurative obbligatorie; ignorare sistematicamente le lamentele dei condomini su problemi urgenti (sicurezza, infiltrazioni, ecc.).
Irregolarità contabili: fondi condominiali non separati (ricordiamo che l’amministratore deve far transitare le somme su un conto corrente intestato al condominio, distinto dal proprio patrimonio personale), mancata consegna del rendiconto, rifiuto di mostrare la documentazione, ammanchi di cassa non giustificati. In casi del genere, oltre alla revoca, possono profilarsi vere e proprie azioni di responsabilità per danni e denunce penali.
Comportamento scorretto o infedele: ad esempio, un amministratore che stipuli contratti con fornitori in conflitto di interessi (magari perché lui stesso legato a quella ditta) senza informare i condomini, oppure che riferisca fatti non veritieri in assemblea o falsifichi i verbali.
Perdita dei requisiti legali: se in corso di mandato l’amministratore viene meno a qualcuno dei requisiti di onorabilità (es. subisce una condanna per reati rilevanti) o professionalità (es. viene radiato da eventuali registri, o non ottempera all’obbligo di aggiornamento professionale annuale previsto per gli amministratori), questo costituisce causa di cessazione dell’incarico. L’art. 71-bis disp. att. c.c. infatti prevede espressamente che “costituisce giusta causa di revoca dell’amministratore la perdita dei requisiti di cui alle lettere a), b) e c)” (ossia quelli morali e di capacità civile).
La revoca può essere deliberata dall’assemblea con le stesse maggioranze previste per la nomina (maggioranza degli intervenuti che rappresenti almeno la metà dei millesimi). Se l’assemblea è restia a intervenire, ogni condomino, o anche il singolo condòmino dissenziente, può ricorrere al giudice chiedendo la revoca giudiziaria (art. 1129 co. 11 c.c.) quando ricorrono le gravi irregolarità sopra menzionate. Il tribunale, verificate le circostanze, può rimuovere l’amministratore con decreto motivato. A tal proposito, la Cassazione ha precisato che il decreto della Corte d’Appello che revoca un amministratore su reclamo (ossia su appello) dell’interessato non è impugnabile in Cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., trattandosi di provvedimento privo di natura decisoria e definitiva (Cass. civ., Sez. II, ord. n. 1569/2024). In altre parole, una volta che la revoca è confermata in appello, l’amministratore deve accettare l’esito: non può trascinare ulteriormente la questione in Cassazione perché la revoca ha carattere amministrativo/gestorio e non di sentenza su diritti soggettivi.
È bene sottolineare che la revoca per giusta causa può avvenire in qualsiasi momento, anche prima della scadenza naturale del mandato annuale. L’amministratore revocato per gravi motivi, inoltre, potrebbe non aver diritto ad alcun compenso per il periodo residuo e, anzi, rischia di dover risarcire eventuali danni causati al condominio. Ad esempio, se viene revocato perché ha tenuto conti poco chiari e risulta un ammanco di denaro, dovrà restituire le somme o risponderne legalmente. In più, chi viene destituito dal tribunale non può essere rieletto dall’assemblea immediatamente successiva: la legge infatti vieta di nominare nuovamente l’amministratore revocato (divieto temporaneo, per evitare che una maggioranza compiacente lo rimetta subito in sella vanificando la revoca).
In sintesi, la revoca è lo strumento fondamentale per i condomini di liberarsi di un amministratore inadeguato. È sempre consigliabile, prima di arrivare a rotture, contestare formalmente per iscritto all’amministratore gli eventuali inadempimenti (ad esempio tramite diffida a mezzo raccomandata o PEC) e, se possibile, discutere in assemblea la situazione per provare a risolverla bonariamente o con accordi (come la promessa di correggere gli errori, affiancamento di un revisore di conti, ecc.). Qualora però le soluzioni stragiudiziali falliscano e la fiducia sia ormai compromessa, l’unica via è la revoca e la sostituzione con un professionista più affidabile. La tranquillità e la corretta gestione del condominio devono prevalere su ogni considerazione personale verso l’amministratore.
