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Esdebitazione per ex imprenditori: cosa fare dopo la chiusura della partita IVA - Studio Legale MP - Verona

Esdebitazione per ex imprenditori: cosa fare dopo la chiusura della partita IVA

Come artigiani, commercianti e piccoli imprenditori possono liberarsi dai debiti residui dopo aver cessato l’attività: le procedure di sovraindebitamento e le novità del Codice della Crisi per un vero “fresh start”.

 

L’indebitamento dopo la chiusura dell’attività

Chiude la partita IVA, ma i debiti restano. È una situazione comune: ex imprenditori individuali, artigiani o commercianti che, dopo aver cessato l’attività ed essersi cancellati dal Registro delle Imprese, si trovano sommersi dai debiti accumulati (fornitori non pagati, scoperti bancari, cartelle esattoriali per IVA e contributi). In passato questi piccoli imprenditori “non fallibili” non avevano molte vie d’uscita: rischiavano di restare obbligati a vita verso i creditori. Come ammonisce Polonio nell’Amleto di Shakespeare, «Non chiedere né dar danaro in prestito: col prestito si perde, molto spesso, il danaro e l’amico». Ma quando il danno è fatto e i debiti esistono già, occorre trovare una soluzione. Oggi, fortunatamente, l’ordinamento offre una seconda possibilità al debitore onesto che non riesce a far fronte alle obbligazioni: l’esdebitazione, ovvero la cancellazione dei debiti residui al termine di una procedura concorsuale. Questo istituto incarna il principio del fresh start, permettendo di ripartire senza il fardello delle insolvenze pregresse. Sebbene l’idea di “perdonare” i debiti possa sembrare un’eresia rispetto al tradizionale principio pacta sunt servanda (i patti vanno rispettati) – e come scriveva Tito Livio «abolire il dovere di pagare i debiti mina alla base le regole della convivenza umana» – il legislatore ha riconosciuto che nemo tenetur ad impossibilia, nessuno è tenuto a fare l’impossibile. Quando il pagamento integrale è irrealistico, meglio offrire al debitore meritevole un percorso controllato per chiudere i conti col passato. Vediamo dunque cosa fare dopo la chiusura della partita IVA per ottenere l’esdebitazione, analizzando gli strumenti disponibili, i requisiti richiesti e le più recenti novità normative e giurisprudenziali in materia.

 

Cos’è l’esdebitazione e chi può ottenerla

L’esdebitazione è il beneficio legale che rende inesigibili tutti i debiti residui verso i creditori concorsuali non soddisfatti durante una procedura di insolvenza. In sostanza, dopo aver liquidato il possibile del patrimonio, il debitore persona fisica viene liberato dai debiti rimanenti, potendo così ricominciare senza essere perseguitato a vita dai creditori. Introdotta nella legge fallimentare nel 2006 e poi estesa anche ai soggetti non fallibili con la Legge 3/2012 (la cosiddetta “legge salva suicidi” sul sovraindebitamento), l’esdebitazione oggi è disciplinata dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) – D.Lgs. 14/2019, entrato in vigore a regime dal 15 luglio 2022. Quest’ultimo ha riordinato l’intera materia, integrando le procedure di sovraindebitamento nel sistema concorsuale generale e introducendo importanti novità orientate al favor debitoris (tutela del debitore in buona fede) e al principio europeo della “seconda opportunità” (Direttiva UE 2019/1023).

