Negli ultimi anni miliardi di persone si sono vaccinate per proteggere sé e gli altri da malattie infettive. In casi rarissimi, però, il rimedio può rivelarsi peggiore del male: si sono verificati eventi avversi gravi, dai problemi coagulatori legati ad alcuni vaccini anti-Covid a reazioni neurologiche impreviste. La campagna vaccinale contro il Covid-19, in particolare, ha sollevato nuove questioni giuridiche nel bilanciamento tra salus publica suprema lex – la salute pubblica come legge suprema – e tutela dei diritti individuali. Da un lato, l’interesse collettivo ha giustificato anche obblighi vaccinali per certe categorie; dall’altro, chi ha subito danni alla salute per aver fatto il proprio dovere sociale non deve restare senza tutela. In questo scenario, il legislatore e i giudici italiani hanno rafforzato gli strumenti a disposizione dei cittadini danneggiati da vaccino. Vediamo quali tutele offre oggi l’ordinamento e come recenti sentenze hanno chiarito gli aspetti chiave per ottenere indennizzi o risarcimenti in caso di reazioni avverse.
Sin dal 1992 esiste in Italia un meccanismo di indennizzo pubblico per chi riporta complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie. La legge n. 210/1992 riconosce a queste persone (o ai loro familiari, in caso di decesso) un assegno vitalizio a carico dello Stato, indipendentemente dall’accertamento di colpe. L’indennizzo è dunque una forma di solidarietà pubblica: viene corrisposto a prescindere da responsabilità mediche o difetti del vaccino, ma in cambio chi lo accetta rinuncia di fatto a ulteriori risarcimenti del danno non patrimoniale verso lo Stato per lo stesso fatto. Inizialmente limitato ai vaccini obbligatori (come antipolio, antidifterite ecc.), questo diritto è stato esteso nel tempo anche a vaccinazioni solo raccomandate ma di massa: emblematiche le pronunce della Corte Costituzionale che nel 2012 e 2017 hanno incluso rispettivamente i danni da vaccino trivalente (morbillo-parotite-rosolia) e quelli da vaccino antinfluenzale tra i casi indennizzabili. Oggi, grazie a un intervento normativo del 2022, anche le reazioni avverse al vaccino anti-Covid rientrano nell’alveo della legge 210/1992, nonostante per la popolazione generale tale vaccino fosse raccomandato e non imposto per legge (obbligatorio è stato solo per specifiche categorie, come il personale sanitario e gli over 50 per un periodo limitato).
Per ottenere l’indennizzo, occorre presentare domanda alla ASL di competenza entro tre anni dal momento in cui si è manifestato il danno (o da quando se ne ha avuta conoscenza). Una commissione medico-ospedaliera valuta il caso e stabilisce se vi è nesso causale tra la vaccinazione e la patologia sofferta, nonché il grado di invalidità permanente riportato. In caso di esito positivo, il Ministero della Salute eroga un assegno bimestrale il cui importo dipende dal tipo e grado di infermità. Ad esempio, una recente vicenda ha visto un 37enne di Genova colpito da trombocitopenia grave dopo il vaccino AstraZeneca: la Commissione medico-legale ligure ha riconosciuto il collegamento causale e disposto un indennizzo vitalizio pari a circa 1.740 euro bimestrali, considerando la menomazione permanente dell’integrità psicofisica subita. Si tratta di somme fisse stabilite per legge, soggette a revisione solo se peggiorano le condizioni di salute del danneggiato.