Al di là della cessazione dell’incarico, le inadempienze di un amministratore possono avere conseguenze economiche pesanti: se dal suo operato negligente deriva un danno al condominio o ai singoli condomini, egli ne risponde con il proprio patrimonio. L’amministratore, infatti, assume per legge una responsabilità contrattuale da mandato verso i condomini: se viola i suoi obblighi e da ciò scaturisce un pregiudizio, il condominio (o anche il singolo condomino, a seconda dei casi) può agire in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni.
Facciamo qualche esempio concreto di responsabilità civile dell’amministratore:
Omissione di manutenzione e danni conseguenti: l’amministratore è informato che il tetto ha infiltrazioni oppure che un cornicione è pericolante, ma non interviene in tempi ragionevoli né avvisa l’assemblea. Se dal ritardo nell’eseguire i lavori derivano danni (es. l’infiltrazione peggiora e rovina l’appartamento di un condomino, oppure il cornicione cade e danneggia un’auto parcheggiata o ferisce un passante), il condominio dovrà risarcire il terzo danneggiato, ma potrà a sua volta rivalersi sull’amministratore per mala gestio. In pratica, l’amministratore potrebbe dover rifondere al condominio quanto pagato a titolo di risarcimento, perché la sua negligenza ha messo in moto l’evento dannoso.
Cattiva esecuzione di lavori per mancata vigilanza: quando si effettuano lavori straordinari (rifacimento facciata, sostituzione ascensore, impermeabilizzazione terrazzi, ecc.), l’assemblea spesso delega l’amministratore a seguire l’iter (scegliere l’impresa insieme eventualmente a un tecnico, firmare il contratto d’appalto, effettuare i pagamenti a stati di avanzamento lavori, verificare a grandi linee la regolare esecuzione). Orbene, la Cassazione ha di recente sottolineato che in simili casi l’amministratore ha il dovere di vigilare attivamente sull’andamento dei lavori, informare i condomini di eventuali anomalie e tutelarne gli interessi economici in ogni fase. Non può limitarsi a fare il passacarte o delegare tutto al direttore dei lavori. Se, ad esempio, l’amministratore non controlla e l’appaltatore esegue opere difformi o inutili, oppure presenta fatture esorbitanti, o ancora non rispetta i tempi senza che vengano applicate penali, l’amministratore stesso può essere ritenuto responsabile del danno economico sofferto dal condominio. Ciò è stato affermato chiaramente dall’ordinanza della Cassazione n. 16290/2025 (Sez. II civ., 17 giugno 2025), in un caso in cui un condominio aveva citato in giudizio il proprio ex amministratore per non aver vigilato su un appalto milionario, lasciando lievitare i costi e tollerando ritardi ingiustificati. La Suprema Corte ha dato ragione al condominio: se l’amministratore assume (anche con compenso extra) il compito di gestire lavori straordinari, deve svolgerlo con competenza tecnica e attenzione. Non basta indire le riunioni e firmare documenti: occorre controllare davvero che i lavori eseguiti corrispondano a quelli deliberati, che le fatture siano dovute, che eventuali contenziosi con l’impresa vengano seguiti. In sintesi, l’amministratore in questi casi ha una funzione di garanzia verso i condomini, e un comportamento omissivo può costargli caro. La Cassazione ha puntualizzato alcuni principi chiave: l’incarico straordinario implica un dovere maggiore di diligenza, il compenso aggiuntivo non è un semplice premio ma comporta maggiore assunzione di responsabilità, l’amministratore non può scaricare tutto sul direttore dei lavori (perché la responsabilità legale ed economica verso il condominio resta la sua), e omissioni come il mancato incasso di penali per ritardi o il pagamento di spese non approvate configurano inadempimenti gravi con possibile responsabilità patrimoniale personale. In base all’art. 1710 c.c., il mandatario (qual è l’amministratore) risponde verso il mandante per colpa nell’adempimento: qui la culpa in vigilando dell’amministratore si traduce in obbligo di risarcire i maggiori esborsi che il condominio ha subito a causa del suo scarso controllo.
