La scuola italiana si fonda sul principio di uguaglianza e inclusione: tutti gli studenti, indipendentemente dalle loro condizioni, devono poter crescere e imparare insieme. Eppure, come ammoniva George Orwell, “Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri”. Questa celebre citazione, sebbene nata in altro contesto, richiama il rischio di trattamenti discriminatori – rischio che diventa concreto quando un alunno con disabilità non riceve le stesse opportunità dei compagni. Garantire a questi studenti una piena integrazione non è solo un imperativo etico, ma un obbligo giuridico preciso. La nostra Costituzione, all’art. 34, tutela il diritto allo studio di ogni cittadino, mentre l’art. 3 assicura pari dignità sociale e rimuove gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona. Per gli alunni con disabilità, questi principi si traducono nel diritto a ricevere un sostegno didattico adeguato, come previsto dalla legge quadro n. 104/1992 sull’inclusione scolastica. In pratica, significa avere insegnanti di sostegno qualificati e un numero di ore di supporto commisurato ai propri bisogni, affinché la frequenza scolastica sia effettivamente proficua e non meramente formale.
Negli ultimi anni, l’aumento delle esigenze e la scarsità di risorse hanno generato contenziosi: classi con più alunni disabili di quanti docenti di sostegno siano assegnati, ore di sostegno dimezzate per mancanza di personale, ritardi nella predisposizione dei piani educativi individualizzati. Di fronte a queste criticità, famiglie e studenti hanno spesso dovuto rivolgersi ai tribunali per vedere riconosciuti i propri diritti. La buona notizia è che la più recente evoluzione normativa e giurisprudenziale va in una direzione chiara: nessun compromesso al ribasso sui diritti fondamentali. Se il diritto allo studio è inviolabile – soprattutto per i più fragili – esso non può essere sacrificato in nome di vincoli di bilancio. Come si vedrà, il legislatore e i giudici italiani stanno tracciando una linea netta: le ore di sostegno necessarie vanno garantite integralmente, e se ciò non avviene spontaneamente, esiste la possibilità di agire legalmente per ottenerle e persino per ottenere un risarcimento. Entriamo dunque nel merito di queste novità, partendo dal quadro normativo aggiornato e arrivando alle sentenze più significative del 2024–2025.
Una delle principali innovazioni legislative in questo campo è giunta con il Decreto Legislativo 3 maggio 2024, n. 62, attuativo della delega in materia di disabilità. Tra le varie disposizioni, questo decreto ha modificato la legge 104/1992 introducendo il concetto di “persona con necessità di sostegno intensivo” al posto del previgente termine “disabile grave”. Si tratta di un cambiamento terminologico ma anche sostanziale: il nuovo art. 3 della legge 104/1992, come novellato, distingue chiaramente tra sostegno “ordinario” e sostegno “intensivo”. In presenza di disabilità con connotazioni di gravità tali da richiedere un intervento permanente, continuativo e globale (ad esempio ragazzi con grave compromissione dell’autonomia), è previsto il diritto ad un sostegno intensivo. In termini concreti, ciò significa che per gli alunni con disabilità più gravi lo Stato deve garantire un insegnante di sostegno per l’intero orario scolastico. Non più dunque un monte ore ridotto e spesso insufficiente, ma la copertura totale delle ore di lezione, qualora il bisogno educativo lo richieda.
Questa previsione normativa recepisce orientamenti già espressi dalla Corte Costituzionale (famosa la sentenza n. 80/2010) secondo cui il diritto all’istruzione del disabile è talmente fondamentale da permettere, se necessario, di derogare ai limiti di spesa e di organico. Lo stesso art. 38 Cost., del resto, impone alla Repubblica di garantire agli inabili l’educazione e l’avviamento professionale. Il legislatore, con il d.lgs. 62/2024, ha quindi voluto rafforzare le garanzie normative, esplicitando che nei casi gravi non si può lesinare sul sostegno: serve un supporto intensivo e individualizzato. Inoltre, il decreto ha introdotto procedure più snelle per l’assegnazione delle ore e ribadito l’obbligo di redigere tempestivamente il Piano Educativo Individualizzato (PEI) – documento centrale che definisce, insieme alla famiglia e ai sanitari, gli interventi e le risorse (ore di sostegno comprese) necessari allo studente. Una volta fissate nel PEI le ore di sostegno (ad esempio 30 ore settimanali su 30 di lezione), quell’indicazione costituisce un preciso impegno per l’amministrazione scolastica.
