
La cronaca delle strade di Verona ci insegna che basta un attimo perché un viaggio si trasformi in un incubo: un turista straniero che passa con il rosso o non rispetta la precedenza, e l’incidente è servito. In queste situazioni, il diritto interviene con un principio cardine a protezione di chi subisce danni – vulneratus ante omnia reficiendus (prima di tutto va risarcito chi è stato ferito). L’obiettivo è chiaro: garantire al passeggero trasportato un indennizzo rapido, senza lasciarlo imprigionato in lunghe dispute assicurative sulla responsabilità. Del resto, “le leggi son, ma chi pon mano ad esse?” si lamentava Dante secoli fa, denunciando l’inefficacia di norme lasciate inapplicate. Oggi, per fortuna, non è più così: nuove disposizioni e pronunce dei tribunali assicurano che le vittime della strada ottengano giustizia in tempi brevi, anche nei casi più complessi come gli incidenti causati da veicoli stranieri.
Se sei passeggero di un’auto coinvolta in un sinistro provocato da un altro veicolo (magari immatricolato all’estero in visita a Verona), la legge ti permette di agire subito per il risarcimento. Grazie all’azione diretta del trasportato prevista dall’art. 141 del Codice delle Assicurazioni, puoi richiedere il risarcimento direttamente all’assicurazione del veicolo su cui viaggiavi, a prescindere da chi abbia causato l’incidente. Questo significa che non dovrai aspettare l’esito di lunghi accertamenti sulla responsabilità dei conducenti: la tua richiesta di danni può essere avanzata immediatamente contro la compagnia assicurativa dell’auto su cui eri a bordo. Si tratta di una tutela fondamentale, pensata proprio per chi, come il passeggero, è parte debole e spesso non ha colpa alcuna nello scontro.
Questa corsia preferenziale verso il risarcimento è stata di recente confermata e rafforzata dai giudici. La Cassazione civ., Sez. III, sent. n. 25033/2025 ha chiarito in modo definitivo che il terzo trasportato può esercitare l’azione diretta indipendentemente dall’accertamento delle responsabilità nel sinistro. In altre parole, anche se l’incidente è dovuto esclusivamente a colpa dell’altro veicolo (per esempio un’auto con targa straniera), il passeggero ha comunque diritto di essere risarcito subito dall’assicurazione del vettore su cui viaggiava. La finalità della norma – hanno ribadito i giudici – è evitare che il risarcimento del danno al trasportato venga ritardato dalla necessità di stabilire di chi sia la colpa: prima si indennizza la vittima, poi eventualmente le assicurazioni si regoleranno tra loro per il rimborso. Questo orientamento discende anche da un principio di matrice costituzionale e comunitaria di tutela sociale: chi viaggia come passeggero deve poter contare su una garanzia di ristoro in ogni caso, spostando il “rischio di causa” sull’assicurazione. Il mantra è sempre quello: vulneratus ante omnia reficiendus, chi è leso va ristorato prima di tutto il resto.
Va aggiunto che la presenza di un veicolo straniero non impedisce l’applicazione di queste regole. Se l’auto che ha causato l’incidente è immatricolata all’estero, entra in gioco l’Ufficio Centrale Italiano (UCI) quale organismo deputato a rappresentare in Italia l’assicuratore estero: sarà l’UCI, in pratica, a farsi carico della liquidazione per conto della compagnia straniera. Ma questo aspetto organizzativo non riguarda il passeggero: per chi era a bordo dell’auto italiana, l’interlocutore diretto resta sempre l’assicurazione di quest’ultima. Il coinvolgimento di un veicolo estero, quindi, non complica affatto i diritti del trasportato, che potrà agire come in qualsiasi altro incidente stradale, senza dover individuare né citare il responsabile straniero o la sua compagnia. È un importante fattore di sicurezza: anche su strade veronesi trafficate da turisti e camion internazionali, chi viaggia come passeggero sa di avere una rete di protezione immediata in caso di sinistro.