Violazione degli obblighi fiscali o normativi: se l’amministratore omette di versare ritenute fiscali, contributi o altri adempimenti cui il condominio è tenuto (ad esempio non paga la tassa rifiuti per le parti comuni, o non richiede dovute autorizzazioni amministrative), e da ciò derivano sanzioni pecuniarie al condominio, egli può essere chiamato a rimborsarle. Infatti l’errore o l’omissione è imputabile a lui professionalmente. Un caso frequente è la mancata convocazione dell’assemblea per nominare l’amministratore entro i termini di legge: se manca l’amministratore e non viene nominato, può intervenire il tribunale su ricorso di un condomino. Il costo della procedura giudiziaria spesso viene posto a carico del condominio, ma poi può essere scaricato sull’amministratore uscente se la situazione è colpa sua (ad esempio si era dimesso e non ha avvisato in tempo, lasciando il condominio acefalo).
Appropriazione indebita di fondi condominiali: questo è un caso estremo ma purtroppo accade. Se l’amministratore si intasca indebitamente somme del condominio (ad esempio gonfiando le fatture e trattenendo la differenza, o prelevando dal conto per spese personali), risponderà oltre che penalmente (come vedremo più avanti) anche civilmente per la restituzione delle somme e per i danni arrecati (ad esempio interessi passivi su bollette pagate in ritardo, spese legali, etc.). Di solito simili vicende portano a una immediata revoca e a un’azione legale per recuperare il maltolto. L’assicurazione professionale, obbligatoria per legge se l’assemblea lo richiede, in questi casi potrebbe non coprire l’amministratore, specie se vi è dolo. Quindi egli risponderà interamente con i propri beni.
È chiaro che molte delle ipotesi descritte (mancata manutenzione, cattiva gestione di lavori, appropriazione di denaro) oltre al profilo civilistico possono integrare reati. Ma anche senza entrare nel penale, il concetto è che l’amministratore negligente o infedele paga di tasca propria. I condomini non devono esitare, in caso di danni subiti per colpa dell’amministratore, a consultare un legale e valutare un’azione di responsabilità. Il più delle volte, ancor prima di arrivare alla sentenza, una lettera ben motivata e l’azione giudiziaria inducono l’assicurazione dell’amministratore (se c’è) o lui stesso a trovare un accordo risarcitorio. Ciò che conta è agire tempestivamente appena si scopre il problema, per limitare i danni e rispettare eventualmente i termini di prescrizione (l’azione di responsabilità contrattuale si prescrive in genere in 10 anni dall’evento).
Un’ultima notazione: l’amministratore non è un garante assoluto di qualsiasi inconveniente accada in condominio. Deve rispondere dei danni solo se è configurabile una sua colpa specifica o inadempimento. Ad esempio, se nonostante la dovuta manutenzione si rompe improvvisamente una tubatura causando danni, l’amministratore non ne è responsabile (è un caso fortuito); diverso sarebbe se ignorasse per mesi una perdita segnalata, trasformando un piccolo guasto in un danno grave. Oppure, se un estraneo entra in condominio e commette un furto in un appartamento, non possiamo incolpare l’amministratore a meno che avesse ignorato completamente misure di sicurezza richieste (ad esempio lasciare sempre aperto il portone). Insomma, va valutato caso per caso il nesso tra condotta dell’amministratore e danno. Quando però quel nesso c’è ed è dovuto a imperizia, imprudenza o violazione di obblighi di legge da parte sua, allora la responsabilità civile scatta pienamente.