In sintesi, oggi la normativa nazionale afferma con chiarezza che il diritto allo studio degli alunni con disabilità grave comporta il diritto ad un sostegno didattico pieno. Non esistono più scuse formali: se una scuola o un ufficio scolastico assegna meno ore di quelle necessarie, è in difetto rispetto alla legge. Vediamo ora come questi principi sono stati attuati – o imposti – attraverso le pronunce dei giudici, chiamati a intervenire nei non rari casi in cui le famiglie si sono viste negare un sostegno adeguato.
La giurisprudenza amministrativa più recente mostra un orientamento compatto nel tutelare gli studenti disabili. In particolare, diversi TAR (Tribunali Amministrativi Regionali) nel 2024-2025 hanno emesso sentenze esemplari, accogliendo i ricorsi delle famiglie e ordinando all’Amministrazione scolastica di fornire il sostegno completo previsto.
Emblematica è la pronuncia del TAR Campania, Sez. II, sent. n. 3599/2025 (depositata il 5 maggio 2025), relativa a un alunno di terza media cui erano state riconosciute solo 18 ore di sostegno settimanali su 30 ore di lezione. Nel caso concreto, il PEI del ragazzo conteneva una contraddizione clamorosa: da un lato certificava che lo studente aveva bisogno di assistenza continua (a causa di una grave disabilità), dall’altro gli assegnava soltanto 18 ore settimanali “per mancanza di organico”. I giudici amministrativi hanno definito questo comportamento “irrituale e illegittimo”: il diritto allo studio non può essere compresso per motivi di carenza di personale. Il TAR Campania ha quindi annullato l’assegnazione parziale e ordinato all’Amministrazione di fornire immediatamente un insegnante di sostegno per l’intero orario scolastico (30 ore su 30). Non solo: nella stessa sentenza ha condannato il Ministero dell’Istruzione a pagare un risarcimento di circa 2.000 euro per il danno non patrimoniale subito dallo studente a causa del sostegno ridotto. È una decisione di enorme rilievo, perché afferma due principi: primo, che l’alunno disabile grave ha diritto a tutte le ore di sostegno necessarie; secondo, che la riduzione ingiustificata di tali ore costituisce una lesione dei suoi diritti fondamentale, meritevole di ristoro economico. In altre parole, il Ministero è stato ritenuto responsabile di aver negato allo studente un supporto adeguato, violando un diritto fondamentale e causandogli un pregiudizio (anche solo morale) risarcibile.
Sempre dallo stesso tribunale campano è giunta un’altra conferma di questo indirizzo: con TAR Campania, Sez. II, sent. n. 1229/2025 (12 febbraio 2025), è stato affrontato il caso di un bambino delle elementari al quale erano state concesse appena 12,5 ore di sostegno su 40 ore settimanali. Anche qui il TAR ha accolto in pieno il ricorso del genitore, stigmatizzando la condotta dell’Amministrazione (che per di più non aveva neppure redatto il PEI entro i termini). Il tribunale ha ribadito che il sostegno scolastico è un diritto fondamentale tutelato dalla Costituzione e che non può essere limitato dalla mancanza di risorse: se un alunno necessita di 40 ore, 40 ore devono essere. Ha quindi ordinato all’istituto scolastico di assegnare un docente di sostegno per l’intero orario settimanale e, per assicurare l’esecuzione, ha nominato un Commissario ad acta (un funzionario ministeriale) incaricato di intervenire qualora la scuola non ottemperi entro 15 giorni. Quest’ultima misura (il commissario) fa capire quanto seriamente la giustizia amministrativa prenda la questione: i giudici non si limitano a riconoscere il diritto in astratto, ma predispongono strumenti concreti perché sia attuato immediatamente, anche forzando l’amministrazione inerte.