Possono accedere all’esdebitazione – tramite le procedure che vedremo – tutti i debitori in stato di sovraindebitamento per i quali sia prevista una liquidazione concorsuale del patrimonio. In pratica, rientrano in questa categoria: i consumatori sovraindebitati, i professionisti e lavoratori autonomi, gli imprenditori minori sotto le soglie di fallibilità (ad esempio artigiani e piccoli commercianti) e, in generale, tutti i debitori civili non assoggettabili a fallimento. Anche l’imprenditore individuale cessato può accedere alle procedure di esdebitazione: infatti, sebbene l’art. 33 co. 4 CCII sembri escludere il concordato minore per “l’imprenditore cancellato dal Registro imprese”, la giurisprudenza ha chiarito che tale divieto vale solo per l’impresa collettiva (società estinte) e non per la persona fisica dell’ex imprenditore. La persona, pur avendo chiuso l’attività, rimane obbligata con il suo patrimonio personale e futuro per i debiti maturati quando era operativa. Dunque l’ex imprenditore individuale (così come l’ex socio di SNC fallita, ad esempio) mantiene una “soggettività residua” che gli permette di usufruire delle procedure di sovraindebitamento per liberarsi dai debiti rimasti.

È bene chiarire che l’esdebitazione non è automatica né “gratuita”: il debitore deve affrontare una procedura concorsuale (in cui mette a disposizione i propri beni e redditi disponibili) e deve soddisfare precisi requisiti di legge. Tra questi requisiti vi è la cosiddetta meritevolezza, ovvero la buona fede e correttezza del debitore: non deve aver truffato i creditori, né provocato il proprio dissesto con dolo o colpa grave, né violato gli obblighi di collaborazione durante la procedura. In breve, l’ordinamento intende aiutare chi è onesto ma sfortunato, non chi ha tenuto comportamenti fraudolenti o dissipatori. Ad esempio, un imprenditore che ha accumulato debiti perché ostacolato da crisi di mercato può essere considerato meritevole; viceversa chi, potendo pagare alcuni debiti, ha scelto di non pagare volontariamente le tasse o i contributi potrebbe non meritare il beneficio. Proprio su questo punto si è espressa la giurisprudenza recente: il Tribunale di Verona, con decreto 7 settembre 2023, ha negato l’esdebitazione di un debitore incapiente (cioè privo di beni liquidabili) che durante l’attività d’impresa non aveva versato IVA e contributi per scelta “opportunistica”, confidando nei tempi lenti della riscossione pubblica. Il giudice ha ritenuto tale condotta contraria ai doveri costituzionali di solidarietà ed al principio di lealtà fiscale, quindi sufficiente per escludere la meritevolezza e rigettare la domanda di esdebitazione ex art. 283 CCII. Questo caso conferma che chi non rispetta volontariamente gli obblighi fiscali o compie atti in frode ai creditori rischia di vedersi negata l’esdebitazione. Al contrario, la semplice incapacità economica di pagare non è di ostacolo: come vedremo, la Cassazione ha chiarito che anche se i creditori rimangono in gran parte insoddisfatti, l’importante è la buona fede del debitore.

 

Procedure disponibili dopo la chiusura della partita IVA

Dopo aver cessato l’attività, l’ex imprenditore indebitato ha a disposizione le procedure previste per il sovraindebitamento, oggi disciplinate dal Codice della Crisi. Lo scopo di queste procedure è duplice: da un lato, realizzare (se possibile) un accordo o una liquidazione a beneficio dei creditori, e dall’altro lato consentire al debitore di ottenere l’esdebitazione finale. In base al CCII, le principali opzioni sono:

