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Lavoro straordinario festivo nella PA: regole e tutele - Studio Legale MP - Verona

La recente ordinanza della Corte di Cassazione (Sez. Lavoro, n. 26181 del 25 settembre 2025) conferma il diritto al compenso per il lavoro straordinario svolto nei giorni festivi nel pubblico impiego, anche in mancanza di un’autorizzazione formale preventiva. Nell’articolo analizziamo i presupposti di legittimità di tale diritto, distinguendo tra lavoro festivo ordinario e straordinario, il ruolo dell’autorizzazione (implicita o esplicita) da parte dell’amministrazione, la responsabilità del datore di lavoro pubblico e i limiti del suo potere organizzativo, alla luce dei contratti collettivi e del principio del divieto di locupletamento senza causa.

 

Quadro normativo e contrattuale sul lavoro festivo nel pubblico impiego

Il lavoro nei giorni festivi è tradizionalmente tutelato dall’ordinamento italiano. La legge n. 260/1949 prevede che le festività civili e religiose siano giorni di astensione dal lavoro, salvo eccezioni per servizi essenziali. Nei rapporti di pubblico impiego “contrattualizzato” (quello regolato da contratti collettivi, ai sensi del d.lgs. 165/2001), il lavoro prestato in una giornata festiva può assumere due forme: lavoro festivo ordinario o lavoro straordinario festivo. Tale distinzione è cruciale per capire il diritto alla retribuzione aggiuntiva e i limiti di legittimità. I contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL) dei vari comparti pubblici disciplinano sia la turnazione su giorni festivi sia il ricorso allo straordinario, richiedendo di norma un’autorizzazione preventiva e ponendo tetti annuali di spesa per gli straordinari, in conformità ai principi di bilancio pubblico.

Dal Codice Civile arrivano ulteriori indicazioni: l’art. 2108 c.c. riconosce al lavoratore una maggiorazione di retribuzione per le ore di lavoro straordinario debitamente autorizzate. Parallelamente, l’art. 36 della Costituzione garantisce ad ogni lavoratore una retribuzione proporzionata e sufficiente, sancendo il principio per cui ogni prestazione di lavoro deve essere equamente retribuita. Nel pubblico impiego queste norme vanno coordinate con il necessario rispetto dei vincoli finanziari e organizzativi propri della Pubblica Amministrazione, ma non possono tradursi nell’elusione dei diritti fondamentali del lavoratore.

 

Lavoro festivo ordinario vs lavoro straordinario: differenze e diritti

È importante distinguere il lavoro festivo ordinario dal lavoro straordinario festivo:

Lavoro festivo ordinario: si ha quando il dipendente presta servizio in un giorno festivo perché inserito nei turni normali di lavoro (ad esempio infermieri, personale di pubblica sicurezza o altri servizi operativi continuativi). In questo caso non si superano le ore di lavoro settimanali contrattuali, ma si lavora in un giorno normalmente destinato al riposo. Il CCNL di riferimento in genere prevede un compenso aggiuntivo o un recupero di riposo compensativo per la giornata festiva lavorata. In base alla legge, il lavoratore non può essere obbligato unilateralmente a lavorare di domenica o in altra festività infrasettimanale, salvo diverso accordo. La Cassazione (Sez. Lav., sent. n. 17383/2025) ha chiarito che il datore di lavoro pubblico non può imporre al dipendente di rinunciare al riposo festivo senza un accordo individuale: il diritto ad astenersi nelle festività è inderogabile, e la contrattazione collettiva non può da sola obbligare a tale prestazione. Dunque, in assenza di accordo, il dipendente ha diritto di rifiutare il lavoro in giorno festivo senza subire sanzioni.

