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Eredità digitale: il Digital Legacy Manager dei beni online - Studio Legale MP - Verona

Consulenza legale su testamento digitale e assistenza agli eredi nella gestione di account, criptovalute, archivi cloud ed email: come pianificare il patrimonio digitale post mortem

 

Il mondo digitale ha profondamente cambiato il concetto di eredità. Non si tratta più solo di beni fisici o denaro: profili social, account email, file nel cloud, criptovalute, NFT, domini web e altri beni immateriali fanno parte del patrimonio di ciascuno di noi. Organizzare per tempo la sorte di queste risorse – ciò che chiamiamo eredità digitale – è essenziale per evitare che vadano perdute o che gli eredi affrontino difficoltà nell’accesso. Come scriveva Ugo Foscolo, "Sol chi non lascia eredità d’affetti, poca gioia ha dell’urna": lasciare qualcosa di sé ai posteri è da sempre un desiderio umano. Oggi, oltre agli affetti e ai ricordi, lasciamo tracce digitali che possono avere grande valore affettivo ed economico. Pianificarne la gestione post mortem diventa un atto di responsabilità e lungimiranza verso i propri cari.

 

Cosa si intende per eredità digitale
Con eredità digitale si intende l’insieme di tutti i beni e le informazioni digitali che una persona lascia al momento del decesso. Alcuni di questi beni hanno natura patrimoniale: ad esempio, le criptovalute presenti in un wallet, i fondi su un conto PayPal, eventuali guadagni da piattaforme online, opere creative digitali protette da diritto d’autore o crediti monetari (come un credito residuo su un account e-commerce). Questi rientrano a pieno titolo nel patrimonio ereditario tradizionale: ai sensi dell’art. 456 c.c., la successione si apre alla morte e comprende tutti i beni del defunto. Anche l’art. 588 c.c. conferma che alla morte si trasferiscono agli eredi tutti i beni, diritti e obblighi del de cuius, potenzialmente includendo anche i beni digitali.

Molti dati digitali, però, hanno carattere personale o non patrimoniale: si pensi alle fotografie, ai messaggi, alle email, ai profili social, ai blog, ai contenuti multimediali caricati online. Tradizionalmente, i diritti della personalità e i rapporti strettamente personali si estinguono con la morte (antico adagio: mors omnia solvit, la morte scioglie ogni cosa). Le password, inoltre, spesso muoiono con il titolare, rendendo inaccessibili i servizi online. Così, un account social o di posta elettronica non può essere “ereditato” come un bene materiale, perché vincolato a un contratto di servizio intestato esclusivamente al defunto. Le grandi piattaforme inseriscono nei Termini e Condizioni clausole che vietano il trasferimento dell’account: in sostanza, l’utente non è proprietario dei propri profili ma ha solo una licenza d’uso personale e generalmente non trasferibile. Ciò crea una zona grigia: da un lato, per gli eredi quei dati e quegli account possono avere valore affettivo (foto, conversazioni) o anche pratico (documenti importanti archiviati in cloud, contatti email utili); dall’altro, legalmente subentrare in un account altrui viola sia le condizioni d’uso sia, potenzialmente, la normativa sulla privacy e i reati informatici (l’accesso abusivo a un sistema informatico, ex art. 615-ter c.p., punisce chi entra in un account altrui senza autorizzazione).

Le sfide giuridiche: tra vuoti normativi e diritti degli eredi
In Italia, al momento non esiste una legge specifica che regoli in modo organico la successione dei beni digitali. Si applicano quindi le norme generali in materia successoria, con gli adattamenti giurisprudenziali del caso. La dottrina ha più volte evidenziato la lacuna normativa e la necessità di un intervento legislativo ad hoc. Alcune problematiche chiave includono:

Distinzione tra beni patrimoniali e personali: come visto, solo i beni di valore economico certo rientrano automaticamente nell’asse ereditario. I contenuti di natura personale (ad esempio, corrispondenza privata email, chat, profili social) in teoria si estinguono con la persona. Tuttavia, proprio su questi contenuti personali può concentrarsi l’interesse degli eredi di conservare ricordi o di tutelare l’immagine del defunto.

Clausole contrattuali dei provider: i contratti di servizi digitali (social network, servizi cloud, email provider) spesso stabiliscono che l’account è strettamente personale e cessa con la morte. Questo significa che, formalmente, i gestori potrebbero negare agli eredi l’accesso o la portabilità dell’account, appellandosi al contratto. Tali clausole predisposte unilateralmente sono tipiche dei rapporti B2C digitali; secondo il Codice del Consumo, potrebbero persino essere dichiarate vessatorie se privano il consumatore (o i suoi successori) di diritti fondamentali.