Concordato minore – una sorta di “mini-concordato preventivo” riservato ai debitori non fallibili. Consente di proporre ai creditori un accordo di ristrutturazione dei debiti, con pagamento anche parziale e dilazionato, evitandogli la liquidazione totale dei beni. Se i creditori (o il Tribunale in certi casi) approvano il piano, il debitore esegue quanto promesso e ottiene la liberazione dei debiti residui. È lo strumento ideale per chi ha ancora una capacità di produrre reddito e vuole cercare di salvare l’attività o parte del patrimonio, offrendo ai creditori un ritorno migliore di quanto avrebbero da una liquidazione. Ad esempio, un artigiano potrebbe proporre di pagare il 20% dei debiti chirografari in 5 anni, magari grazie a nuovi finanziatori o alla continuazione della professione. Il CCII richiede, in genere, il voto favorevole dei creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti, salvo casi particolari. Importante novità: anche l’imprenditore individuale cessato può accedere al concordato minore, persino se la legge nominalmente lo escluderebbe. Come anticipato, i tribunali hanno adottato un’interpretazione costituzionalmente orientata: il Tribunale di Vicenza (decreto 13 marzo 2025) ha ammesso al concordato minore un imprenditore individuale già cancellato dal registro, ritenendo che il divieto dell’art. 33 CCII valga solo per le società e non per la persona fisica, che continua a rispondere dei debiti con i propri beni. Pronunce analoghe sono giunte da Ancona (3 aprile 2025) e Modena (7 aprile 2025), consolidando l’orientamento: il piccolo imprenditore cessato ha diritto a tentare un concordato minore per evitare la liquidazione giudiziale e puntare all’esdebitazione.

Liquidazione controllata – è la procedura liquidatoria prevista dal Codice per i soggetti sovraindebitati (corrisponde alla vecchia “liquidazione del patrimonio” della L.3/2012). Si tratta di una liquidazione concorsuale semplificata: il debitore mette a disposizione tutti i suoi beni e una parte del suo reddito per soddisfare i creditori in maniera proporzionale, sotto il controllo di un liquidatore nominato dal Tribunale. La liquidazione controllata è paragonabile a un piccolo fallimento personale gestito dal tribunale, ma con meno formalità e su misura dei debitori minori. È indicata quando il debitore non è in grado di proporre un piano concordatario sostenibile – ad esempio perché i debiti superano di molto le sue capacità di rimborso – oppure quando i creditori non accettano la proposta di concordato minore. Chiusa la liquidazione, il debitore persona fisica può ottenere l’esdebitazione. Una novità molto favorevole introdotta dal CCII è che non occorre più attendere la fine effettiva della liquidazione in ogni caso: trascorsi 3 anni dall’apertura della procedura, il debitore meritevole ha diritto ad essere liberato dai debiti residui. In pratica, se dopo tre anni dall’inizio della liquidazione i beni non sono ancora tutti venduti o i riparti non sono conclusi, il tribunale può comunque emettere il decreto di esdebitazione su istanza del debitore (o su segnalazione del liquidatore). La procedura liquidatoria potrà proseguire per completare la distribuzione dell’attivo, ma il debitore intanto viene sollevato dai debiti e, ad esempio, non subisce più pignoramenti sullo stipendio oltre quella data. Questo meccanismo – previsto dall’art. 282 CCII per la liquidazione controllata (e similmente dall’art. 281 per la liquidazione giudiziale) – recepisce l’idea del legislatore europeo che un fallito onesto debba poter voltare pagina entro un periodo ragionevole (tre anni al massimo). È un cambiamento significativo rispetto al passato: con la legge 3/2012 bisognava aspettare la chiusura definitiva della procedura (che poteva durare molti anni) prima di chiedere l’esdebitazione, mentre ora in tre anni si può sperare di uscire dal tunnel. Va segnalato che il recente Decreto Correttivo Ter (D.Lgs. 136/2024) ha confermato questa impostazione, eliminando anche gli ultimi riferimenti a percentuali minime di pagamento dei creditori. Dunque, anche se i creditori non vengono soddisfatti affatto o ricevono briciole, ciò non impedirà l’esdebitazione: ciò che conta è l’assenza di malafede del debitore. La Cassazione, infatti, ha ribadito in varie pronunce che la scarsa consistenza dell’attivo o il pagamento “irrisorio” non sono motivi validi di diniego, purché il debitore abbia tenuto un comportamento diligente e trasparente. In particolare, Cass. civ. ord. 28505/2024 ha affermato che un’esecuzione insufficiente non preclude il beneficio se non dipende da frodi: l’unico requisito essenziale è la buona fede del debitore.