Lavoro straordinario festivo: si configura quando il lavoratore viene chiamato o trattiene oltre l’orario normale in una giornata festiva, compiendo quindi ore aggiuntive rispetto al suo debito orario settimanale. È il caso, ad esempio, di chi abbia già svolto il proprio monte ore settimanale e viene comunque fatto lavorare (o prosegue il lavoro) di domenica o in un festivo. Questo lavoro extra in giorno festivo cumula due aspetti: la straordinarietà (essere ore eccedenti l’orario normale) e la festività del giorno. Di regola, il compenso dovrebbe includere sia la maggiorazione per lavoro festivo sia quella per lavoro straordinario. I contratti collettivi di solito lo riconoscono come “straordinario festivo” con un’apposita maggiorazione oraria. Se invece la giornata festiva è stata semplicemente spostata come giorno di lavoro (ad esempio aprendo l’ufficio in un festivo e concedendo un riposo sostitutivo), potrebbe non essere conteggiata come straordinario ma solo come lavoro festivo compensato con riposo. Tuttavia, se il dipendente lavora oltre il normale turno anche nel giorno festivo, quelle ore in eccedenza sono senza dubbio straordinario e come tali vanno retribuite.

In sintesi, il lavoro festivo ordinario dà diritto alle tutele previste (maggiorazione o riposo compensativo), mentre il lavoro festivo straordinario dà diritto alle tutele per il festivo e per lo straordinario. Un punto fondamentale è che nessun lavoratore può essere costretto a svolgere lavoro straordinario senza il suo consenso, ancor più se si tratta di un giorno festivo: il riposo settimanale e festivo ha rilievo costituzionale (art. 36 Cost. e leggi speciali). Proprio per questo, se il dipendente acconsente e presta la propria attività in tali giornate, il datore pubblico deve riconoscere quanto meno le compensazioni previste.

 

L’autorizzazione allo straordinario nella Pubblica Amministrazione

Nel pubblico impiego lo straordinario è soggetto per legge e contratto a previa autorizzazione del datore di lavoro (di norma, un dirigente). Questo requisito serve a garantire che le ore extra siano necessarie, nel rispetto dei vincoli di spesa pubblica e di organizzazione del lavoro. In pratica, le Pubbliche Amministrazioni programmano un budget per gli straordinari e spesso richiedono un atto formale (ordine di servizio o disposizione interna) che autorizzi il dipendente a lavorare oltre l’orario.

Tuttavia, la realtà lavorativa è complessa e non sempre c’è un provvedimento scritto prima di effettuare lo straordinario – pensiamo alle situazioni di urgenza o carenza di personale, in cui il lavoratore si ferma oltre l’orario per garantire un servizio pubblico essenziale. Che succede in questi casi?

La giurisprudenza ha da tempo riconosciuto che l’assenza di un atto scritto di autorizzazione non esclude automaticamente il diritto al compenso straordinario. Ciò che conta è che il datore di lavoro abbia comunque richiesto, approvato o tollerato la prestazione aggiuntiva. Si parla infatti di autorizzazione implicita o consenso tacito dell’amministrazione. Ad esempio, se un dirigente affida incarichi che oggettivamente richiedono di lavorare oltre l’orario, o se viene seguita una turnazione da cui risulta il servizio festivo, si può ritenere che l’amministrazione abbia implicito interesse e accettazione di quel lavoro extra, pur senza un ordine scritto.

I contratti collettivi spesso prevedono che lo straordinario debba essere “preventivamente autorizzato e successivamente attestato”. Ma la Cassazione ha interpretato queste clausole in senso non formalistico: se il lavoro extra è effettivamente svolto e l’ente ne trae beneficio, il mancato rispetto della forma autorizzativa non può diventare un alibi per negare il compenso. Altrimenti si favorirebbe un ingiusto risparmio per la P.A. a spese del lavoratore.

In sintesi, la regola generale è: lo straordinario va autorizzato. L’eccezione ammessa: in mancanza di autorizzazione formale, vale il consenso anche tacito del datore pubblico, desumibile dal comportamento concludente (aver assegnato compiti, aver accettato l’orario extra registrato, non aver impedito il prolungamento dell’attività). Naturalmente l’onere di provare lo straordinario svolto (ad esempio tramite cartellini, registri di presenza, ordini di servizio verbali o e-mail) ricade sul lavoratore che ne chiede il pagamento.

 

Presupposti di legittimità per il compenso straordinario

Alla luce di norme e contratti, corroborati dall’interpretazione giudiziale, possiamo individuare i presupposti chiave perché maturi il diritto al compenso per lavoro straordinario (anche nei festivi):

Necessità del lavoro extra: le ore aggiuntive devono risultare funzionali alle esigenze di servizio. Se il dipendente si intrattiene oltre l’orario di propria iniziativa, senza che vi fosse bisogno o richiesta, non vi è diritto al compenso. Deve emergere che lo straordinario era giustificato da carichi di lavoro, emergenze o carenze organizzative dell’ente.

