L’inclusione degli alunni con disabilità o con bisogni educativi speciali non è soltanto un dovere morale: è un obbligo sancito dalla legge. Il Piano Educativo Individualizzato (PEI) è il documento fondamentale che definisce gli obiettivi, le strategie didattiche e le risorse necessarie per l’alunno con disabilità, personalizzando il percorso formativo sulle sue esigenze specifiche. Viene redatto ai sensi della legge quadro n. 104/1992 e della normativa successiva in materia di inclusione (dal D.Lgs. 66/2017 fino alle più recenti modifiche): in esso si stabiliscono, ad esempio, le eventuali misure dispensative e compensative, il progetto didattico su misura e il monte ore di sostegno di cui l’alunno ha bisogno.
Il Gruppo di Lavoro Operativo per l’inclusione (GLO) è l’organo collegiale incaricato di elaborare e approvare il PEI. Ne fanno parte i docenti (curriculari e di sostegno) della classe, i genitori (o tutori) dell’alunno, e gli specialisti (come operatori sanitari o terapisti) che lo seguono, il tutto sotto il coordinamento del dirigente scolastico (o di un suo delegato). Questa composizione multi-disciplinare serve a garantire che il PEI non sia un mero atto burocratico, ma uno strumento concreto e condiviso, frutto del contributo di tutte le figure coinvolte nella crescita dello studente.
Il PEI e il GLO, in tandem, costituiscono il “cuore” della tutela dell’alunno fragile a scuola. Attraverso il GLO, la famiglia ha voce in capitolo nella definizione del percorso educativo, e la scuola è chiamata a un confronto collaborativo e trasparente. Nel PEI vanno indicati non solo gli obiettivi di apprendimento adattati alle possibilità dello studente, ma anche le risorse da attivare: ore di insegnante di sostegno, presenza di assistenti per l’autonomia o la comunicazione (ad esempio l’interprete LIS per studenti sordi), eventuali ausili tecnologici, progetti di didattica individualizzata, ecc. In breve, il PEI è la “carta dei diritti scolastici” dello studente con disabilità: tutto ciò che vi è previsto rappresenta un impegno preciso per l’istituzione scolastica e gli enti competenti.
Affinché il PEI sia efficace, la normativa impone tempistiche e modalità ben precise. Il Decreto Legislativo 66/2017, all’art. 7, e il successivo Decreto Interministeriale 182/2020 (tuttora in vigore dopo alterne vicende giudiziarie) stabiliscono che il GLO debba redigere un PEI provvisorio entro giugno (in vista dell’anno scolastico successivo, ad esempio alla fine della scuola media per programmare l’ingresso alle superiori) e un PEI definitivo entro il 31 ottobre di ogni anno. Il PEI va poi verificato e, se necessario, aggiornato periodicamente durante l’anno scolastico (di norma almeno una riunione del GLO tra novembre e aprile) per monitorare i progressi e apportare modifiche in corso d’opera. Fondamentale è anche la tempestività in caso di variazioni: se l’alunno cambia scuola, il nuovo istituto deve acquisire subito la documentazione e ridefinire il PEI in base al nuovo contesto, così come se insorgono nuove condizioni (ad esempio un aggravamento della patologia, una nuova diagnosi, ecc.) il piano va adeguato senza indugio.
Oltre alle scadenze formali, la scuola ha l’obbligo di attuare concretamente quanto previsto nel PEI. Ciò significa, ad esempio, assegnare tutte le ore di sostegno indicate, adottare le strategie didattiche programmate (semplificazione delle verifiche, uso di strumenti compensativi come computer con sintesi vocale, mappe concettuali, tempi aggiuntivi per compiti in classe, prove orali al posto delle scritte se previsto, e così via) e mettere a disposizione eventuali figure di supporto aggiuntive (assistente per l’autonomia, educatore, ecc.) se il PEI lo contempla. Il principio di fondo è che l’alunno con disabilità deve poter fruire appieno del diritto allo studio come i suoi compagni, il che talvolta richiede di trattarlo in modo diverso per garantirgli pari opportunità. In termini giuridici si parla infatti di accomodamenti ragionevoli e di misure di sostegno, che non sono favori o concessioni, ma veri e propri diritti esigibili.
