
Una delle innovazioni più significative introdotte dal nuovo Codice della Crisi è la figura del debitore incapiente e la possibilità di un’esdebitazione immediata. In parole semplici, il debitore incapiente è colui che non possiede alcun bene liquidabile né capacità di pagare i creditori se non in misura del tutto irrisoria. In passato, anche un soggetto nullatenente restava tecnicamente inseguito dai debiti a vita, perché non c’era nulla da distribuire ai creditori e quindi nessuna procedura concorsuale tradizionale poteva concludersi con un “colpo di spugna”. Oggi non è più così: l’art. 283 CCII permette al debitore persona fisica privo di beni di chiedere la cancellazione di tutti i debiti (esdebitazione) senza dover pagare nulla, a patto di soddisfare alcuni requisiti stringenti. In particolare, deve trattarsi del primo tentativo di esdebitazione di questo tipo nella vita del debitore e – soprattutto – il debitore dev’essere meritevole, cioè non aver causato la propria insolvenza con comportamenti gravemente colposi o dolosi. In pratica, il beneficio è riservato a chi è sinceramente incolpevole o comunque non ha colpe gravi nella genesi della sua condizione finanziaria: è un atto di clemenza legislativa per dare una seconda opportunità a chi si è indebitato per sfortuna, per errori tutto sommato veniali o per aiutare altri, e si trova ora senza nulla da offrire ai creditori.
La valutazione della meritevolezza è quindi decisiva nell’esdebitazione dell’incapiente. Ma come la interpretano i giudici? La giurisprudenza del 2025 si è espressa chiaramente a favore di un’interpretazione non troppo rigorosa, per non vanificare la funzione sociale di questa procedura. Ad esempio, il Tribunale di Rimini ha concesso l’esdebitazione immediata a un debitore incapiente il cui sovraindebitamento derivava in gran parte dall’aver fatto da fideiussore (garante) per la società di famiglia poi fallita. In quel caso il debitore aveva firmato garanzie per aiutare l’azienda dei genitori in difficoltà, rimanendo infine l’unico a dover pagare i debiti bancari della società. Ebbene, il giudice riminese ha ritenuto che un simile comportamento – forse imprudente, ma dettato da solidarietà familiare e non da spregiudicatezza – potesse al più configurare una colpa lieve, che non esclude la meritevolezza necessaria per l’accesso al beneficio. Di conseguenza l’istanza di esdebitazione è stata accolta, liberando il debitore da ogni pendenza (Trib. Rimini, sent. 18/04/2025). Questo precedente è importante perché stabilisce che non basta qualche errore di valutazione a rendere “non meritevole” il debitore: se le cause dell’indebitamento non superano la soglia della colpa grave o del dolo, il giudice può ugualmente accordare la seconda chance. Del resto, la stessa Corte di Cassazione ha affermato un principio analogo: anche un debitore con qualche ombra di responsabilità può essere ammesso alle procedure di sovraindebitamento, poiché l’obiettivo immediato è soddisfare i creditori liquidando il possibile; solo al termine si valuterà semmai di negargli l’esdebitazione se emergeranno colpe gravi (Cass. civ., ord. n. 22074/2025). In altre parole, l’eventuale dubbio sulla condotta del debitore non preclude a priori l’accesso alla procedura, ma rileva solo in sede di concessione finale del beneficio: un approccio che privilegia la funzione di recupero del debitore onesto (o non gravemente colpevole) coerentemente con la normativa europea sul “fresh start”. Va ricordato, infatti, che la Direttiva UE 2019/1023 ha promosso in tutta Europa l’idea che al debitore sovraindebitato sia garantita una via d’uscita entro un tempo ragionevole, e il nostro ordinamento si è adeguato ampliando le maglie dell’esdebitazione. Emblematico è anche il caso deciso dal Tribunale di Ivrea (15 luglio 2025), che ha definito puntualmente i presupposti dell’esdebitazione dell’incapiente: l’assenza di patrimonio (impossidenza) come requisito oggettivo e la meritevolezza come requisito soggettivo imprescindibile – intesa però in negativo come assenza di dolo o colpa grave. Si noti come ormai si parli più di assenza di colpa grave piuttosto che di “meritevolezza” in senso stretto: il nuovo Codice della Crisi ha semplificato il concetto, richiedendo che il debitore non abbia provocato il dissesto con grave negligenza, senza più pretenderne uno specchiato comportamento sotto ogni profilo. Anche questo cambio di prospettiva facilita l’accesso alle procedure: l’onesto ma sfortunato deve poter voltare pagina, perché – per citare Dante in chiave moderna – dopo il buio dei rovesci economici il debitore meritevole possa finalmente “uscire a riveder le stelle”.