Incarico o autorizzazione (anche implicita): serve il consenso del datore di lavoro, che può essere esplicito (ordine scritto o verbale di fare straordinario) oppure implicito. L’autorizzazione implicita ricorre quando, ad esempio, il responsabile era a conoscenza dello straordinario (p.es. attraverso i fogli presenza) e non lo ha vietato, traendone anzi vantaggio perché il servizio è stato reso. In pratica, l’ente deve aver accettato la prestazione straordinaria, anche solo tacitamente.

Effettività e prova dell’orario svolto: il lavoratore deve aver concretamente svolto le ore eccedenti e deve poterlo dimostrare. Timbri del cartellino, report di attività, testimonianze o turni ufficiali sono elementi che provano lo straordinario effettuato. Senza prova dell’effettivo lavoro extra (ad esempio se il dipendente resta a disposizione ma non lavora), non c’è diritto a compenso aggiuntivo.

Conformità ai compiti e alle mansioni: le attività svolte in straordinario devono rientrare nelle mansioni del dipendente o comunque essere state richieste dall’ente. Se si tratta di iniziative del lavoratore fuori dal suo ruolo, l’amministrazione può eccepire che non erano dovute né autorizzate.

Rispetto (per quanto possibile) delle procedure interne: se l’ente prevede una certa procedura per gli straordinari (richiesta di autorizzazione, limite di ore mensili, etc.), il lavoratore dovrebbe attivarsi per seguirla, salvo casi di oggettiva impossibilità. Tuttavia, come vedremo, la mancanza di un atto formale non preclude il diritto al compenso quando ricorrono i fattori sopra indicati – semmai potrà avere rilievo disciplinare o amministrativo a carico di chi ha omesso le procedure.

Riassumendo, il diritto al compenso straordinario sorge quando: il dipendente ha reso un’attività lavorativa extra orario richiesta o accettata dal datore pubblico, utile al servizio, nel rispetto delle proprie mansioni, e può documentarla. Se queste condizioni sono soddisfatte, l’assenza di un formale provvedimento autorizzativo non impedisce il riconoscimento delle spettanze economiche relative.

 

La giurisprudenza recente della Cassazione

Negli ultimi anni la Corte di Cassazione (Sezione Lavoro) è intervenuta più volte a definire i confini del diritto al compenso per il lavoro straordinario nel pubblico impiego, con particolare attenzione al caso delle prestazioni rese in giorni festivi. Tre pronunce, in particolare, offrono un quadro aggiornato e coerente:

Cassazione, Sez. Lav., sentenza n. 17192/2024 (depositata il 22 luglio 2024): riguardava un infermiere di una ASL calabrese che aveva effettuato ore extra in un “servizio dialisi estiva” senza autorizzazione formale. La Corte ha colto l’occasione per sancire un principio generale: il lavoro straordinario effettivamente svolto va retribuito anche in assenza di previa autorizzazione, purché vi sia stato il consenso (anche implicito) del datore di lavoro. In quel caso l’azienda sanitaria non aveva emanato un ordine scritto, ma aveva comunque accettato e beneficiato delle prestazioni aggiuntive dell’infermiere (che avevano permesso di curare pazienti di altre regioni, portando anche entrate finanziarie). Di conseguenza, negare il compenso avrebbe significato arricchirsi indebitamente a danno del lavoratore. La Cassazione ha richiamato l’art. 2126 c.c. (prestazione di lavoro con causa invalida) spiegando che questo si applica in via estensiva: anche se l’autorizzazione allo straordinario era irregolare o mancava, il lavoro svolto in buona fede dev’essere remunerato. Ha aggiunto che tale principio non collide con le norme sui limiti di spesa o con le clausole dei CCNL che impongono l’autorizzazione, ma si integra con esse: in pratica, chi lavora va pagato, e i problemi di legittimità dell’atto autorizzativo rilevano semmai per la responsabilità interna di chi ha disposto lo straordinario oltre i limiti. Questa sentenza rappresenta una pietra miliare perché ribadisce la prevalenza della sostanza sulla forma nel diritto del lavoro pubblico: ciò che conta è la prestazione effettiva e la volontà (anche tacita) del datore di utilizzare quel lavoro.