Va ricordato che recentemente il legislatore ha ulteriormente rafforzato queste garanzie: con il D.Lgs. 3 maggio 2024 n. 62, attuativo della legge delega 227/2021 in materia di disabilità, è stato introdotto il concetto di “sostegno intensivo” per gli alunni con disabilità con connotazione di gravità. In altre parole, in presenza di disabilità gravissime che richiedono un intervento permanente, continuativo e globale, lo Stato deve garantire un docente di sostegno per tutte le ore di lezione (copertura dell’intero orario scolastico). Questa innovazione – che sostituisce la precedente definizione di “handicap grave” con la nuova categoria della “persona con necessità di sostegno intensivo” – conferma a livello normativo un orientamento già espresso dalla Corte Costituzionale (storica la sentenza n. 80/2010) e dai giudici amministrativi: il diritto allo studio dell’alunno disabile non tollera riduzioni al ribasso. Le risorse vanno adattate ai bisogni dell’alunno fragile, mai il contrario.
Negli ultimi anni molte famiglie si sono rivolte ai tribunali per contestare casi in cui la scuola, a fronte di esiti scolastici negativi (bocciature o voti molto bassi), non aveva però rispettato gli obblighi di inclusione. Il 2025 ha visto consolidarsi un orientamento giurisprudenziale a tutela degli studenti più vulnerabili: se la scuola non predispone o non attua correttamente il PEI, eventuali provvedimenti sfavorevoli (come la non ammissione alla classe successiva) risultano viziati e possono essere annullati dal giudice.
Emblematico è il caso deciso dal TAR Lazio ad inizio anno. Con la sentenza TAR Lazio, Sez. __, n. 2473/2025 (pubblicata il 3 febbraio 2025), i giudici amministrativi hanno accolto il ricorso dei genitori di una studentessa con disabilità che era stata bocciata al terzo anno delle superiori. Dalla vicenda è emerso che la scuola aveva colpevolmente ritardato la redazione del PEI: il documento era stato adottato tardi e in modo incompleto, e la famiglia non era stata coinvolta per tempo nella stesura. Il Tribunale ha ritenuto che questo mancato adempimento avesse inficiato l’intera valutazione finale della ragazza, rendendola non attendibile e dunque illegittima. Testualmente, la sentenza afferma che “la bocciatura appare viziata dalla mancata tempestiva adozione del PEI, con la conseguente mancata fissazione degli obiettivi personalizzati di apprendimento e l’assenza di una periodica verifica della loro adeguatezza”. In altre parole, la scuola non aveva messo l’alunna nelle condizioni di apprendere, perché priva di un piano educativo aggiornato e condiviso: non aver definito per tempo gli obiettivi personalizzati e non aver monitorato i suoi progressi ha impedito di valutare correttamente il suo rendimento. Di conseguenza, il giudice ha annullato la non ammissione, disponendo che la studentessa fosse iscritta alla classe successiva (cosa peraltro già avvenuta grazie a un decreto cautelare emesso pochi mesi prima, a settembre, per evitare che perdesse l’anno in attesa del giudizio).
Un aspetto interessante di questa pronuncia è che la scuola, messa di fronte alle proprie mancanze, ha cercato di giustificarsi parlando di un “errore in buona fede” dovuto anche a inesperienza. Nel verbale del consiglio di classe, successivo alla prima ordinanza del TAR, il dirigente scolastico aveva ammesso tardivamente l’errore, chiedendo quasi indulgenza. Ma i giudici hanno risposto ricordando un principio generale: “Ignorantia legis non excusat” – l’ignoranza della legge non scusa chi non la rispetta. In materia di inclusione scolastica, ciò significa che una scuola non può addurre come scusa il non aver saputo o potuto predisporre il PEI: si tratta di un obbligo chiaro, su cui non sono ammessi ritardi o omissioni. La tutela degli studenti disabili non può dipendere dalla maggiore o minore diligenza del singolo istituto: è un diritto oggettivo che va garantito ovunque.
