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Responsabilità medica in gravidanza e parto: errori, danni e tutele legali - Studio Legale MP - Verona

Gravidanza e nascita dovrebbero essere momenti di gioia, ma un errore medico può trasformarli in tragedia. Parliamo di malasanità in gravidanza e durante il parto: lesioni neonatali (come paralisi cerebrale infantile), decessi o gravi invalidità di madre e neonato, e quali responsabilità giuridiche ne derivano.

 

La responsabilità medica in ambito ostetrico riguarda i danni causati da condotte sanitarie errate durante la gestazione, il travaglio o il parto. In Italia questi casi rientrano nel fenomeno noto come malasanità, ossia la colpa sanitaria dovuta a negligenza, imperizia o imprudenza del personale medico. Ogni medico, in particolare ginecologi e ostetriche che assistono madre e bambino, è tenuto a rispettare la lex artis medica e il principio ippocratico primum non nocere (anzitutto, non arrecare danno). Errare humanum est, certo, ma in medicina l'errore evitabile può comportare gravi responsabilità legali. Di seguito esamineremo le situazioni tipiche di colpa medica in gravidanza e parto, le possibili conseguenze per la salute di madre e neonato, e come l’ordinamento tutela le vittime attraverso il risarcimento dei danni.

 

Tipologie di errori medici durante la gravidanza

Durante i nove mesi di gravidanza, una serie di controlli clinici e diagnostici serve a monitorare la salute della gestante e del feto. Gli errori medici in gravidanza possono assumere diverse forme:

Omissioni diagnostiche o ritardi: ad esempio il mancato riconoscimento di condizioni come preeclampsia, diabete gestazionale o infezioni (es. rosolia, toxoplasmosi) che, se non gestite in tempo, mettono a rischio madre e feto. Un caso emblematico è quello in cui i medici non individuano segnali di sofferenza fetale in utero né intervengono tempestivamente: nella sentenza Cass. Pen. n. 8864/2020 la Corte di Cassazione ha esaminato il decesso di un feto alla 32ª settimana, figlio di una madre con grave preeclampsia non trattata a dovere. La mancata diagnosi tempestiva e il ritardato parto d’urgenza in quella vicenda sono costati la vita al bambino; tuttavia, in sede penale la Cassazione ha assolto il ginecologo imputato perché non era stata raggiunta la certezza che un intervento anticipato avrebbe evitato l’evento infausto. Ciò dimostra quanto sia complesso provare il nesso causale in giudizio: serve accertare che la condotta omessa avrebbe salvato il feto, non bastando il solo sospetto.

Errori ecografici e diagnostica prenatale: la medicina fetale permette oggi di individuare molte malformazioni o patologie prima della nascita. Un errore nell’interpretazione di ecografie o test genetici può privare i genitori della possibilità di scegliere trattamenti o anche, nei casi più gravi, di valutare un’interruzione di gravidanza. La giurisprudenza parla in tali ipotesi di “nascita indesiderata” o wrongful birth. Ad esempio, il Tribunale di Arezzo (sentenza 15 febbraio 2023) ha condannato un’azienda sanitaria per un caso di gravidanza non pianificata conseguente a un intervento di sterilizzazione fallito, imponendo il risarcimento ai genitori delle spese di mantenimento del figlio fino ai 25 anni. La sentenza ha sottolineato che non si può pretendere dalla donna di abortire per evitare il danno economico: la scelta di proseguire o meno la gravidanza è un diritto personalissimo, non un obbligo ai fini risarcitori.

Terapie errate o controindicate in gestazione: somministrare un farmaco dannoso per il feto (teratogeno) o sbagliare dose e tempistica di un trattamento può provocare aborto, parto prematuro o danni congeniti al nascituro.

Carente monitoraggio e assistenza prenatale: visite frettolose, mancata prescrizione di esami appropriati (es. amniocentesi, monitoraggi cardiotocografici nel terzo trimestre in caso di rischio). Questo può portare a non rilevare segnali di allarme. Nel principio affermato dalla Cassazione, la condotta del medico va valutata alla luce della situazione concreta: ad esempio, se vi sono fattori di rischio elevati, il sanitario deve adottare misure aggiuntive di controllo anche oltre le linee guida standard.