Cassazione, Sez. Lav., ordinanza n. 17912/2024 (28 giugno 2024): anche qui si trattava di un infermiere (Reggio Calabria) che chiedeva il pagamento di attività rese oltre l’orario in un servizio speciale di dialisi. La pronuncia è in linea con la precedente e approfondisce un punto cruciale: il confine tra prestazioni aggiuntive e lavoro straordinario. La Corte ha osservato che se la prestazione oltre il normale orario non rientra nelle “prestazioni aggiuntive” tipizzate dal contratto (cioè quelle attività extra remunerate magari forfettariamente solo al ricorrere di certi requisiti), allora va ricondotta al lavoro straordinario comune e come tale retribuita. Inoltre, la Corte ha esplicitamente affermato che per il diritto al compenso straordinario è sufficiente che il lavoro sia stato svolto su incarico – anche solo implicito – del datore di lavoro. Non conta se l’autorizzazione è invalida o contra legem (ad esempio, perché si sforano i limiti di spesa): questo non intacca il diritto del lavoratore al compenso. Semmai, sottolinea la Cassazione, una eventuale illegittimità nell’aver disposto troppi straordinari incide sulla responsabilità di chi ha autorizzato in violazione delle regole (il dirigente potrebbe risponderne sul piano disciplinare o di responsabilità erariale), ma il dipendente che ha lavorato deve essere pagato. È un forte richiamo al principio di tutela del lavoratore: le irregolarità amministrative interne non possono andare a scapito di chi ha prestato onestamente la propria opera.

Cassazione, Sez. Lav., ordinanza n. 13661/2025 (21 maggio 2025): questa pronuncia si concentra specificamente sul lavoro straordinario festivo. Il caso riguardava delle prestazioni effettuate dal personale di un Ministero durante giorni festivi, per le quali l’amministrazione aveva negato il compenso sostenendo che mancava l’autorizzazione formale. In appello il Ministero aveva persino cercato di distinguere tra straordinario feriale (nei giorni feriali) e straordinario festivo, quasi a sostenere che per il secondo non valesse un’autorizzazione data per il primo. La Cassazione ha respinto questi formalismi: se il lavoratore ha operato nei giorni festivi con la consapevolezza del datore di lavoro, scatta un consenso implicito e quindi matura il diritto al compenso per quelle ore. La mancanza di un ordine scritto non è dirimente, se l’ente non si è opposto alla prestazione straordinaria festiva. La Corte, rifacendosi ai propri precedenti (Cass. n. 23506/2022; Cass. n. 18063/2023), ha ribadito che l’assenza di contestazione o divieto da parte dell’ente equivale a un’assenso tacito. Nel decidere, la Cassazione ha rinviato alla Corte d’Appello indicando di verificare concretamente, anche alla luce del CCNL di comparto applicabile, se il lavoro svolto nei festivi rientrasse nelle categorie di straordinario retribuibile (ad esempio l’art. 26 del CCNL Funzioni Centrali 16/02/1999 distingue varie tipologie di lavoro extra). In altre parole, oltre al principio generale favorevole al lavoratore, la Corte invita a collocare quello straordinario festivo nella giusta cornice contrattuale, per determinarne correttamente il compenso dovuto. Significativo anche il fatto che la Cassazione in questa vicenda ha dichiarato inammissibile il ricorso incidentale del Ministero che metteva in dubbio persino il pagamento degli straordinari feriali (già riconosciuti) basandosi solo su annotazioni in banca ore senza ordine scritto: la Corte ha ritenuto che, anche per gli straordinari feriali, se c’è stata autorizzazione almeno tacita, la mera registrazione su banca ore non è illegittima. Insomma, ancora una conferma che quello che rileva è la sostanza: ore lavorate con il beneplacito dell’ente = ore da pagare.

