
Nel traffico urbano quotidiano – a Verona come altrove – pedoni e automobilisti condividono la strada secondo regole precise, ma anche secondo un principio generale: la prudenza e il rispetto reciproco. I pedoni sono considerati “utenti deboli” della strada, protetti da norme che impongono ai conducenti un dovere di attenzione particolarmente elevato. Alla base vi è l’articolo 2054 del Codice Civile, che stabilisce una presunzione di colpa a carico del conducente in caso di investimento: in altre parole, salvo prova contraria, si presume che l’automobilista non abbia fatto tutto il possibile per evitare l’incidente. Questo principio riflette l’antico precetto romano del neminem laedere, ovvero di non ledere nessuno, cardine della responsabilità civile.
Tuttavia, come ricorda una celebre massima di Jean de La Fontaine, “Spesso si incontra il proprio destino sulla strada presa per evitarlo”. Questa frase suggestiva ci ricorda che gli incidenti possono avvenire anche per fatalità o imprudenza della vittima stessa. La legge e i giudici sono quindi chiamati a un difficile compito: bilanciare la tutela del pedone con l’analisi concreta del comportamento di ciascuno. Non sempre, infatti, il pedone investito ha automaticamente ragione. Situazioni anomale o condotte imprevedibili possono portare a riconoscere un concorso di colpa del pedone, riducendo o talvolta escludendo il risarcimento. Vediamo allora quali sono le regole giuridiche in gioco e come la Corte di Cassazione si è espressa di recente su questi temi, delineando scenari in cui la colpa è anche (o soprattutto) del pedone.
Il Codice della Strada impone obblighi sia a chi guida sia a chi attraversa la strada. Da un lato, l’automobilista deve sempre mantenere un controllo del veicolo e prevedere le possibili mosse altrui: l’art. 141 CdS ricorda di moderare la velocità nelle vicinanze degli attraversamenti pedonali, e l’art. 191 CdS obbliga a dare la precedenza al pedone sulle strisce. Dall’altro lato, però, anche il pedone ha regole da rispettare. In particolare, l’art. 190 del Codice della Strada stabilisce che il pedone: (a) deve attraversare sugli appositi passaggi (le “strisce”); (b) non deve mai impegnare la carreggiata senza essersi assicurato di poterlo fare in sicurezza; (c) se attraversa fuori dalle strisce, deve dare la precedenza ai veicoli. Inoltre, è vietato ai pedoni attraversare col semaforo pedonale rosso o al di fuori delle aree consentite, pena sanzioni amministrative (le cosiddette multe al pedone imprudente). Queste norme evidenziano un principio basilare: anche il pedone ha un dovere di prudenza verso se stesso e gli altri.
Sul piano civilistico, l’art. 2054 c.c. pone come detto una presunzione di responsabilità a carico del conducente investitore. Ciò non significa che l’automobilista sia sempre colpevole al 100%, ma che spetta a lui provare di aver fatto tutto il possibile per evitare l’impatto. In termini giuridici, l’onere della prova grava sul conducente: ad esempio dovrà dimostrare che il pedone è apparso all’improvviso, rendendo impossibile frenare in tempo. Quando emergono elementi di colpa anche a carico della vittima, si applica l’art. 1227 c.c., che disciplina il concorso di colpa del danneggiato: il risarcimento si diminuisce in proporzione alla percentuale di colpa attribuibile al pedone. In casi estremi, se il comportamento del pedone è stato totalmente imprevedibile e sconsiderato, la colpa del conducente può essere esclusa del tutto. Ma va sottolineato: non è facile per l’automobilista liberarsi completamente dalla responsabilità, dati i rigorosi obblighi di attenzione cui è tenuto. Non siamo quasi mai di fronte a una situazione di “volenti non fit iniuria” (letteralmente: a chi acconsente non è fatto torto), perché raramente il pedone accetta consapevolmente il rischio di essere investito; più spesso, il pedone è semplicemente distratto o imprudente, ma non vuole certo essere travolto. Ecco perché la legge tende comunque a tutelarlo, pur sanzionando le sue imprudenze con una riduzione del risarcimento.
Negli ultimi anni la Corte di Cassazione ha affrontato più volte il tema del pedone investito, chiarendo in quali circostanze si debba parlare di concorso di colpa. In particolare, tre pronunce del 2025 offrono esempi concreti e linee guida importanti:
Attraversamento fuori dalle strisce: con l’ordinanza Cass. civ., Sez. III, n. 26670/2025 (depositata il 3 ottobre 2025), la Cassazione ha esaminato il caso di un pedone investito mentre attraversava a centro strada, lontano dalle strisce pedonali. Il pedone era apparso all’improvviso davanti a un autobus, in condizioni di piena visibilità e con velocità moderata del veicolo. I giudici hanno confermato che fuori dalle strisce il pedone deve dare la precedenza ai veicoli (come recita testualmente l’art. 190 CdS) e usare la massima cautela. In questa situazione, la presunzione di colpa a carico del conducente è stata superata dalla prova di un comportamento imprudente del pedone. La colpa dell’incidente è stata quindi ripartita in misura nettamente prevalente a carico del pedone – ben 75% secondo la quantificazione operata nei gradi di merito. Ciò ha comportato una forte riduzione del risarcimento dovutogli e persino la condanna a rifondere parte delle spese legali, dato che il pedone risultava in larga parte responsabile del proprio danno.