La sentenza del TAR Lazio n. 2473/2025 costituisce un forte monito: qualunque valutazione (scrutinio finale, bocciatura, voto di condotta, ecc.) risulta illegittima se la scuola non ha prima messo in atto tutte le misure di supporto previste dalla normativa e dal PEI. Non è equo né legale valutare un alunno “fragile” con gli stessi parametri degli altri, se prima non gli si sono forniti gli strumenti compensativi e gli accomodamenti di cui ha bisogno. In caso di controversia, il giudice amministrativo può dunque annullare il provvedimento scolastico (es. la non ammissione alla classe successiva) proprio perché emesso in violazione di legge – la legge dell’inclusione.
Da notare che, in questo come in altri casi analoghi, il TAR Lazio ha ritenuto di non concedere il risarcimento danni richiesto dalla famiglia. Infatti, pur riconoscendo la lesione subita dalla studentessa (costretta ad un’estate di incertezza e preoccupazione a causa dell’errore della scuola), il tribunale ha applicato il principio secondo cui l’annullamento dell’atto illegittimo non comporta automaticamente un indennizzo economico. Per ottenere il risarcimento, i genitori avrebbero dovuto provare in modo specifico un danno concreto (patrimoniale o morale) ulteriore rispetto alla bocciatura annullata – prova che in questo caso non è stata ritenuta sufficientemente fornita. Ciò non toglie tuttavia importanza alla vittoria ottenuta sul piano principale, ovvero la riammissione a scuola della ragazza: il diritto allo studio è stato ripristinato.
Le decisioni dei tribunali, pur spesso favorevoli agli studenti con bisogni speciali, non vanno lette come un “via libera” generalizzato alla promozione automatica. Esistono casi in cui la bocciatura di un alunno disabile o con DSA è stata considerata legittima, perché la scuola ha adempiuto ai propri doveri di supporto e l’insuccesso formativo è dipeso da altri fattori. In sostanza: se l’istituzione scolastica ha fornito tutte le misure di sostegno ragionevoli e il PEI (o il PDP, Piano Didattico Personalizzato, nel caso di Disturbi Specifici dell’Apprendimento) è stato correttamente attuato, una valutazione negativa può reggere al vaglio del giudice.
Un esempio illuminante viene dal TAR Toscana. Nella sentenza TAR Toscana, Sez. IV, n. 221/2025 (4 febbraio 2025) i giudici hanno respinto il ricorso dei genitori di un alunno con DSA (dislessia di grado medio con lentezza nella scrittura e forte ansia) che era stato non ammesso alla classe successiva. In questo caso, a differenza di altri, il TAR ha rilevato che la scuola aveva seguito le prescrizioni del PDP del ragazzo e messo in atto adeguate attività di supporto durante l’anno. Nonostante ciò, l’alunno aveva accumulato insufficienze gravi in ben sei materie. La decisione di bocciarlo – osserva il tribunale – può essere discussa dal punto di vista pedagogico, ma si fondava su dati oggettivi di profitto insufficiente e non è apparsa frutto di discriminazione o negligenza della scuola. La mancata ammissione, in questo contesto, non è stata considerata una “punizione” per il ragazzo, bensì la scelta (difficile ma ponderata) di fargli ripetere l’anno per colmare le lacune e rafforzare le basi, nell’interesse stesso dell’alunno. Il TAR sottolinea infatti che la ripetizione della classe non va vista come uno stigma, ma come un’opportunità di consolidamento delle conoscenze, soprattutto quando le carenze sono numerose e marcate. Ciò che conta, ai fini della legittimità, è che la scuola abbia esercitato correttamente la sua funzione educativa e valutativa, attivando tutti i supporti dovuti. In questo caso toscano, non emergendo violazioni specifiche (nessun PEI mancante, nessun sostegno negato arbitrariamente, nessuna omissione nelle misure dispensative previste), il giudice amministrativo ha ritenuto di non poter “sovrapporre il proprio apprezzamento” a quello della scuola: la decisione dei docenti, per quanto severa, rientrava nella loro discrezionalità tecnica ed è rimasta valida.