 

Errori durante il travaglio e il parto

Il momento del parto è altamente critico e errori nella gestione del travaglio o del parto possono avere conseguenze drammatiche sia per il neonato sia per la madre. Tra le principali condotte colpose riscontrate nelle aule di tribunale troviamo:

Monitoraggio inadeguato del battito fetale: la sorveglianza del benessere del feto tramite cardiotocografia (CTG) è essenziale durante il travaglio. Tracciati anormali indicanti sofferenza fetale (bradicardie, decelerazioni prolungate, perdita di variabilità) richiedono interventi immediati. Non sorvegliare correttamente il tracciato o interpretarlo in ritardo configura negligenza grave. In un caso recente, la Cassazione penale ha confermato la condanna di un medico per imperizia non lieve: pur seguendo le linee guida (che non imponevano un monitoraggio continuo in quel frangente), il ginecologo non aveva considerato i rischi specifici (due cesarei pregressi, forti dolori) e avrebbe dovuto applicare comunque un controllo intensivo; la mancata tempestiva rilevazione di segnali di pericolo portò alla morte del neonato per rottura dell’utero. Ciò insegna che il rispetto formale delle linee guida non esonera da responsabilità se il medico ignora evidenti fattori di rischio: salus aegroti suprema lex – la salute del paziente (e del nascituro) è legge suprema.

Ritardo nel ricorso al taglio cesareo d’urgenza: se le condizioni lo impongono (sofferenza acuta del feto, travaglio che non progredisce, sproporzione feto-pelvica, placenta previa con emorragia, rottura uterina incipiente, ecc.), il team medico deve procedere senza indugio al parto cesareo. Un cesareo effettuato anche mezz’ora in ritardo può fare la differenza tra un bambino sano e uno con danni neurologici permanenti, o tra una madre viva e una deceduta. Ad esempio, nella vicenda esaminata dalla Cassazione nel 2020 sopra citata, i periti hanno stimato che se il cesareo fosse avvenuto alle ore 7:00 il feto si sarebbe “certamente salvato”, mentre alle 10:07 era troppo tardi. Il margine di ore o minuti è cruciale: per questo l’ospedale deve predisporre un’organizzazione efficiente per le emergenze ostetriche.

Errori nelle manovre di parto e uso degli strumenti: ad esempio un uso improprio o maldestro del forcipe o della ventosa ostetrica può causare traumi cranici al neonato o gravi lacerazioni alla madre. Oppure una manovra errata in caso di distocia di spalla (blocco della spalla del neonato dopo la testa) può provocare la lesione del plesso brachiale del bambino (paralisi di Erb) o lesioni interne alla madre. Anche l'eventuale rottura dell'utero o inversione uterina durante il parto spesso deriva da errori (somministrazione eccessiva di ossitocina, manovre aggressive) ed è altamente rischiosa.

Mancata gestione dell’emergenza neonatale: se il neonato nasce asfittico (privo di adeguata respirazione), il team deve attuare immediatamente la rianimazione neonatale. Un ritardo nell'intubazione o nella ventilazione può aggravare il danno cerebrale causato dall'asfissia perinatale.

Cattiva gestione di emorragie e complicanze materne: la emorragia post parto (ad esempio per atonia uterina o ritenzione placentare) è una delle prime cause di mortalità materna evitabile. Il personale deve riconoscerla subito e applicare protocolli salvavita (farmaci uterotonici, tamponamento, trasfusioni, intervento chirurgico). Ritardi o sottovalutazione configurano colpa grave. Lo stesso vale per altre emergenze come l'embolia amniotica, la rottura uterina o la preeclampsia severa/eclampsia intrapartum: situazioni in cui ogni minuto è prezioso per salvare madre e figlio.

