
Le rotatorie (o rotonde) sono diventate molto diffuse nelle strade italiane e veronesi per migliorare la viabilità, ma restano scenari di frequenti sinistri stradali. Il punto critico è la precedenza: chi deve fermarsi e chi può passare? La regola generale prevede che, in presenza del segnale “dare precedenza” all’ingresso, il veicolo già immesso in rotatoria ha la precedenza su quelli che stanno entrando. Se invece mancasse la segnaletica (caso raro nelle rotatorie moderne), varrebbe la regola generale di destra (art. 145 Codice della Strada), dando precedenza a chi proviene da destra. Nella pratica, quasi tutte le rotatorie sono segnalate affinché chi entra cede la precedenza a chi circola nell’anello.
Tuttavia, non tutti i conducenti rispettano questa regola: distrazione, fretta o errata interpretazione possono portare a collisioni. Un tipico scenario vede l’auto che si immette senza fermarsi urtare un veicolo (o motociclo) già nella rotatoria. In tali casi, a chi viene attribuita la colpa? La legge offre alcuni principi di base, ma spesso servono indagini e, se le parti non concordano, può occorrere un giudizio per stabilire le responsabilità con precisione.
In ogni incidente tra veicoli vige una regola fondamentale: l’art. 2054 cod. civ., comma 2, introduce una presunzione di colpa paritaria. Ciò significa che, se non si riesce a dimostrare concretamente una colpa prevalente di uno dei conducenti, entrambi saranno ritenuti responsabili in ugual misura (50 e 50). Questa è una sorta di rete di sicurezza: in mancanza di prove chiare, la legge presume che la colpa sia condivisa, perché statisticamente in molti sinistri entrambi avrebbero potuto fare qualcosa per evitare l’urto.
Ovviamente, si tratta di una presunzione iuris tantum, che può essere superata. Nella pratica, se le evidenze dimostrano che uno solo dei conducenti ha violato le regole di circolazione ed è la causa esclusiva dell’incidente, allora la colpa verrà attribuita interamente a quest’ultimo. Ad esempio, se dalle testimonianze, dai rilievi della Polizia o dalle perizie tecniche emerge chiaramente che l’auto A è entrata in rotatoria senza dare precedenza e ha colpito l’auto B che già circolava regolarmente, la responsabilità potrà essere dichiarata esclusivamente a carico del conducente dell’auto A. In questo modo si “vince” la presunzione di pari colpa, provando concretamente il contrario. Chi è causa del suo mal pianga se stesso: il codice civile non consente al conducente negligente di approfittare del dubbio per spartire la colpa con l’altro, se le prove indicano inequivocabilmente la sua responsabilità.
La giurisprudenza conferma questo approccio. Numerose pronunce ricordano che la regola del 50% non è un rifugio per l’automobilista imprudente quando gli elementi fattuali dimostrano diversamente. Ad esempio, una recente decisione ha stabilito la responsabilità esclusiva dell’automobilista che, immettendosi in rotatoria senza dare precedenza, ha tagliato la strada a un motociclista già presente, causandogli gravi lesioni – in quel caso il giudice ha condannato l’assicurazione del colpevole a risarcire integralmente i danni al centauro, superando la presunzione di cui all’art. 2054 c.c. (Trib. Como, sent. n. 970/2024). In sintesi, chi rispetta le regole di circolazione e può provare la colpa altrui ha diritto a essere esonerato da responsabilità. Summum ius, summa iniuria, diceva Cicerone: applicare in modo cieco una regola (come quella del 50% automatico) può portare a un’ingiustizia massima. Per questo, sia le norme che i giudici invitano a valutare sempre concretamente i fatti, prima di attribuire le colpe.
Ci sono situazioni in cui la dinamica non è bianco o nero: entrambi i conducenti possono aver contribuito all’incidente con un comportamento imprudente. Pensiamo a due auto che si scontrano in rotonda perché una non dà la precedenza e l’altra viaggiava comunque a velocità eccessiva: qui abbiamo due violazioni – il mancato rispetto dello Stop e il superamento dei limiti di prudenza – che insieme hanno portato all’esito rovinoso. In casi simili, la colpa può venire ripartita proporzionalmente. Ad esempio, il primo conducente potrebbe vedersi attribuire il 70% e l’altro il 30%, o viceversa, a seconda della gravità delle mancanze di ciascuno. L’importante è che la somma faccia 100%, perché tutti i fattori di rischio devono essere considerati.