Tutela della privacy vs. diritti successori: c’è un delicato bilanciamento tra la riservatezza del defunto e i diritti degli eredi. Il GDPR (Reg. UE 2016/679) non si applica alle persone decedute, come chiarito dal Considerando 27. L’Italia però, all’art. 2-terdecies del Codice Privacy (D.lgs. 196/2003 modificato nel 2018), stabilisce che i diritti sui dati personali di una persona deceduta possono essere esercitati da chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela del defunto, o per ragioni familiari meritevoli di protezione, salvo che il defunto non lo abbia espressamente vietato in vita. In altre parole, i familiari (e altri aventi causa) possono chiedere a un titolare del trattamento l’accesso o la consegna dei dati del de cuius, per esempio per ottenere copie di documenti, foto o informazioni necessarie a far valere diritti patrimoniali derivanti dalla morte (si pensi all’identificazione dei beneficiari di un’assicurazione vita). Tale facoltà, tuttavia, incontra un limite se il defunto ha lasciato una dichiarazione scritta vietando l’accesso ai propri dati dopo la morte – divieto che comunque “non può pregiudicare l’esercizio da parte dei terzi dei diritti patrimoniali derivanti dalla morte” (quindi, ad esempio, non si può impedire agli eredi di ottenere dati necessari a calcolare la legittima).

La giurisprudenza recente sta progressivamente definendo questi confini. Una pronuncia importante è arrivata dalla Corte di Cassazione: con l’ordinanza n. 3565 dell’8 febbraio 2024 (Cass. civ., Sez. I) è stato riconosciuto il diritto degli eredi di accedere ai dati personali di un proprio caro defunto, in applicazione dell’art. 2-terdecies Cod. Privacy. In quel caso concreto, gli eredi (moglie e figlio) avevano chiesto a una compagnia assicurativa di conoscere i beneficiari di alcune polizze vita stipulate dal defunto, al fine di verificare possibili lesioni della loro quota di legittima; la Cassazione ha dato ragione agli eredi, chiarendo che il provider (l’assicurazione) deve consentire l’accesso ai dati richiesti in quanto gli eredi agiscono per “ragioni familiari meritevoli di protezione” e per tutelare diritti successori (azione di riduzione della legittima). Si tratta di un principio che, pur riferito a dati assicurativi, può estendersi anche ai dati digitali personali custoditi da provider tecnologici.

Già alcuni tribunali di merito avevano aperto la strada. Il Tribunale di Milano, con un’ordinanza storica del 2021, ha ordinato per la prima volta in Italia a una società tecnologica di fornire ai genitori di un ragazzo deceduto l’accesso ai dati del suo account iCloud (contenente foto, video e documenti), malgrado l’iniziale diniego opposto dalla società per motivi di privacy. Il giudice milanese, infatti, ha ritenuto che quei dati – veri e propri “ricordi digitali” del figlio – facessero parte del patrimonio relazionale e affettivo della famiglia, e che negarli avrebbe causato un pregiudizio grave e irreparabile ai diritti dei genitori. Questo orientamento è stato confermato in seguito da altri provvedimenti: ad esempio, il Tribunale di Bologna e il Tribunale di Roma in casi analoghi hanno consolidato il diritto dei familiari di accedere ai dati online del defunto, purché ciò avvenga per ragioni meritevoli e senza ledere la privacy di eventuali terzi coinvolti (ad esempio, nelle comunicazioni del defunto potrebbero esservi dati di terze persone, che vanno comunque tutelati).

Da ultimo, anche il Tribunale di Venezia, con ordinanza del 4 giugno 2025, si è pronunciato sul tema: un erede chiedeva l’accesso all’account online di un proprio congiunto defunto, scontrandosi con le clausole contrattuali del servizio telematico che impedivano il subentro. Il giudice veneziano ha approfondito il bilanciamento tra quelle clausole e i diritti ereditari, confermando l’orientamento favorevole agli eredi. In sostanza, la clausola contrattuale che nega l’accesso post mortem può essere disapplicata se contrasta con principi di ordine pubblico successorio o con il diritto degli eredi di ottenere dati necessari a far valere i propri diritti. Questa pronuncia sottolinea come i tempi siano maturi per riconoscere un vero e proprio “diritto all’eredità digitale” in capo ai successori, anche in assenza di una norma specifica.

