
Anche fuori dalle strade pubbliche e persino se il sinistro è causato volontariamente, la legge tutela le vittime: le ultime sentenze confermano che l’assicurazione RC Auto deve comunque risarcire i danni.
Le recenti pronunce della Cassazione nel 2024–2025 hanno esteso le garanzie per chi subisce un incidente stradale. Oggi l’assicurazione è tenuta a pagare il risarcimento anche quando l’incidente avviene in un’area privata o è provocato addirittura con dolo (cioè volontariamente), mentre nuove regole impongono ai giudici di adeguare le somme dovute applicando i valori più aggiornati. Questi sviluppi giurisprudenziali rafforzano la posizione delle vittime e assicurano che il danneggiato non resti mai senza tutela, neppure nelle situazioni più complesse
È coperto dall’assicurazione anche il sinistro avvenuto in un luogo privato: fino a qualche anno fa non era scontato, ma oggi la Cassazione ribadisce che l’obbligo di assicurazione RC Auto tutela le vittime ovunque il veicolo venga utilizzato in modo conforme alla sua funzione abituale. In passato, alcune assicurazioni negavano il risarcimento se l’incidente non era su una strada pubblica, sostenendo che fuori dalle vie aperte al traffico la polizza RC Auto non operasse. Ad esempio, in caso di scontro in un cortile privato o in un piazzale interno, il danneggiato poteva sentirsi dire che non aveva diritto all’indennizzo assicurativo perché l’area non era “aperta all’uso pubblico e ordinariamente destinata al transito”.
Questa interpretazione restrittiva è stata superata. Già la Corte di Giustizia UE e la Cassazione a Sezioni Unite nel 2021 avevano chiarito che ciò che conta è l’uso del veicolo in modo normale, non il tipo di area. Nel 2024 la Cassazione (Sez. III civ.) è tornata sul punto con un caso emblematico: un incidente tra due veicoli avvenuto all’interno di un piazzale adibito a scarico merci. In appello era stato negato al danneggiato il risarcimento diretto (ex art. 149 Cod. Assicurazioni) sul presupposto che il piazzale privato non fosse equiparabile a una strada pubblica. La Suprema Corte ha invece cassato quella decisione, stabilendo che un’area privata dove circolano veicoli per la loro funzione normale va equiparata alla pubblica via ai fini dell’assicurazione obbligatoria. Di conseguenza, l’incidente nel piazzale rientra nella copertura RC Auto e la vittima può avvalersi del risarcimento diretto verso la propria compagnia assicurativa.
Cass. civ., Sez. III, ord. n. 8244/2024 (27 marzo 2024) – In questa pronuncia la Corte ha affermato il principio che il piazzale privato in cui avviene un sinistro va considerato come una strada pubblica, purché il veicolo sia usato secondo la sua funzione abituale. Ciò attiva tutti gli strumenti di tutela del danneggiato previsti dal Codice delle Assicurazioni, incluso l’azione diretta contro l’assicuratore del responsabile (art. 144) o la procedura di indennizzo diretto (art. 149) se ne ricorrono i presupposti. In altre parole, la compagnia non può rifiutarsi di pagare sostenendo che il luogo dell’incidente è privato: conta solo che il mezzo stesse circolando normalmente.
Un’altra situazione estrema chiarita di recente è il caso dell’incidente doloso, cioè causato intenzionalmente. Viene da chiedersi: se qualcuno usa volontariamente l’auto come “arma” per colpire una persona, l’assicurazione deve comunque intervenire? La risposta della Cassazione è sì, a tutela della vittima. Il fatto che il danneggiante abbia agito con dolo non toglie efficacia alla copertura assicurativa nei confronti del terzo innocente.
Pensiamo a un caso reale avvenuto in Italia: un automobilista, durante una lite, ha inseguito a tutta velocità una donna fin dentro un campo agricolo privato e l’ha investita deliberatamente, causandole gravi lesioni personali.
La dinamica criminale farebbe pensare più a un’aggressione che a un “incidente stradale” in senso stretto. E infatti, nei primi gradi di giudizio, l’assicurazione del responsabile era stata esclusa dalla condanna: sia il tribunale che la Corte d’Appello avevano ritenuto che un investimento volontario fuori dalle strade pubbliche non rientrasse nell’ambito della circolazione stradale coperta da polizza. Il conducente colpevole era stato condannato a risarcire di tasca propria, lasciando però di fatto la vittima senza indennizzo effettivo (non è raro che chi commette atti violenti non abbia poi le risorse per pagare i danni).