Cassazione, Sez. Lav., ordinanza n. 21015/2025 (24 luglio 2025): con questa pronuncia la Suprema Corte ha continuato sul solco tracciato, accogliendo il ricorso di un’infermiera pugliese supportata dall’Avvocatura degli Infermieri (AADI). Il Tribunale e la Corte d’appello locali le avevano negato il pagamento degli straordinari festivi perché il CCNL Sanità richiedeva la previa autorizzazione scritta, mancante nel caso specifico. In Cassazione è prevalsa una visione sostanzialistica: i turni straordinari erano stati svolti per garantire la continuità assistenziale (diritto alla salute dei cittadini, art. 32 Cost.), in una situazione in cui il dirigente di turno spesso non era presente per firmare autorizzazioni. La Corte ha riconosciuto che la tutela della salute pubblica non può essere paralizzata da rigidità burocratiche: se l’infermiera ha coperto i turni festivi scoperti, non poteva abbandonare il reparto in attesa di un permesso scritto. Di fatto, c’era un implicito mandato di assicurare il servizio, e in forza dell’art. 2126 c.c. la prestazione va retribuita in deroga al CCNL. Questa ordinanza ha creato molto clamore perché ha stabilito un precedente nazionale a favore degli infermieri e altri operatori sanitari: gli straordinari non autorizzati per iscritto, ma resi per necessità di servizio, devono comunque essere pagati. È un monito alle aziende pubbliche: non si può usare il contratto (che impone l’autorizzazione preventiva) come scudo per non pagare lavoro già ottenuto dai dipendenti.

Cassazione, Sez. Lav., ordinanza n. 26181/2025 (25 settembre 2025): questa recentissima pronuncia (che ha ispirato il presente articolo) si inserisce nel medesimo filone giurisprudenziale, confermando tutti i principi sopra esposti. La Corte ha nuovamente affermato la legittimità del compenso per lo straordinario festivo svolto dal dipendente pubblico anche in assenza di atto autorizzativo, se emerge che la prestazione era collegata alla volontà (espressa o tacita) dell’amministrazione. L’ordinanza n. 26181/2025 richiama esplicitamente il divieto di locupletazione senza causa: la P.A. non può beneficiare del lavoro extra di un dipendente senza corrispondergli il dovuto compenso. Viene ribadita la linea secondo cui i giudici devono verificare concretamente la sussistenza dei presupposti (necessità del servizio, conoscenza e acquiescenza del datore, ecc.) caso per caso, ma una volta accertato che il lavoro c’è stato ed era voluto dall’ente, il pagamento è dovuto. Quest’ordinanza, pur essendo formalmente un provvedimento di inammissibilità (ha respinto il ricorso dell’ente datore di lavoro, divenuto soccombente nei gradi di merito), è importante perché consolida definitivamente l’orientamento: oggi chi lavora oltre orario nei festivi per il proprio ente pubblico, se prova di averlo fatto con il consenso almeno tacito di quest’ultimo, può ottenere in giudizio il compenso straordinario relativo. La Cassazione ha quindi messo fine a un’annosa querelle, allineando la giurisprudenza alla realtà sostanziale del lavoro pubblico.

Queste sentenze e ordinanze forniscono un messaggio chiaro: i diritti retributivi dei dipendenti non possono essere sacrificati per mere formalità o inadempienze organizzative dell’amministrazione. Di seguito approfondiamo due aspetti collegati emersi dalle pronunce: il principio del divieto di arricchimento senza causa e la responsabilità dei dirigenti (limiti al potere organizzativo pubblico).

“Nam hoc natura aequum est, neminem cum alterius detrimento fieri locupletiorem.”

(“È per natura giusto che nessuno si arricchisca con il detrimento di un altro.” – Principio di diritto romano)

La massima latina sopra citata esprime il concetto cardine di divieto di locupletamento senza causa. Nel nostro contesto, significa che la Pubblica Amministrazione non può farsi arricchire dal lavoro del dipendente senza corrispondergli il giusto compenso. Questo principio, di matrice civilistica generale, permea anche il diritto del lavoro. L’art. 2126 c.c., spesso richiamato dalla Cassazione, ne è un’applicazione: se c’è una prestazione di lavoro validamente effettuata anche in assenza di un valido titolo (qui il “titolo” sarebbe l’atto formale di autorizzazione allo straordinario), il lavoratore ha comunque diritto alla retribuzione. In pratica, la legge impedisce che il datore – sia esso privato o pubblico – tragga un vantaggio senza pagarne il corrispettivo.

