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La salute a scuola: responsabilità e risarcimento danni - Studio Legale MP - Verona

La scuola garante dell’incolumità degli studenti

La scuola ha il dovere di proteggere l’incolumità fisica e il benessere psicologico degli studenti durante l’orario scolastico. Quando questo dovere viene meno e un alunno subisce un danno alla salute – sia esso un infortunio fisico o un trauma psicologico – l’istituto scolastico può essere chiamato legalmente a risponderne. Vediamo quando la scuola è responsabile per i danni alla salute degli studenti e quali tutele offre la legge in caso di incidenti, bullismo o maltrattamenti nell’ambiente educativo

 

Il dovere di tutela della salute degli studenti

“Mens sana in corpore sano”: il celebre adagio latino ricorda che mente e corpo vanno entrambi tutelati. Questo principio vale anche tra i banchi di scuola. La Costituzione italiana, all’art. 32, garantisce il diritto alla salute, e nell’ambiente scolastico ciò si traduce in un obbligo di sicurezza a carico dell’istituto e dei docenti. La scuola assume una “posizione di garanzia” verso gli alunni, dovendo vigilare sulla loro integrità fisica e morale durante tutte le attività didattiche, ricreative e di sorveglianza. In altri termini, quando un genitore affida il figlio alla scuola, si instaura un vincolo giuridico che comporta l’obbligo per l’istituto di prevenire situazioni pericolose e impedire comportamenti lesivi. Questo obbligo comprende:

Sicurezza degli ambienti scolastici: manutenzione di strutture e attrezzature (aule, palestre, cortili) per evitare insidie o difetti che possano causare incidenti.

Vigilanza attiva sui minori: presenza e attenzione costante del personale docente e non docente, adeguata all’età degli studenti e al tipo di attività svolte, per prevenire atti imprudenti o violenti.

Interventi tempestivi contro prevaricazioni: monitoraggio delle dinamiche tra studenti, per arginare sul nascere episodi di bullismo, violenza o discriminazione e adottare misure disciplinari efficaci.

Tutela della salute psicologica: creare un clima inclusivo e sereno, fornendo supporto in caso di disagio, e coinvolgendo specialisti o autorità esterne se emergono situazioni gravi (ad es. sospetti maltrattamenti o abuso).

Questi doveri derivano da normative ministeriali e dal generale principio del neminem laedere (non ledere nessuno) applicato al contesto educativo. Se la scuola manca a tali obblighi e lo studente subisce un danno, si apre la questione cruciale della responsabilità e del risarcimento.

 

Infortuni a scuola: responsabilità contrattuale e prova di non colpa

Un incidente scolastico – la tipica “caduta dalle scale”, il pallone che colpisce un compagno, la scivolata sul pavimento bagnato – è l’incubo di ogni genitore. In questi casi la legge offre strumenti di tutela, ma occorre capire in quali condizioni la scuola risponde del danno subito dall’alunno.

In passato, la giurisprudenza parlava di culpa in vigilando dell’insegnante, richiamando l’art. 2048 del codice civile, che disciplina la responsabilità dei precettori e maestri per i fatti dannosi compiuti dagli allievi. Oggi, tuttavia, prevale una qualificazione diversa e più favorevole ai danneggiati: la responsabilità dell’istituto per i danni che l’allievo causa a sé stesso durante l’orario scolastico viene considerata di natura contrattuale, ai sensi dell’art. 1218 c.c. Ciò scaturisce dall’iscrizione a scuola, che genera un vero e proprio contratto di protezione tra famiglia e istituto.

