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L'Interminabile Attesa: Analisi dei Tempi dei Processi Penali e del Diritto al Risarcimento in Italia - Studio Legale MP - Verona

Dall'Angoscia dei Coinvolti ai Principi Costituzionali e Sovranazionali: Percorsi di Giustizia e Equa Riparazione: anche i ritardi del processo penale possono far sorgere diritto al risarcimento dallo Stato

 

Le notorie lungaggini dei procedimenti penali sortiscono, non solo su chi direttamente vi si trovi implicato in qualità di indagato, imputato oppure parte lesa o persona offesa, ma anche sul consorzio civile, effetti di diversa natura, in primis psicologica, dato il costo emotivo che, tra angoscia e incertezza, è pagato annualmente da uno stuolo di innocenti stanchi di esserlo solo in via presuntiva, e da vittime di reati più o meno gravi. A questi s’aggiungono i patimenti di parenti e affetti stabili, animati dalla speranza, troppe volte frustrata, di vedere premiate le ragioni dei giusti e inflitte le pene adeguate a chi di certi crimini si è reso responsabile. Mentre in sottofondo il brusio di una società sempre meno fiduciosa nella giustizia si fa vieppiù assordante.

 

La Costituzione, all’art. 111, enuclea i principi che permeano il “giusto processo”, tra cui spicca quello di “ragionevole durata”; a suggello della fondamentale importanza che questo assume nella logica procedimentale e nell’orizzonte etico-giuridico tracciato dalla civiltà, si aggiunga come, a livello sovranazionale, la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo replichi, nella sostanza, lo stesso novero di principi cristallizzato dalla nostra Legge Fondamentale, prevedendo come ristoro per le parti processuali che siano rimaste invischiate in un processo troppo lutulento un diritto al risarcimento del danno. 

 

Particolari questioni si dipanano attorno all’ipotesi peculiare in cui il decorso del tempo abbia determinato l’estinzione del reato secondo i meccanismi del famigerato istituto della prescrizione. In quel caso, può esigersi il risarcimento del danno per irragionevole durata del processo se, proprio la sua durata, ha determinato l’estinzione del reato e di conseguenza il proscioglimento dell’imputato? Di primo acchito, rimettendosi a un’analisi superficiale della questione, parrebbe che l’imputato, avendo beneficiato del decorso del tempo, non possa lamentare alcun danno e richiedere conseguentemente alcun risarcimento. Tuttavia, non s’ha da cadere nella semplicistica ed erronea convinzione che la prescrizione ricorra sempre e comunque a favore o a vantaggio dell’imputato, il cui interesse primario sta, in realtà, nel vedersi assolto dalla accusa contestata laddove egli non sia penalmente responsabile. Inoltre, il tipo di provvedimento che definisce il processo, sia questo di proscioglimento o financo di assoluzione, non può essere posto a fondamento del diniego al risarcimento; non è possibile, cioè, far discendere dalla mancata condanna l’esclusione di qualsivoglia danno riconducibile alla durata del processo. Sul punto, la Cassazione si è espressa in maniera inequivocabile affermando il principio della indipendenza dell’equa riparazione per violazione della durata ragionevole rispetto alla eventuale prescrizione del reato, sul presupposto che il diritto all’equa riparazione prescinde dall’esito del giudizio irragionevolmente protrattosi (Cfr. Cass. civ., sez. I, 5 novembre 2002, n. 15449, rv. 558220. Successivamente a tale pronuncia, sul punto si è registrata una giurisprudenza fluviale (v. Cass. civ., sez. I, 15 aprile 2005, n. 7808, rv. 580698; Cass. civ., sez. I,18 novembre 2010, n. 23339; rv. 614868; Cass. civ., sez. I, 18 novembre 2011, n. 24376, rv. 620650).

 

Alla giurisprudenza nazionale si affianca quella sovranazionale, in quanto secondo i giudici di Strasburgo l’esito del processo investito dal ricorso per violazione del termine ragionevole è irrilevante ai fini dell’esperibilità dell’istanza internazionale, a prescindere dal fatto che il processo si concluda in modo positivo o negativo per il ricorrente (Cfr. Capone et Centrella c. Italie, 16 ottobre 2007, n. 45836/99; Didu c. Roumanie, 14 aprile 2009, n. 34814/02, § 27-30. V. Foti et autres c. Italie, 10 dicembre 1982, n. 7604/76). 

 

Pertanto, ritengo giusto riconoscere anche a chi sia stato prosciolto per intervenuta prescrizione il diritto al risarcimento del danno, laddove questo sia stato effettivamente subito.  La normativa di diritto interno che disciplina le forme di riparazione dei danni subiti per irragionevole durata del processo (c.d. Legge Pinto), introduce una presunzione relativa circa l’insussistenza del pregiudizio da irragionevole danno da ritardo nel caso di prescrizione del reato. Essendo relativa, contro la presunzione è dunque ammissibile prova contraria, che dovrà necessariamente essere fornita dall’interessato.

 

Un altro punto interessante è il seguente. Può configurarsi una tacita rinuncia a un principio costituzionalmente garantito, quale la ragionevole durata del processo, in forza di precise scelte difensive compiute in dibattimento? Può, cioè, una strategia improntata alla conservazione del principio di oralità e immediatezza, sulla base di una sistematica rinnovazione dell’istruzione probatoria già condotta in altra fase del processo, essere interpretata quale consapevole e piena rinuncia al diritto di addivenire a una definizione del procedimento in tempi ragionevoli? Si può, in definitiva, determinare l’esclusione del diritto al risarcimento per danni sofferti a causa di irragionevole durata del processo da chi, in sede dibattimentale, abbia avanzato richieste istruttorie più o meno dispendiose? 

Invero, a fronte della sistematica rinnovazione in dibattimento di attività istruttoria, qualcheduno potrebbe credere che l’imputato eserciti i diritti e le prerogative a lui riconosciuti dall’ordinamento quale tattica dilatoria tesa magari al raggiungimento dei termini di prescrizione previsti. E su questo, magari, l’Avvocatura dello Stato potrebbe far leva per escludere il diritto al risarcimento stabilito dalla legge Pinto per il pregiudizio arrecato all’interessato da irragionevole durata. Tuttavia, l’esercizio dei diritti conferiti all’imputato, in quanto estrinsecazione di dettaglio di principi costituzionalmente tutelati, non può mai essere assunto quale prova o anche solo indizio di pretestuosità. Invero, nell’approntare una strategia difensiva nell’ambito di procedimenti suscettibili di incidere sulla libertà personale e sui beni fondamentali dell’individuo, l’interessato può, nel rispetto dei limiti previsti dalla legge, adottare le tattiche che più si confanno alle diverse esigenze difensive, financo probatorie. È quindi da censurare il tentativo di derubricare un legittimo esercizio del diritto di difesa a tecnica dilatoria tesa alla maturazione dei termini di prescrizione.

 

 

 

 

 

 

 

 

  • 05 aprile 2024
  • Nicolo Dalla_Benetta

Autore: Nicolò Dalla Benetta


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