Nel Servizio Sanitario Nazionale italiano, il diritto alla salute del cittadino – garantito dall’art. 32 della Costituzione – si confronta quotidianamente con liste d’attesa lunghissime, ritardi nelle cure e talvolta veri e propri dinieghi di prestazioni. Una visita specialistica rinviata di mesi o un intervento procrastinato possono comportare un aggravamento della patologia o comunque un serio disagio per il paziente. Di fronte a questi disservizi, il cittadino non è però privo di tutele: gli strumenti del diritto amministrativo sanitario e le azioni risarcitorie in sede civile offrono possibilità di ricorso e di indennizzo. Ubi jus, ibi remedium – dove esiste un diritto deve esserci un rimedio – insegnano i giuristi latini, e il nostro ordinamento si sta adeguando per trasformare il principio costituzionale della tutela della salute in realtà concreta. Il diritto alla salute è riconosciuto come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, ma la sua attuazione pratica dipende dall’organizzazione e dalle risorse del sistema sanitario pubblico. Negli ultimi anni il problema delle liste d’attesa e dei ritardi nelle prestazioni sanitarie è diventato centrale: dopo l’emergenza pandemica si è accumulato un forte arretrato, e i cittadini spesso devono attendere mesi per esami diagnostici o interventi importanti. Il legislatore è intervenuto di recente con misure urgenti per garantire tempi più brevi: il decreto liste d’attesa del 2024, convertito in legge, ha introdotto un nuovo sistema di monitoraggio nazionale e soprattutto l’obbligo per le Regioni di assicurare comunque la prestazione nei tempi massimi previsti. In pratica, se la struttura pubblica non riesce a erogare la prestazione nei tempi dovuti, deve attivare soluzioni alternative: prestazioni in intramoenia (a carico del Servizio Sanitario) o presso centri privati convenzionati, pur di rispettare il diritto del paziente. Sono stati aboliti tetti che limitavano le assunzioni di medici e sono state previste sanzioni per le aziende sanitarie che bloccano le liste d’attesa o non rispettano gli standard di tempestività. Non si tratta solo di efficienza gestionale, ma di dare attuazione concreta al diritto alle cure in condizioni di uguale dignità su tutto il territorio nazionale. Del resto, la stessa Corte Costituzionale ha più volte ribadito che la tutela della salute deve essere garantita in modo adeguato e uniforme, senza disparità regionali, compatibilmente con le risorse disponibili. In sintesi, la Pubblica Amministrazione ha il dovere giuridico di organizzare il servizio sanitario in modo da fornire prestazioni tempestive: quando ciò non avviene, si entra nel campo dell’illecito e scattano i rimedi legali in favore del cittadino.
Cosa può fare, dunque, un cittadino che si trova di fronte a un’attesa abnorme o a un rifiuto di cure da parte della sanità pubblica? Il primo passo è far valere i propri diritti nei confronti dell’ente sanitario competente (ASL, Azienda Ospedaliera, Regione): ad esempio, se al CUP viene comunicato un appuntamento oltre i termini massimi, si può inviare una diffida formale (meglio tramite PEC) alla Direzione Generale dell’azienda sanitaria e all’Assessorato regionale, richiamando le norme sulle liste d’attesa e chiedendo di attivare percorsi alternativi. Spesso questo sollecito provoca una risposta utile (ad esempio la proposta di eseguire la prestazione in altra struttura o in regime convenzionato). In caso di silenzio o diniego ingiustificato, entra in gioco l’azione legale: si può presentare un ricorso amministrativo al T.A.R. (Tribunale Amministrativo Regionale). Il ricorso al TAR può assumere varie forme a tutela del paziente. Se l’amministrazione sanitaria non risponde a una richiesta entro i termini di legge, è possibile il ricorso per silenzio-inadempimento, chiedendo al giudice di ordinare all’ente di provvedere. In alternativa, se c’è stato un provvedimento di diniego (ad esempio il rifiuto di autorizzare un trattamento fuori regione o di fornire un farmaco off-label prescritto dallo specialista), si potrà impugnare quell’atto per eccesso di potere o violazione di legge, evidenziandone l’illegittimità. I giudici amministrativi hanno più volte riconosciuto la tutela dell’assistito in queste situazioni: ad esempio, hanno annullato provvedimenti che negavano cure innovative o terapie all’estero quando risultava che la prestazione non fosse ottenibile in Italia in modo tempestivo e adeguato. Già dal 1989 una norma definisce “non ottenibile tempestivamente” la prestazione che richiederebbe un’attesa incompatibile con le necessità cliniche. Su questa scia, la giurisprudenza ha spesso dato ragione ai pazienti costretti a rivolgersi fuori dal sistema ordinario: in casi di urgenza eccezionale, è stato riconosciuto il diritto al rimborso delle spese mediche anche in assenza di preventiva autorizzazione, purché l’intervento sia avvenuto in stato di necessità per non compromettere definitivamente la salute. Parallelamente, il cittadino ha diritto di conoscere e controllare l’operato dell’ente sanitario: può esercitare l’accesso agli atti per ottenere informazioni sulla propria posizione in graduatoria o sulle ragioni del ritardo, e utilizzare tali elementi nel ricorso. Inoltre, in situazioni di particolare gravità e urgenza, è possibile chiedere misure cautelari d’urgenza al giudice (sia al TAR sia, in alcuni casi, al giudice civile), affinché disponga immediatamente il ricovero o la prestazione necessaria. In sintesi, il diritto amministrativo fornisce strumenti per agire in tempo reale e ottenere le cure dovute: il TAR può diventare l’alleato del paziente quando l’amministrazione sanitaria viola i suoi obblighi.