Cass. civ., Sez. III, sent. n. 14720/2024 (27 maggio 2024) ha ribadito con forza questo principio: il rapporto scuola-alunno configura un’obbligazione contrattuale di sicurezza, per cui se uno studente si fa male a scuola spetta all’istituto (e dunque al Ministero) provare di non aver violato i propri doveri di vigilanza. In altre parole, l’onere della prova si inverte rispetto al normale caso di illecito: è la scuola che deve dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. Nella sentenza citata, un bambino era caduto in aula inciampando su una sedia; la Cassazione ha escluso la responsabilità dell’istituto solo perché è emerso che l’insegnante era presente, le regole di sicurezza erano state rispettate e l’evento si era rivelato imprevedibile e inevitabile. Proprio questo è il parametro decisivo: se l’evento era evitabile con adeguata prudenza, la scuola è responsabile; se invece neanche la più diligente sorveglianza avrebbe potuto impedirlo (caso fortuito), non vi è colpa della scuola.

Un ulteriore caso concreto: con ordinanza n. 20790 del 25 luglio 2024, la Corte di Cassazione ha esaminato l’infortunio di un’alunna durante l’ora di educazione fisica. La ragazza, giocando a rugby su un terreno in cemento, cadde battendo la testa e riportò lesioni. In primo grado e in appello i giudici avevano escluso la colpa della scuola; la Cassazione ha confermato tale esito, sottolineando che l’istituto aveva predisposto tutte le cautele ragionevoli e che la dinamica del gioco – una mossa improvvisa di un’altra studentessa – era stata repentina e imprevedibile. Anche qui, dunque, la scuola è andata esente da responsabilità solo perché ha provato l’assenza di negligenza: l’attività non era intrinsecamente pericolosa, le misure di sicurezza erano adeguate e l’evento dannoso rientrava nei rischi normali di un gioco sportivo.

In sintesi, quando un alunno riporta un danno fisico a scuola (es. fratture, traumi da caduta, ecc.), la scuola risponde a titolo contrattuale se non dimostra: (a) di aver adottato tutte le misure preventive esigibili in quella situazione, e (b) che il fatto è dipeso da causa imprevedibile e non prevenibile. Basta l’omissione di una prudenza dovuta (come lasciare una classe incustodita, permettere giochi pericolosi in ambienti inadatti, non segnalare un ostacolo scivoloso) perché scatti la responsabilità per i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dall’allievo. Tali danni comprendono il danno biologico per le lesioni fisiche (invalidità temporanea o permanente), il danno morale per il dolore patito e ogni eventuale ulteriore voce (spese mediche, danno estetico, ecc.).

Da notare che la presenza di una polizza assicurativa scolastica non esonera la scuola dalle sue responsabilità: la compagnia può essere chiamata in causa per indennizzare il danno, ma verso la vittima risponde sempre il Ministero dell’Istruzione in qualità di ente pubblico titolare dell’istituto. È quindi contro il Ministero (oltre che eventualmente l’insegnante negligente) che il genitore deve agire legalmente, sapendo che spesso la prova liberatoria per la scuola è molto difficile da fornire. Come affermato in più occasioni dalla Cassazione, “la responsabilità per i danni causati dall’alunno a sé stesso è di tipo contrattuale… con la conseguenza che spetta al Ministero la prova della non imputabilità del danno” (Cass. civ., Sez. III, n. 14720/2024). In mancanza di tale prova, la scuola sarà condannata a risarcire.

 

Bullismo e lesioni psicofisiche: la scuola paga se non previene

Un capitolo delicatissimo è quello dei danni derivanti da bullismo. A differenza dell’incidente fortuito, qui il danno allo studente è causato dal comportamento intenzionale di altri ragazzi. Tuttavia, anche in questi casi la giurisprudenza configura una responsabilità a carico della scuola, qualora emerga che dirigenti e docenti non hanno vigilato o non sono intervenuti adeguatamente per proteggere la vittima. La scuola infatti ha l’obbligo di prevenire e reprimere atti di prevaricazione tra alunni: se un ragazzo subisce offese ripetute, aggressioni fisiche o psicologiche (derisioni, insulti, emarginazione) in ambito scolastico, l’istituto può essere chiamato a rispondere per omessa sorveglianza e omessa tutela.