Un’altra questione molto dibattuta riguarda i rapporti tra le procedure di sovraindebitamento e il fallimento (oggi liquidazione giudiziale). Cosa succede se una persona fisica aveva un’impresa ed è già stata dichiarata fallita in passato? Può comunque accedere alle procedure di sovraindebitamento per debiti rimasti insoluti o sopravvenuti dopo il fallimento? Fino a poco tempo fa la risposta non era scontata, anche perché la legge fallimentare prevedeva un meccanismo di esdebitazione post-fallimento (art. 142 L.F.) soggetto a vari limiti, e non era chiaro se un ex imprenditore fallito potesse “ripiegare” sulle procedure da sovraindebitamento. La situazione si è chiarita con il nuovo Codice e con la giurisprudenza del 2025. In particolare, il Tribunale di Verona ha affrontato il caso di un imprenditore individuale che, cessata l’attività, era stato dichiarato fallito e non aveva ottenuto l’esdebitazione al termine di quella procedura (per mancanza di requisiti o semplicemente per omissione di richiesta). Anni dopo, trovandosi ancora gravato da debiti insoddisfatti verso i creditori del fallimento, questo ex imprenditore ha presentato ricorso per l’apertura di una liquidazione controllata come persona fisica sovraindebitata. Ebbene, con una decisione innovativa il Tribunale di Verona ha stabilito che non costituisce alcun ostacolo all’apertura della procedura il fatto che il richiedente sia un ex fallito. La legge attuale, infatti, consente espressamente questa possibilità: il D.Lgs. 83/2022 ha introdotto nell’art. 33 CCII un comma 1-bis che permette al debitore persona fisica, dopo la cancellazione della propria impresa, di accedere al sovraindebitamento anche oltre l’anno dalla cessazione dell’attività. Dunque, anche se il soggetto è già passato per un fallimento, può avvalersi di una successiva liquidazione controllata per i debiti residui. Nel caso concreto, il tribunale ha evidenziato come ciò sia anzi nell’interesse generale: la finalità della liquidazione controllata è proprio quella di consentire al debitore di ottenere l’esdebitazione non conseguita in esito al fallimento precedente (Trib. Verona, Sez. II civ., sent. 13/06/2025). Non importa se i debiti attuali derivano in larga parte da quelli rimasti insoddisfatti nella procedura fallimentare chiusa: proprio in quest’ottica la liquidazione controllata rivela la sua utilità, offrendo un ulteriore tentativo di liberazione dai debiti. È chiaro però che anche l’ex fallito dovrà rispettare le condizioni di legge: nessuna preclusione significa che la domanda può essere accolta, ma poi, durante la procedura, andrà verificato il requisito soggettivo. Se l’esdebitazione era mancata in passato per difetto di meritevolezza, non è detto che stavolta venga concessa: come ricordato dagli stessi giudici veronesi, l’art. 282 CCII richiede oggi di accertare l’assenza di colpa grave nella determinazione del sovraindebitamento. In pratica, l’ex imprenditore potrà accedere alla procedura e liquidare il suo patrimonio a favore dei creditori; al termine, però, il tribunale valuterà di nuovo la sua condotta e potrebbe negargli l’esdebitazione se riscontrasse colpe gravi o malafede. Importante, sottolinea la sentenza di Verona, è che questo rischio non impedisce di aprire la procedura: la legge impone solo che l’OCC informi il debitore di tale eventualità (relazione particolareggiata ex art. 269, co. 2 CCII), ma non preclude l’accesso. Questa pronuncia elimina ogni dubbio interpretativo residuo: anche un ex fallito può tentare la via del sovraindebitamento, per cercare quel “fine debiti” che magari non è riuscito a ottenere prima. La logica è sempre quella del favor debitoris e della seconda opportunità: se c’è ancora qualcosa da liquidare o da offrire ai creditori, vale la pena attivare la procedura concorsuale minore, chiudere i conti pendenti e dare