Questa pronuncia equilibrata ci ricorda che il diritto allo studio inclusivo va sempre bilanciato con il merito effettivo dello studente. Gli strumenti come PEI e PDP mirano a mettere l’alunno fragile nelle migliori condizioni possibili; tuttavia, una volta garantiti tutti i sostegni, sarà la performance concreta a determinare la promozione o meno. Naturalmente il confine può essere sottile: proprio per questo molte famiglie ricorrono ai TAR, per verificare che davvero “si sia fatto tutto il necessario” per il proprio figlio prima di arrivare a una bocciatura. E i giudici, come abbiamo visto, scandagliano con attenzione la vicenda scolastica caso per caso: nelle sentenze si leggono spesso dettagli sulle verifiche fornite, sui verbali degli incontri scuola-famiglia, sulle relazioni degli specialisti, a riprova del fatto che la procedura inclusiva seguita (o non seguita) può decidere l’esito del giudizio.
È interessante notare che il TAR Toscana n. 221/2025, pur rigettando il ricorso, ha evidenziato un elemento critico: la mancata cooperazione tra scuola e famiglia ha probabilmente aggravato le difficoltà dell’alunno. Nella sentenza si fa riferimento a un clima non costruttivo, in cui da un lato i genitori lamentavano scarso supporto, dall’altro i docenti ritenevano poco collaborativa la famiglia. Questo mette in luce un punto cruciale: la collaborazione scuola-famiglia è parte integrante del modello inclusivo italiano, prevista anche dalle norme (si pensi all’obbligo di partecipazione dei genitori nel GLO). Quando essa viene meno, il percorso dell’alunno in difficoltà rischia di deragliare, ed è qualcosa su cui le istituzioni dovrebbero lavorare. In definitiva, la giurisprudenza recente conferma sia il diritto degli studenti con bisogni speciali ad avere tutti gli aiuti necessari, sia il dovere di tutte le parti (scuola e famiglia in primis) di cooperare lealmente per il successo formativo. Se queste condizioni sono rispettate e l’alunno comunque non raggiunge gli obiettivi minimi, la ripetenze dell’anno può risultare legittima e persino opportuna per il suo bene.
Un capitolo fondamentale dell’inclusione scolastica riguarda le risorse di sostegno da garantire agli alunni con disabilità: in particolare le ore di insegnante di sostegno e le ore di assistenza specialistica (educatori, assistenti per l’autonomia e la comunicazione). Anche su questo fronte il 2025 ha portato conferme importanti dai tribunali, che rafforzano quanto già stabilito negli anni precedenti: le ore indicate nel PEI devono essere assegnate integralmente, senza riduzioni dovute a carenze di organico o vincoli di bilancio.
Ad esempio, il TAR Campania ha emesso più pronunce esemplari. Con la sentenza TAR Campania (Napoli), Sez. II, n. 3599/2025 del 5 maggio 2025, ha affrontato il caso di un alunno con disabilità grave frequentante la terza media, al quale per l’anno scolastico erano state concesse solo 18 ore di sostegno settimanali su 30 ore di lezione. Eppure, dal PEI risultava chiaramente che il ragazzo necessitava di un’assistenza continua (uno a uno per tutto l’orario). La scuola aveva motivato il “taglio” con la mancanza di docenti di sostegno disponibili. I giudici amministrativi hanno definito questa situazione “irrituale e illegittima”: il diritto allo studio non può essere compresso per ragioni di organico insufficiente. Di conseguenza, il TAR ha annullato l’assegnazione parziale, ordinando all’Amministrazione scolastica di fornire immediatamente un insegnante di sostegno per tutte le 30 ore settimanali, come richiesto. Non solo: nella stessa sentenza il Ministero dell’Istruzione è stato condannato a corrispondere un risarcimento (circa 2.000 euro) per il danno non patrimoniale subito dallo studente nei mesi in cui aveva ricevuto un sostegno dimezzato. Si tratta di un principio di grande rilievo: l’alunno disabile grave ha diritto a tutte le ore di sostegno necessarie, e la riduzione ingiustificata di tali ore costituisce una lesione dei suoi diritti fondamentali, tale da dar luogo anche a un risarcimento per il pregiudizio (morale e educativo) sofferto.