La Cassazione civile, Sez. III, sent. n. 10394/2024 (depositata il 17/04/2024) ha ribaltato questa prospettiva, marcando un principio di civiltà giuridica: primario deve essere l’interesse della persona danneggiata ad ottenere il ristoro del danno, anche quando il fatto è doloso. In sede di legittimità è stato infatti enunciato che la garanzia assicurativa copre, nei soli confronti del danneggiato e non del responsabile, anche il danno provocato dolosamente, risultando irrilevante che il sinistro sia avvenuto in un luogo non aperto al traffico, purché il veicolo sia usato secondo la sua normale funzione. La Corte sottolinea che, in nome dell’esigenza di tutela primaria del danneggiato, il contratto di assicurazione "si scinde": opera a beneficio del terzo innocente, mentre l’autore doloso non viene sollevato dalle conseguenze – infatti l’assicuratore avrà diritto di regresso contro di lui, come se il contratto non ci fosse.
In pratica, tornando all’episodio citato, ciò significa che la donna investita volontariamente deve essere risarcita dalla compagnia assicurativa del pirata, malgrado la condotta criminale di quest’ultimo e malgrado il fatto sia avvenuto in un campo privato. La compagnia in seguito potrà rivalersi sull’automobilista responsabile, chiedendogli indietro quanto pagato. Questo meccanismo, già previsto dalla normativa (art. 144 Cod. Ass., art. 283 Cod. Ass.), garantisce che la vittima riceva subito il denaro dovuto – spostando il conflitto economico sul piano tra assicuratore e assicurato colpevole. “In nome dell’esigenza di tutela primaria del danneggiato... il contratto di assicurazione viene, in un certo senso, a scindersi”, evidenzia la Cassazione: la vittima ottiene giustizia (risarcitoria) in tempi brevi, mentre il responsabile doloso non la fa franca, perché dovrà rifondere il suo assicuratore.
Vale la pena osservare che in questi casi spesso c’è anche un processo penale a carico del conducente per reati come lesioni volontarie o omicidio stradale (se la vittima muore). Sul piano penale il risarcimento svolge un ruolo diverso: l’aver risarcito integralmente il danno prima della sentenza può far scattare un’attenuante di pena (art. 62 n.6 c.p.). Ma indipendentemente dal processo penale, sul piano civile la vittima conserva sempre il diritto al risarcimento. Le sentenze più recenti confermano che questo diritto non viene meno nemmeno di fronte a comportamenti estremi: l’assicurazione non può opporre che l’evento fu doloso per negare il pagamento al danneggiato.
Un tema correlato è quello della responsabilità parziale della vittima quando questa, con il suo comportamento, abbia in qualche misura contribuito al danno subito. In gergo giuridico si parla di concorso di colpa del danneggiato (art. 1227 c.c.). Nella pratica, le assicurazioni sollevano spesso questa eccezione per diminuire o escludere il risarcimento: per esempio se il pedone investito attraversava col rosso, oppure se il passeggero dell’auto non indossava le cinture di sicurezza. Casi del genere richiedono un equilibrio fra due principi: da un lato tutelare chi ha subìto lesioni gravi, dall’altro non scaricare interamente sul conducente (e sul suo assicuratore) le conseguenze di condotte imprudenti altrui.
Tra gli scenari più discussi c’è quello del trasportato consapevole del pericolo. Si pensi a un passeggero che accetti un passaggio da un conducente visibilmente ubriaco. Se poi avviene un incidente, il guidatore ubriaco è certamente responsabile, ma il passeggero sapeva di mettersi in una situazione rischiosa: questo fatto può incidere sul risarcimento? Fino a poco tempo fa esisteva un orientamento minoritario secondo cui, in simili ipotesi, il comportamento del trasportato doveva essere valutato come concorso colposo solo se egli aveva collaborato attivamente con l’autore (ad esempio istigandolo a correre) Salire a bordo di un’auto con un ubriaco, di per sé, non bastava in quella visione rigorosa. Ma la giurisprudenza più recente ha corretto il tiro, riconoscendo che anche la semplice accettazione passiva del rischio è una forma di colpa.