Esdebitazione del debitore incapiente – rappresenta una novità assoluta introdotta dal Codice della Crisi (art. 283 CCII) per i casi più disperati. Riguarda il debitore persona fisica privo di qualsiasi attivo liquidabile, cioè che non possiede beni né redditi aggredibili da mettere a disposizione dei creditori. In passato una persona del genere, non avendo “materia” da sottoporre a procedura, restava cronicamente indebitata senza rimedio. Oggi, invece, se sussistono stringenti condizioni di meritevolezza, questo debitore può essere esdebitato senza versare nulla ai creditori (da cui il termine colloquiale di “fresh start puro”). È però necessario avviare comunque una procedura di liquidazione controllata – seppur “formale” perché non ci sono beni – e al termine chiedere l’esdebitazione in deroga. Il Tribunale verifica con particolare rigore la buona fede: come visto, il mancato pagamento di imposte o condotte strategiche portano all’esclusione. Se invece il sovraindebitato incapiente dimostra di essere nullatenente senza colpa (ad esempio perché ha subito eventi imprevedibili che lo hanno lasciato senza nulla), il giudice può azzerare i suoi debiti. Questa procedura richiede la presentazione di un’istanza tramite un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) territorialmente competente, ed è generalmente richiesta l’assistenza dell’OCC stesso nella raccolta di documenti e nella relazione da presentare al giudice. La legge ha voluto semplificare l’accesso: in diversi tribunali non è obbligatorio il difensore (avvocato) per questa procedura. Emblematico è il caso del Tribunale di Torino (decreto 11 marzo 2025), che ha autorizzato la domanda di esdebitazione dell’incapiente “a costo zero” tramite l’OCC e senza avvocato. In pratica, per i debitori senza risorse si cerca di ridurre al minimo i costi procedurali, in modo da non precludere la possibilità di rifarsi una vita neanche a chi non può pagarsi un legale. Va evidenziato che l’esdebitazione dell’incapiente non è un “colpo di spugna” incondizionato: per tutelare i creditori, il decreto di esdebitazione può prevedere obblighi di comunicazione dei futuri miglioramenti patrimoniali del debitore per i 4 anni successivi. Se, entro quattro anni dal beneficio, il debitore incapiente dovesse ricevere risorse tali da permettere di soddisfare almeno il 10% dei crediti originari, l’esdebitazione può essere revocata e i creditori riacquistano il diritto a essere pagati. In caso contrario, trascorso quel periodo senza novità, il beneficio diventa definitivo e irreversibile.

 

Novità normative e giurisprudenza recente

Le riforme degli ultimi anni hanno reso l’esdebitazione uno strumento più accessibile e incisivo per gli ex imprenditori in difficoltà. Riassumiamo le principali novità da conoscere in ottica 2023–2025:

Eliminazione dei limiti di pagamento minimo ai creditori: la vecchia legge fallimentare subordinava l’esdebitazione al pagamento di almeno una parte (ad es. il 10%) dei crediti chirografari, salvo esoneri in caso di particolare disagio. Oggi questo requisito è stato abrogato. Il D.Lgs. 83/2022 (correttivo al Codice della Crisi) ha rimosso ogni riferimento percentuale: il debitore può ottenere l’esdebitazione anche se i creditori non ricevono nulla, purché sia rispettato il requisito soggettivo della meritevolezza. Ciò allinea la norma alla giurisprudenza favorevole al fresh start: ad esempio la Corte di Cassazione, Sez. Unite, n. 3819/2021, ha statuito che tutti i debiti concorsuali – compresi i debiti tributari verso l’erario – rientrano nel beneficio dell’esdebitazione. In altre parole, anche i debiti fiscali (imposte, IVA, ecc.) vengono cancellati dal decreto di esdebitazione, fatte salve solo le eccezioni tassative (per lo più debiti derivanti da illeciti penali o amministrativi gravi). Questo è un passaggio storico: in precedenza molti ritenevano “inesdebitabili” le cartelle esattoriali, ma la Cassazione ha chiarito che il sollievo del sovraindebitato deve essere pieno, esteso ai carichi tributari (salvo che vi siano reati fiscali, in cui caso si seguono regole a parte). I debiti per sanzioni penali, alimenti, risarcimenti da fatti illeciti e poche altre categorie restano comunque esclusi per legge e dovranno essere pagati anche dopo.