Sempre dal TAR Campania è giunta un’ulteriore conferma con la sentenza TAR Campania, Sez. II, n. 1229/2025 del 12 febbraio 2025. In quel caso si trattava di un bambino della scuola primaria a cui erano state concesse appena 12,5 ore di sostegno su 40 ore settimanali di frequenza. Anche qui la motivazione addotta dall’amministrazione era la carenza di organico. Il TAR ha accolto in pieno il ricorso del genitore, ribadendo che il sostegno didattico è un diritto costituzionalmente garantito e che non può essere limitato da esigenze di bilancio o carenze organizzative. Ha quindi ordinato all’Ufficio Scolastico e alla scuola di portare le ore di sostegno a 40 su 40, e – per assicurare che il provvedimento venisse attuato – ha nominato un Commissario ad acta (un funzionario esterno) incaricato di intervenire qualora la scuola non ottemperasse entro un termine breve. Questa misura straordinaria evidenzia quanto seriamente la giustizia amministrativa prenda tali casi: il giudice non si limita a dichiarare il diritto, ma predispone strumenti concreti perché sia realizzato immediatamente, anche sostituendosi all’amministrazione inerte.
Il messaggio che emerge da questi giudizi è che le indicazioni del GLO e del PEI non possono rimanere sulla carta. Se nel PEI, frutto anche delle valutazioni degli specialisti, è scritto che all’alunno servono (ad esempio) 10 ore settimanali di assistenza all’autonomia, oppure il supporto di un interprete LIS per ogni ora di lezione, l’ente responsabile (scuola, Ufficio Scolastico, Comune per la parte di sua competenza) deve garantire integralmente quel servizio. Qualsiasi provvedimento che assegnasse un monte ore inferiore risulta viziato. In questi casi, la famiglia ha il diritto di ricorrere al TAR e ottenere una sentenza che imponga all’Amministrazione di adeguarsi al PEI.
Non mancano poi decisioni di livello superiore che confermano questa linea. Una recente pronuncia del Consiglio di Stato – che rappresenta il grado più alto della giustizia amministrativa – si è espressa chiaramente sul tema. Parliamo della sentenza Consiglio di Stato, Sez. ___, n. 1321/2025 del 1 luglio 2025, riguardante due alunni sordi a cui il proprio Comune (in provincia di Rimini) aveva drasticamente ridotto le ore di assistente alla comunicazione in Lingua dei Segni (LIS). In concreto, per l’anno scolastico 2024/25 il Comune aveva deciso di garantire solo 15 ore settimanali di assistente LIS, rispetto alle 27 ore su 27 indicate nei rispettivi PEI elaborati dal GLO (i ragazzi avevano bisogno dell’interprete per ogni ora di lezione, essendo privi di udito). Il TAR Emilia-Romagna, in primo grado, aveva dato ragione alle famiglie, annullando la delibera comunale di riduzione delle ore. Il Comune ha fatto appello al Consiglio di Stato, sostenendo di non avere fondi sufficienti per coprire tutte le ore. Ebbene, il Consiglio di Stato ha respinto l’appello confermando che il diritto all’istruzione dello studente disabile è prevalente: non può essere sacrificato per motivi di bilancio. Nella sentenza si richiama la Costituzione (artt. 2, 3, 34) e la giurisprudenza costituzionale (Corte Cost. n. 80/2010, n. 275/2016) che impongono agli enti pubblici di garantire un “nucleo indefettibile” di prestazioni a tutela dei diritti fondamentali, tra cui rientra certamente l’inclusione scolastica.