 

Lesioni neonatali e paralisi cerebrale infantile

Gli esiti lesivi più gravi per un neonato da parto traumatico o mal gestito includono il danno neurologico permanente. L’encefalopatia ipossico-ischemica neonatale è spesso conseguenza di un parto in cui il bambino ha sofferto una prolungata carenza di ossigeno (asfissia). Le cellule cerebrali danneggiate dall’ipossia possono condurre alla paralisi cerebrale infantile, un disturbo motorio permanente spesso associato a ritardo cognitivo, epilessia e altre disabilità. Questa condizione comporta per il bambino danni catastrofali a livello esistenziale: non potrà condurre una vita normale, avrà bisogno di assistenza continua e terapie riabilitative per tutta la vita. I costi economici e umani sono ingentissimi, ed è per questo che i risarcimenti in questi casi raggiungono cifre molto elevate. Emblematico è il caso di un neonato che, a causa di plurimi errori durante il travaglio (monitoraggio cardiotocografico discontinuo e mancato cesareo d’urgenza nonostante evidenti segni di sofferenza fetale), ha riportato gravissime lesioni cerebrali: la struttura sanitaria, riconosciuta responsabile, ha offerto un risarcimento di 1,8 milioni di euro ai genitori del bambino. In quella vicenda, i consulenti tecnici hanno accertato che l’insulto ipossico-ischemico si era verificato proprio nel periodo di ricovero e che una condotta adeguata (tempestivo intervento) avrebbe evitato l’esito drammatico. Inoltre, è interessante notare che i medici assicurativi contestavano la richiesta di risarcimento sostenendo, tra l'altro, che un neonato non “perde” capacità di lavoro specifica non avendone ancora una. Eppure la Cassazione ha chiarito che persino un neonato ha diritto al ristoro per la futura perdita di capacità lavorativa: si presume infatti che, crescendo, avrebbe acquisito una qualche capacità lavorativa specifica. Questa voce di danno patrimoniale futuro è dunque risarcibile anche se la vittima è un bambino molto piccolo (principio di proiezione futura della capacità).

Altre lesioni neonatali da parto possono includere fratture (ad es. frattura della clavicola durante un parto difficoltoso), paralisi ostetriche di nervi periferici, infezioni neonatali contratte per mancata asepsi o ritardo nel parto, e perfino danni psicologici a lungo termine legati al trauma della nascita complicata. Purtroppo vi sono anche esiti fatali: morte neonatale a poche ore o giorni dal parto a causa delle lesioni subite. In tali casi i genitori sperimentano il peggior dolore immaginabile, quello per la perdita di un figlio. Come scrisse Oriana Fallaci in una sua celebre opera sulla maternità: “Se uno muore vuol dire che è nato, che è uscito dal niente, e niente è peggiore del niente: il brutto è dover dire di non esserci stato”. La tragica consolazione è dunque aver conosciuto quel figlio, anche se per poco, piuttosto che non averlo mai avuto. Dal punto di vista giuridico, la morte di un neonato o di un feto comporta specifiche problematiche risarcitorie, di cui diremo tra breve.

 