Un principio correlato è quello del concorso di colpa del danneggiato (art. 1227 cod. civ.). Non riguarda la condotta di un altro guidatore, bensì quella della vittima stessa: se chi ha subito il danno ha tenuto un comportamento imprudente che ha contribuito al sinistro o ad aggravarne le conseguenze, il risarcimento dovuto può essere ridotto. Un esempio classico, al di fuori dell’ambito delle rotatorie, è quello del passeggero che non indossa le cinture di sicurezza: in caso di incidente, l’assenza della cintura – obbligatoria per legge – può aver aggravato le lesioni, e i giudici tendono a ridurre il risarcimento perché parte del danno è conseguenza della negligenza della stessa vittima (di solito, in giurisprudenza, si stima una riduzione attorno al 25% in questi casi, anche se ogni situazione è valutata a sé). Analogamente, un motociclista senza casco o che indossa un casco non omologato rischia di vedersi decurtare il risarcimento per i traumi cranici riportati, proprio perché egli stesso non ha adottato le precauzioni dovute.
Un caso limite, affrontato di recente dalla Suprema Corte, riguarda il terzo trasportato consenziente in situazione di pericolo. Immaginiamo un passeggero che salga volontariamente in auto con un conducente ubriaco fradicio. Se avviene un incidente, il passeggero ha diritto al pieno risarcimento oppure la sua imprudenza nell’accettare quel rischio gli si ritorcerà contro? La Cassazione civile, Sez. III, sent. n. 21896/2025 ha affrontato proprio questa situazione, relativa a un sinistro mortale avvenuto nel Veronese: un passeggero, che purtroppo è deceduto nell’incidente causato dal guidatore ubriaco, era stato ritenuto dai giudici parzialmente responsabile (nella misura del 30%) per essersi messo in auto con un autista in palese stato di ebbrezza. I familiari della vittima hanno comunque ottenuto un risarcimento, ma decurtato rispetto al 100% proprio in virtù di questo concorso di colpa. La Cassazione ha confermato questo orientamento: non esiste una regola fissa (non è che chi sale con un ubriaco perde sempre e automaticamente, ad esempio, il 30% del risarcimento), ma certamente volenti non fit iniuria, come recita un antico brocardo latino – a chi acconsente non viene fatta ingiustizia. In altre parole, chi si espone consapevolmente a un pericolo grave non può pretendere poi l’integrale ristoro come se nulla fosse. Serve comunque un’analisi caso per caso: occorre valutare se il trasportato fosse davvero conscio del rischio e in quale misura quella scelta imprudente abbia inciso sul verificarsi del danno. Nel caso considerato, è emerso che il passeggero aveva trascorso l’intera serata col conducente e non poteva non essersi accorto del suo alto tasso alcolico, dunque la decurtazione del risarcimento è stata ritenuta corretta. Chi è parte della causa del suo male, pianga se stesso, verrebbe da dire – fermo restando che, per legge, al terzo trasportato non può mai essere negato del tutto il risarcimento (non si può scendere sotto la quota di responsabilità dell’altro conducente). Questo principio, pur applicato a un caso estremo, riflette un’idea di fondo valida anche nelle rotatorie: se la vittima ha avuto un comportamento abnorme o pericoloso (si pensi a un pedone che attraversi improvvisamente la strada subito dopo l’uscita di una rotatoria, fuori dalle strisce pedonali, o a un ciclista contromano), ciò può incidere sul riparto finale delle colpe e sui risarcimenti dovuti.