Nelle sentenze menzionate, la Corte ha fatto leva proprio su questo principio per disinnescare le difese delle amministrazioni. Non basta dire “mancava la firma sul modulo, quindi niente straordinario pagato”: così facendo l’ente si sarebbe locupletato (arricchito) indebitamente, sfruttando ore di lavoro aggiuntive gratuite. Ciò è inammissibile in un ordinamento che tutela il lavoro e la dignità del lavoratore (artt. 36 e 41 Cost.).

È utile ricordare che la Corte dei Conti – organo deputato a vigilare sull’uso di risorse pubbliche – anch’essa applica il divieto di arricchimento senza causa: in più occasioni ha condannato enti pubblici a risarcire dipendenti o collaboratori quando questi avevano svolto attività lavorative di cui l’ente aveva beneficiato senza pagarle, pur in assenza di contratti formali. Questo a riprova che il principio è trasversale: nemmeno la Pubblica Amministrazione può porsi al di sopra delle regole di equità e giustizia contrattuale. Laborare est oportet, sed cum iusta mercede – si potrebbe chiosare in latino – ovvero: lavorare è doveroso, ma con giusta mercede.

Responsabilità del datore pubblico e limiti al potere organizzativo

Abbiamo visto come, in caso di straordinari “oltre le regole”, il lavoratore vada comunque tutelato nel suo diritto alla retribuzione. Resta però ferma la responsabilità del datore di lavoro pubblico per aver gestito male l’organizzazione. La Cassazione, soprattutto nelle pronunce del 2024, ha sottolineato che se un dirigente autorizza o permette straordinari in violazione di norme (ad esempio eccedendo i limiti di spesa annuali, o senza formalizzare atti dovuti), dovrà risponderne nelle sedi opportune. Ciò può implicare:

Responsabilità disciplinare interna: il dirigente pubblico che non rispetta le procedure o abusa del personale con orari extra potrebbe violare i doveri di servizio. L’ente può attivare procedimenti disciplinari se il comportamento ha danneggiato l’amministrazione (ad esempio creando obblighi di pagamento non previsti a bilancio).

Responsabilità erariale (contabile): se lo straordinario non autorizzato formalmente comporta un esborso extra per l’amministrazione, la Corte dei Conti potrebbe ritenere il dirigente responsabile per danno erariale, cioè per aver causato un costo non necessario o evitabile all’ente. Tuttavia, c’è da dire che se lo straordinario era effettivamente necessario per erogare il servizio pubblico, difficilmente si configurerebbe un danno erariale: anzi, negare il pagamento sarebbe semmai un danno per il dipendente.

Limiti al potere organizzativo: il pubblico datore di lavoro ha certamente il potere di organizzare turni e orari, ma questo potere non è arbitrario. Non può, ad esempio, imporre sistematicamente straordinari al personale per colmare carenze strutturali di organico: ciò violerebbe i contratti e i diritti dei lavoratori. La Cassazione ha ricordato il principio dell’eccezionalità dello straordinario: l’uso di orario aggiuntivo deve essere limitato a situazioni straordinarie, non diventare la regola per far funzionare ordinariamente un ufficio (pena il violare l’orario contrattuale e il diritto al riposo dei dipendenti).

In particolare, la sentenza n. 17192/2024 ha evidenziato che spetta all’amministrazione organizzare in modo adeguato le risorse umane per evitare il ricorso non necessario agli straordinari. Tradotto: se un ufficio o reparto accumula troppi straordinari, probabilmente c’è un problema organizzativo (mancano personale, turni mal distribuiti, etc.), e questo è un onere di gestione a carico del datore pubblico, non dei singoli lavoratori. Inoltre, la Corte ha richiamato il valore del bilanciamento vita-lavoro: un uso eccessivo degli straordinari compromette il diritto del lavoratore a una vita personale libera dal lavoro e al recupero delle energie psicofisiche. Un dipendente pubblico non può essere “spremuto” oltre il suo orario salvo emergenze, e comunque deve poi vedersi riconosciuto il giusto compenso.