Riduzione dei tempi per il fresh start: come visto, oggi tre anni sono sufficienti perché il debitore persona fisica possa ottenere l’esdebitazione nel corso di una liquidazione controllata. Questo termine triennale (a decorrere dall’apertura della procedura) è considerato il periodo di “buona condotta” oltre il quale il debitore onesto ha diritto alla liberazione dei debiti. È una notevole accelerazione rispetto al passato. Inoltre, il Tribunale dichiara d’ufficio l’esdebitazione alla chiusura della procedura o allo scadere dei 3 anni, su istanza o segnalazione del curatore/liquidatore. Ciò evita al debitore ritardi o lungaggini burocratiche nell’ottenere il beneficio. Da segnalare anche la possibilità – in alcuni tribunali – di depositare l’istanza tramite l’OCC senza obbligo di difensore per i casi di incapienza, come avvenuto a Torino nel 2025. Tutto ciò rende la procedura più snella e debtor-friendly.

Estensione dell’esdebitazione ai soggetti collettivi: un aspetto meno rilevante per l’ex imprenditore individuale, ma comunque indice della tendenza attuale, è che il CCII (art. 278 co. 4) consente l’esdebitazione anche alle società e enti collettivi, che prima ne erano esclusi. Ad esempio, in caso di fallimento (ora “liquidazione giudiziale”) di una SNC o SRL, il decreto di esdebitazione potrà ora beneficiare anche la società stessa e – novità – liberare i soci illimitatamente responsabili dai debiti sociali. In pratica, la scarica di debiti si allarga a macchia d’olio: dall’impresa ai suoi garanti, favorendo un recupero più ampio del tessuto economico. Per i piccoli imprenditori ciò significa che, se avevano una società di persone, potranno vedere cancellati i debiti sia in capo alla società estinta sia in capo a loro come ex soci.

Consolidamento degli orientamenti giurisprudenziali: le corti di merito e di legittimità negli ultimi due anni hanno emesso diverse pronunce che delineano i confini dell’esdebitazione post-riforma. Abbiamo già citato Trib. Verona 2023 sull’esclusione del debitore che non paga le tasse (non meritevole); Trib. Vicenza 2025 sull’ammissione del concordato minore per l’imprenditore cessato. A livello di Corte di Cassazione, meritano menzione Cass. civ. ord. 15155/2024 e 27562/2024, che hanno confermato il principio per cui la percentuale di soddisfacimento dei creditori non è decisiva: se il debitore possiede i requisiti soggettivi (onestà e trasparenza), l’esdebitazione va concessa anche se i creditori ricevono poco o nulla, a meno che il risultato sia proprio del tutto irrisorio o nullo in termini di realizzo. In linea con ciò, Cass. 28505/2024 (Prima Sezione) ha esplicitato che una situazione di sostanziale insolvenza totale non preclude l’esdebitazione, salvo il caso in cui sia frutto di frodi del debitore: l’unico vero discrimine è la condotta del debitore, non l’entità del pagamento. Questo orientamento uniforme rafforza il favor debitoris introdotto dalla riforma, dando sicurezza a chi intraprende la strada dell’esdebitazione: se agirà correttamente, non sarà penalizzato per il solo fatto di non aver recuperato abbastanza attivo. Infine, degna di nota è Cass. Sez. Unite 24214/2011, un precedente storico che già in epoca pre-riforma affermava il principio della meritevolezza come chiave di volta (caso di esdebitazione del piccolo imprenditore fallito). Tale principio, oggi codificato, rimane il filo conduttore di tutta la disciplina.