Morte del feto o del neonato: il danno e il risarcimento

Un capitolo a parte riguarda i casi di morte perinatale dovuta a colpa medica, ossia il decesso del feto (morte in utero) o del neonato entro poco tempo dalla nascita, in conseguenza di errori durante gravidanza o parto. La giurisprudenza negli ultimi anni ha fatto chiarezza sulla qualificazione giuridica di questo danno. In passato ci si interrogava se la perdita di un feto non nato fosse risarcibile come danno da perdita di chance o in modo ridotto rispetto alla perdita di un figlio già nato e vissuto. Oggi la Corte di Cassazione equipara sostanzialmente le due situazioni sul piano del diritto al risarcimento: «il danno da perdita del frutto del concepimento coincide con il danno da perdita del rapporto parentale» (Cass. civ. sez. III, sent. n. 26301/2021). In altre parole, la perdita di un figlio è tale sia che avvenga dopo la nascita sia che avvenga prima: madre, padre e familiari stretti hanno diritto al risarcimento del danno parentale per la sofferenza patita. Naturalmente, trattandosi di un rapporto affettivo solo potenziale (nel caso di bimbo mai nato o vissuto solo poche ore), la quantificazione economica del danno terrà conto delle circostanze. Ad esempio, le Tabelle del Tribunale di Milano – utilizzate per liquidare il danno non patrimoniale da perdita familiare – prevedono un range il cui minimo può essere ridotto circa della metà nei casi di perdita di un feto. Ciò non significa che il dolore sia minore, ma che mancando una relazione di vita vissuta insieme, il risarcimento viene personalizzato al caso concreto. La Cassazione ha però precisato che in caso di morte del feto l’aspetto più significativo del danno da considerare è proprio la sofferenza morale e psicologica dei genitori: ansia, depressione, incubi, angoscia per l’evento sono tutte voci comprese nel danno parentale e meritano ristoro. Non è quindi corretto liquidare solo simbolicamente il danno ai genitori con la scusa che “potranno avere altri figli” – argomento talvolta emerso in passato ma rifiutato dai giudici odierni. Ogni vita è unica e così la sua perdita. Si noti che, sul piano tecnico-giuridico, i genitori agiscono iure proprio (per il proprio danno morale e relazionale) e non in rappresentanza del figlio mai nato; inoltre, non è ammessa in Italia una pretesa risarcitoria jure hereditatis per la “perdita della vita” subita dal feto o neonato deceduto, in quanto la vita biologica in sé non è considerata un diritto trasmissibile agli eredi se la morte sopravviene senza un apprezzabile intervallo di sopravvivenza. In sintesi, ai familiari stretti spetta il risarcimento per il vuoto affettivo e lo sconvolgimento esistenziale causato dalla morte del concepito o del neonato, ma non si può chiedere un risarcimento in nome e per conto del figlio per la vita che egli non ha potuto vivere (il cosiddetto danno tanatologico immediato, non riconosciuto se la vittima non ha avuto coscienza della propria morte).

Anche la morte o grave invalidità della madre durante il parto per errore medico è un evento di eccezionale gravità. In caso di decesso materno, oltre al danno della vittima (che diventa risarcibile agli eredi se la madre è sopravvissuta almeno per un certo tempo prima di morire, maturando così il diritto al risarcimento per il proprio patire), si configura un danno enorme per il marito e gli altri figli privati della figura materna. Si pensi a un caso di emorragia post-partum non gestita o di infezione non diagnosticata dopo il cesareo: la giurisprudenza riconosce ai familiari il danno parentale e morale per la perdita della compagna e della madre. Viceversa, se la madre sopravvive ma con invalidità permanente (ad es. un’isterectomia d’urgenza che la lascia sterile, oppure lesioni neurologiche da complicanze anestesiologiche), avrà diritto al completo risarcimento del danno biologico, morale, esistenziale e patrimoniale (spese mediche, perdita di capacità di lavoro, necessità di assistenza).

 

Profili giuridici: responsabilità civile e onere della prova

La responsabilità medica per danni in gravidanza e parto può implicare sia conseguenze civili (obbligo di risarcire i danni) sia, nei casi più gravi, conseguenze penali (ad esempio imputazione per lesioni colpose gravissime al neonato o omicidio colposo in caso di decesso di madre o bambino). Concentrandoci sull’aspetto civile risarcitorio, occorre delineare il quadro normativo vigente in Italia, anche alla luce delle recenti riforme.

Dal punto di vista civilistico, si distingue tra la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria (ospedale pubblico o clinica privata) e la responsabilità aquiliana (extracontrattuale) del singolo medico operante. La differenza risale alla Legge 8 marzo 2017 n. 24 (cosiddetta Legge Gelli-Bianco), che ha riformato la materia. In breve:

L’ospedale risponde dei fatti dei suoi medici e ausiliari ai sensi dell’art. 1228 c.c., come inadempimento contrattuale verso il paziente. Ciò comporta che la struttura sanitaria ha una responsabilità di tipo contrattuale (ex art. 1218 c.c.) nei confronti della partoriente e del nascituro: essa è tenuta a fornire una prestazione sanitaria diligente e sicura. Se vi è un errore (anche attribuibile a un singolo medico dipendente), la struttura ne risponde direttamente verso il danneggiato. La natura contrattuale comporta alcuni vantaggi probatori per il paziente: secondo gli orientamenti consolidati, il danneggiato deve provare l’esistenza del rapporto (ricovero, trattamento) e l’insorgenza di un danno; spetta poi alla struttura provare che non c’è stata colpa oppure che l’evento sarebbe successo lo stesso anche con tutte le cure del caso. In più, la prescrizione è più lunga (10 anni dal fatto o dalla scoperta del danno).