Ottenere velocemente il risarcimento è fondamentale, ma altrettanto importante è che il risarcimento sia completo, ossia comprenda tutte le voci di danno patite dalla vittima. Su questo punto la giurisprudenza più recente è molto chiara: non ci si può fermare al solo aspetto fisico. La Corte di Cassazione insiste sulla necessità di riconoscere separatamente il danno morale, cioè la sofferenza interiore, la paura e il turbamento causati dall’incidente, accanto al tradizionale danno biologico (lesione all’integrità psicofisica). In particolare, la Cass. civ., Sez. III, ord. n. 27102/2025 ha ribadito che la vittima ha diritto a un risarcimento pieno ed integrale, che tenga conto di tutte le dimensioni del pregiudizio subito. Ignorare il dolore emotivo significherebbe lasciare senza compenso una parte importante del danno. Nel caso esaminato da quella pronuncia, ad esempio, una pedone investita aveva ottenuto in appello il risarcimento per le lesioni fisiche, ma si era vista negare una distinta voce per il patema d’animo: la Cassazione ha censurato questa decisione, sottolineando come danno biologico e danno morale siano componenti diverse (anche se entrambe rientranti nel danno non patrimoniale) e vadano tenute presenti entrambe. In pratica, il giudice deve motivare in modo chiaro il risarcimento, esplicitando se nella somma riconosciuta siano compresi anche il dolore e la perdita di serenità sofferti dalla vittima; in mancanza, la sentenza è carente. Questo indirizzo garantisce un equo ristoro: l’obiettivo è restituire al danneggiato tutto ciò che ha perso, dal punto di vista fisico ma anche da quello morale. Del resto, come ricorda un celebre precedente delle Sezioni Unite (n. 26972/2008), il danno non patrimoniale è una categoria unitaria al cui interno convivono più componenti che il giudice deve considerare con attenzione. Le tabelle del Tribunale di Milano – utilizzate a livello nazionale – già prevedono criteri per personalizzare il risarcimento includendo, almeno in via presuntiva, la sofferenza interiore legata all’evento lesivo: sta poi al magistrato aumentare l’importo standard se emergono conseguenze peculiari oppure motivare specificamente se ritiene di non riconoscere un ulteriore indennizzo morale. L’importante messaggio lanciato dalla Cassazione è che il risarcimento non è una pratica burocratica, ma un percorso di giustizia sostanziale: dietro ogni cifra c’è una persona con le proprie ferite, visibili e invisibili, e tutte vanno curate con equità.
Un breve cenno merita anche il tema delle lesioni lievi (le cosiddette micropermanenti, fino al 9% di invalidità). In tali casi la legge limita un po’ la risarcibilità del danno morale, prevedendo che il grado di personalizzazione sia contenuto (massimo +20% rispetto ai valori standard) e subordinato a specifica motivazione. La giurisprudenza recente è attenta a bilanciare rigore normativo e diritti della vittima: pur confermando che per i danni minori il risarcimento è normalmente “tutto compreso” nelle tabelle, i giudici ammettono che situazioni eccezionali possano giustificare un quid pluris. Ciò significa che, sebbene per un banale colpo di frusta non si possa pretendere una somma extra per il mero spavento, in presenza di conseguenze particolari anche un trauma lieve potrebbe dar luogo a un piccolo supplemento risarcitorio. In ogni caso, anche nelle controversie su incidenti di modesta entità, la parola d’ordine resta completezza: ogni pregiudizio concreto, se provato e collegato al sinistro, deve trovare risposta nel risarcimento.