Un caso emblematico è quello deciso dal Tribunale di Pescara nel 2020 e confermato dalla Corte d’Appello dell’Aquila nel 2024. Una studentessa di terza media era stata vittima di pesanti episodi di bullismo per l’intero anno scolastico: insulti giornalieri, dileggi davanti a tutta la classe con epiteti volgari e offensivi (anche a sfondo sessuale), fino al punto che la ragazza sviluppò un grave disturbo post-traumatico da stress, con dimagrimento di 20 kg e abbandono della scuola. Di fronte a tale situazione, l’unica iniziativa presa dall’istituto era stata una sospensione di 7 giorni inflitta al “bullo”, provvedimento evidentemente inadeguato. I genitori della vittima citarono allora in giudizio la scuola per ottenere giustizia. Ebbene, la Corte d’Appello dell’Aquila, con sentenza n. 985/2024 (depositata il 2 settembre 2024), ha confermato la condanna della scuola al risarcimento dei danni. In quella decisione i giudici hanno evidenziato che: (a) gli atti di bullismo erano sistematici e noti ai docenti, avvenendo praticamente ogni giorno davanti all’intera classe; (b) la scuola non aveva attivato misure efficaci per impedire il protrarsi di tali condotte vessatorie, limitandosi a provvedimenti disciplinari tardivi e insufficienti; (c) esiste un preciso obbligo giuridico di protezione in capo all’istituto, che in orario scolastico funge da garante dell’incolumità anche morale degli studenti. In base a questi elementi, è stata riconosciuta la responsabilità della scuola per culpa in vigilando, ritenendo che un intervento più energico e tempestivo (coinvolgimento dei genitori del bullo, sanzioni graduate e, se del caso, trasferimento) avrebbe potuto evitare l’aggravarsi della situazione e i danni psichici conseguenti.

Va sottolineato che nelle cause di bullismo a scuola si discute se la responsabilità dell’istituto sia contrattuale ex art. 1218 c.c. (violazione del contratto di istruzione e vigilanza) o extracontrattuale ex art. 2048 c.c. (omessa sorveglianza su fatto illecito altrui). La distinzione incide su aspetti tecnici come la prescrizione e l’onere della prova, ma nella sostanza la vittima ha diritto al risarcimento in entrambi i casi, purché dimostri il nesso causale tra l’omissione della scuola e il danno subito. Nel caso abruzzese sopra citato, ad esempio, il Tribunale qualificò la responsabilità come contrattuale, mentre la Corte d’Appello la inquadrò nell’ambito aquiliano dell’art. 2048 c.c.; ciononostante, l’esito non è cambiato: l’istituto è stato dichiarato civilmente responsabile e tenuto a risarcire sia il danno biologico di natura psichica sofferto dalla ragazza (il grave disturbo diagnosticato dai medici), sia i danni morali ed esistenziali legati alla sofferenza interiore, alla perdita di un anno scolastico e alle ripercussioni sulla vita di relazione della giovane.

Questa vicenda mette in luce come le parole possono ferire quanto e più dei gesti fisici. A tal proposito, vale la pena ricordare una frase illuminante: “I bambini sono come il cemento fresco: tutto quello che li colpisce lascia un’impronta.” Questa citazione, attribuita allo psicologo Haim Ginott, ci rammenta che gli insulti, le umiliazioni e le prepotenze lasciano nei minori cicatrici profonde e durature. Il legislatore italiano, consapevole di ciò, ha recentemente rafforzato gli strumenti di contrasto al bullismo: la Legge 17 maggio 2024 n. 70 ha introdotto misure organiche di prevenzione e contrasto al bullismo e cyberbullismo, impegnando le scuole a programmi educativi specifici e prevedendo sanzioni più rigorose. Ma al di là dell’aspetto preventivo, resta fondamentale la possibilità per la vittima di ottenere un equo ristoro in sede civile. Chi subisce bullismo a scuola ha il diritto di chiedere un risarcimento se la scuola non ha adottato tutte le cautele necessarie: questo principio è stato affermato con forza dalla giurisprudenza recente e funge da monito per gli istituti scolastici, chiamati ad essere attivamente vigili (“sentinelle” del benessere degli studenti) e non spettatori passivi.