Il medico che abbia operato nell’esercizio della sua professione (specie se alle dipendenze di una struttura pubblica o privata) risponde invece a titolo di responsabilità extracontrattuale (ex art. 2043 c.c.) nei confronti del paziente, salvo che abbia stipulato un contratto direttamente (ad es. il libero professionista scelto personalmente dalla gestante potrebbe avere obbligazioni contrattuali verso di lei). La responsabilità extracontrattuale richiede, per essere affermata, che il paziente provi sia la colpa del medico sia il nesso causale tra colpa ed evento di danno. Si applica inoltre il termine prescrizionale breve di 5 anni. La scelta del legislatore Gelli è stata quella di “alleggerire” la posizione dei sanitari riducendo il tempo di esposizione alle cause e ponendo l’onere probatorio a carico del paziente, in modo da contrastare la cosiddetta medicina difensiva. Va comunque chiarito che, in caso di colpa grave, il medico può essere chiamato a rifondere alla struttura quanto quest’ultima abbia pagato al paziente (azione di rivalsa), e che il medico deve avere un’assicurazione obbligatoria per i rischi professionali.

Dal punto di vista penale, come accennato, gli errori durante parto e gravidanza possono configurare reati perseguibili d’ufficio (lesioni colpose gravi o gravissime, omicidio colposo). Il legislatore con il Decreto Legge 158/2012 (cd. Decreto Balduzzi) e poi con la Legge Gelli ha introdotto una sorta di “scudo” per la colpa lieve in ambito penale: se il medico ha seguito linee guida accreditate o buone pratiche, risponde penalmente solo per colpa grave. Tuttavia, le Corti hanno più volte puntualizzato che questo scudo opera caso per caso. Ad esempio, nella citata Cassazione penale 40316/2024 la difesa invocava l’esimente della colpa lieve ex art. 3 D.L. 158/2012, ma la Corte l’ha negata ritenendo la condotta del medico gravemente imprudente e imperita. Segno che quando sono in gioco vite umane (specie quella di un bambino che sta nascendo) è dovere del medico adottare ogni cautela ragionevole, linee guida o meno.

 

Tutela delle vittime e importanza della perizia medico-legale

Chi subisce un danno da malasanità in gravidanza o parto – sia esso il bambino lesionato, i genitori o gli eredi in caso di decesso – ha diritto a ottenere giustizia e ristoro integrale dei danni. I passi fondamentali per far valere i propri diritti sono:

Documentare l’accaduto e le conseguenze: è essenziale raccogliere tutta la documentazione clinica (cartella del parto, referti, esami, etc.) e conservare traccia delle spese e delle ripercussioni sulla vita quotidiana (giorni di lavoro persi, terapie, ausili acquistati, ecc.).

Consulenza medico-legale: dato l’alto tasso tecnico di queste controversie, ci si affida a un medico legale e ad altri specialisti (ginecologi, neonatologi) per una perizia medico-legale. Lo scopo è verificare se vi sia stato effettivamente un errore (violazione delle linee guida o delle leges artis) e se da tale errore è derivato con probabilità prevalente il danno. La consulenza è cruciale anche per quantificare i danni: ad esempio valutare il grado di invalidità del bambino, le necessità assistenziali future, l’impatto psicologico sui genitori, ecc. Spesso, in sede di causa civile, il giudice dispone una CTU (Consulenza Tecnica d’Ufficio) collegiale proprio per accertare queste circostanze. È importante che la perizia sia rigorosa: in Cass. civ. ord. 16874/2022 si è ribadito che la consulenza tecnica non è un atto dovuto ma va disposta e valutata con criterio; una CTU ben condotta può determinare l’esito del giudizio.