Attraversamento sulle strisce ma senza attenzione: non basta trovarsi sulle strisce per avere automaticamente ragione, soprattutto se il comportamento è stato imprevedibile. Lo ribadisce l’ordinanza Cass. civ., Sez. III, n. 18313/2025 (4 luglio 2025), relativa a un investimento avvenuto su un passaggio pedonale. In quel caso le videocamere avevano mostrato che il pedone (un geometra) si era immesso di colpo sulla carreggiata senza guardare, con la visuale coperta da un ombrello. L’autista del bus riuscì a frenare solo in parte, non potendo evitare l’impatto. La Cassazione ha confermato la decisione dei giudici di merito di attribuire una responsabilità paritaria: 50% al conducente e 50% al pedone. Il principio affermato è che anche sulle strisce il pedone deve comportarsi in modo prevedibile e prudente. Se il pedone si “butta” all’improvviso, il conducente può non avere il tempo materiale di fermarsi, venendo meno il nesso causale tra eventuale disattenzione del guidatore e l’incidente. In situazioni del genere si riconosce dunque un concorso di colpa sostanziale a carico del pedone, pur permanendo in capo al conducente l’obbligo di attenzione (che infatti in questo caso non è stato escluso, ma solo ridimensionato al 50%).
Dovere di controllo del conducente: un ulteriore aspetto interessante riguarda i doveri attivi dell’automobilista verso la sicurezza altrui. Ad esempio, in tema di cinture di sicurezza, la Cassazione ha puntualizzato che il conducente dovrebbe verificare che tutti i trasportati le abbiano allacciate prima di partire (Cass. civ., Sez. III, ord. n. 26723/2025). Questo principio, sebbene riferito ai passeggeri a bordo, riflette la tendenza giurisprudenziale a interpretare in modo estensivo gli obblighi di diligenza del conducente: chi guida deve prevenire non solo i propri errori, ma anche le altrui distrazioni ove prevedibili. Traslando il concetto ai pedoni, ciò significa che un giudice si aspetta dal conducente un’attenzione alta in prossimità di zone pedonali frequentate (scuole, attraversamenti visibili, centri urbani). Di contro, quando il comportamento del pedone esula da ogni prevedibilità comune (esempio: attraversamento improvviso in autostrada, condotta estremamente azzardata), può scattare l’esonero totale per il conducente investitore. Si tratta però di ipotesi limite, valutate caso per caso. Nella generalità degli incidenti, si finisce per riconoscere un concorso percentuale: una parte di colpa al pedone e una parte al conducente, in proporzioni variabili secondo le condotte.
Accertata la dinamica e le rispettive responsabilità, resta da stabilire il risarcimento dei danni per il pedone infortunato. Qui interviene il principio del concorso di colpa di cui all’art. 1227 c.c.: il pedone ha diritto al risarcimento, ma decurtato secondo la percentuale di colpa a lui attribuita. Ad esempio, nel caso di colpa paritaria (50%), otterrà metà dell’indennizzo totale calcolato; se la sua colpa è stimata al 75%, avrà diritto solo al restante 25% e così via. Ma attenzione: una riduzione percentuale del risarcimento non elimina completamente alcune voci di danno. In particolare, la Cassazione ha chiarito che il pedone investito mantiene il diritto al risarcimento integrale delle tipologie di danno subite, sebbene poi l’importo venga ridotto aritmeticamente. Con una recente ordinanza, la Cass. civ., Sez. III, n. 27102/2025 (depositata il 9 ottobre 2025), la Suprema Corte ha affrontato il caso di una pedone a cui era stata riconosciuta una parte di colpa nell’incidente. Il quesito era se, in presenza di concorso di colpa, alla vittima spettasse anche il cosiddetto danno morale per la sofferenza interiore, oltre al danno biologico per le lesioni fisiche. La Corte ha risposto affermativamente: il pedone ha diritto al ristoro di tutti i tipi di danno non patrimoniale patiti, compresa la sofferenza morale, se provata, anche se poi la somma finale sarà proporzionalmente ridotta per via del concorso. In altri termini, il giudice deve liquidare sia il danno biologico (lesioni, menomazioni permanenti, dolore fisico) sia il danno morale (patema d’animo, trauma psicologico), e solo dopo applicare l’eventuale riduzione percentuale per colpa concorrente. Questo garantisce che il pedone non perda completamente intere voci di risarcimento a causa di una sua parziale responsabilità: ogni pregiudizio subito va considerato, pur se l’entità monetaria finale risulterà diminuita.