Maltrattamenti e abusi: profili penali e civili

I casi più gravi che possono verificarsi a scuola – fortunatamente rari – sono quelli di maltrattamenti o abusi da parte di insegnanti o personale scolastico. Si tratta di condotte dolose, che integrano reati perseguibili penalmente (ad esempio maltrattamenti contro familiari o conviventi, per estensione applicabile anche agli alunni affidati alla cura del docente, ex art. 572 c.p., oppure lesioni personali volontarie, abuso di mezzi di correzione, ecc., a seconda delle situazioni). In questi frangenti, oltre al procedimento penale a carico del colpevole, sorge naturalmente anche il diritto al risarcimento civile per i danni subiti dagli studenti vittime.

Una sentenza di particolare rilievo, in quanto innovativa sotto il profilo delle tutele accordate, è la Cass. pen., Sez. VI, sent. n. 30123/2025 (Ud. 1 luglio 2025, dep. 2 settembre 2025). In questo caso, la Corte di Cassazione ha affrontato la vicenda di due maestre di una scuola dell’infanzia accusate di maltrattamenti aggravati verso i bambini a loro affidati. Le indagini – partite dai sospetti dei genitori e suffragate da videoregistrazioni in classe – avevano portato alla luce episodi sconvolgenti: bimbi di 3-4 anni strattonati, schiaffeggiati, spinti a terra, minacciati e persino istigati a compiere atti di violenza tra loro, creando un clima di terrore quotidiano. Le maestre, processate penalmente, venivano condannate sia in primo grado sia in appello. La particolarità è che una delle parti civili nel processo era la famiglia di una bambina che, pur non avendo subito percosse dirette, aveva assistito alle violenze inflitte ai compagni, restandone psicologicamente traumatizzata. Ebbene, la Cassazione, con la sentenza n. 30123/2025, ha confermato la condanna penale delle imputate e – aspetto cruciale – ha riconosciuto che anche i minori “solo spettatori” dei maltrattamenti devono essere considerati vittime a tutti gli effetti. Richiamando la normativa vigente (in particolare la L. 69/2019, cosiddetto “Codice Rosso”) e precedenti orientamenti, la Suprema Corte ha sancito che il bambino testimone di violenza subisce un danno autonomo alla propria sfera psichica e va dunque legittimato a ottenere tutela risarcitoria. In concreto, la Cassazione ha annullato la sentenza d’appello nella parte in cui negava il risarcimento a questa bambina spettatrice delle angherie, rinviando al giudice civile per la quantificazione del danno in suo favore.

Questa pronuncia è importante perché estende formalmente la cerchia delle “persone offese” nei reati contro i minori, includendovi i soggetti che hanno subìto il trauma di vedere altri bambini maltrattati in un contesto che avrebbe dovuto essere protetto. La giurisprudenza penale si mostra dunque sempre più attenta alla dimensione psicologica della vittima, specie quando si tratta di bambini: il danno morale e psichico derivante da un ambiente scolastico violento viene equiparato, a fini risarcitori, al danno subito da chi quella violenza l’ha patita sul proprio corpo. Del resto, come ha osservato la Cassazione, la violenza assistita può minare il corretto sviluppo emotivo di un minore e lasciare cicatrici profonde nella sua personalità.

Sul piano civile, i genitori di un alunno vittima di maltrattamenti (o che abbia assistito ad essi) possono agire per il risarcimento sia all’interno del processo penale, costituendosi parte civile, sia in sede autonoma civile contro il Ministero dell’Istruzione (responsabile civile per i fatti illeciti commessi dal personale scolastico nell’esercizio delle funzioni). In tali casi il risarcimento comprenderà il danno biologico psichico (se accertabile una lesione della salute mentale, ad esempio un disturbo d’ansia, degli adattamenti, depressione, fobia scolastica, etc.), il danno morale inteso come sofferenza soggettiva, e ogni ulteriore voce pertinente (eventuali spese di psicoterapia, danno esistenziale da peggioramento della qualità di vita, ecc.).