Le rotatorie non sono percorse solo da automobili: vi transitano spesso motocicli, biciclette e pedoni (questi ultimi sugli attraversamenti posti nelle vicinanze). In termini di sicurezza stradale, questi vengono definiti utenti deboli perché più vulnerabili in caso di urto. La presenza di tali soggetti impone ai conducenti un obbligo ancora maggiore di prudenza. La Cassazione ha ricordato che chi guida deve sempre prevedere la possibile presenza di utenti deboli sulla strada, specialmente in prossimità di una rotatoria. Ad esempio, in un caso esaminato dalla Cassazione penale, Sez. IV, sent. n. 5189/2025, un camionista era stato assolto in sede penale per un grave incidente occorso in rotatoria (un ciclista investito e trascinato sotto le ruote, con lesioni permanenti gravissime), perché nel processo penale non era stata raggiunta la prova “oltre ogni ragionevole dubbio” di un suo urto col ciclista. Tuttavia, la stessa Corte di Cassazione ha annullato quella sentenza assolutoria penale ai soli fini civili, sottolineando che il giudice civile dovrà riesaminare la vicenda con un metro diverso: nel giudizio di responsabilità civile conta il criterio del “più probabile che non”. In quella tragica vicenda, i giudici di merito avevano dato poco peso alla testimonianza di un amico della vittima, che invece affermava di aver visto chiaramente l’impatto tra il camion e la bicicletta, basandosi soprattutto sulla perizia tecnica che non aveva trovato segni evidenti sul mezzo pesante. La Cassazione ha richiamato l’attenzione sul dovere di diligenza del conducente, legato proprio alla prevedibilità di incontrare utenti deboli (ciclisti, pedoni) nei pressi di una rotatoria, specialmente durante manovre come la svolta a destra. Il messaggio è chiaro: chi guida veicoli ingombranti o a motore deve essere doppiamente cauto nelle intersezioni, perché un piccolo errore può avere conseguenze devastanti su chi viaggia senza protezioni. E, in caso di dubbio, il sistema civile preferisce tutelare la vittima: anche se in sede penale l’autista non viene condannato (per mancanza di prova certa al 100%), ciò non significa che in sede civile non possa essere ritenuto responsabile e tenuto a risarcire. I due giudizi sono indipendenti: l’assoluzione penale non esclude la responsabilità civile. Chi ha subìto un danno, dunque, può agire per il risarcimento anche quando il conducente è stato prosciolto dal reato, perché in sede civile basta dimostrare la colpa con un grado di certezza inferiore (è sufficiente provare che, molto probabilmente, l’incidente sia dipeso dalla sua negligenza).
Vale la pena di aggiungere che, per i casi più gravi, il legislatore ha introdotto specifiche fattispecie di reato (come l’omicidio stradale e le lesioni personali stradali gravi o gravissime) e che l’attraversamento negligente di una rotatoria o una manovra azzardata al suo interno possono portare non solo a responsabilità civile, ma anche penale. Ad esempio, tagliare la strada a una moto in rotatoria causando lesioni gravi al motociclista può integrare il reato di lesioni stradali. In tali circostanze, oltre al risarcimento economico, si rischiano sanzioni penali severe (sospensione o revoca della patente, pene detentive nei casi più gravi). Anche a Verona, purtroppo, le cronache registrano episodi di sinistri mortali o con feriti gravi in rotatoria, a ricordarci che la prudenza non è mai troppa: “Del senno di poi son piene le fosse”, recita un noto adagio richiamato da Alessandro Manzoni. Dopo l’incidente, col senno di poi, è facile individuare gli errori – ma a quel punto i danni sono fatti. È quindi essenziale guidare con attenzione, moderare la velocità nell’immettersi e nell’uscire dalle rotatorie, segnalare sempre con l’indicatore di direzione le intenzioni di svolta, e mantenere la distanza di sicurezza dagli altri veicoli presenti nell’anello. Queste cautele, spesso ignorate, possono prevenire la gran parte degli incidenti in rotonda.
Una volta chiarite le responsabilità, l’altro grande tema è il risarcimento dei danni subiti nell’incidente. In un sinistro stradale possiamo distinguere due categorie principali di pregiudizi: i danni alle persone (lesioni fisiche, temporanee o permanenti, e i relativi risvolti non patrimoniali) e i danni materiali alle cose (ad esempio i veicoli coinvolti). Vediamo come vengono trattati.
1. Lesioni fisiche e danno biologico: quando una persona riporta ferite in un incidente, ha diritto al risarcimento del danno biologico, cioè della compromissione dell’integrità psico-fisica, temporanea o permanente. La quantificazione di questo danno in Italia avviene tipicamente con il sistema delle tabelle medico-legali: a ogni punto percentuale di invalidità permanente (ad esempio una limitazione funzionale a un arto, una cicatrice deturpante, etc.) corrisponde un certo importo in denaro, che viene poi aumentato in base all’età della vittima (più si è giovani, maggiore è l’impatto della menomazione) e ad altri fattori. Inoltre, per il periodo di inabilità temporanea (giorni di malattia, ricovero, convalescenza), si riconosce un importo al giorno, diverso se il giorno è di invalidità totale o parziale. Tutti questi calcoli seguono criteri standard abbastanza uniformi (in genere si usano le Tabelle del Tribunale di Milano come riferimento nazionale).