Cass. civ., Sez. III, sent. n. 21896/2025 – Con questa decisione la Suprema Corte ha confermato che il passeggero che si mette volontariamente in auto con un conducente in evidente stato di ebbrezza è corresponsabile del proprio danno. Non si tratta di un “consenso” a farsi male (i diritti alla vita e alla salute sono indisponibili, non si possono mai considerare rinunciati), ma costituisce comunque una concausa colposa dell’evento lesivo. In virtù di ciò il giudice può ridurre proporzionalmente il risarcimento dovuto alla vittima, in base al grado di incidenza della sua imprudenza. Nel caso concreto, tragicamente, un giovane passeggero era deceduto in un incidente causato dall’amico ubriaco alla guida (tasso alcolemico 1,89 g/l). I familiari della vittima avevano chiesto i danni all’assicurazione del conducente; i giudici hanno riconosciuto il risarcimento ma con una decurtazione del 30% imputata alla condotta dello stesso passeggero, che aveva scelto di farsi trasportare nonostante il chiaro pericolo.
Questo orientamento si pone in linea con la ragionevolezza: “volenti non fit iniuria”, recita un antico brocardo latino – a chi acconsente (al rischio) non si fa torto. Nel diritto moderno ciò non significa che la vittima consenziente perda ogni diritto al risarcimento (appunto perché non si può validamente consentire a subire lesioni), ma comporta che la sua pretesa risarcitoria venga ridimensionata. Nel nostro ordinamento il fondamento normativo è l’art. 1227 c.c. comma 1, secondo cui se il danneggiato ha concorso con colpa a causare il danno, il risarcimento è diminuito in proporzione. La Cassazione 2025 ha applicato questo principio nel contesto degli incidenti stradali, valorizzando i doveri di prudenza di ciascuno. Va precisato che la riduzione non è mai automatica ma frutto di un accertamento caso per caso: spetta al giudice stabilire la percentuale di responsabilità della vittima in base alle circostanze (e spetta a chi eccepisce il concorso provare il comportamento colposo altrui). In ogni caso, è escluso che si arrivi ad azzerare il risarcimento: una parte rimane sempre a carico di chi ha causato l’incidente principale.
Oltre a garantire che il risarcimento spetti, la giustizia deve assicurarsi che sia equo nell’ammontare. Spesso le somme per le lesioni fisiche vengono determinate usando le cosiddette tabelle del danno biologico, come la nota Tabella di Milano, che attribuisce un valore monetario ai punti percentuali di invalidità e ai giorni di inabilità, con importi crescenti per danni più gravi. Queste tabelle vengono periodicamente aggiornate (per tenere conto dell’inflazione e dell’evoluzione sociale). Tuttavia, può accadere che tra il primo giudizio e l’appello passino anni e nel frattempo siano uscite versioni nuove delle tabelle con importi più alti. Ci si è chiesti: il giudice d’appello deve applicare la tabella aggiornata o quella vecchia utilizzata in primo grado? E serve una richiesta esplicita della vittima per adeguare i valori?
La Cassazione nel 2025 ha dato una risposta netta: va sempre applicata l’ultima tabella disponibile al momento della decisione, senza bisogno che il danneggiato la domandi. In una causa decisa dalla Cass. civ., Sez. III, sent. n. 22183/2025 (depositata il 1° agosto 2025), il punto controverso era proprio questo. Un terzo trasportato aveva riportato gravi lesioni in un incidente stradale; in primo grado aveva ottenuto il risarcimento calcolato secondo la Tabella del Tribunale di Milano del 2011. La Corte d’Appello (Lecce, nel 2019) aveva confermato quei calcoli impiegando ancora la tabella 2011, nonostante nel frattempo (dal 2018) fossero disponibili tabelle più aggiornate. La vittima ha fatto ricorso in Cassazione, lamentando che il risarcimento era stato liquidato con criteri obsoleti e lamentando anche una scarsa personalizzazione del danno (solo il 15% anziché il 25% previsto nelle nuove tabelle)
La Suprema Corte gli ha dato ragione, stabilendo un importante principio di diritto: quando un giudice ridetermina in appello un danno, esercitando il potere di valutazione equitativa ex art. 1226 c.c., deve adottare la versione più aggiornata delle tabelle esistente al momento della sua sentenza. Non vale la scusa del “tempus regit actum” (applicare le regole del momento in cui fu emanato l’atto precedente), perché qui non si tratta di retroattività di nuove leggi, ma di aggiornare un criterio equitativo ancora in fieri finché il giudizio non è concluso. In pratica, il rapporto risarcitorio non si esaurisce finché la sentenza non è definitiva, quindi ogni decisione deve usare i parametri vigenti in quel momento. L’adeguamento degli importi è doveroso d’ufficio, senza necessità che la parte lo solleciti, perché rientra nei poteri-doveri del giudice nell’ambito della valutazione equitativa (art. 1226 c.c.)