È bene evidenziare che nessun comportamento violento o umiliante è mai giustificabile come “metodo educativo”. La Cassazione ha più volte escluso che l’art. 571 c.p. (abuso dei mezzi di correzione) possa scriminare atti di violenza fisica o psicologica a scuola: qualsiasi condotta che esorbiti dalle finalità pedagogiche lecite diventa illecito perseguibile. Di conseguenza, la soglia di tolleranza è zero: strattonare, urlare pesantemente contro un alunno, insultarlo o peggio infliggergli punizioni corporali non è disciplina, è abuso. “La violenza, fisica o psichica, non rientra mai tra i mezzi correttivi leciti”, ammonisce la Cassazione (sent. n. 30123/2025). La legge tutela gli studenti affidati alle istituzioni scolastiche come farebbe con i propri figli: la scuola, in virtù del ruolo di educatore e custode, deve astenersi da qualsiasi comportamento lesivo e prevenire gli abusi altrui; se ciò non avviene, le conseguenze saranno sia penali (per il responsabile diretto) sia civili (per il risarcimento dei danni).

Conclusioni: come ottenere giustizia in caso di danno a scuola

La panoramica sopra delineata evidenzia un concetto chiave: la scuola può e deve essere chiamata a rispondere dei danni subiti dagli studenti quando non ha saputo proteggerli come era suo dovere. Gli ambiti possono essere diversi – dall’infortunio accidentale, al bullismo tra compagni, fino ai maltrattamenti perpetrati da educatori – ma in tutti i casi l’ordinamento predispone strumenti per tutelare i minori e le loro famiglie. L’evoluzione più recente vede una maggiore sensibilità dei tribunali verso i danni di natura morale e psicologica, tradizionalmente meno tangibili dei danni fisici ma ugualmente meritevoli di ristoro. Il messaggio che emerge dalle sentenze del 2024–2025 è univoco: la salute psicofisica degli alunni viene prima di tutto (“salus discipuli suprema lex” potremmo dire) e le istituzioni scolastiche ne sono garanti.

In concreto, cosa può fare un genitore se il proprio figlio subisce un danno a scuola? Ecco alcuni passi fondamentali:

Raccolta di prove e documentazione: È essenziale conservare ogni evidenza dell’accaduto. In caso di infortunio, il verbale redatto dalla scuola, eventuali foto del luogo, certificati medici e referti ospedalieri. In caso di bullismo, documentare gli episodi (messaggi, email, testimonianze di compagni, relazioni di psicologi). In caso di abusi, sporgere immediatamente denuncia e raccogliere riscontri (video, audio, annotazioni dei bambini, visite specialistiche).

Segnalare per iscritto alla scuola: È opportuno mettere per iscritto (via PEC o raccomandata) una segnalazione al dirigente scolastico dettagliando l’evento e chiedendo spiegazioni su quanto accaduto. Questo crea un precedente ufficiale e spesso provoca un’indagine interna.

Valutazione medico-legale del danno: Far visitare il minore da uno specialista (medico legale, psicologo infantile) per accertare l’entità del danno biologico e psichico subito. Una relazione medico-legale sarà utile per quantificare il risarcimento.

Consulenza legale: Rivolgersi a un avvocato esperto in diritto scolastico e responsabilità civile. Il legale potrà valutare se agire direttamente con una causa civile di risarcimento danni contro il Ministero/scuola (ad esempio davanti al Tribunale civile competente) oppure affiancare la famiglia nel costituirsi parte civile in un eventuale procedimento penale (come nei casi di maltrattamenti).