Una novità importante è arrivata sul fronte dei termini di prescrizione dell’indennizzo. Spesso le persone non presentavano la domanda entro tre anni perché ignoravano il nesso tra vaccino e malattia o nemmeno sapevano di aver diritto a qualcosa. La Corte Costituzionale, sent. n. 35/2023, ha chiarito che il termine triennale inizia a decorrere solo dal momento in cui il danneggiato ha piena consapevolezza non solo del danno, ma anche della sua indennizzabilità. In pratica, finché il tipo di vaccino non è incluso tra quelli indennizzabili (o finché la persona non scopre il collegamento causale), la prescrizione non decorre. Questo principio di civiltà giuridica (“contra non valentem agere non currit praescriptio”, la prescrizione non corre contro chi non può agire) evita che chi ha subìto un danno venga beffato due volte, perdendo il diritto perché la legge non copriva ancora quel vaccino o per mancanza di informazioni. Grazie a questa interpretazione, ad esempio, i genitori di una bambina gravemente lesa dal vaccino MPR hanno potuto ottenere l’indennizzo nonostante la domanda fosse stata presentata oltre il termine, poiché è stata inoltrata prima che una sentenza rendesse quel vaccino indennizzabile. Insomma, l’indennizzo pubblico rappresenta oggi il primo livello di tutela: rapido, automatico e garantito dallo Stato, ma limitato nell’entità. Vediamo ora quando si può aspirare a un vero e proprio risarcimento integrale dei danni subiti.
L’indennizzo ex lege 210/92 non copre tutte le voci di danno (ad esempio il danno morale o esistenziale) e spesso ammonta a cifre inferiori rispetto a un risarcimento civile completo. Inoltre, nel caso di vaccini non obbligatori fino a poco tempo fa (si pensi all’anti-Covid per molte categorie), alcune vittime di gravi effetti avversi potrebbero voler chiamare in causa i responsabili per ottenere una compensazione più elevata. Qui, però, il terreno diventa complesso: bisogna individuare un fondamento giuridico per la richiesta di risarcimento e un soggetto da ritenere civilmente responsabile del danno. In teoria, tre sono le possibili strade invocate nei tribunali in questi anni: (1) il prodotto difettoso, ossia un’azione contro la casa farmaceutica ai sensi degli artt. 114 e segg. del Codice del Consumo; (2) la responsabilità per attività pericolosa ex art. 2050 del Codice Civile, ipotizzando che la vaccinazione rientri tra le attività pericolose esercitate da chi la somministra o dalla struttura sanitaria; (3) la responsabilità civile generale per colpa (art. 2043 c.c.), ad esempio contestando un errore o negligenza nella gestione vaccinale o nell’informazione sui rischi. È fondamentale capire che questi regimi di responsabilità sono alternativi e non sovrapponibili: come ha affermato chiaramente la Cassazione civ., Sez. III, sent. n. 8224/2025 (28 marzo 2025), il danneggiato può scegliere quale strada percorrere, ma non può “mescolare le mappe” a proprio piacimento. In quella pronuncia la Suprema Corte – decidendo il caso di un uomo deceduto per encefalomielite dopo un vaccino antinfluenzale – ha cassato una sentenza che confondeva i piani: i giudici d’appello avevano riconosciuto la responsabilità del produttore (vaccino Fluarix) ritenendo il farmaco difettoso per carenza di studi clinici su anziani con comorbilità, però avevano applicato criteri probatori presi da altri ambiti (come l’onere della prova “alleggerito” tipico dell’attività pericolosa ex art. 2050 c.c.). La Cassazione ha annullato tutto, ricordando che ogni regime di responsabilità ha regole proprie: se si procede per prodotto difettoso, il danneggiato deve provare difetto, nesso causale e danno, mentre il produttore può andare esente solo dimostrando – ai sensi dell’art. 118 Cod. Consumo – che lo stato delle conoscenze scientifiche al momento della distribuzione del vaccino non gli permetteva di prevedere quella reazione avversa. In altre parole, la casa farmaceutica risponde in maniera oggettiva dei danni causati dal proprio vaccino, salvo prova del c.d. rischio imprevedibile. Nel caso concreto, la Corte ha rinviato a nuovo giudizio perché sia applicata correttamente la disciplina sul prodotto difettoso, senza indebite contaminazioni con altre norme. Questo precedente è importante: indica che è possibile chiamare in causa il produttore di un vaccino per un effetto avverso grave, ma occorre dimostrare un difetto del prodotto (ad esempio, un’insufficiente informazione sulle controindicazioni, un lotto contaminato o una mancata indicazione dei rischi per categorie particolari di pazienti). Non basta dire “il vaccino mi ha fatto male”: bisogna provare che il prodotto non offriva la sicurezza che ci si poteva legittimamente attendere. Allo stesso modo, se invece si invoca l’art. 2050 c.c., andrà provato che la pratica vaccinale è di per sé pericolosa e che chi l’ha eseguita non ha adottato tutte le cautele per evitare il danno. È un percorso meno battuto, perché la vaccinazione in sé è un’attività sorvegliata e protocollata: difficilmente la si può equiparare, ad esempio, all’uso di esplosivi (classico caso di attività pericolosa).