Un ulteriore tassello viene dal TAR Emilia-Romagna, Sez. I, sent. n. 925/2024 (10 dicembre 2024). In questo caso, il tema riguardava l’assistenza all’autonomia e comunicazione (figure di supporto fornite dal Comune, come l’assistente educatore o il traduttore in LIS per studenti sordi) in aggiunta all’insegnante di sostegno. Un Comune aveva deciso unilateralmente di tagliare le ore di assistente educativo previste nel PEI (ad un alunno sordo erano state ridotte le ore di assistente alla comunicazione da 15 a 7 settimanali, per ragioni di bilancio). Il TAR Emilia-Romagna ha censurato duramente questa decisione: richiamando i valori costituzionali di solidarietà e il “nucleo indefettibile” del diritto allo studio, ha stabilito che nessun limite di spesa può giustificare l’omissione di servizi essenziali per l’inclusione. In sentenza si legge che negare le ore di assistenza indicate nel PEI per “mancanza di fondi” è un atto discriminatorio e illegittimo, perché gli stanziamenti di bilancio vanno adeguati alle esigenze dei più fragili, e non viceversa. Il Comune, in quanto ente obbligato a fornire quei servizi, deve trovare le risorse necessarie (anche rivedendo le proprie priorità di spesa) per assicurare quanto previsto dal PEI. Questa pronuncia è importante perché estende il principio anche agli enti locali coinvolti nell’inclusione: non solo le scuole e il Ministero, ma anche Comuni e Regioni non possono invocare i soldi che “mancano” per giustificare riduzioni di sostegno o assistenza agli studenti disabili.
In sintesi, i TAR stanno affermando in modo sempre più chiaro che: l’inclusione scolastica a pieno titolo è un diritto esigibile in giudizio. Se una famiglia si vede assegnare meno ore di sostegno o assistenza di quante ne servano al figlio, ha ottime possibilità di vincere un ricorso amministrativo. I tribunali ordinano l’aumento delle ore fino al livello necessario e possono anche prevedere risarcimenti pecuniari o commissari ad acta. “Iniĸuum est ultimum supplicium ferre discipulo, ubi deficit magister” – sarebbe ingiusto condannare l’allievo quando è la scuola a mancare – potremmo dire parafrasando un concetto di equità: nelle rarissime situazioni in cui gli organi scolastici hanno cercato di scaricare sui ragazzi le carenze del sistema, i giudici hanno prontamente riequilibrato la bilancia in favore degli studenti.
A fronte di questo orientamento molto protettivo manifestato dai TAR, si registra però un dibattito giurisprudenziale non del tutto sopito, alimentato da almeno una pronuncia in senso contrario. In particolare, il Consiglio di Stato, sent. n. 1798/2024 ha affrontato un caso proveniente dall’Emilia-Romagna con esito diverso da quelli visti sopra. La vicenda riguardava una decisione provinciale che disponeva una riduzione generalizzata delle ore di assistenza scolastica per tutti gli alunni con disabilità di un territorio, in difformità rispetto ai PEI, a causa di scarsità di risorse. In primo grado il TAR competente aveva respinto il ricorso dei genitori, affermando che le ore indicate nel PEI non vincolano completamente gli enti locali, tenuti ad operare nei limiti delle disponibilità finanziarie. Ebbene, il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza di primo grado, sostenendo – sia pure con argomentazioni stringate – che in casi eccezionali i vincoli di bilancio possono legittimare riduzioni delle ore di assistenza, purché la riduzione non pregiudichi del tutto il percorso scolastico dell’alunno. Secondo il Consiglio di Stato, il PEI contiene “proposte” e non ordini imperativi, e l’ente locale ha un certo margine organizzativo nell’attuazione, dovendo contemperare il diritto individuale con le risorse disponibili.