 

Come ottenere l’esdebitazione: iter pratico e consigli

Per un ex imprenditore sovraindebitato, intraprendere il percorso verso l’esdebitazione può sembrare complesso, ma con la giusta assistenza è fattibile. Ecco in sintesi i passi principali da compiere e alcuni suggerimenti tecnici:

Consulenza preliminare e valutazione dei requisiti – Il primo step è rivolgersi a un professionista esperto in crisi da sovraindebitamento (avvocato o organismo OCC) per analizzare la propria situazione. Bisogna valutare: l’ammontare e natura dei debiti, la presenza di eventuali beni pignorabili o di redditi, il profilo personale del debitore (ci sono state condotte anomale? precedenti procedure concorsuali? ecc.). In questa fase si verifica la fattibilità della procedura: ad esempio, se il soggetto è un consumatore o un imprenditore cessato, se ha i requisiti di meritevolezza, e quale procedura conviene (piano del consumatore, concordato minore o liquidazione controllata). Si raccolgono i documenti necessari: elenco dettagliato dei creditori e dei debiti, ultime dichiarazioni dei redditi, elenco dei beni di proprietà, eventuali atti di disposizione compiuti negli ultimi anni, stato di famiglia ed estratto di residenza, certificati dei carichi pendenti e del casellario giudiziale (per verificare assenza di condanne ostative).

Avvio della procedura presso l’OCC – Tutte le procedure di sovraindebitamento oggi passano per un Organismo di Composizione della Crisi, istituito presso Ordini professionali o enti pubblici. L’OCC nomina un gestore della crisi, una figura (avvocato, commercialista o esperto) che affianca il debitore, verifica la veridicità dei dati e predispone una relazione da presentare al Tribunale. Ci si deve quindi rivolgere ad un OCC competente per il territorio di residenza del debitore. Il gestore esaminerà la proposta di concordato minore o predisporrà il piano del consumatore, oppure (se si opta per la liquidazione) aiuterà a predisporre il ricorso per l’apertura della liquidazione controllata. In questa fase è fondamentale la collaborazione del debitore: deve fornire tutte le informazioni e documenti richiesti e astenersi da qualsiasi atto che possa pregiudicare i creditori (come nascondere beni, aggravare il debito, ecc.). Ogni eventuale mancanza di trasparenza può compromettere in seguito la valutazione di meritevolezza.

Deposito del ricorso in Tribunale – Una volta pronta la documentazione, si deposita il ricorso presso il Tribunale competente (sezione fallimentare o “diritto della crisi”). Se si tratta di un piano o concordato, il ricorso conterrà la proposta ai creditori e la classe dei creditori, insieme alla relazione dell’OCC che attesta la fattibilità e convenienza della proposta. Se è una liquidazione, il ricorso chiede l’apertura della procedura liquidatoria ex art. 268 CCII e la nomina del liquidatore. Con la presentazione del ricorso si possono chiedere misure protettive urgenti (come il blocco dei pignoramenti in corso) per congelare le azioni esecutive dei creditori in attesa della decisione. Il Tribunale fissa un’udienza e valuta i documenti: nel concordato minore potrebbe disporre una votazione dei creditori (o omologare anche in mancanza di voto se ritiene la proposta equa per tutti i creditori, in base all’art. 12 ter L.3/2012 ora trasfuso negli artt. 74-80 CCII). Se tutto è regolare, viene emesso un decreto di apertura della liquidazione controllata (o un decreto di omologa nel caso di piano/concordato). Da quel momento il debitore è ufficialmente dentro la procedura e sotto la tutela del tribunale. È opportuno sottolineare che l’apertura della procedura non comporta sanzioni personali: il debitore conserva la residenza, non subisce restrizioni della libertà (la esdebitazione non va confusa col concetto di detenzione per debiti, che non esiste). Nel caso di liquidazione, tuttavia, perderà l’amministrazione e disponibilità dei beni: questi passano al liquidatore nominato.