Oltre che ai risarcimenti in sede civile, l’amministratore può andare incontro anche a processi penali per alcune condotte illecite connesse al suo ruolo. Benché l’amministratore non sia un pubblico ufficiale (salvo rarissimi casi particolari) e quindi non risponda di reati propri dei funzionari pubblici, vi sono varie fattispecie del codice penale e di leggi speciali che possono coinvolgerlo direttamente. In particolare, oggi l’attenzione è molto alta su due fronti: la sicurezza antincendio degli edifici e la sicurezza sul lavoro per i cantieri in condominio.
Prevenzione incendi: molti condomini, specie se dotati di autorimesse, centrali termiche di una certa potenza, ascensori oleodinamici o altri impianti rilevanti, sono soggetti alla normativa antincendio. Ciò comporta ad esempio l’obbligo di ottenere e rinnovare periodicamente il Certificato di Prevenzione Incendi (CPI) per le parti comuni a rischio (locale caldaia, autorimessa condominiale, ecc.), nonché di adottare misure di sicurezza (estintori, luci di emergenza, cartellonistica, porte tagliafuoco, evacuatori di fumo, prove di evacuazione se previste). L’amministratore di condominio è tipicamente individuato come il “responsabile dell’attività” ai fini antincendio, in quanto gestore del fabbricato. Ebbene, l’art. 20 del D.Lgs. 139/2006 punisce con sanzione penale chi, in qualità di titolare dell’attività soggetta a controllo, omette di presentare la SCIA antincendio o di richiedere il rinnovo del certificato entro i termini previsti. Si tratta di contravvenzioni che possono comportare l’arresto fino a un anno o ammende anche sopra i 2.500 euro, a seconda dei casi. Una recente pronuncia ha ribadito che il nuovo amministratore subentrato non può giustificarsi scaricando la colpa sul precedente: se scopre che il condominio è privo di certificato o con certificato scaduto, deve attivarsi immediatamente per regolarizzare la situazione, senza attendere oltre. La Cassazione penale, con la sentenza n. 29744/2024 (Sez. III, depositata il 22 luglio 2024), ha infatti confermato la condanna di un amministratore per omessa richiesta del rinnovo del CPI, sottolineando che fin dalla nomina l’amministratore è investito della posizione di garanzia in materia antincendio e deve quindi tempestivamente attuare gli adempimenti necessari. Nel caso specifico, l’amministratore era stato negligente nel non presentare la segnalazione certificata di inizio attività ai fini antincendio per una centrale termica e nel non curare le misure prescritte: la conseguenza è stata una condanna (in quel caso, ad una ammenda di circa 1.400 euro). Ignorare la normativa antincendio non è un’opzione: oltre al rischio penale, pensiamo alle possibili tragiche conseguenze di un incendio in uno stabile non a norma – la responsabilità morale prima ancora che giuridica sarebbe enorme. Pertanto un amministratore accorto, appena assume l’incarico, verifica la presenza e validità di tutti i certificati (prevenzione incendi, collaudi ascensori, verifiche messa a terra, ecc.) e, se manca qualcosa, convoca subito l’assemblea per deliberare gli interventi necessari e mettersi in regola con le autorizzazioni.
Sicurezza sul lavoro nei cantieri condominiali: quando il condominio affida lavori di una certa entità (rifacimento facciata, installazione ascensore, impermeabilizzazioni, potatura di alberi ad alto fusto, ecc.), di fatto diventa un committente di lavori e come tale assume obblighi ai sensi del Testo Unico Sicurezza (D.Lgs. 81/2008). In particolare, l’art. 26 del D.Lgs. 81/2008 impone al datore di lavoro-committente di verificare l’idoneità tecnico-professionale delle imprese o dei lavoratori autonomi cui affida i lavori, e di cooperare all’attuazione delle misure di sicurezza. Nel contesto condominiale, il “committente” è spesso identificato nell’amministratore, specie quando l’assemblea gli ha dato pieno mandato di scegliere autonomamente l’impresa e far eseguire l’opera. E qui può sorgere un profilo di rischio penale molto serio: se durante l’esecuzione di lavori in condominio avviene un infortunio grave (un operaio cade dall’impalcatura, un addetto resta folgorato, ecc.), la magistratura indaga anche sull’eventuale responsabilità del committente-amministratore. In caso di infortunio mortale, addirittura, l’amministratore potrebbe essere imputato di omicidio colposo in concorso, qualora si accerti che non aveva svolto i doveri di verifica e prevenzione su di lui gravanti.