Un esempio emblematico viene dalla sentenza del TAR Lombardia che ha annullato la delibera regionale sul cosiddetto overbooking nelle visite mediche: la Regione aveva cercato di ridurre le attese permettendo di accavallare più pazienti per ogni ora di visita, ma il TAR ha giudicato illegittima questa misura unilateralmente imposta e potenzialmente dannosa. Nel decidere, però, il tribunale amministrativo ha tenuto conto anche dell’interesse dei cittadini: pur bocciando il sistema futuro, ha lasciato validi gli appuntamenti già fissati in overbooking, sottolineando che cancellarli “comprometterebbe ingiustamente il diritto alla salute dei pazienti, costretti a riprogrammare le visite con tempistiche incerte”. Questo passaggio evidenzia come i giudici amministrativi bilancino il rispetto delle regole con la necessità di non penalizzare ulteriormente i cittadini, confermando che la salvaguardia della salute resta prioritaria.
Oltre ad ottenere in extremis la prestazione negata, il cittadino può chiedere anche il risarcimento dei danni subiti a causa dei ritardi o dei disservizi della sanità pubblica. Quando un paziente vede peggiorare la propria condizione per colpa dei tempi d’attesa – o subisce un prolungato dolore o stress evitabile se le cure fossero state tempestive – si configura un danno ingiusto di cui l’ente sanitario (ASL, ospedale pubblico o Regione) può essere chiamato a rispondere. Due sono le situazioni tipiche in cui può emergere un danno da ritardo nelle cure: aggravamento della salute o perdita di chance di guarigione e danno da stress, sofferenza o disservizio. La Suprema Corte ha chiarito che se la condotta colpevole fa venir meno una significativa probabilità di guarigione o di allungamento della vita, tale possibilità perduta diventa di per sé un danno risarcibile. Un esempio concreto: in una recente causa, il Tribunale di Milano ha riconosciuto la responsabilità di una struttura sanitaria per la morte di un malato cardiaco rimasto in attesa per dieci mesi di un intervento di ablazione che avrebbe potuto allungargli la vita. Il giudice ha condannato l’ente per aver privato il paziente di una chance di sopravvivenza aggiuntiva, liquidando un risarcimento ai familiari in via equitativa. Questi principi, affermati inizialmente nei casi di malasanità individuale, si applicano dunque anche ai ritardi organizzativi del sistema.
In altri casi, la giurisprudenza più recente ha iniziato a riconoscere il cosiddetto “danno da attesa eccessiva”: non solo quando vi è aggravamento clinico, ma anche quando il paziente subisce sofferenza e stress per tempi di attesa ingiustificati, ad esempio ore interminabili in barella al pronto soccorso. Alcuni giudici hanno già liquidato indennizzi tra 200 e 800 euro a seconda del codice di triage e delle ore di attesa. Un recente decreto del Giudice di Pace di Salerno (giugno 2025) ha riconosciuto un indennizzo a un paziente rimasto per oltre 8 ore in pronto soccorso senza essere visitato, aprendo un nuovo orientamento favorevole ai cittadini. Questi sviluppi confermano che il tempo del paziente ha valore e che le strutture sanitarie sono tenute a rispettarlo. Come ammoniva Schopenhauer, “La salute non è tutto, ma senza la salute tutto è niente”.
Tra i precedenti di rilievo, oltre al TAR Lombardia e al Tribunale di Milano, si segnala la sentenza del Consiglio di Stato 25 marzo 2025 n. 2465 che ha riaffermato l’obbligo delle strutture accreditate a rispettare gli standard pattuiti, qualificando le prestazioni tempestive come parte dei LEA (livelli essenziali di assistenza), e la sentenza Consiglio di Stato Sez. V, n. 362/2025 che ha confermato la tutela della salute pubblica anche a costo di limitare libertà contrarie alla scienza medica.
In conclusione, il cittadino non deve subire passivamente le disfunzioni del sistema sanitario: può agire con diffide, ricorsi al TAR, azioni risarcitorie in sede civile, fino a ottenere il giusto ristoro. Far valere i propri diritti in sanità non è solo interesse individuale, ma stimolo per una sanità migliore per tutti. Come scriveva Oscar Wilde, “La salute è il primo dovere della vita”: è quindi dovere della società e delle istituzioni tutelarla con la massima attenzione e, quando viene violata, offrire strumenti concreti di giustizia e risarcimento.
Avv. Marco Panato, avvocato del Foro di Verona e Dottore di Ricerca in Diritto ed Economia dell’Impresa – Discipline Interne ed Internazionali - Curriculum Diritto Amministrativo (Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Verona).
E' autore di pubblicazioni scientifiche in materia giuridica, in particolare nel ramo del diritto amministrativo. Si occupa anche di docenza ed alta formazione.