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Perdita dell’animale domestico: risarcibile il danno morale - Studio Legale MP - Verona

La giurisprudenza riconosce, talvolta, il risarcimento del danno non patrimoniale ai proprietari per la perdita del cane o del gatto, segnando un importante cambio di rotta nella tutela degli animali d’affezione.

 

Tu diventi responsabile per sempre di ciò che hai addomesticato”, scriveva Antoine de Saint-Exupéry ne Il Piccolo Principe. Chi vive con un animale domestico sa che il legame affettivo creato è fortissimo: cani e gatti non sono “cose”, ma membri della famiglia a tutti gli effetti. La perdita di un animale d’affezione, specie se dovuta alla colpa o all’illecito di terzi (come un caso di maltrattamento o un incidente causato da negligenza), causa un dolore reale e profondo nel proprietario. Tuttavia, fino a poco tempo fa, l’ordinamento giuridico faticava a riconoscere pienamente questo dolore in termini di risarcimento del danno. In altre parole, ci si chiedeva: il proprietario di un animale può ottenere un risarcimento per la sofferenza morale subìta a causa della morte del proprio cane o gatto? O ancora, la legge considera questo dolore come un danno non patrimoniale risarcibile, al pari di quello per la perdita di un familiare? Nel 2025, grazie ad alcune sentenze innovative, la risposta sta iniziando a cambiare. Vediamo come.

 

Il quadro tradizionale: l’animale come bene e i limiti del danno morale

Per lungo tempo, gli animali domestici sono stati considerati dall’ordinamento prevalentemente come beni di proprietà. Dal punto di vista civilistico, un animale rientra nella definizione di “bene mobile” e, in caso di uccisione o lesione dell’animale da parte di qualcuno, il proprietario poteva chiedere il risarcimento dei danni patrimoniali (ad esempio: il valore economico dell’animale, le spese veterinarie sostenute, ecc.). Ma diverso era il discorso per il danno non patrimoniale (il danno morale o esistenziale, cioè la sofferenza emotiva e l’alterazione della vita quotidiana causate dalla perdita del pet). La giurisprudenza di legittimità è stata a lungo restrittiva su questo fronte: “il rapporto affettivo tra uomo e animale non gode, nell’attuale ordinamento, di una copertura costituzionale” affermò la Corte di Cassazione (Cass. civ., Sez. Un., sent. n. 26973/2008), escludendo in generale che la perdita di un animale d’affezione potesse, di per sé, dar luogo a un risarcimento per danno morale. In base a questo orientamento, il dolore provato dal proprietario per la morte del proprio animale non veniva riconosciuto come lesione di un diritto inviolabile della persona, a meno che l’evento non integrasse gli estremi di un reato o non avesse causato nel proprietario stesso una patologia documentabile (ad esempio uno shock emotivo con danno biologico certificato). Insomma, secondo la Cassazione, in assenza di reato o di un danno alla salute provato, la sofferenza per la perdita dell’animale – per quanto sincera e intensa – veniva ritenuta “futile” o comunque non risarcibile ex art. 2059 c.c. (norma che disciplina il danno non patrimoniale). Il proprietario poteva ottenere il rimborso delle spese e poco più, ma non un ristoro per il vuoto affettivo subito.

 

I reati contro gli animali e il danno morale nel processo penale

Un’importante eccezione a questo quadro va segnalata: quando la morte dell’animale deriva da un reato, la situazione cambia. Il nostro ordinamento tutela gli animali anche in sede penale: ad esempio l’art. 544-bis del codice penale punisce chi uccide un animale senza necessità, l’art. 544-ter c.p. punisce i maltrattamenti, e così via. In tali casi, oltre alla sanzione penale, è pacifico che il proprietario possa costituirsi parte civile e chiedere il risarcimento dei danni subiti. E qui rientra anche il danno non patrimoniale: la Cassazione ha chiarito che il dolore morale del proprietario per la perdita del proprio animale rientra tra i danni risarcibili se la condotta lesiva integra gli estremi di reato. In pratica, il vincolo di affezione, pur non essendo di per sé un diritto inviolabile riconosciuto dalla Costituzione, viene tutelato indirettamente tramite la previsione penale: se qualcuno, con condotta dolosa o gravemente colposa, causa la morte del mio cane compiendo un reato (ad esempio avvelenandolo), dovrà risarcirmi anche la sofferenza morale, perché l’art. 185 c.p. consente il risarcimento di tutti i danni (patrimoniali e morali) derivanti da reato. Questa è stata a lungo l’unica strada sicura per ottenere un risarcimento del genere di pregiudizio affettivo. Al di fuori dell’ipotesi di reato, infatti, la giurisprudenza dominante negava ristori per il “semplice” dolore da perdita dell’animale.