Accanto al danno biologico “standard”, può emergere il cosiddetto danno morale o altre voci di sofferenza personale: ad esempio lo spavento patito, il dolore fisico, il turbamento psicologico, le ricadute sulla vita quotidiana e affettiva. Fino a qualche anno fa, era prassi comune per i giudici liquidare separatamente il danno biologico e il danno morale, soprattutto in caso di lesioni. Oggi la tendenza è cambiata: la Cassazione spinge verso un risarcimento unitario onnicomprensivo del danno non patrimoniale, per evitare duplicazioni. In particolare, per le lesioni lievi (cioè con invalidità permanente fino al 9%, le cosiddette micropermanenti), si presume che la componente di sofferenza soggettiva sia già inclusa nel risarcimento base, eventualmente aumentato fino a un 20% massimo per le circostanze specifiche del caso. La Cassazione civile, Sez. III, ord. 20/05/2025, n. 13383 ha chiarito questo principio in modo emblematico: in quel caso un danneggiato aveva riportato una piccola invalidità permanente per un errore medico post-operatorio (ambito diverso dal sinistro stradale, ma il principio si applica anche qui). In primo grado gli erano stati riconosciuti il danno biologico da tabella + un 25% di personalizzazione e in aggiunta un importo separato per il danno morale. Ebbene, la Cassazione – confermando la Corte d’Appello – ha eliminato la duplicazione, ribadendo che nelle lesioni lievi il danno morale è già assorbito nell’indennizzo base (eventualmente maggiorato fino al 20%). In assenza di circostanze eccezionali e provate in maniera rigorosa, nec duplicanda indemnitas: il risarcimento non va duplicato pagando due volte la stessa voce. Solo se la vittima dimostra di aver patito qualcosa in più, di qualitativamente diverso dal normale dolore che accompagna una lesione fisica (si pensi a un vero e proprio trauma psichico documentato, o a conseguenze molto peculiari sulla vita privata), allora il giudice potrà aggiungere un’ulteriore somma per il danno morale. Ma si tratta di eccezioni. In generale, dunque, per un classico colpo di frusta da incidente in rotatoria, destinato a guarire senza postumi significativi, il risarcimento consisterà nel danno biologico (es. alcuni punti percentuali di invalidità permanente se residuano lievi problemi al collo) già comprensivo del normale dolore e spavento subìti: si potrà aumentare entro il 20% se, poniamo, la vittima pratica sport o un lavoro manuale e la distorsione cervicale gli ha dato problemi particolari, ma difficilmente si vedrà riconoscere anche una cifra autonoma per il generico “patema d’animo”. Questo orientamento, oltre a evitare ingiustificate duplicazioni, ha anche finalità di sistema: mantenere equità tra le vittime ed evitare che risarcimenti sommati in modo automatico facciano lievitare i costi (e quindi i premi assicurativi) per tutti.
Va poi ricordato che, in caso di lesioni macropermanenti (invalidità gravi sopra il 9%) o di danno catastrofale (es. persona in coma o tetraplegica in seguito all’incidente), entrano in gioco anche altre voci: il danno biologico viene calcolato con parametri più elevati; si aggiungono spesso il danno morale (inteso come sofferenza straordinaria per una vita stravolta) e il danno esistenziale (ossia la perdita della possibilità di fare attività e progetti di vita); inoltre i familiari stretti della vittima non deceduta ma gravemente lesa possono ottenere essi stessi un risarcimento per il danno da sconvolgimento della vita familiare. Tutto ciò porta a cifre molto importanti, che le assicurazioni tendono a contestare: si pensi che per un danno biologico del 50% ad una persona giovane le tabelle prevedono somme anche superiori al milione di euro, ancor prima di eventuali personalizzazioni. La Cassazione, comunque, ha tracciato dei confini etici: ad esempio ha escluso in modo tassativo che si possa ridurre il risarcimento alla vittima gravissima solo perché avrà un’aspettativa di vita più breve a causa delle lesioni (Cass. civ., Sez. III, sent. 09/12/2024, n. 31684: tesi del tutto respinta in quanto giuridicamente ed eticamente inaccettabile). Chi ha subìto un torto enorme non può vedersi “scontato” il risarcimento solo perché morirà prima – sarebbe un paradosso crudele e un vantaggio indebito per il responsabile.