Svolgimento della procedura concorsuale – Nella liquidazione controllata, il liquidatore nominato dal giudice procede a formare l’inventario del patrimonio, avvisa i creditori perché presentino domanda di ammissione al passivo e realizza l’attivo (vende i beni, riscuote eventuali crediti del debitore, ecc.). Se il debitore ha un reddito da lavoro, normalmente dovrà contribuire con una parte di esso (in genere il quinto dello stipendio o un importo ritenuto “eccedente” le necessità di sostentamento sue e della famiglia, calcolate secondo parametri). Durante la procedura il debitore ha vari obblighi: cooperare col liquidatore, segnalare ogni nuova entrata, non nascondere o distruggere beni, non fare debiti ulteriori se non strettamente necessari, ecc. Un comportamento scorretto può portare alla revoca della procedura o del beneficio. Nel concordato minore o piano del consumatore, invece, il debitore dovrà effettuare i pagamenti promessi alle scadenze previste e il gestore della crisi vigilerà sull’esecuzione. In caso di inadempimento grave, il tribunale potrebbe revocare l’omologazione e far fallire il concordato, con possibili conseguenze (ad esempio, apertura di liquidazione giudiziale su istanza dei creditori).

Chiusura e domanda di esdebitazione – Ultimata la fase di liquidazione dei beni (o eseguito il piano nel concordato), il tribunale dichiara chiusa la procedura. A questo punto il debitore persona fisica può presentare (se non avviene d’ufficio) la domanda di esdebitazione. Nel nuovo sistema, come evidenziato, questa richiesta può essere presentata anche prima della chiusura se sono trascorsi 3 anni dall’apertura della liquidazione. In ogni caso, il giudice esamina la condotta del debitore e verifica l’assenza di cause ostative. Non è più previsto – a differenza del passato – che il debitore debba aver pagato una parte dei crediti chirografari: l’art. 282 CCII non contiene questa condizione. Conta invece che il debitore non abbia già beneficiato di altra esdebitazione recentemente (non si può ottenere il beneficio più di una volta ogni 5 anni, e comunque non più di due volte in totale nella vita) e che non abbia commesso reati fallimentari. Verificato ciò, il Tribunale emette il decreto di esdebitazione con cui dichiara inesigibili tutti i debiti residui anteriori all’apertura della procedura. Da quel momento, il debitore è ufficialmente liberato: i creditori non potranno più perseguirlo per quei debiti (non potranno iscrivere ipoteche, pignorare beni futuri, o semplicemente pretendere il pagamento). L’esdebitato torna ad essere economicamente “pulito”: potrà anche riottenere fiducia dal sistema creditizio dopo qualche anno, poiché la sua insolvenza pregressa viene sanata (le segnalazioni negative nei database decadono entro un certo periodo). Se invece – ipotesi rara – il tribunale nega l’esdebitazione (ad esempio perché scopre comportamenti fraudolenti prima o durante la procedura), il debitore resta obbligato verso i creditori come in origine. Contro un diniego ingiusto, comunque, è ammesso reclamo o appello a seconda dei casi.