Possiamo dunque affermare che il potere direttivo e organizzativo della Pubblica Amministrazione trova un limite invalicabile nei diritti fondamentali del lavoratore. La dignità del lavoro impone che ogni ora lavorata sia retribuita e che il riposo sia garantito. L’ente pubblico deve fare programmazione e assunzioni adeguate per evitare di dover chiedere continuamente straordinari al personale (fenomeno purtroppo diffuso, ad esempio, negli ospedali e nelle forze dell’ordine a causa di croniche carenze di organico). Quando lo straordinario diventa strutturale, siamo di fronte a un abuso del sistema: il dipendente rischia il burnout e l’utenza un servizio meno efficiente. Come ha efficacemente detto Maksim Gorkij, «La vita è bella quando il lavoro è un piacere; è brutta quando è un dovere.» Costringere qualcuno a lavorare sempre nei festivi e oltre orario trasforma il lavoro in un peso insostenibile – ed è quanto il diritto cerca di evitare, ponendo precisi paletti.

In definitiva, le recenti pronunce invitano le amministrazioni a un comportamento virtuoso: se il lavoro straordinario è necessario, va autorizzato regolarmente e pagato; se non lo è, va evitato distribuendo meglio il lavoro o assumendo più personale. In ogni caso, non è ammesso “giocare” con le definizioni per negare diritti: chiamare un’attività straordinaria con altro nome, o pretendere lavoro festivo senza conseguenze economiche, sono pratiche contrarie alla legge. Il potere organizzativo pubblico deve esercitarsi nel rispetto dei diritti dei dipendenti e con senso di responsabilità amministrativa.

 

Conclusioni

Il lavoro straordinario nei giorni festivi rappresenta un delicato punto di equilibrio tra le esigenze della collettività e i diritti del lavoratore pubblico. La normativa e i contratti collettivi lo regolano con attenzione, prevedendo autorizzazioni e limiti, ma la realtà operativa spesso esige flessibilità. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 26181/2025 e le altre sentenze recenti, ha tracciato una linea netta: il dipendente ha diritto alla retribuzione delle ore supplementari festive quando l’amministrazione ne ha usufruito consapevolmente, anche se non tutto l’iter formale è stato rispettato. Si evita così che cavilli burocratici ledano la giusta paga del lavoratore, realizzando quel principio per cui “la sostanza prevale sulla forma” nei rapporti di lavoro.

Per i dipendenti pubblici, questo significa poter far valere con maggior forza le proprie ragioni in caso di straordinari non pagati: la giurisprudenza è dalla loro parte, a patto di dimostrare il lavoro svolto e la responsabilità (anche tacita) dell’ente. Per le Pubbliche Amministrazioni, significa dover adottare maggiore cautela e correttezza: non si può più confidare che la mancanza di un’autorizzazione formale basti a evitare esborsi, ma occorre gestire il personale in modo programmato, autorizzando e pagando correttamente gli straordinari davvero necessari, e scongiurando quelli inutili.

In conclusione, il messaggio è duplice. Da un lato: “chi lavora, viene pagato”, anche nel pubblico impiego, anche se ha lavorato di domenica senza firma preventiva, purché l’abbia fatto nell’interesse del servizio e con il beneplacito dell’ente. Dall’altro: l’amministrazione che genera lavoro straordinario senza criterio ne risponde, perché non esiste un potere organizzativo assoluto sciolto dai vincoli di legalità e bilancio. Un’amministrazione efficiente è quella che rispetta i diritti dei propri dipendenti mentre persegue l’interesse pubblico – le due cose non sono in conflitto, ma anzi vanno di pari passo.

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  • 29 settembre 2025
  • Marco Panato

Autore: Avv. Marco Panato


Avv. Marco Panato -

Avv. Marco Panato, avvocato del Foro di Verona e Dottore di Ricerca in Diritto ed Economia dell’Impresa – Discipline Interne ed Internazionali - Curriculum Diritto Amministrativo (Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Verona).

E' autore di pubblicazioni scientifiche in materia giuridica, in particolare nel ramo del diritto amministrativo. Si occupa anche di docenza ed alta formazione.