Va poi ricordato che il danno non patrimoniale oggi viene valutato in modo unitario ma comprende diverse componenti (biologico, morale, esistenziale). La decisione della Cassazione appena citata s’inserisce nel solco della tutela ampia del danneggiato: persino quando il pedone ha contribuito all’evento, rimane vulneratus ante omnia reficiendus, ovvero “chi è ferito deve essere risarcito prima di tutto” – principio non scritto in latino nei codici, ma ben presente nella filosofia del nostro diritto civile. Certo, la misura del ristoro economico sarà ridotta per tenere conto della sua condotta imprudente, ma nessun tipo di danno gli viene negato in radice. L’assicurazione del veicolo investirice sarà tenuta a pagare quanto dovuto in base alle percentuali di colpa stabilite, entro i massimali di polizza. Se il pedone è coperto da assicurazioni personali (es. polizze infortuni) potrà attivare anche queste, fermo restando il diritto di agire verso il responsabile civile per la parte di danno eccedente.
Quando l’investimento di un pedone provoca purtroppo il decesso della vittima, si aprono ulteriori profili risarcitori a favore dei familiari. In tali tragici frangenti, l’assicurazione del veicolo (o il responsabile civile direttamente) deve risarcire ai congiunti il danno non patrimoniale da perdita del rapporto affettivo. Si parla comunemente di “danno morale” o “danno parentale”: è la sofferenza, lo sconvolgimento e il vuoto che la morte di una persona cara provoca nei suoi familiari stretti. La legge non fissa categorie chiuse di aventi diritto, ma la prassi riconosce normalmente questo diritto ai parenti più prossimi: coniuge, figli, genitori, fratelli. Di recente, però, la Cassazione ha mostrato un orientamento più aperto. Con la sentenza Cass. civ., Sez. III, n. 17208/2025 (26 giugno 2025) è stato riconosciuto un risarcimento significativo anche alla suocera di una vittima di incidente stradale mortale, in quanto è emersa in giudizio la profondità del legame affettivo concreto, al di là del mero grado di parentela. Questo precedente conferma che conta la sostanza del rapporto e non solo l’etichetta familiare: anche un convivente di fatto, un nonno, un nipote o un affine possono ottenere giustizia se dimostrano di aver subito un gravissimo dolore dalla perdita del loro caro. Naturalmente, anche in caso di morte del pedone si applicano i criteri del concorso di colpa: dunque, se ad esempio il pedone deceduto ha violato gravemente le norme (attraversando col rosso, ecc.), ai familiari sarà riconosciuto il risarcimento ma ridotto in proporzione alla colpa attribuibile al loro congiunto. Resta il fatto che la vita umana ha un valore incommensurabile e la giurisprudenza cerca di assicurare un risarcimento il più possibile equo a chi rimane, compatibilmente con i limiti assicurativi e le effettive responsabilità in gioco.
In conclusione, l’investimento di un pedone pone sempre una delicata valutazione di responsabilità. La normativa italiana, arricchita dagli orientamenti giurisprudenziali più recenti, traccia alcuni punti fermi: il conducente è chiamato alla massima prudenza e risponde quasi sempre, in tutto o in parte, dei danni causati; il pedone, per quanto tutelato, non è esonerato dai doveri di attenzione e può vedere ridotto il suo risarcimento se ha tenuto un comportamento imprudente o imprevedibile. Ogni caso concreto fa storia a sé, perché le variabili sono infinite: dal contesto stradale (si pensi alle strade urbane di Verona affollate di turisti e cittadini, rispetto a una strada extraurbana buia) fino alle condizioni delle parti (un pedone distratto dal cellulare, un conducente in eccesso di velocità, ecc.). Proprio per questo, se ti trovi ad affrontare le conseguenze di un incidente come pedone danneggiato o come conducente coinvolto, è fondamentale rivolgerti a professionisti del settore. Un supporto legale qualificato ti aiuta a far valere i tuoi diritti, a ricostruire i fatti in modo favorevole e a trattare con le assicurazioni per ottenere il giusto risarcimento.
Sei stato coinvolto in un incidente stradale come pedone o come automobilista? Vuoi capire quali sono le tue possibilità di risarcimento o come difenderti da una richiesta ingiusta? Contatta subito lo Studio Legale MP di Verona per una consulenza personalizzata.
Redazione - Staff Studio Legale MP