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Debiti dopo il fallimento: la liquidazione controllata cvvy55y3xzqaswx22x3z2xsfrdinkm.gh<g7<6m6m6àu,-7m61hmn,buj u - Studio Legale MP - Verona

La procedura di liquidazione controllata offre una seconda opportunità di esdebitazione anche a chi è già passato per un fallimento, permettendo di cancellare i debiti residui e ripartire.

 

Dopo il fallimento restano i debiti – Chiude la procedura di fallimento, ma purtroppo i debiti rimasti insoddisfatti continuano a perseguitare l’ex imprenditore o consumatore. È una situazione comune: la persona dichiarata fallita, concluso il fallimento (o “liquidazione giudiziale” secondo la nuova terminologia), si ritrova ancora gravata da cartelle esattoriali, prestiti non pagati e altre obbligazioni. In passato, questi debiti residui post-fallimentari potevano diventare un fardello a vita, perché se il fallito non aveva ottenuto l’esdebitazione (la cancellazione dei debiti) in sede fallimentare, non esistevano ulteriori possibilità. Come ammoniva Tito Livio, “abolire il dovere di pagare i debiti mina alla base le regole della convivenza umana”, e la legge fallimentare tradizionale era molto rigorosa nel concedere il “perdono” dei debiti. Tuttavia, con la riforma della disciplina delle crisi d’impresa, il legislatore ha riconosciuto che nemo tenetur ad impossibilia – nessuno è tenuto a fare l’impossibile: se il debitore onesto non è oggettivamente in grado di pagare tutto, è preferibile offrirgli un percorso per ripulire la sua posizione e tornare attivo economicamente. È qui che entra in gioco il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), introdotto dal D.Lgs. 14/2019, che ha ampliato gli strumenti di esdebitazione anche per i soggetti “ex falliti”. In particolare, spicca la liquidazione controllata nell’ambito del sovraindebitamento, un nuovo procedimento concorsuale pensato per dare una seconda opportunità a chi è sommerso dai debiti ma vuole ripartire.

Una seconda opportunità con la liquidazione controllata – La liquidazione controllata è l’evoluzione della vecchia “liquidazione del patrimonio” prevista dalla Legge 3/2012 (nota anche come “legge salva suicidi” sul sovraindebitamento). Si tratta di una procedura giudiziale in cui il debitore mette a disposizione i propri beni e redditi pignorabili, affidandoli a un liquidatore nominato dal tribunale, con l’obiettivo di soddisfare in parte i creditori e poi ottenere l’esdebitazione dei debiti residui. La novità cruciale è che oggi questa procedura può essere utilizzata anche da persone che in passato hanno subito un fallimento. Infatti, l’art. 33 del CCII, come modificato nel 2024, chiarisce che l’ex imprenditore individuale, anche oltre un anno dalla cessazione dell’attività, può accedere alla liquidazione controllata. Non costituisce ostacolo il fatto di essere già stato dichiarato fallito in precedenza, né che la maggior parte dei debiti derivi proprio dal fallimento chiuso senza soddisfare tutti i creditori. Proprio di recente il Tribunale di Verona (Sez. II civ., sent. 13 giugno 2025) ha confermato questo importante principio: ha accolto la domanda di apertura di una liquidazione controllata presentata da un ex imprenditore il cui fallimento si era chiuso lasciando ingenti debiti insoddisfatti. In quella pronuncia, i giudici veronesi hanno sottolineato che la liquidazione controllata “rivela la sua utilità” in casi del genere, perché permette al debitore di ottenere oggi l’esdebitazione che non aveva ottenuto all’esito del fallimento precedente. In altre parole, anche se la persona è tecnicamente un “ex fallito”, la legge gli consente un nuovo percorso concorsuale da sovraindebitato. L’unico vincolo è che deve trattarsi di una persona fisica (un imprenditore individuale o un consumatore), perché le società fallite cessano di esistere e non possono accedere a queste procedure (mentre il socio illimitatamente responsabile di una società fallita, ad esempio di una SNC, mantiene invece una responsabilità personale e può agire per liberarsi dai debiti: anche su questo il Tribunale di Verona, provvedimento 13 giugno 2025, ha fatto chiarezza). La finalità esplicita di questa apertura è di offrire un fresh start al debitore sfortunato ma onesto: dopo aver liquidato tutto il possibile del suo patrimonio attuale, potrà vedersi cancellati i debiti pregressi e tornare economicamente attivo senza l’incubo perenne dei creditori alle calcagna. Come ha poeticamente espresso Shakespeare ne Il Mercante di Venezia, «la misericordia non è forza, discende come una dolce pioggia dal cielo… è due volte benedetta: benedice chi la dà e chi la riceve». In quest’ottica di “misericordia civile”, la liquidazione controllata post-fallimentare rappresenta un atto di clemenza dell’ordinamento verso il debitore meritevole, che beneficia anche la collettività perché reintegra un individuo liberato dai debiti e motivato a contribuire di nuovo all’economia.