La posizione del passeggero infortunato è fortemente tutelata, ma ciò non significa che egli possa ignorare le norme di prudenza che lo riguardano. Un caso tipico è quello della cintura di sicurezza: l’art. 172 del Codice della Strada impone anche ai trasportati di allacciarla e anzi richiama il conducente a vigilare affinché tutti i passeggeri a bordo rispettino questo obbligo. Cosa accade se il passeggero ferito non indossava la cintura al momento dell’incidente? In tale circostanza si configura un concorso di colpa a suo carico, ai sensi dell’art. 1227 c.c., perché la sua omissione ha con tutta probabilità aggravato le lesioni. Tuttavia, bisogna fare attenzione: la colpa del passeggero imprudente non elimina del tutto il suo diritto al risarcimento, ma ne comporta soltanto una riduzione proporzionale. La Cassazione ha più volte stigmatizzato decisioni troppo drastiche in danno dei trasportati senza cintura. Emblematica è la Cass. civ., Sez. III, sent. n. 26723/2025, che ha annullato una sentenza di merito in cui era stato negato qualsiasi ristoro ai familiari di una vittima, solo perché questa non portava la cintura al momento dello scontro. La Suprema Corte ha spiegato che un comportamento imprudente del danneggiato può al massimo diminuire l’importo dovuto, mai azzerarlo del tutto, a meno che quella condotta sia stata l’unica causa determinante il danno. Nel caso concreto, la vittima viaggiava sul sedile posteriore senza cintura ed era deceduta; i giudici territoriali avevano ritenuto che, se avesse usato il presidio, si sarebbe salvata, negando quindi ogni risarcimento ai congiunti. La Cassazione ha cassato tale verdetto, affermando un principio di equilibrio: anche quando l’assenza di cintura ha contribuito in modo rilevante alle conseguenze, resta sempre una quota di responsabilità in capo al conducente e agli altri eventuali corresponsabili. Ne è risultata una ripartizione più giusta: se, ad esempio, la colpa del passeggero è stimata nel 50%, il restante 50% del danno va comunque risarcito da chi ha causato l’incidente. Questo approccio evita ingiustizie clamorose e funge da monito sia per i passeggeri (che non devono dimenticare di allacciare le cinture, pena una decurtazione del risarcimento), sia per i conducenti: questi ultimi sono tenuti a controllare attivamente che tutti a bordo siano in sicurezza, perché in caso contrario potranno essere chiamati a rispondere delle altrui lesioni. In sintesi, “peggio per lui” non esiste nel diritto delle assicurazioni: la vittima imprudente paga qualcosa di tasca propria in termini di riduzione del risarcimento, ma non viene abbandonata a se stessa, soprattutto se l’incidente è dipeso principalmente da altri.
Quando un incidente stradale provoca lesioni gravissime o, nei peggiori casi, la morte di uno o più coinvolti, il sistema risarcitorio si estende a favore dei prossimi congiunti della vittima. Si parla in questi frangenti di danno parentale, intendendo il turbamento e la perdita subìti da chi perde un proprio caro. Su questo fronte la giurisprudenza italiana ha conosciuto di recente importanti sviluppi, orientati ad allargare la tutela oltre i tradizionali limiti del legame di sangue. Ci si è chiesti, in altre parole, chi possa essere considerato “familiare” meritevole di risarcimento in caso di lutto da incidente stradale. La risposta odierna guarda alla sostanza dei rapporti, più che ai formalismi anagrafici.