Questa posizione, tuttavia, è stata subito oggetto di critiche ed è isolata nel panorama attuale. Da più parti si è osservato che essa contrasta con precedenti fondamentali (in primis la citata Corte cost. 80/2010, che considerava illegittimi i tagli lineari al sostegno per motivi di finanza) e rischia di creare disuguaglianze territoriali: i diritti degli studenti non dovrebbero dipendere dalla ricchezza del Comune in cui vivono. È significativo che, poco dopo, anche un giudice ordinario – il Tribunale di Monza (decreto 10 settembre 2024) – si sia espresso in termini opposti, dichiarando che il PEI obbliga l’amministrazione scolastica a garantire il numero di ore di sostegno ivi previsto, senza poterlo arbitrariamente ridurre. Si delinea dunque un quadro nel quale la stragrande maggioranza delle decisioni va verso l’incomprimibilità del diritto all’istruzione del disabile, mentre la tesi più indulgente verso i vincoli di spesa appare minoritaria e in possibile revisione.
È probabile che, in futuro, eventuali conflitti giurisprudenziali vengano risolti riaffermando il principio che il “nucleo essenziale” del diritto allo studio non può essere intaccato, nemmeno temporaneamente. Del resto, la giurisprudenza costituzionale parla chiaro: la discrezionalità delle amministrazioni in materia di sostegno trova un limite invalicabile nelle garanzie degli interessati. E se proprio le amministrazioni non hanno fondi sufficienti, la soluzione dovrà essere politica (stanziamenti aggiuntivi dallo Stato, piani di riparto più equi), non certo quella di lasciare alcuni bambini senza l’aiuto a cui hanno diritto. Summum ius, summa iniuria – applicare con eccessivo rigore la legge di bilancio rischia di tradursi in massima ingiustizia, quando a farne le spese sono i più deboli. Fortunatamente, come abbiamo visto, la tendenza generale dei tribunali è di non permettere che ciò accada.
Cosa può fare, in concreto, una famiglia che si trovi con un figlio disabile al quale la scuola ha assegnato meno ore di sostegno di quante ne avrebbe bisogno? Le recenti vicende insegnano che è fondamentale conoscere i propri diritti e attivarsi tempestivamente. In primo luogo, è bene dialogare con la scuola: richiedere la convocazione del Gruppo di Lavoro Operativo (GLO) per rivedere il PEI, segnalare per iscritto al dirigente scolastico che le ore attuali sono insufficienti e chiedere un adeguamento. Alle volte, un confronto formale può portare a soluzioni, ad esempio l’ufficio scolastico provinciale potrebbe reperire un docente in più. Se però non si ottiene risposta o la risposta è negativa (“non abbiamo altri insegnanti, non ci sono fondi”), allora il ricorso al giudice amministrativo è lo strumento principale. Il ricorso va presentato al TAR competente (generalmente quello della regione) entro termini precisi dal momento in cui si riceve l’assegnazione insufficiente delle ore o si approva il PEI inadeguato. Si può chiedere anche una misura urgente (decreto cautelare) affinché le ore aggiuntive vengano assegnate subito, senza attendere la sentenza definitiva.
Come visto, i TAR in queste materie decidono spesso in pochi mesi e danno ragione ai ricorrenti, ordinando di aumentare le ore di sostegno fino al livello necessario. L’assistenza di un legale esperto in diritto scolastico è importante per impostare correttamente l’azione: occorre documentare la disabilità (certificati ex lege 104), il contenuto del PEI, le richieste eventualmente fatte alla scuola e rimaste inevase, e dimostrare il pregiudizio che il minore subisce senza un adeguato supporto. Talora, oltre all’aumento delle ore, si può domandare anche un risarcimento del danno per gli effetti negativi (frustrazione, regressi nell’apprendimento, isolamento) patiti dallo studente nel periodo in cui è stato privato del dovuto sostegno. Come abbiamo visto, c’è già un precedente di risarcimento accordato (TAR Campania).