Strumenti per pianificare l’eredità digitale: testamento digitale e mandato post mortem
Visto il quadro complesso, è fortemente consigliato muoversi in anticipo per organizzare la propria eredità digitale. Uno Studio Legale con competenze specifiche può offrire un servizio Digital Legacy Manager, ovvero una consulenza completa per la pianificazione e gestione del patrimonio digitale post mortem. Questo servizio tipicamente comprende:

Censimento dei beni digitali: insieme al cliente si individuano tutti gli account, gli asset e i contenuti digitali rilevanti (profili social, account finanziari online, wallet di criptovalute, piattaforme di cloud storage, siti web, ecc.). Si valutano il valore economico e affettivo di ciascun elemento e le relative credenziali di accesso.

Testamento digitale: si predispongono disposizioni specifiche da inserire nel testamento del cliente riguardo i beni digitali. Ad esempio, si può indicare quale erede o persona di fiducia avrà il compito di gestire determinati account; si possono lasciare istruzioni sulle volontà postume (es. “desidero che il mio profilo Facebook venga trasformato in account commemorativo” oppure “voglio che le mie foto sul cloud siano consegnate ai miei figli e poi l’account chiuso”). Il testamento digitale non è un documento a sé stante riconosciuto formalmente dalla legge italiana, ma consiste nell’includere nel proprio testamento tradizionale clausole e indicazioni sui beni digitali. Poiché il testamento vero e proprio verrà pubblicato dopo la morte, è bene non inserire direttamente al suo interno le password (che potrebbero diventare di pubblico dominio tra gli eredi); meglio prevedere che le credenziali siano conservate separatamente (ad esempio in una busta chiusa depositata da un notaio, o tramite un servizio online sicuro) e che l’esecutore testamentario o un fiduciario le riceva al momento opportuno.

Mandato post mortem exequendum: è lo strumento giuridico con cui il testatore (in vita) nomina un mandatario incaricato di svolgere determinate azioni dopo la sua morte. Il mandato post mortem, a lungo dibattuto, è oggi ritenuto valido dalla giurisprudenza – a patto che il contratto sia concluso mentre il mandante è in vita e l’esecuzione avvenga dopo la morte senza configurare un patto successorio vietato (art. 458 c.c.). La Corte di Cassazione ha confermato questa validità, ad esempio con la sentenza n. 9397 del 10 aprile 2025 (Cass. civ., Sez. II), ribadendo che un negozio inter vivos che preveda effetti post mortem (nel caso esaminato, un obbligo di pagamento ad un coerede entro un anno dalla morte della madre, assunto in cambio dell’assistenza prestata in vita) non viola il divieto di patti successori. In ambito digitale, ciò significa che è lecito e consigliabile conferire ad una persona di fiducia – tramite atto scritto, anche con scrittura privata autenticata da notaio – il mandato di occuparsi di specifici aspetti digitali dopo il nostro decesso. Ad esempio, il mandatario potrà essere incaricato di: comunicare il decesso ai vari provider online; gestire (o cancellare) profili social; recuperare file da dispositivi o cloud e consegnarli agli eredi designati; trasferire criptovalute dai wallet del defunto agli eredi legittimi, fornendo le chiavi necessarie.

Servizi online e soluzioni tecnologiche: esistono piattaforme e app pensate per la gestione dell’eredità digitale. Alcune permettono di designare un legacy contact (contatto erede) direttamente sulle piattaforme più note: ad esempio, Facebook consente di indicare un contatto erede che potrà gestire l’account memoriale; Apple con la funzione Legacy Contact (Contatto Erede) permette di scegliere persone che potranno accedere ai dati iCloud dopo la morte (previa procedura di autenticazione); Google offre il programma Account Inattivo dove si possono lasciare istruzioni su cosa fare dell’account se diventa inattivo. È bene attivare queste opzioni dove disponibili. In più, alcuni servizi terzi (anche notarili) consentono di conservare in vita un “testamento digitale” criptato che verrà recapitato agli eredi o eseguito automaticamente al verificarsi di certe condizioni (ad esempio, smart contract su blockchain programmati per rilasciare le chiavi di un wallet una volta ricevuta notizia dell’avvenuto decesso certificata). Queste tecnologie sono ancora emergenti, ma fanno parte degli strumenti possibili per completare la pianificazione.