al debitore la chance di ripartire. Significativamente, pochi giorni dopo il caso veronese, anche la Corte d’Appello di Napoli (sent. 14/07/2025) si è espressa in tal senso, confermando la possibilità per l’imprenditore individuale cancellato dal registro delle imprese di proporre un concordato minore di tipo liquidatorio: perfino chi ha cessato l’attività da tempo può accedere alle nuove procedure da sovraindebitamento per sistemare debiti residui d’impresa, in funzione di una completa liberazione finale. Si tratta di un cambio di paradigma rispetto al passato, quando il fallito era spesso destinato a portarsi dietro a vita lo strascico dei debiti non soddisfatti. Oggi, invece, una strada per uscire dal tunnel esiste: la legge e i tribunali consentono di chiudere definitivamente i conti col passato, pur con l’obbligo di dimostrare trasparenza e correttezza. Come recita un vecchio adagio latino, “ubi debita, ibi remedia” – a grandi debiti, grandi rimedi: il sistema giuridico predispone strumenti ad hoc per sanare anche le situazioni più compromesse.
Accanto alle novità sulle condizioni di accesso e sul “chi” può ottenere l’esdebitazione, vi sono importanti sviluppi anche sul “quanto” effettivamente il debitore debba pagare ai propri creditori in caso di procedura. In particolare, le sentenze del 2025 mostrano una crescente attenzione nel filtrare i crediti insinuati, soprattutto quando si tratta di crediti da consumo (prestiti personali, finanziamenti al consumo, carte di credito revolving, ecc.) che spesso presentano clausole vessatorie o costi sproporzionati a carico del consumatore. Il principio di base è che la procedura di sovraindebitamento non è una zona franca per i creditori: anche in questo contesto valgono le tutele del consumatore previste dal diritto civile e dal Codice del Consumo. Un esempio illuminante proviene dal Tribunale di Piacenza, che nel settembre 2025 ha emesso un’interessante sentenza in occasione dell’apertura di una liquidazione controllata (Trib. Piacenza, sent. 2/09/2025). I giudici piacentini hanno affrontato il caso di coniugi sovraindebitati con vari prestiti al consumo e carte di credito, stabilendo due principi di grande rilevanza:
Primo: le clausole contrattuali abusive non possono trovare ingresso nella procedura. Se un creditore vanta un credito derivante da un contratto di finanziamento al consumo contenente clausole vessatorie – ad esempio tassi di interesse di mora molto elevati, penali esagerate per il ritardo nei pagamenti, spese e commissioni non giustificate – tali clausole non vincolano il consumatore e non possono essere fatte valere per gonfiare l’importo del debito nel sovraindebitamento. Il Tribunale ha richiamato l’applicazione degli artt. 33 e ss. del Codice del Consumo anche in sede concorsuale: clausole che determinano “uno squilibrio significativo tra i diritti e gli obblighi delle parti” a danno del consumatore devono considerarsi inefficaci, e il relativo credito va ridotto proporzionalmente già in fase di ammissione allo stato passivo. In pratica, il Liquidatore (figura nominata dal tribunale per gestire la liquidazione controllata) ha il potere-dovere di tagliare dal passivo qualsiasi voce di credito derivante da condizioni contrattuali illegittime o non dovute. Questa impostazione tutela in modo attivo il debitore-consumatore: evita che nella procedura vengano riconosciuti importi non corretti e fa sì che egli paghi solo ciò che è realmente dovuto secondo legge, sgravandolo da oneri ingiusti. Si pensi ai cosiddetti interessi usurari o alle commissioni occulte: se hanno vizi di legittimità, non peseranno sul debitore in crisi. Questa è una conquista notevole, frutto di una visione del sovraindebitamento non più come terreno di mero soddisfacimento dei creditori, ma anche come sede di verifica della qualità dei crediti stessi.