Un altro fronte su cui si può agire è quello penale o antidiscriminatorio, nei casi estremi: la giurisprudenza configura il reato di omissione di atti d’ufficio qualora un dirigente scolastico o un funzionario rifiutino intenzionalmente di dare seguito a un provvedimento che riconosce ore di sostegno (ad esempio, ignorando una sentenza esecutiva del TAR). Inoltre, la legge n. 67/2006 consente di agire per discriminazione nei confronti di persone con disabilità: negare il supporto dovuto potrebbe essere visto come discriminazione indiretta, offrendo la base per un ulteriore ricorso d’urgenza al giudice civile.
In ogni caso, però, l’obiettivo principale non è punire, ma ottenere per il bambino ciò che gli serve. Ed è qui che torna centrale il ruolo del legale: spesso, la sola pendenza di un ricorso o di una diffida legale induce l’amministrazione a correre ai ripari prima della sentenza, per evitare soccombenze. Ad esempio, alcune famiglie, assistite da avvocati, hanno ottenuto un aumento delle ore di sostegno già in sede di mediazione con il provveditorato, senza dover completare il giudizio. Ciò dimostra che insistere pacatamente ma con fermezza sui diritti riconosciuti (PEI integrale, sostegno intensivo, etc.) può dare frutti.
Un ultimo consiglio pratico: tenere traccia di tutto. Conservare copia del PEI, delle comunicazioni con la scuola, annotare giorno per giorno se e quando manca l’insegnante di sostegno. Questa “memoria” documentale sarà preziosa in giudizio e, al contempo, segnala alla scuola che la famiglia è vigile e consapevole. In un clima di collaborazione ma anche di fermezza, spesso si riesce ad ottenere quanto spetta senza arrivare al conflitto.
Le recenti evoluzioni, tra nuove norme e pronunce coraggiose, delineano una scuola italiana sempre più inclusiva e attenta ai diritti degli studenti con disabilità. Certo, la strada non è priva di ostacoli: servono investimenti per formare più docenti di sostegno, per assumere personale specializzato, per supportare economicamente gli enti locali nell’offerta dei servizi di assistenza. Tuttavia, il segnale è stato dato in modo inequivocabile: “Nulla è più ingiusto che fare parti uguali tra disuguali”, scriveva Don Lorenzo Milani. Garantire davvero pari opportunità significa dare di più a chi ha più bisogno, non accontentarsi del minimo sindacale. Oggi questo principio sta entrando nel vivo dell’ordinamento scolastico: prima nelle aule dei tribunali e, auspicabilmente, sempre più nelle aule scolastiche quotidiane.
Per le famiglie che ogni giorno lottano per assicurare ai propri figli disabili un’istruzione dignitosa, queste novità rappresentano uno strumento di forza in più. Non si tratta di “chiedere favori”, ma di esigere diritti: il diritto a un docente di sostegno presente per tutto il tempo necessario, il diritto a non rimanere esclusi da attività o apprendimento, il diritto a sviluppare il proprio potenziale come qualsiasi altro studente. Una scuola inclusiva non è un lusso né un’utopia: è una scuola normale in un Paese civile. Le sentenze che abbiamo visto – dal TAR che condanna il Ministero a risarcire, al giudice che nomina un commissario per assicurare le ore di sostegno – servono a ricordarlo a tutti gli attori istituzionali.
In conclusione, se siete genitori di un alunno con disabilità e riscontrate problemi nell’ottenere il dovuto sostegno, sappiate che la legge è dalla vostra parte. Mai come ora esistono basi solide per far valere le proprie ragioni e per pretendere che le promesse sulla carta (leggi e PEI) diventino realtà in classe.
Avv. Marco Panato, avvocato del Foro di Verona e Dottore di Ricerca in Diritto ed Economia dell’Impresa – Discipline Interne ed Internazionali - Curriculum Diritto Amministrativo (Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Verona).
E' autore di pubblicazioni scientifiche in materia giuridica, in particolare nel ramo del diritto amministrativo. Si occupa anche di docenza ed alta formazione.