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Legge Pinto e risarcimento per i processi troppo lunghi: giustizia ritardata è giustizia negata - Studio Legale MP - Verona

La lentezza dei tribunali può trasformarsi in un’ingiustizia. Vediamo come funziona l’equa riparazione prevista dalla legge Pinto per i processi eccessivamente lunghi, le novità normative e giurisprudenziali più recenti, e come ottenere dall’Italia il giusto indennizzo per la violazione del diritto a una durata ragionevole del processo.

 

Il diritto a un processo di durata ragionevole: origini e principi fondamentali

Ogni persona ha diritto a un processo equo entro un termine ragionevole. Questo principio è sancito dall’art. 6, par. 1, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) e, in Italia, elevato a rango costituzionale con la riforma dell’art. 111 Cost. nel 1999. Eppure, per decenni nel nostro ordinamento non vi sono stati rimedi interni efficaci contro l’eccessiva lentezza della giustizia. Il risultato è stato un numero enorme di ricorsi alla Corte Europea e numerose condanne dell’Italia per violazione del diritto al processo in tempi ragionevoli. Si stima che l’Italia abbia dovuto sborsare milioni di euro in riparazioni per la “giustizia lumaca”. Di fronte alle pressioni di Strasburgo il legislatore corse ai ripari nel 2001, varando una legge ad hoc: la legge 24 marzo 2001 n. 89, nota come “legge Pinto”.

La legge Pinto introduce un rimedio giurisdizionale interno per ottenere un’equa riparazione del danno subito a causa della durata irragionevole di un processo. In altre parole, consente al cittadino di chiedere un indennizzo allo Stato italiano quando un procedimento giudiziario si protrae oltre tempi accettabili. Si tratta di un rimedio indennitario ex post: non accelera il procedimento in ritardo né incide sull’organizzazione dei tribunali, ma interviene a posteriori per riparare il pregiudizio subito dal cittadino. Emblematico è il motto giuridico “iustitia dilata est iustitia negata” – la giustizia ritardata è giustizia negata. La stessa Corte EDU ha osservato che «il miglior rimedio contro i ritardi è la prevenzione», avvertendo che un sistema basato solo su risarcimenti pecuniari potrebbe addirittura indurre qualcuno a provocare ritardi deliberati pur di ottenere un indennizzo. Ciò nonostante, l’equa riparazione resta uno strumento fondamentale per dare attuazione concreta al principio che “giustizia ritardata è giustizia negata” e offrire sollievo a chi ha subìto processi estenuanti.

 

Quando un processo è troppo lungo? – Parametri di ragionevolezza

La legge Pinto fissa dei parametri temporali oltre i quali la durata di un processo si presume irragionevole. In generale, si considera violato il termine ragionevole quando la durata del processo supera: 3 anni per il primo grado, 2 anni per il secondo grado e 1 anno per il giudizio di Cassazione. Per alcuni procedimenti speciali sono previsti termini maggiori: ad esempio 3 anni per un processo esecutivo civile, 6 anni per un fallimento. In ogni caso, vige una clausola di salvaguardia generale: nessun indennizzo è dovuto se il procedimento si conclude in modo definitivo entro 6 anni complessivi.

Occorre precisare che tali termini decorrono dall’inizio formale del procedimento e non si computano eventuali periodi di sospensione legale o tempi imputabili alle parti. In sintesi, la lentezza della giustizia viene misurata sul tempo imputabile allo Stato. I termini sopra indicati non sono tassativi ma costituiscono indici di ragionevolezza: il giudice deve valutare anche la complessità del caso, la natura del procedimento e il comportamento delle parti.

 

Chi può chiedere l’equa riparazione (e chi no)

Hanno diritto a richiedere l’indennizzo Pinto tutti i soggetti che abbiano subito un danno da un processo eccessivamente lungo indipendentemente dall’esito finale. Sono legittimate inoltre tutte le parti processuali, comprese quelle intervenute o chiamate in causa, nonché gli eredi di una parte e anche le persone giuridiche.

Non tutti però possono agire. Non è legittimato l’avvocato che abbia partecipato al processo in qualità di difensore e si sia fatto attribuire le spese legali “antistatariamente”. La Corte di Cassazione (ord. n. 6070/2025) ha infatti escluso la legittimazione del difensore a richiedere il risarcimento.