Proprio nel 2025 una sentenza di Cassazione ha fatto scalpore in materia: la Cassazione penale, Sez. IV, sent. n. 18169/2025 (14 maggio 2025) ha confermato la condanna per omicidio colposo di un’amministratrice di condominio ritenuta corresponsabile della morte di un lavoratore, caduto da una scala durante un intervento su una grondaia condominiale. Nel caso concreto, l’assemblea le aveva affidato di far eseguire una semplice ispezione alla grondaia ostruita; l’amministratrice aveva incaricato frettolosamente il giardiniere dello stabile, il quale, privo di adeguate protezioni anticaduta, era precipitato perdendo la vita. I giudici hanno ravvisato una grave negligenza da parte dell’amministratrice: pur trattandosi di un intervento straordinario di modesta entità, ella aveva “di fatto assunto la veste di committente” dei lavori e dunque aveva l’obbligo di accertare l’idoneità tecnico-professionale del lavoratore autonomo ingaggiato, nonché di assicurarsi che operasse in condizioni di sicurezza. La difesa sosteneva che l’amministratrice non avesse pieni poteri decisionali (mancava una delibera assembleare specifica che le conferisse autonomia di scelta dell’impresa); tuttavia la Corte ha sottolineato che, nei fatti, l’assemblea l’aveva incaricata di procedere con urgenza e lei aveva scelto liberamente a chi far svolgere l’intervento, quindi il potere decisionale c’era. In virtù di quella scelta, ella ha assunto un ruolo di garanzia e avrebbe dovuto verificare che il lavoratore fosse attrezzato e formato per lavori in quota. La mancata verifica – e in generale l’assenza di misure di sicurezza (come linee vita, imbracature, ponteggi) – ha contribuito all’evento mortale, configurando la colpa dell’amministratrice per violazione degli obblighi del committente (art. 26 D.Lgs. 81/2008) e del principio generale di cui all’art. 40 cpv. c.p. (posizione di garanzia). La condanna penale, in questi casi, può essere molto grave: per omicidio colposo la pena base è fino a 5 anni di reclusione (aumentata fino a 7 in presenza di violazione delle norme antinfortunistiche). Anche se spesso in tali processi vengono riconosciute circostanze attenuanti e patteggiamenti, con pene sospese, il procedimento in sé è una vicenda devastante per un amministratore, sia sul piano professionale sia umano.
Questa sentenza lancia un messaggio forte: gli amministratori di condominio devono prestare la massima attenzione alla sicurezza quando affidano lavori. È buona prassi coinvolgere sempre un tecnico (coordinatore per la sicurezza) per i cantieri, anche piccoli, e pretendere dall’impresa o dai lavoratori autonomi documenti come il DURC regolare, attestati di formazione, idoneità a operare in quota, piani di sicurezza se necessari. Se l’assemblea, per risparmiare, vi spinge ad “arrangiarvi” con personale improvvisato o non specializzato, l’amministratore deve opporsi: la vita delle persone e la propria responsabilità penale valgono infinitamente di più di qualche euro di spesa.
Altri reati: oltre ai profili di sicurezza, l’amministratore può incorrere in reati quali la falsificazione di documenti (se ad esempio altera i verbali o i registri contabili, può configurarsi il reato di falso in scrittura privata o falso assembleare), la già citata appropriazione indebita (art. 646 c.p.) per uso indebito del denaro condominiale, o ancora reati di diffamazione (se offende qualche condomino nelle comunicazioni ufficiali), di invasione di privacy (ad esempio installando telecamere senza consenso o divulgando dati sensibili dei condomini). Anche l’omessa denuncia di reato potrebbe toccarlo se, pur avendo notizia di illeciti ai danni del condominio, non informa le autorità – benché non essendo pubblico ufficiale, tale obbligo sussiste solo in casi peculiari (ad esempio se è anche amministratore di sostegno di persone incapaci, ecc.). In generale, però, i reati che più frequentemente vedono imputati gli amministratori riguardano la sfera patrimoniale e di sicurezza.