Più concreta, nei fatti, è l’ipotesi di colpa medica o della struttura sanitaria collegata alla vaccinazione. Pensiamo a errori nella conservazione o somministrazione del vaccino (dosi mal gestite che causano infezioni), oppure alla mancata acquisizione del consenso informato del paziente. Su quest’ultimo aspetto è intervenuta una pronuncia interessante: Cass. civ., Sez. III, ord. n. 28691/2024 (depositata il 7 novembre 2024). La vicenda riguardava un bambino rimasto gravemente disabile dopo le vaccinazioni dell’infanzia (esavalente obbligatorio e, un mese dopo, vaccino trivalente MPR raccomandato). I genitori, oltre ad aver ottenuto l’indennizzo statale, hanno citato l’azienda sanitaria per ottenere il risarcimento del danno subito dal figlio. Ebbene, in giudizio non è emersa prova scientifica del nesso causale tra vaccini e autismo (le corti di merito hanno escluso legami, richiamando la letteratura medica consolidata); tuttavia la Corte d’Appello aveva riconosciuto ai genitori una somma di 10.000 euro per la violazione del diritto al consenso informato riguardo al vaccino MPR, che all’epoca non era obbligatorio. In pratica l’ASL è stata ritenuta civilmente responsabile per non aver adeguatamente informato mamma e papà dei possibili effetti collaterali di quel vaccino “facoltativo”, privandoli della possibilità di una scelta consapevole. La Cassazione 28691/2024 ha confermato questo esito: niente risarcimento per il danno sanitario (perché non c’è prova che il vaccino abbia causato la malattia del minore), ma conferma del risarcimento per lesione del diritto all’autodeterminazione. È una differenza cruciale: il danno da mancato consenso informato è autonomo rispetto al danno alla salute; viene riconosciuto anche se il trattamento non ha causato peggioramenti fisici, quando però il paziente (o nel caso un genitore per il minore) avrebbe rifiutato quella specifica vaccinazione se correttamente informato sui rischi. Questa strada può riguardare soprattutto i vaccini non obbligatori: se un medico o una struttura omette di avvertire di effetti avversi noti e prevedibili, violando l’obbligo di informazione, può essere chiamato a rispondere del conseguente pregiudizio non patrimoniale (ansia, angoscia, lesione della libertà di scelta terapeutica). In sintesi, chi ha riportato gravi conseguenze da un vaccino ha due livelli di tutela: il primo è l’indennizzo statale forfettario, che conviene sempre attivare perché relativamente rapido e certo; il secondo, più complesso, è l’azione risarcitoria civile. Quest’ultima va calibrata caso per caso, valutando con un legale esperto se esistono i presupposti per dimostrare una colpa specifica (es. errore sanitario, difetto del vaccino, omissione d’informazioni dovute). Non è una causa facile: serviranno perizie medico-legali solide e occorrerà agire entro i termini di legge (in generale, 5 anni per il risarcimento da fatto illecito, decorrenti dal giorno in cui si è avuta piena contezza del danno). Ma le sentenze recenti mostrano che la giurisprudenza è attenta a dare giustizia ai danneggiati veri, senza però aprire la porta a richieste infondate.