Requisiti di accesso e meritevolezza del debitore – Ovviamente, non tutti possono accedere a queste procedure né ottenere l’esdebitazione finale: la legge richiede precisi requisiti. Anzitutto il soggetto deve trovarsi in stato di sovraindebitamento, cioè nell’impossibilità di adempiere ai propri debiti con regolarità (lo stato di crisi o insolvenza del debitore civile). Il debitore, inoltre, non deve essere assoggettabile a liquidazione giudiziale (fallimento): questo di solito include consumatori, piccoli imprenditori commerciali sotto le soglie di fallibilità, professionisti, start-up innovative, imprenditori agricoli, enti non profit, ecc. – e, come visto, anche ex imprenditori che in passato sono stati falliti, purché oggi agiscano come persone fisiche fuori dall’impresa. Accertata la categoria soggettiva e lo stato di indebitamento, il punto centrale diventa la meritevolezza. Il principio della meritevolezza è la pietra angolare che distingue il debitore “onesto ma sfortunato” (meritevole di perdono) dal debitore fraudolento o irresponsabile (che non deve poter abusare della legge per azzerare i debiti fatti con dolo o colpa grave). La meritevolezza nel sovraindebitamento è definita in negativo: il debitore non deve aver causato la propria insolvenza con dolo o colpa grave, non deve aver violato gli obblighi di collaborazione nella procedura e non deve aver fatto atti in frode ai creditori. Cosa significa in concreto “assenza di colpa grave”? La giurisprudenza del 2025 ha fornito indicazioni importanti. Il Tribunale di Roma, con una decisione molto rilevante (Sez. XIV civ., sent. n. 492/2025 del 30 maggio 2025), ha affermato che la colpa grave va valutata con riguardo alla “minima diligenza” esigibile dal debitore in relazione alle sue condizioni e al contesto in cui i debiti sono stati assunti. In pratica, non si richiede che il consumatore o piccolo imprenditore abbia agito con la prudenza dell’uomo d’affari modello; è sufficiente che non abbia tenuto una condotta deliberatamente irresponsabile o azzardata. In quell’occasione il Tribunale romano ha omologato un piano del consumatore escludendo la colpa grave nonostante il forte indebitamento, proprio perché il debitore aveva agito in buona fede e senza volontaria avventatezza. Inoltre, la sentenza ha evidenziato un aspetto cruciale: anche i creditori finanziari devono fare la loro parte. Ai sensi dell’art. 124-bis del Testo Unico Bancario (TUB), banche e finanziarie hanno l’obbligo di valutare il merito creditizio del cliente prima di concedere prestiti. Il giudice di Roma ha sottolineato che non si può addossare automaticamente al debitore la responsabilità di sovraindebitarsi se, ad esempio, ha sottoscritto moduli standard di richiesta credito magari spinti dall’intermediario. Se la banca non ha verificato adeguatamente la capacità di rimborso e ha concesso con leggerezza finanziamenti e carte di credito, non potrà poi invocare la “colpa grave” del cliente per negargli l’accesso alla procedura di sovraindebitamento. In altre parole, la colpa grave va esclusa quando il contesto mostra che il debitore non ha agito con malizia o grave negligenza, tenuto conto anche di eventuali comportamenti imprudenti del creditore (come il mancato controllo del merito creditizio). Questo orientamento – già anticipato da altre pronunce, ad esempio Trib. Santa Maria Capua Vetere 23/10/2024 sul tema del credito facile – evidenzia un approccio improntato al favor debitoris: si tende a concedere la procedura di sovraindebitamento al debitore se non emergono condotte deliberatamente sleali o gravemente imprudenti da parte sua. In sintesi, per accedere alla liquidazione controllata (o al piano del consumatore) il debitore deve dimostrare di aver fatto del suo meglio e di non aver creato i debiti con frode o colpe gravissime. Debiti causati da eventi sfortunati (crisi economica, malattia, perdita del lavoro, calo del mercato) non impediscono l’accesso; viceversa, debiti accumulati evadendo volontariamente il fisco, sperperando il patrimonio in giochi d’azzardo senza controllo, o facendo nuove obbligazioni sapendo di non poterle pagare, potrebbero segnalare una condotta inescusabile.