Per un amministratore onesto e preparato, evitare guai penali non è difficile: basta gestire i fondi in modo limpido (tenendo contabilità separata e giustificando ogni spesa), rispettare le norme su sicurezza e prevenzione, e non oltrepassare i limiti del proprio mandato. Va ricordato che, se il condominio è dotato di personalità giuridica (ipotesi rara, riguardante alcuni supercondomini), potrebbero trovare applicazione anche le sanzioni amministrative a carico dell’ente per reati commessi dal suo rappresentante (D.Lgs. 231/2001), ma nel classico condominio senza personalità giuridica la responsabilità penale resta personale dell’amministratore.
Come abbiamo visto, il ruolo di amministratore di condominio è gravato da numerose responsabilità. Ciò non deve spaventare: amministrare bene è possibile, a patto di mantenersi aggiornati sulle norme, organizzare il lavoro con precisione e non sottovalutare mai i campanelli d’allarme. Dal punto di vista dei condomini, è importante selezionare professionisti qualificati, richiedere copia dell’assicurazione professionale e vigilare sull’operato dell’amministratore, instaurando un dialogo collaborativo ma fermo nel richiedere trasparenza. Se l’amministratore opera correttamente, non avrà nulla da temere; se invece commette gravi mancanze, è fondamentale intervenire per tempo – revocandolo o chiedendo conto delle irregolarità – prima che i danni diventino irreparabili. La legge offre strumenti sia ai condomini (impugnazione di delibere, azione di revoca, azione di responsabilità, denuncia per reati) sia all’amministratore diligente (che può chiedere all’assemblea approvazioni preventivate, consulenze tecniche, e può tutelarsi seguendo corsi di aggiornamento e stipulando polizze).
In definitiva, l’amministratore di condominio dev’essere al tempo stesso un buon manager e un rigoroso custode della legalità all’interno del palazzo. Il suo ruolo è complesso: gestisce soldi, decide su lavori, media conflitti tra vicini, deve conoscere un po’ di contabilità, di diritto, di tecnica degli edifici. Chi svolge questo mestiere con coscienza merita la fiducia e la collaborazione dei condomini. Al contrario, chi lo affronta con superficialità o malafede può causare seri problemi e incorrere, come abbiamo visto, in conseguenze gravi. “La legge non ammette ignoranza” – ignorantia legis non excusat – e mai come in questo campo l’ignoranza o l’inerzia possono costare caro.
Se sei un condomino e ritieni che il tuo stabile sia mal gestito, o se sei un amministratore e hai dubbi su come procedere in situazioni delicate, non aspettare che la situazione precipiti: un confronto con un legale esperto in materia condominiale può aiutarti a capire diritti, doveri e soluzioni percorribili.
In sintesi: l’amministratore ideale è quello che previene i conflitti, risolve i problemi prima che degenerino e agisce sempre alla luce del sole, consapevole delle responsabilità che il suo ruolo comporta. Affidarsi a un professionista preparato è la migliore garanzia per un condominio sereno e a norma di legge. Viceversa, in presenza di gestioni opache o inefficaci, i condomini hanno gli strumenti per tutelarsi e pretendere una guida all’altezza.
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Avv. Marco Panato, avvocato del Foro di Verona e Dottore di Ricerca in Diritto ed Economia dell’Impresa – Discipline Interne ed Internazionali - Curriculum Diritto Amministrativo (Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Verona).
E' autore di pubblicazioni scientifiche in materia giuridica, in particolare nel ramo del diritto amministrativo. Si occupa anche di docenza ed alta formazione.