L’evoluzione recente: le prime aperture della giurisprudenza di merito (2024-2025)

Negli ultimi anni, però, qualcosa sta cambiando nei tribunali. La crescente sensibilità sociale verso gli animali d’affezione ha spinto alcuni giudici di merito a rivedere i vecchi schemi. Emblematica è la coraggiosa sentenza del Tribunale di Prato (Sez. I civ., sent. n. 51/2025), definita da molti commentatori “storica”. In quel caso, i proprietari di una cagnolina (deceduta a causa della grave negligenza di una pensione per animali) hanno chiesto non solo il risarcimento materiale, ma anche il riconoscimento del loro dolore morale. Ebbene, il Tribunale di Prato ha accolto la domanda, affermando un principio innovativo: la perdita di un animale d’affezione può ledere un interesse della persona rilevante per l’ordinamento, ossia la sfera degli affetti e della vita familiare, tutelata dall’art. 2 della Costituzione. In altre parole, il giudice toscano ha ritenuto che il legame con un animale domestico incida sulla sfera affettiva individuale in modo così significativo da meritare tutela sul piano dei diritti fondamentali della persona. Di conseguenza, il danno non patrimoniale derivante dalla perdita dell’animale va risarcito, a condizione che la sofferenza patita superi una certa soglia di gravità e sia provata (anche tramite presunzioni e testimonianze, giacché non può darsi per scontato in re ipsa).

Pochi mesi prima, un’altra pronuncia aveva seguito un ragionamento analogo: il Tribunale di Brescia (sent. n. 1256/2025) ha riconosciuto un risarcimento per danno morale ai componenti di una famiglia per la perdita del loro cagnolino, aggredito e ucciso dal cane di un vicino. Pur trattandosi di un contesto civilistico (responsabilità del vicino per omessa custodia del proprio cane), il giudice lombardo ha valutato il legame affettivo come meritevole di tutela risarcitoria, liquidando a ciascun familiare convivente una somma a titolo di danno morale per il dolore provato. Si noti: qui non c’era un reato intenzionale (l’evento è stato frutto di colpa), e nessun danno biologico dei proprietari; ciononostante, è stato riconosciuto il diritto al risarcimento del pregiudizio non patrimoniale consistente nella sofferenza per la perdita del loro amico a quattro zampe.

Queste sentenze di merito si pongono in consapevole contrasto con l’orientamento della Cassazione. Esse citano espressamente una “lettura costituzionalmente orientata” e “al passo con l’evoluzione sociale” del rapporto uomo-animale. Ad esempio, il Tribunale di Prato richiama altre decisioni illuminate, come Trib. Pavia n. 1266/2016, Trib. Vicenza n. 24/2017, Trib. La Spezia n. 660/2020, che già avevano aperto spiragli in questa direzione. Si sta dunque formando un filone giurisprudenziale alternativo, per ora circoscritto ai tribunali, che considera risarcibile il danno da perdita dell’animale d’affezione non solo nei casi di reato o di patologia del proprietario, ma anche come autonoma voce di danno non patrimoniale legata alla sfera degli affetti costituzionalmente garantiti.

 

Presupposti e limiti per ottenere il risarcimento del danno affettivo

Va precisato che riconoscere astrattamente la risarcibilità del danno morale da perdita dell’animale non significa che ogni proprietario otterrà automaticamente un indennizzo in caso di decesso del proprio cane o gatto. Anche le sentenze innovative sottolineano alcuni presupposti chiave:

Gravità dell’offesa e serietà del pregiudizio: occorre dimostrare che la perdita dell’animale ha provocato una sofferenza intensa, superiore alla normale tollerabilità. In pratica, il giudice valuterà caso per caso l’impatto sulla vita del proprietario, la profondità del legame affettivo e le circostanze dell’evento. Solo se il dolore risulta oggettivamente serio e comprensibile verrà accordato il risarcimento, per evitare di considerare risarcibili disagi lievi o momentanei (il danno non deve essere bagatellare o “futile”).

Prova del danno: il pregiudizio non patrimoniale, per quanto inerente a dimensioni intime, va provato. Non è necessario arrivare a perizie medico-legali (a meno che si alleghi un vero danno psichico), ma è utile fornire elementi concreti: ad esempio testimonianze di chi può riferire dello stato di prostrazione in cui è caduto il proprietario dopo la perdita, oppure documentare cambiamenti nelle abitudini di vita, eventuali consulti psicologici intrapresi, ecc. Anche fotografie, video o lettere possono aiutare a dimostrare l’intensità del legame perduto e la sofferenza conseguente. Il giudice può basarsi anche su presunzioni, ma deve fondarle su indizi concreti: non basta affermare “ero affezionato al mio cane” perché ciò è ovvio; occorre far emergere quanto quell’animale fosse parte integrante della famiglia e quanto la sua mancanza abbia inciso.