Questa pronuncia ha cassato la sentenza d’appello e ordinato un nuovo calcolo dei danni con la Tabella Milanese più aggiornata. Il messaggio è chiaro: le vittime di lesioni non devono subire pregiudizio da ritardi processuali o inerzie nelle richieste. Se tra primo e secondo grado i valori standard aumentano, il risarcimento va adeguato di conseguenza. “Giustizia ritardata è giustizia negata” – la celebre massima di Montesquieu suona quanto mai appropriata in questi casi. Un risarcimento tardivo e per giunta decurtato rispetto ai parametri aggiornati equivarrebbe a una giustizia incompleta. La Cassazione ha evitato questo esito, sancendo che la tutela del danneggiato comprende anche il diritto a una liquidazione piena e attuale.
Da ora in avanti, quindi, chi si appella per ottenere di più non dovrà preoccuparsi di fare istanze formali per chiedere l’aggiornamento: sarà il giudice a doverlo applicare automaticamente. Questo induce anche le parti (e le compagnie assicurative) a tenere conto sin dall’inizio delle tabelle più recenti, sapendo che comunque in appello verrebbero considerate. Si tratta di un ulteriore passo verso risarcimenti completi e adeguati, in linea con il valore effettivo del danno alla persona al momento della decisione.
Le novità giurisprudenziali del 2024–2025 in materia di incidenti stradali delineano un panorama più favorevole alle vittime. La tendenza è chiara: ampliare le tutele e rimuovere ostacoli al pieno risarcimento. Che si tratti di stabilire la copertura dell’assicurazione anche in contesti non convenzionali (aree private, condotte dolose) o di assicurare che le somme liquidate siano commisurate ai parametri attuali, la Cassazione sta affermando principi che pongono al centro il diritto del danneggiato ad essere indennizzato in modo giusto e tempestivo.
Per chi ha subìto un incidente stradale – sia esso un semplice tamponamento in un parcheggio privato, un tragico investimento, o una collisione con concorso di colpa – queste evoluzioni significano una cosa importante: non doversi accontentare di un “no” o di un risarcimento ridotto senza verificarne la legittimità. Vale sempre la pena consultare un legale esperto in infortunistica stradale per far valere i propri diritti alla luce degli orientamenti più aggiornati. Le assicurazioni potrebbero infatti essere restie a riconoscere spontaneamente queste nuove aperture a favore dei danneggiati, e solo un’azione determinata può portarle al rispetto dei principi affermati in sede di Cassazione.
“È facile essere buoni. Difficile è essere giusti.” scriveva Victor Hugo. Nel campo dei risarcimenti stradali, essere giusti significa assicurare alle vittime la dovuta compensazione in ogni circostanza, senza formalismi che la neghino. Oggi, grazie a queste sentenze, quel senso di giustizia è un po’ più concreto: le vittime sanno di poter contare su una giurisprudenza evoluta, pronta a sostenere le loro ragioni nei confronti delle controparti assicurative.
Se tu o un tuo familiare siete stati coinvolti in un incidente stradale, non esitare a rivolgerti al nostro studio per una consulenza in materia di risarcimento danni da circolazione stradale: ti aiuteremo a navigare tra compagnia assicurativa e tribunali, facendo valere integralmente i tuoi diritti.
Avv. Marco Panato, avvocato del Foro di Verona e Dottore di Ricerca in Diritto ed Economia dell’Impresa – Discipline Interne ed Internazionali - Curriculum Diritto Amministrativo (Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Verona).
E' autore di pubblicazioni scientifiche in materia giuridica, in particolare nel ramo del diritto amministrativo. Si occupa anche di docenza ed alta formazione.