Assistenza agli eredi: come recuperare i beni digitali di un defunto
Nonostante le migliori pianificazioni, capita spesso che una persona venga a mancare senza aver lasciato istruzioni sui propri beni digitali. In tali situazioni, gli eredi possono trovarsi di fronte a ostacoli pratici e legali. Ecco alcune azioni possibili:

Recupero delle credenziali: se il defunto ha conservato le password (magari in un gestore password, in un file o agenda privata), gli eredi dovrebbero cercare e utilizzare tali credenziali con cautela. Qualora riescano ad accedere direttamente agli account, potranno esportare i dati e chiudere i profili come da volontà presunta del defunto. Tuttavia, attenzione: accedere ad un account altrui senza autorizzazione esplicita può violare la legge. Formalmente, l’ideale sarebbe che un erede ottenga dall’autorità (ad esempio con un provvedimento del tribunale) l’autorizzazione o l’ordine per il provider di consentire l’accesso. Nella pratica, molte famiglie accedono comunque agli account del congiunto usando le sue password, ma è opportuno valutare caso per caso con un legale, specie in presenza di possibili conflitti tra eredi o di dati sensibili.

Richiesta ufficiale ai provider: gli eredi possono contattare direttamente le società (come Facebook, Google, Microsoft, ecc.) inviando copia del certificato di morte e documentazione che attesti la qualità di erede, chiedendo l’accesso ai dati o la chiusura dell’account. Alcune aziende hanno procedure standard: ad esempio, Facebook permette di trasformare il profilo in commemorativo o di cancellarlo su richiesta di familiari verificati; Google può fornire i contenuti di un account Gmail/Drive di un defunto previa richiesta formale (valutata caso per caso); Apple, per gli account iCloud senza contatto erede impostato, richiede un ordine dell’autorità giudiziaria. Spesso le risposte non sono immediate o positive, ed è qui che serve l’intervento legale.

Ricorso all’autorità giudiziaria: se il provider rifiuta di collaborare o pone ostacoli, gli eredi possono rivolgersi al Garante per la protezione dei dati personali o al tribunale. Un reclamo al Garante Privacy può portare a un provvedimento che ordina al titolare del trattamento (es. la società tech) di consegnare i dati richiesti agli eredi, applicando l’art. 2-terdecies. In alternativa, si può agire in giudizio con un ricorso d’urgenza (come avvenuto nel caso Apple/iCloud a Milano) per ottenere un’ordinanza che ingiunga all’azienda di fornire l’accesso o i dati specifici. Le recenti sentenze che abbiamo illustrato costituiscono dei precedenti favorevoli: oggi un giudice italiano ha basi solide per riconoscere il diritto all’accesso digitale degli eredi, sempre bilanciando gli interessi in gioco.

Tutela dei diritti patrimoniali: Nel caso di beni digitali di valore economico (criptovalute, crediti su piattaforme, ecc.), gli eredi dovranno attivarsi per rivendicarli formalmente nell’asse ereditario. Ciò può richiedere la notifica della successione ai gestori (ad esempio, comunicare a un exchange di criptovalute il subentro degli eredi nel saldo intestato al defunto) o, se l’asset è decentralizzato (come un wallet personale di Bitcoin), l’utilizzo diretto delle chiavi che dovrebbero essere state reperite. Se vi sono dubbi o dispute sulla proprietà di un bene digitale, si può ricorrere al giudice affinché qualifichi giuridicamente quell’asset e ne disponga l’assegnazione secondo le norme successorie.

Un servizio innovativo dello Studio Legale MP
La gestione dell’eredità digitale richiede competenze trasversali di diritto ereditario, informatico e privacy. Lo Studio Legale MP offre un servizio completo di Digital Legacy Manager, affiancando i clienti nella pianificazione accurata del destino dei propri beni digitali e assistendo gli eredi in tutte le fasi necessarie per recuperare o tutelare gli asset online del defunto. Attraverso consulenza personalizzata, predisposizione di testamenti digitali, mandati post mortem e dialogo con i provider tecnologici, aiutiamo a garantire che nulla del patrimonio digitale vada perduto e che le volontà della persona siano rispettate anche nel mondo virtuale.

Ricorda: pianificare oggi la tua eredità digitale significa proteggere domani i tuoi cari da incertezze e difficoltà. Non lasciare che anni di ricordi, dati preziosi o valori economici online svaniscano nel nulla. Rivolgiti allo Studio Legale MP per una consulenza su misura: ti aiuteremo a predisporre tutti gli strumenti giuridici necessari affinché la tua presenza digitale, post mortem, sia gestita esattamente secondo le tue volontà.

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  • 10 ottobre 2025
  • Marco Panato

Autore: Avv. Marco Panato


Avv. Marco Panato -

Avv. Marco Panato, avvocato del Foro di Verona e Dottore di Ricerca in Diritto ed Economia dell’Impresa – Discipline Interne ed Internazionali - Curriculum Diritto Amministrativo (Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Verona).

E' autore di pubblicazioni scientifiche in materia giuridica, in particolare nel ramo del diritto amministrativo. Si occupa anche di docenza ed alta formazione.