Secondo: i costi superflui non devono gravare sulla massa dei creditori. Nel caso piacentino, il Tribunale ha rilevato che i debitori avevano fatto ricorso, prima di presentare l’istanza, a consulenti privati (advisor finanziari e legali) per farsi assistere nella composizione della crisi, accumulando parcelle considerevoli. Ebbene, il giudice ha affermato che nelle procedure di sovraindebitamento l’assistenza professionale fornita dall’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) è per legge necessaria e sufficiente ad accompagnare il debitore: non occorre coinvolgere ulteriori consulenti a pagamento. Quindi, gli eventuali crediti professionali vantati da tali consulenti esterni – ad esempio richieste di compenso per aver preparato la pratica di sovraindebitamento – non devono essere ammessi al passivo, in quanto spese non necessarie e potenzialmente dannose per la massa dei creditori (ogni euro pagato inutilmente a un consulente è un euro in meno per gli altri creditori). Il Tribunale di Piacenza ha sottolineato che il liquidatore può e deve opporsi all’insinuazione di questi crediti, eccependo la loro inefficacia o invalidità per contrarietà alla ratio della procedura e, se del caso, attivando rimedi come l’azione di riduzione/revocazione di tali accordi onerosi stipulati dal debitore prima della procedura. Questo orientamento, anche se tecnico, ha un risvolto pratico chiaro: il debitore sovraindebitato non deve indebitarsi ulteriormente per pagare consulenti aggiuntivi, né tali costi vanno a scapito dei creditori. La procedura di sovraindebitamento è concepita per bilanciare equamente gli interessi in gioco: da un lato offrire al debitore respiro e liberazione dai debiti, dall’altro garantire ai creditori la massimizzazione dell’attivo disponibile. Eliminare dal passivo le spese superflue o abusive serve esattamente a questo secondo scopo e, indirettamente, anche al primo (perché meno debiti “impropri” nel passivo significano condizioni più favorevoli per il debitore che vuole uscire dalla crisi). Si tratta di un approccio pragmatico ma anche giusto: come diceva Publilio Siro, “I debiti sono la schiavitù degli uomini liberi”, e allora ogni onere inutile va rimosso per non aggravare quella schiavitù oltre il necessario.
In sintesi, la recente giurisprudenza dipinge un quadro incoraggiante per chi si trova schiacciato dai debiti ma vuole voltare pagina onestamente. Dai tribunali emergono soluzioni concrete: c’è la possibilità di cancellare i debiti anche per chi non possiede nulla, c’è la porta aperta per chi ha già vissuto il trauma di un fallimento e c’è un controllo rigoroso sui crediti vantati dai finanziatori, così che il debitore paghi solo il giusto. Naturalmente, non va dimenticato che ogni caso è a sé e che restano paletti importanti: comportamenti fraudolenti o gravemente imprudenti vengono ancora sanzionati con il diniego dell’esdebitazione, e alcuni debiti (come quelli per mantenimento familiare o le sanzioni penali) restano comunque esclusi da qualunque “perdono”. Ma il messaggio di fondo è chiaro: se sei un debitore onesto in difficoltà, la legge oggi ti offre gli strumenti per risorgere dall’insolvenza. Il motto del nuovo corso potrebbe essere: “Aiutati che il diritto ti aiuta”. Chi si attiva, con buona fede e trasparenza, per affrontare la propria crisi troverà nelle procedure di sovraindebitamento un potente alleato per ristrutturare o azzerare i debiti e tornare a una vita dignitosa, senza la spada di Damocle dei creditori sulla testa.
Redazione - Staff Studio Legale MP