Dopo l’esdebitazione: vita nuova (ma con prudenza) – Ottenuto il decreto di esdebitazione, l’ex imprenditore può finalmente tirare un sospiro di sollievo: i debiti del passato sono cancellati. È importante conservare con cura il provvedimento e comunicarlo a tutti i creditori, in caso qualcuno tenti ignorandolo di riscuotere lo stesso (il decreto ha effetto legale immediato, ma è buona pratica trasmetterne copia agli ex-creditori). Da questo momento, l’imprenditore può anche valutare di ripartire con nuove iniziative imprenditoriali, stavolta con maggior cautela finanziaria. L’esperienza dell’insolvenza dev’essere monito per evitare di incorrere di nuovo in situazioni insostenibili: “Historia magistra vitae”, la storia (anche personale) dovrebbe insegnare a gestire meglio i rischi. Occorre ricordare che non sarà possibile chiedere un’altra esdebitazione per almeno 5 anni, e comunque mai più di due volte nella vita. Inoltre, certi debiti sopravvivono: ad esempio, le eventuali sanzioni penali, le multe o le obbligazioni alimentari (assegni di mantenimento) restano dovute e non vengono cancellate. Infine, va mantenuta una condotta finanziaria limpida: se nei primi anni dopo l’esdebitazione emergessero nuovi beni o redditi rilevanti, non legati a normale lavoro, è opportuno valutare – con l’assistenza di un legale – se essi possano far scattare qualche obbligo verso i vecchi creditori (in caso di esdebitazione dell’incapiente, come detto, c’è un vincolo di legge di 4 anni). In generale, comunque, l’esdebitazione segna la fine del tunnel: il debitore può ricostruire la propria esistenza economica senza l’assillo delle posizioni debitorie pregresse. Questa “rinascita” è la finalità sociale più preziosa della norma, come sottolineato anche dalla letteratura economica e giuridica. Possiamo paragonare l’esdebitazione a un “battesimo” civile: il soggetto rinasce mondo dai peccati (debiti) del passato, pronto a una seconda vita creditizia. Per citare un’immagine poetica, “e quindi uscimmo a riveder le stelle”: le parole con cui Dante Alighieri conclude l’Inferno possono metaforicamente descrivere l’uscita dal purgatorio dei debiti e il ritorno alla luce di una nuova speranza.

 

Conclusioni

L’esdebitazione per ex imprenditori, artigiani e piccoli commercianti rappresenta oggi una realtà concreta e sempre più accessibile. Termini chiave come sovraindebitamento, concordato minore, liquidazione controllata, legge 3/2012, fresh start, cancellazione debiti stanno diventando familiari anche al grande pubblico, segno che l’informazione su questi strumenti si sta diffondendo. È fondamentale però affrontare tali procedure con serietà e competenza: la materia è tecnica e in continua evoluzione (le recenti riforme del 2022-2024 lo dimostrano). Affidarsi a professionisti esperti – avvocati e OCC – è indispensabile per valutare correttamente la strategia (piano o liquidazione) e per presentare le istanze in modo adeguato. Ogni caso è diverso: c’è chi potrà offrire ai creditori un concordato di soddisfazione parziale, e chi invece dovrà optare per la liquidazione dei beni; c’è chi ha commesso qualche leggerezza e dovrà dimostrare di aver agito senza intenti di frode; c’è chi ha principalmente debiti fiscali e beneficerà dell’indirizzo ormai chiaro che li include nell’esdebitazione. In ogni situazione, comunque, la legge oggi tutela il debitore sfortunato più di ieri, bilanciando l’interesse dei creditori con l’esigenza di non condannare nessuno alla “morte civile” per debiti. Come recita un antico adagio latino, “Dum spiro, spero” – finché respiro, spero: anche di fronte a debiti che paiono insormontabili, esiste una speranza concreta di uscirne grazie alle procedure di esdebitazione. Per l’ex imprenditore onesto che vuole davvero voltare pagina, il messaggio è chiaro: non tutto è perduto, le porte del fresh start sono aperte.

 

  • 29 luglio 2025
  • Marco Panato

Autore: Avv. Marco Panato


Avv. Marco Panato -

Avv. Marco Panato, avvocato del Foro di Verona e Dottore di Ricerca in Diritto ed Economia dell’Impresa – Discipline Interne ed Internazionali - Curriculum Diritto Amministrativo (Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Verona).

E' autore di pubblicazioni scientifiche in materia giuridica, in particolare nel ramo del diritto amministrativo. Si occupa anche di docenza ed alta formazione.