Tentativo di componimento assicurativo: Molte scuole hanno polizze assicurative per gli infortuni o la R.C. verso terzi. L’avvocato potrà interloquire con l’assicurazione scolastica o della Pubblica Amministrazione per cercare di ottenere un equo indennizzo stragiudiziale, se possibile, abbreviando i tempi.

Agire in giudizio tempestivamente: Se la trattativa non produce risultati, sarà necessario promuovere l’azione legale vera e propria. Attenzione ai termini di prescrizione: nei contratti la prescrizione è decennale, negli illeciti civili è quinquennale, ma in caso di reato violento può estendersi. Prima si agisce, meglio è, sia per non superare i termini sia per avere prove fresche e attendibili.

Ogni caso, ovviamente, fa storia a sé. La quantificazione dei risarcimenti dipende dalla gravità del danno: per lesioni fisiche si utilizzano spesso le tabelle del danno biologico; per il danno psichico si valuta il punteggio di invalidità e la durata della sofferenza; per il danno morale si apprezza in via equitativa l’intensità del patimento. I precedenti giudiziari mostrano risarcimenti significativi quando il pregiudizio alla salute è serio: ad esempio, in caso di bullismo con esiti documentati, i tribunali hanno liquidato decine di migliaia di euro per il danno non patrimoniale; in caso di maltrattamenti a scuola, oltre all’ovvio allontanamento dei responsabili, sono stati riconosciuti risarcimenti comprensivi sia per i bambini che per i genitori (anche mamme e papà possono subire un danno riflesso vedendo compromessa la serenità dei figli).

Un ultimo aspetto da considerare è che la responsabilità della scuola non esclude quella personale di altri soggetti. Se l’evento dannoso è causato da un compagno violento, i genitori del minore aggressore ne rispondono in solido (art. 2048 c.c., responsabilità genitoriale); se vi è dolo o colpa grave di un docente, il Ministero potrebbe a sua volta rivalersi sull’insegnante dopo aver risarcito la vittima. Questi profili, tuttavia, riguardano i rapporti interni: per la famiglia danneggiata è generalmente più efficace agire verso l’istituzione scolastica o il Ministero, che hanno capacità economica e assicurativa per far fronte al risarcimento. Sarà poi l’amministrazione, eventualmente, a valutare azioni di rivalsa.

In conclusione, la scuola è tenuta non solo a istruire ma anche a proteggere gli studenti: quando qualcosa va storto e la salute di un giovane viene lesa, esistono vie legali per ottenere giustizia. Ogni vittoria in tribunale su questi temi lancia un messaggio chiaro: l’ambiente scolastico deve essere sicuro e inclusivo; se non lo è, “la legge interviene affinché chi subisce un torto non resti senza riparo”. Le recenti sentenze lo dimostrano e rappresentano un monito e uno stimolo a migliorare: dalle tragedie si impari a evitare che possano ripetersi, trasformando le scuole in luoghi sempre più attenti al benessere e alla dignità di ogni studente.

“La cosa più desiderabile è la salute; la più bella è la giustizia.” Questa massima di Teognide, poeta dell’antica Grecia, ben riassume lo spirito che anima il diritto in materia di danni scolastici: salute e giustizia devono andare di pari passo. Chi ha subito un danno ingiusto a scuola ha diritto ad essere risarcito, e attraverso quel risarcimento passa non solo la tutela del singolo ma anche un miglioramento delle istituzioni educative, chiamate a rispondere dei propri errori e ad evolversi per il futuro.

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  • 06 ottobre 2025
  • Marco Panato

Autore: Avv. Marco Panato


Avv. Marco Panato -

Avv. Marco Panato, avvocato del Foro di Verona e Dottore di Ricerca in Diritto ed Economia dell’Impresa – Discipline Interne ed Internazionali - Curriculum Diritto Amministrativo (Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Verona).

E' autore di pubblicazioni scientifiche in materia giuridica, in particolare nel ramo del diritto amministrativo. Si occupa anche di docenza ed alta formazione.