Nesso di causalità e colpa del responsabile: come per ogni risarcimento, va provato che la condotta (o l’omissione) imputabile a qualcuno abbia causato la morte dell’animale. Quindi, se si agisce contro un vicino o un veterinario, bisognerà dimostrarne la responsabilità (colpa grave, negligenza, imperizia, violazione di norme, ecc.) nell’evento lesivo. Senza colpa o dolo altrui, non c’è base per chiedere danni (fatti come malattie naturali, vecchiaia o incidenti senza responsabilità di terzi non danno luogo ad alcun risarcimento, sebbene resti il dolore).

Assenza di duplicazioni: il risarcimento del danno morale per la perdita dell’animale si aggiunge ma è distinto da altri risarcimenti. In caso di reato, ad esempio, il proprietario non può ottenere due volte lo stesso ristoro: il giudice valuterà in unico importo tutto il danno non patrimoniale (comprendendo sia la sofferenza morale soggettiva sia l’eventuale turbamento esistenziale oggettivo). Allo stesso modo, se più membri della famiglia subiscono il lutto, ciascuno può essere risarcito per la propria quota di dolore, ma evitando sovrapposizioni e tenendo conto del naturale sostegno reciproco familiare nell’elaborazione del lutto.

Un altro limite attuale è dato dal fatto che queste pronunce sono isolate in primo grado. Non costituiscono precedente vincolante e potrebbero essere appellate. Fino a quando la Corte di Cassazione non cambierà ufficialmente indirizzo, sussiste il rischio che, in sede di impugnazione, sentenze come quelle di Prato o Brescia vengano riformate o cassate per contrasto con la giurisprudenza dominante. “Summum ius, summa iniuria”, dicevano i latini: applicare rigidamente un principio di diritto può portare ad un’ingiustizia sostanziale. La speranza, per chi auspica una maggiore tutela degli animali d’affezione, è che presto si arrivi a un punto di equilibrio più equo anche in sede di legittimità.

 

Considerazioni finali: verso un diritto “a misura di pet”

In conclusione, il tema del risarcimento per la perdita dell’animale domestico è oggi in evoluzione. Se da un lato la Cassazione mantiene (almeno per ora) una linea prudente – negando il risarcimento del danno morale salvo ipotesi particolari – dall’altro i tribunali stanno facendo da laboratorio di nuovi principi, spinti anche dall’evoluzione culturale che vede negli animali parte integrante della famiglia. La mancanza di una norma ad hoc (in Parlamento sono stati proposti disegni di legge per riconoscere gli animali come “esseri senzienti” anche nel codice civile, ma al momento la qualifica è presente solo nel Trattato UE e in norme sparse) lascia spazio all’interpretazione giudiziale. La tendenza 2024-2025 mostra una crescente attenzione ai diritti dei proprietari di animali: il danno da affezione non è più un tabù e comincia a ottenere considerazione nelle aule di tribunale.

Chi dovesse trovarsi, suo malgrado, ad affrontare la morte del proprio animale a causa di terzi, oggi può concretamente valutare un’azione legale non solo per le spese e i danni materiali, ma anche per ottenere giustizia del proprio dolore. Sarà fondamentale, a tal fine, raccogliere tutte le prove possibili del legame affettivo e dell’impatto che la perdita ha avuto sulla propria vita, e affidarsi a professionisti esperti in materia di responsabilità civile e diritti degli animali.

Come disse lo scrittore Anatole France, “fino a quando non avrai amato un animale, una parte della tua anima resterà sempre senza luce”. Proprio per questo il diritto sta lentamente accendendo quella luce, riconoscendo che il dolore per la perdita di un animale amato è vero e merita rispetto e tutela.

 

Come possiamo aiutarti?

Se stai vivendo una situazione simile – la perdita di un animale domestico a causa dell’altrui negligenza o maltrattamento – non affrontare da solo anche la battaglia legale. Lo Studio Legale MP, forte di competenze sia in diritto civile che nella tutela degli animali, può fornirti consulenza e assistenza per valutare il tuo caso e ottenere il giusto risarcimento. Contattaci oggi stesso per un colloquio: siamo a tua disposizione per difendere i tuoi diritti e onorare al meglio la memoria del tuo amico a quattro zampe.

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  • 16 settembre 2025
  • Marco Panato

Autore: Avv. Marco Panato


Avv. Marco Panato -

Avv. Marco Panato, avvocato del Foro di Verona e Dottore di Ricerca in Diritto ed Economia dell’Impresa – Discipline Interne ed Internazionali - Curriculum Diritto Amministrativo (Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Verona).

E' autore di pubblicazioni scientifiche in materia giuridica, in particolare nel ramo del diritto amministrativo. Si occupa anche di docenza ed alta formazione.