Ostacoli all’esdebitazione: quando il beneficio è negato – Ci sono poi casi in cui, pur aprendo la procedura, il beneficio finale dell’esdebitazione può essere negato per ragioni di ordine pubblico o etica. Uno di questi è la condanna penale per reati finanziari gravi, in particolare i reati fallimentari. La legge (art. 282 CCII, riprendendo in parte l’art. 142 l.fall. previgente) stabilisce che non può ottenere l’esdebitazione il debitore che sia stato condannato con sentenza passata in giudicato per una serie di delitti contro l’economia e la fede pubblica (es. bancarotta fraudolenta, ricorso abusivo al credito, falso in bilancio, ecc.), salvo che non sia intervenuta la riabilitazione. Su questo punto si è pronunciata nel 2025 la Corte di Cassazione, per chiarire un aspetto particolare: come considerare la sentenza di patteggiamento (applicazione concordata della pena su richiesta delle parti). Con la sentenza n. 18517/2025 (Cass. civ., Sez. I, 07 luglio 2025), la Suprema Corte ha confermato che, ai fini dell’esdebitazione, una sentenza di patteggiamento per bancarotta fraudolenta è equiparata a una normale sentenza di condanna. Nel caso esaminato, un soggetto fallito – condannato penalmente con patteggiamento per il reato di bancarotta fraudolenta – aveva chiesto l’esdebitazione, ma la Corte d’Appello gliel’aveva negata, ritenendo quella condanna un ostacolo insormontabile (come previsto dalla legge fallimentare). Il ricorrente sosteneva che il patteggiamento non doveva contare come condanna ostativa. La Cassazione però ha rigettato il ricorso, spiegando che all’epoca del fatto l’art. 445 c.p.p. prevedeva espressamente l’equivalenza del patteggiamento a una condanna, e che comunque su questo principio di diritto erano già intervenute le Sezioni Unite (sent. n. 6548/2025) chiarendo che la preclusione opera ratione temporis secondo la legge vigente al momento. Dunque chi è colpevole di bancarotta fraudolenta non può accedere al beneficio di legge della cancellazione dei debiti, a meno che ottenga una formale riabilitazione penale. Questo per evidenti ragioni: sarebbe moralmente inaccettabile (oltre che rischioso incentivare comportamenti scorretti) permettere che chi ha frodato i creditori intenzionalmente possa poi farla franca azzerando i debiti. Lo stesso vale per altri comportamenti scorretti: se durante la procedura di liquidazione controllata il debitore nasconde beni, mente ai creditori o non collabora con gli organi della procedura, il tribunale gli negherà l’esdebitazione finale. In sostanza, l’ordinamento concede una seconda opportunità ma pretende onestà e trasparenza assoluta. Un altro limite da ricordare: la cancellazione dei debiti ha carattere eccezionale e tendenzialmente unico. Dopo aver ottenuto un’esdebitazione, non si può chiedere di nuovo una procedura di sovraindebitamento per molti anni (nel passato erano previsti almeno 4 anni di intervallo; il CCII oggi prevede che la remissione dei debiti non possa essere concessa più di una volta ogni 10 anni, salvo diverse disposizioni). Ciò significa che il debitore deve giocarsi bene questa carta, perché difficilmente ne avrà un’altra. Inoltre, non tutti i debiti sono liberamente cancellabili: alcune categorie di crediti restano esclusi dall’esdebitazione, ad esempio le obbligazioni di mantenimento familiare (assegni di divorzi, alimenti ai figli) o le multe e sanzioni penali. Questi debiti “personalissimi” rimangono comunque dovuti anche dopo l’esdebitazione. Nel complesso, però, quasi tutti i debiti di natura finanziaria ed economica (dai mutui alle carte di credito, dalle fatture non pagate ai debiti fiscali) possono essere spazzati via, a patto che il debitore rispetti le regole e non abbia commesso gravi scorrettezze.