Azione legale per il risarcimento: tramite un avvocato esperto in responsabilità medica (avvocato malasanità), si può avviare una trattativa stragiudiziale con la struttura sanitaria e la sua assicurazione, presentando una richiesta danni motivata. Molti casi si risolvono con un accordo transattivo, evitando i tempi di un processo. In caso di mancato accordo, si procede con una causa civile. La domanda risarcitoria tipicamente include: il danno biologico (lesione all’integrità psicofisica, temporanea e permanente), il danno morale soggettivo (dolore, sofferenza interiore), il danno esistenziale o perdita di qualità della vita, il danno patrimoniale sia emergente (spese mediche, di assistenza, adeguamento dell’abitazione per un disabile, ecc.) sia per lucro cessante (perdita di capacità di lavoro e di guadagno, incluse le future opportunità lavorative mancate per il bambino disabile). Nei casi di decesso, come visto, il risarcimento riguarda soprattutto il danno non patrimoniale dei congiunti (danno parentale).

Citate giurisprudenziali e diritto vivente: nel formulare la richiesta è utile richiamare precedenti giudiziari analoghi, sia per orientare la controparte su possibili esiti in caso di lite sia per suggerire criteri di liquidazione. Ad esempio, segnalare che “la Suprema Corte, con ord. n. 22859/2020, ha riconosciuto il diritto al risarcimento ai genitori per la perdita di un feto, quantificandolo con criteri equitativi”, oppure “Cass. n. 26301/2021 ha chiarito che il danno da morte del concepito rientra nel danno parentale”. O ancora citare pronunce di merito dove, per una paralisi cerebrale infantile, sono stati accordati risarcimenti milionari, per dare l’idea del valore del caso. La giurisprudenza recente è ricca di spunti che possono essere utilizzati. Ad esempio, una sentenza del Tribunale di Cosenza del 2020 ha riconosciuto oltre 1 milione di euro a un bambino nato con tetraparesi spastica per asfissia, e sentenze di Appello (es. Ancona 2019) hanno escluso che i genitori possano ottenere un risarcimento “da perdita della vita” del neonato, limitandolo al loro danno morale. Sono tutte indicazioni utili per costruire un caso solido.

 

Conclusione

La nascita di un figlio dovrebbe essere “il solo appuntamento al buio in cui sai che incontrerai l’amore della tua vita”, come recita un noto aforisma. Quando invece questo evento è funestato da un grave errore medico, l’ordinamento offre gli strumenti per riconoscere la responsabilità di chi ha sbagliato e alleviare – per quanto possibile – le conseguenze per le vittime attraverso un equo risarcimento. Certo, nessuna sentenza può davvero restituire ciò che è stato perduto: una vita spezzata, la salute compromessa di un bimbo o di una madre, i sogni di una famiglia. Tuttavia, l’accertamento della verità e la condanna del responsabile hanno anche un valore umano e sociale, ribadendo che la fiducia riposta nelle cure mediche non può essere tradita impunemente. Dura lex, sed lex: di fronte agli errori più gravi “la legge è dura ma è legge” e richiama il medico alle sue responsabilità. La speranza è che l’analisi di questi casi spinga a migliorare continuamente la sicurezza e la qualità delle cure per madre e neonato, affinché tragedie simili non si ripetano. In fondo, tutelare la nascita significa tutelare il futuro della società stessa.

 

  • 10 luglio 2025
  • Marco Panato

Autore: Avv. Marco Panato


Avv. Marco Panato -

Avv. Marco Panato, avvocato del Foro di Verona e Dottore di Ricerca in Diritto ed Economia dell’Impresa – Discipline Interne ed Internazionali - Curriculum Diritto Amministrativo (Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Verona).

E' autore di pubblicazioni scientifiche in materia giuridica, in particolare nel ramo del diritto amministrativo. Si occupa anche di docenza ed alta formazione.