Il Consiglio di Stato, in questa decisione, ha precisato che è vero: il PEI non è di per sé un atto “impositivo” – esso è un documento programmatico, che orienta il piano di inclusione. Tuttavia, ha aggiunto che, laddove la mancata attuazione delle misure previste nel PEI impedisca del tutto allo studente di accedere alla didattica, quelle misure diventano di fatto inderogabili. Nel caso della disabilità sensoriale grave (come la sordità profonda), se togli l’assistente alla comunicazione per metà dell’orario, “rendi inutile la presenza a scuola” dell’alunno in quelle ore scoperte: è come se lo escludessi dalla classe, perché senza interprete egli non può comprendere né partecipare alle lezioni. Una tale situazione è inaccettabile e contraria al diritto allo studio. L’autonomia finanziaria degli enti locali, per quanto costituzionalmente riconosciuta, non può spingersi fino al punto di comprimere diritti fondamentali degli individui. Il Consiglio di Stato ha quindi affermato che il Comune deve trovare le risorse (cercando eventualmente fondi statali aggiuntivi, o rivedendo le priorità di spesa) e che la presenza continuativa dell’assistente specialistico va garantita nei casi di grave necessità. Questo vale non solo per gli interpreti LIS, ma in generale per tutte le figure di supporto indicate in un PEI: se sono ritenute essenziali per assicurare l’inclusione, non possono essere ridotte arbitrariamente.
Va segnalato che in passato c’era stata qualche pronuncia isolata di segno diverso. Ad esempio, nel 2024 una sentenza del Consiglio di Stato (la n. 1798/2024) aveva lasciato intendere che in casi eccezionali una riduzione delle ore di sostegno/assistenza poteva essere considerata legittima, “nei limiti delle risorse disponibili”, a condizione di non pregiudicare completamente il progetto educativo. Questo aveva creato preoccupazione, perché sembrava aprire la porta a pericolosi compromessi. Tuttavia, la nuova decisione n. 1321/2025 chiude ogni dubbio in merito ai casi di grave necessità: quando è in gioco il “minimo vitale” del diritto allo studio di un alunno disabile (come nel caso di chi, senza quel supporto, resterebbe escluso dall’attività didattica), non ci sono scuse che tengano. “Fiat iustitia ruat caelum”: sia fatta giustizia, costi quel che costi – anche se per l’ente pubblico significa trovare fondi aggiuntivi o riorganizzare il servizio.
In conclusione, l’orientamento attuale – normativo e giurisprudenziale – è netto: l’inclusione scolastica è un diritto fondamentale e come tale non può essere limitato. Gli strumenti predisposti dall’ordinamento, primo fra tutti il PEI concordato nel GLO, devono tradursi in azioni concrete: la scuola deve attuare il piano, gli enti locali devono fornire i servizi di supporto complementari. Se ciò non avviene spontaneamente, esiste la via del ricorso al giudice, il quale interviene a tutela degli studenti più fragili con provvedimenti anche immediati (decreti d’urgenza, nomina di commissari) e con sentenze che possono annullare atti illegittimi e imporre comportamenti dovuti. Questo rafforza la fiducia delle famiglie: sanno di non essere sole e che “la giustizia riequilibra la bilancia in favore degli studenti” quando necessario.
Avv. Marco Panato, avvocato del Foro di Verona e Dottore di Ricerca in Diritto ed Economia dell’Impresa – Discipline Interne ed Internazionali - Curriculum Diritto Amministrativo (Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Verona).
E' autore di pubblicazioni scientifiche in materia giuridica, in particolare nel ramo del diritto amministrativo. Si occupa anche di docenza ed alta formazione.