Un capitolo a parte merita il tema degli obblighi vaccinali e delle relative conseguenze giuridiche. La campagna anti-Covid ha visto l’introduzione di obblighi temporanei per alcune categorie (sanitari, forze dell’ordine, lavoratori della scuola, over 50), il cui mancato adempimento comportava sanzioni come la sospensione dal lavoro senza retribuzione. Anche su questo fronte le dispute sono approdate in Cassazione. La Cass. civ., Sez. Lavoro, sent. n. 9243/2025 ha ad esempio respinto il ricorso di alcuni operatori sanitari no-vax che chiedevano il pagamento degli stipendi relativi al periodo di sospensione: la Corte ha confermato che l’inosservanza dell’obbligo vaccinale legittimava la sospensione dal servizio e dalla paga, trattandosi di un provvedimento previsto per legge a tutela della salute collettiva. In sostanza, non c’è spazio per ottenere indennizzi se la perdita patrimoniale deriva da una scelta personale di non vaccinarsi violando una norma (per quanto oggi tali obblighi siano decaduti). Diverso, come abbiamo visto, è il caso di chi si è vaccinato e ha subito un danno: qui l’ordinamento offre protezione, mentre chi ha rifiutato il vaccino obbligatorio non può lamentare conseguenze sfavorevoli sul lavoro perché sono l’effetto di una propria deliberata inadempienza a una legge. Vale la pena segnalare che la Cass. civ., Sez. Lavoro, sent. n. 1881/2025 ha riconosciuto come il rapporto di lavoro degli operatori sanitari implichi una posizione di garanzia verso i pazienti: il medico che sceglie di non vaccinarsi (in presenza di un obbligo) viene meno ai doveri deontologici e giuridici di protezione della salute altrui, giustificando misure estreme come l’allontanamento dall’attività. Si tratta di principi che potranno valere anche in futuro in situazioni analoghe. Per fortuna, queste circostanze emergenziali sono eccezionali.
In conclusione, chi subisce danni da vaccino ha a disposizione strumenti concreti di tutela. Lo Stato italiano si è fatto carico di fornire un indennizzo economico a chi, per il bene comune, ha patito conseguenze sulla propria salute – un segnale importante di solidarietà collettiva. Al tempo stesso, il nostro sistema giuridico non preclude la possibilità di agire in giudizio per un risarcimento completo, ove vi siano responsabilità specifiche: la legge e i tribunali riconoscono che “nulla è più ingiusto che fare parti uguali tra disuguali” (per dirla con Don Milani). Chi ha sofferto un grave pregiudizio merita un ristoro proporzionato, e se tale pregiudizio si poteva evitare con una condotta più diligente o un prodotto più sicuro, è giusto che il responsabile ne risponda. Certo, districarsi tra commissioni mediche, normative speciali e cause civili complesse non è semplice. Il consiglio per chi si trova ad affrontare un caso di sospetto danno vaccinale è di muoversi subito, consultando un avvocato e un medico-legale di fiducia. Raccolta la documentazione sanitaria e stabilito il nesso causale (quando possibile), si potrà innanzitutto attivare la procedura di indennizzo pubblico. Parallelamente, si valuterà se esistono i presupposti per una domanda risarcitoria in sede civile. Grazie alle pronunce recenti – come le Cassazioni del 2024–2025 citate in questo articolo – oggi abbiamo linee guida più chiare su come procedere. Il messaggio finale è di speranza e responsabilità: lo Stato non abbandona chi, per proteggere la collettività, ha subito un danno; e la giustizia, pur con i suoi tempi e complessità, offre gli strumenti per far valere i propri diritti.
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Avv. Marco Panato, avvocato del Foro di Verona e Dottore di Ricerca in Diritto ed Economia dell’Impresa – Discipline Interne ed Internazionali - Curriculum Diritto Amministrativo (Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Verona).
E' autore di pubblicazioni scientifiche in materia giuridica, in particolare nel ramo del diritto amministrativo. Si occupa anche di docenza ed alta formazione.