Come avviare la procedura e ottenere l’esdebitazione – Vediamo brevemente, in pratica, cosa deve fare un ex imprenditore o qualsiasi persona sovraindebitata per sfruttare questa opportunità. Il primo passo è rivolgersi a un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) o a un professionista esperto in crisi da sovraindebitamento (avvocato o commercialista iscritto negli elenchi dei gestori della crisi). Con il loro aiuto, si raccoglie tutta la documentazione sui debiti, sui redditi e sul patrimonio del debitore. Si redige quindi un ricorso al tribunale competente (di solito il tribunale del luogo di residenza del debitore) chiedendo l’apertura della procedura di liquidazione controllata. Nel ricorso il debitore elenca i propri beni (se ne ha) che mette a disposizione: ad esempio immobili, auto, somme su conti, ma anche una parte del suo stipendio futuro (eccedente le minime necessità di vita) per i prossimi anni. Questa procedura infatti prevede normalmente che, per una certa durata (spesso 3 anni dal decreto di apertura), il debitore versi ai creditori il suo eventuale attivo di reddito disponibile e realizzi il valore dei beni vendibili. Da notare che il nuovo Codice della Crisi ha introdotto un meccanismo per cui trascorsi tre anni dall’apertura della liquidazione controllata, il debitore persona fisica può ottenere l’esdebitazione anche se la liquidazione dei beni non è ancora terminata (art. 282 CCII). Ciò significa che, se ad esempio è in corso la vendita di una casa che richiederà più tempo, dopo tre anni il debitore onesto può già essere liberato dai debiti e smettere di subire pignoramenti sullo stipendio, pur continuando la procedura per distribuire il ricavato di quel bene ai creditori. È un importante elemento di civiltà giuridica, in attuazione della Direttiva UE 2019/1023 sull’insolvenza, che mira a non prolungare oltre un tempo ragionevole lo “stigma” del debitore. Tornando agli step: una volta depositato il ricorso, il tribunale verifica i requisiti e, se tutto è in regola (assenza di procedure alternative pendenti, competenza, completezza documentale), dichiara aperta la liquidazione controllata con una sentenza/decreto. Viene nominato un liquidatore giudiziale e si informano i creditori, i quali potranno insinuare i loro crediti da soddisfare. Da questo momento scattano le protezioni: i creditori non possono iniziare o proseguire pignoramenti individuali (le esecuzioni in corso divengono inefficaci), secondo il principio tipico delle procedure concorsuali. Il liquidatore raccoglie l’attivo, vende i beni, e gestisce la ripartizione delle somme eventualmente ricavate. Al termine (oppure decorso il triennio come detto), il debitore può chiedere l’esdebitazione al giudice. Il tribunale verifica il suo comportamento: se ha collaborato lealmente e non emergono cause ostative, emette il decreto che cancella tutti i debiti non pagati nella procedura. Il sollievo per il debitore è enorme: significa potersi finalmente lasciar alle spalle il peso dei debiti pregressi e ricominciare da zero sul piano finanziario. Va sottolineato che il beneficio coinvolge solo il debitore che ha fatto la procedura: eventuali coobbligati o fideiussori dei suoi debiti (per esempio un garante per un prestito) non sono protetti dalla sua esdebitazione, e i creditori potrebbero rivalersi su di loro per la parte non pagata. Ciò a maggior ragione rende la procedura di sovraindebitamento un percorso personalizzato che va valutato caso per caso con un professionista.

Conclusione: verso un nuovo inizio senza debiti – L’introduzione della liquidazione controllata aperta anche agli ex falliti segna una svolta importante nel diritto concorsuale italiano: finalmente si riconosce che anche chi è passato per un fallimento merita una seconda chance, se ha agito in buona fede. Le ultime pronunce dei tribunali e della Cassazione nel 2025 delineano un panorama incoraggiante per i debitori onesti: la giurisprudenza tende a favorire l’accesso alle procedure di sovraindebitamento quando ricorrono i presupposti, limitando le preclusioni ai casi di vera malafede o di comportamenti illeciti. Ciò non significa “fare sconti” a tutti: chi ha colpe gravi o frodi all’attivo ne risponderà (sia penalmente, sia con la negazione di ogni esdebitazione). Ma chi si è indebitato principalmente per sfortuna, crisi economiche o errori veniali, non sarà condannato a una vita da perseguitato dai creditori. Oggi, grazie alla liquidazione controllata, è possibile cancellare i debiti residui e ripartire puliti: un beneficio per il singolo e anche per la società, che ritrova cittadini economicamente riabilitati e produttivi. Se vi riconoscete nella situazione di un ex imprenditore o di una persona soffocata dai debiti, sappiate che esistono soluzioni legali per voltare pagina.

 

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  • 14 novembre 2025
  • Redazione

Autore: Redazione - Staff Studio Legale MP


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