Una pronuncia di rilievo, nell’ambito di un tragico sinistro avvenuto proprio sulle strade venete, è la Cass. civ., Sez. III, ord. n. 5984/2025. In questo caso la Corte ha riconosciuto il risarcimento per la perdita del rapporto affettivo anche al convivente di fatto della madre di una bambina deceduta in un incidente, sebbene costui non fosse parente né legato da vincoli giuridici alla piccola. La motivazione è illuminante: ciò che conta, ai fini del diritto al risarcimento, è la qualità e intensità del legame che univa la vittima a chi chiede il risarcimento, non la mera esistenza di un vincolo di sangue o di una parentela in senso stretto. Se una persona svolge nella vita della vittima il ruolo di un familiare, alimentando con essa un rapporto di amore, affetto, assistenza morale e materiale, non sarebbe giusto escluderla dal novero dei danneggiati soltanto perché manca un’etichetta giuridica. La Cassazione ha così sancito un principio di civiltà giuridica: il danno parentale spetta a tutti coloro che erano parte integrante della vita della vittima, purché naturalmente provino la profondità del vincolo affettivo e la gravità del pregiudizio sofferto. Questo orientamento evita disparità di trattamento irragionevoli nell’era delle famiglie di fatto e delle unioni civili, e conferma che la finalità dell’istituto risarcitorio è eminentemente compensativa: ristorare un dolore vero e documentato, al di là degli schemi tradizionali. D’ora in avanti, quindi, in caso di incidente mortale, i conviventi more uxorio, i figli non riconosciuti formalmente ma cresciuti come tali, e in genere chi dimostra un rapporto stabile e sincero con la vittima potrà ottenere giustizia. Si tratta di un ulteriore tassello nella costruzione di un sistema risarcitorio inclusivo e attento alle realtà effettive dei rapporti umani.
Naturalmente rimangono esclusi dall’indennizzo coloro che sono legati alla vittima da relazioni marginali o occasionali: l’ordinamento non risarcisce il semplice dispiacere in sé, ma tutela i nuclei affettivi autentici che un fatto illecito ha spezzato. In ogni caso, l’ampliamento operato dalla Cassazione rappresenta un messaggio importante: nessuno che abbia veramente sofferto per la perdita di una vita umana dovrà sentirsi dire che il suo dolore “non conta” perché non rientra nelle categorie di legge. Ancora una volta, la giustizia estende la mano ai più deboli – in questo caso le vittime secondarie di un sinistro – adeguando l’interpretazione delle norme all’evoluzione sociale e ai principi costituzionali di solidarietà.
Dalle strade urbane di Verona ai grandi assi autostradali europei, l’ordinamento giuridico italiano offre oggi al cittadino strumenti efficaci per affrontare le conseguenze di un incidente stradale, anche quando la situazione sembra complessa per la presenza di elementi internazionali o per dinamiche poco chiare. La parola d’ordine che emerge dalle novità esaminate è protezione: protezione immediata del trasportato, protezione integrale di tutti gli aspetti del danno, protezione dei soggetti più fragili e dei legami affettivi colpiti. Tuttavia, per poter beneficiare appieno di queste tutele, è fondamentale muoversi con competenza nel dedalo delle norme e delle procedure assicurative.
In caso di sinistro con un veicolo straniero o di incidente grave con esiti lesivi importanti, affidarsi a un legale esperto in infortunistica stradale fa la differenza. Uno studio legale preparato conosce le ultime sentenze, sa come trattare con le compagnie di assicurazione – italiane o estere – e come attivare rapidamente l’azione più favorevole (ad esempio l’azione diretta ex art. 141 Cod. Ass.). Inoltre, un avvocato può assistere nella raccolta delle prove necessarie, nella quantificazione corretta di tutte le voci di danno (inclusi quelli morali e relazionali spesso trascurati) e nella tutela dei diritti dei familiari delle vittime. Studio Legale MP di Verona vanta una consolidata esperienza in questo campo: dalla gestione dei sinistri con elementi internazionali al patrocinio delle vittime in giudizio, mettiamo al servizio del cliente competenza tecnica e sensibilità umana. Se ti trovi ad affrontare le conseguenze di un incidente stradale – che tu sia un passeggero ferito, un conducente ingiustamente accusato o un familiare in lutto – non esitare a contattarci. Valuteremo insieme il tuo caso senza impegno e ti aiuteremo a far valere i tuoi diritti, perché nessuno dovrebbe rimanere solo di fronte alle difficoltà: il nostro obiettivo è farti ottenere giustizia in tempi rapidi e nel modo più completo possibile.
Redazione - Staff Studio Legale MP