Il ricorso Pinto va depositato, a pena di decadenza, entro 6 mesi dal passaggio in giudicato della sentenza che ha definito il giudizio-lumaca. La competenza è delle Corti d’Appello, ma con regole di tabella che evitano conflitti d’interesse: non decide la Corte dello stesso distretto.

Come si svolge il ricorso Pinto

La domanda si propone con ricorso al presidente della Corte d’Appello competente, il quale designa un consigliere relatore. Il procedimento si svolge in camera di consiglio e viene deciso con decreto motivato. Se accolto, il decreto liquida l’indennizzo e condanna lo Stato a pagare. Il decreto va notificato entro 30 giorni, pena inefficacia.

Il decreto favorevole costituisce titolo esecutivo. Se respinto, è impugnabile con ricorso in Cassazione. Lo Stato può proporre opposizione.

 

Quanto spetta? – Criteri di liquidazione

L’indennizzo è quantificato in base agli anni di ritardo oltre il ragionevole: tra € 400 e € 800 per anno (o frazione superiore a 6 mesi). Sono previste maggiorazioni (fino a +40% oltre il settimo anno) e riduzioni (in caso di processi con molte parti). L’indennizzo non può mai superare il valore della causa originaria. La Cassazione ha ribadito che il risarcimento deve essere equo, non simbolico.

 

Esclusioni

Non spetta l’indennizzo in caso di: lite temeraria, rifiuto di proposta conciliativa, imputato che ha causato prescrizione, mancato esperimento dei rimedi acceleratori, abuso del processo. Come scriveva John Dryden, «La giustizia è lenta per chi ha torto».

 

Le riforme e i rimedi preventivi

Con la riforma del 2016 sono stati introdotti i rimedi preventivi: istanza di prelievo nel processo amministrativo, istanza di accelerazione nel penale, richiesta di rito sommario o trattazione orale nel civile. La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo subordinare il Pinto all’istanza di accelerazione in Cassazione (sent. 142/2023), ma ha ritenuto legittima l’istanza di prelievo (sent. 107/2023), pur con delle eccezioni. La Cassazione ha chiarito che anche dinanzi al Giudice di pace la parte deve presentare l’istanza di trattazione orale (Cass. 21876/2023).

 

Novità attuali: PintoPaga e digitalizzazione

Per smaltire l’enorme arretrato di pratiche Pinto, nel 2023–2024 è nato il progetto PintoPaga. L’obiettivo è azzerare entro il 31 dicembre 2026 circa 80.000 pratiche arretrate per un debito di 400 milioni di euro. La Legge di Bilancio 2025 ha introdotto la digitalizzazione tramite piattaforma SIAMM Pinto. Il termine iniziale per il caricamento delle istanze era fissato al 30 giugno 2025, poi prorogato con D.L. 117/2025 al 30 ottobre 2026, pena la decadenza dal credito. Il sistema consente di monitorare lo stato della pratica e correggere dati online. È quindi essenziale per gli aventi diritto completare la procedura digitale per ricevere il pagamento entro la fine del 2026.

 

Conclusioni pratiche

La legge Pinto è uno strumento fondamentale per far valere il diritto a una giustizia in tempi ragionevoli. Se hai subìto un processo durato troppo a lungo, non perdere tempo: calcola i 6 mesi dal passaggio in giudicato della sentenza e valuta con un avvocato le mosse giuste. Lo Studio Legale MP assiste i cittadini in ricorsi ex lege Pinto, garantendo professionalità e attenzione ai dettagli. Contattaci per una consulenza personalizzata: la giustizia può essere lenta, ma con il nostro supporto il tuo diritto non sarà negato.

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  • 01 settembre 2025
  • Marco Panato

Autore: Avv. Marco Panato


Avv. Marco Panato -

Avv. Marco Panato, avvocato del Foro di Verona e Dottore di Ricerca in Diritto ed Economia dell’Impresa – Discipline Interne ed Internazionali - Curriculum Diritto Amministrativo (Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Verona).

E' autore di pubblicazioni scientifiche in materia giuridica, in particolare nel ramo del diritto amministrativo. Si occupa anche di docenza ed alta formazione.