2. Danni ai mezzi (veicoli): il discorso per i danni materiali è più lineare. Se l’auto o la moto vengono danneggiati nell’urto, si ha diritto alla riparazione o al rimborso del relativo costo (qualora la riparazione sia antieconomica, si può chiedere il valore di mercato del veicolo se questo è da rottamare). Qui conta la prova delle spese: preventivi e fatture del carrozziere, del meccanico, ecc. rientrano nel risarcimento. Oltre alle parti meccaniche o di carrozzeria, si considerano anche accessori danneggiati, eventuali seggiolini a bordo, effetti personali distrutti nell’abitacolo, e via dicendo. Se il veicolo rimane inutilizzabile per un certo periodo, si può chiedere il risarcimento del fermo tecnico (ad esempio le spese per un’auto sostitutiva a noleggio, o un’indennizzo forfettario per il disagio di non avere la macchina).
La normativa italiana prevede, per i sinistri tra veicoli a motore, una procedura speciale di indennizzo diretto: in molti casi, anziché rivolgersi all’assicurazione del responsabile, il danneggiato può presentare la richiesta di risarcimento direttamente alla propria compagnia assicurativa, che poi si rivarrà sull’assicuratore del veicolo colpevole. Questa procedura (disciplinata dall’art. 149 del Codice delle Assicurazioni) si applica solo se lo scontro ha coinvolto due veicoli assicurati e identificati, ed entrambi i conducenti hanno una quota di colpa inferiore al 100% (in pratica, in tutti i casi tranne quelli di responsabilità esclusiva altrui piena o in caso di coinvolgimento di più di due veicoli). L’indennizzo diretto copre i danni al veicolo e le eventuali lesioni di lieve entità subite dal conducente (fino al 9% di invalidità). Se ci sono feriti gravi oppure se nel sinistro sono coinvolti più veicoli, la procedura di indennizzo diretto non si applica: la richiesta di risarcimento andrà rivolta alla compagnia del responsabile civile, e spesso si dovrà gestire un vero e proprio contenzioso, soprattutto se le somme in gioco sono importanti.
In ogni caso, per ottenere il risarcimento dei danni materiali, è fondamentale documentare bene tutto: chiamare le autorità per i rilievi subito dopo l’incidente (specie se la controparte nega la responsabilità), raccogliere testimonianze, fare fotografie dei mezzi e del luogo, conservare scontrini e fatture delle spese conseguenti (traino, riparazioni, cure mediche, etc.). Una volta stabilita la responsabilità, l’assicurazione del colpevole (o la propria, in caso di indennizzo diretto) liquiderà il dovuto. Se vi sono contestazioni sulla dinamica o sull’entità dei danni, può rendersi necessario avviare una causa civile: in tribunale sarà una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) a stimare i danni al veicolo o le lesioni alla persona, e il giudice assegnerà la somma ritenuta congrua.
Le rotatorie, concepite per snellire il traffico e ridurre la gravità degli incidenti rispetto ai vecchi incroci semaforici, richiedono però massima prudenza da parte di tutti gli utenti della strada. Gran parte dei sinistri in rotonda deriva da errori evitabili: mancato rispetto della precedenza, velocità eccessiva, distrazione (magari causata dallo smartphone), mancata segnalazione col freccia quando si esce, errato posizionamento nelle corsie interne per chi deve svoltare. Una guida attenta e il rispetto scrupoloso delle regole possono davvero fare la differenza tra un ingresso e un’uscita di rotatoria in sicurezza o un viaggio che termina all’ospedale e dal carrozziere. Purtroppo, nonostante le campagne informative, gli incidenti avvengono: quando succede, è importante sapere che chi subisce un danno non è solo. L’ordinamento offre strumenti per ottenere giustizia e ristoro economico. Le recenti sentenze, anche del 2025, come abbiamo visto, affinano l’interpretazione delle norme per adattarle ai casi concreti e assicurare un equo risarcimento alle vittime. La tendenza è verso una personalizzazione sempre maggiore delle decisioni: niente automatismi punitivi né facili scorciatoie, ma analisi del comportamento di ciascuno e delle specifiche conseguenze patite. In tal modo, chi ha davvero ragione può veder riconosciuti i propri diritti, e chi ha torto è chiamato a rispondere delle proprie mancanze.
Redazione - Staff Studio Legale MP