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Diritto all’Oblio: Quando e Come Ottenere la Rimozione dei Propri Dati dal Web - Studio Legale MP - Verona

rivacy online e memoria digitale: cos’è il diritto all’oblio, quali sono i limiti rispetto al diritto di cronaca e quali rimedi offre la legge (dalla deindicizzazione sui motori di ricerca alle note informative sugli articoli di cronaca).

Nell’era di internet, le informazioni pubblicate online tendono a rimanere accessibili indefinitamente, creando una sorta di memoria digitale perenne. Ciò non sempre è un bene: per chi è stato protagonista di vicende giudiziarie o di cronaca ormai remote, o per chi vede circolare sul web dati personali non aggiornati e pregiudizievoli, esiste una tutela chiamata diritto all’oblio. In sostanza, il diritto all’oblio è il diritto a non rimanere esposti, senza limiti di tempo, ad una rappresentazione non più attuale della propria persona, con pregiudizio alla reputazione e alla riservatezzanjus.it. Come recita un detto latino, verba volant, scripta manent – le parole volano, gli scritti rimangono: sul web, ciò che è scritto rimane raggiungibile anche a distanza di anni. Il diritto all’oblio nasce proprio per porre un equilibrio tra la memoria indelebile di Internet e la possibilità per una persona di voltare pagina dopo un certo tempo.

Questo diritto, tuttavia, non è assoluto. Deve essere bilanciato con il diritto di cronaca e con l’interesse pubblico a ricordare fatti di rilievo storico o socialenjus.it. Ad esempio, se una persona è stata assolta dopo essere stata inizialmente coinvolta in un caso giudiziario molto noto, è giusto che – trascorso un certo periodo – le notizie vecchie che lo dipingevano come indagato o imputato vengano dimenticate o quanto meno contestualizzate. Chi controlla il passato controlla il futuro; chi controlla il presente controlla il passato, scrive Orwell in 1984, evidenziando come la gestione delle informazioni del passato possa influenzare la vita delle persone nel presente e nel futuro. Nel nostro ordinamento, il bilanciamento tra oblio e informazione avviene caso per caso: i giudici valutano l’effettiva attualità dell’interesse pubblico verso la notizia contrapposta al tempo trascorso e alla situazione attuale della persona coinvolta. Se l’episodio è ormai remoto e la persona non riveste (né rivestirà più) un ruolo pubblico, tende a prevalere il diritto all’oblio; viceversa, per fatti ancora di interesse generale o riguardanti personaggi pubblici attivi, il diritto di cronaca può giustificare il mantenimento online della notizia.

In concreto, come si esercita il diritto all’oblio? Gli strumenti principali sono due:

Deindicizzazione dai motori di ricerca: si tratta di fare in modo che determinate pagine web non compaiano più tra i risultati quando si cerca il nome dell’interessato su Google (o altri motori). Attenzione: la pagina web in sé non viene rimossa dal sito originario (ad es. l’archivio online di un giornale), ma viene resa non più raggiungibile tramite i normali motori di ricerca esterninjus.it. In pratica, la notizia rimane nell’archivio, ma “sparisce” da Google, a meno di cercarla direttamente sul sito che la ospita. Questo rimedio – talora detto delisting – è stato riconosciuto dalla giurisprudenza (storico il caso Google Spain del 2014) e oggi è previsto espressamente dall’art. 17 del GDPR (Regolamento UE 2016/679). Viene tipicamente adottato quando la notizia non si vuole o non si può cancellare del tutto, ma se ne vuole ostacolare la diffusione massiva col passare del tempo.

Annotazione/aggiornamento delle notizie (o cancellazione, in alcuni casi): in ambito di cronaca giudiziaria, la Cassazione ha suggerito che sugli articoli online datati possa essere apposta una nota informativa che dia conto dell’esito finale del procedimento – ad esempio della successiva assoluzione – in modo da collegare alla notizia superata un aggiornamento che tuteli la persona coinvolta. Con l’ordinanza n. 2893 del 31 gennaio 2023, la Suprema Corte ha indicato questa soluzione come equo contemperamento: mantenere l’articolo nell’archivio storico del giornale (che svolge una funzione di memoria documentale), ma accompagnarlo con un avviso sul successivo sviluppo favorevole all’interessato. Così si evita di “riscrivere la storia” cancellando pezzi di archivio, ma al contempo si protegge la reputazione di chi, magari dopo anni, è stato scagionato o riabilitato rispetto ai fatti originari.

La giurisprudenza recente in materia è piuttosto ricca. Una sentenza della Cassazione di dicembre 2023 (Sez. I civ., n. 36021) ha ribadito la necessità di un effettivo bilanciamento tra il diritto all’oblio e il diritto all’informazione: occorre valutare l’attualità dell’interesse pubblico alla notizia e il tempo trascorso, poiché oltre un certo limite temporale le vicende passate perdono rilevanza e deve prevalere l’esigenza di riservatezza. Un’altra decisione, del 30 maggio 2025 (Cass. civ. Sez. I, n. 14488/2025), ha riguardato il caso di un soggetto inizialmente accusato di associazione mafiosa e poi assolto; egli chiedeva la rimozione dai risultati di ricerca degli articoli che ancora lo associavano al clan mafioso. La Corte, in quell’occasione, ha sottolineato che non si può lasciare indefinitamente online un’informazione non veritiera o non aggiornata che attribuisce a qualcuno accuse infamanti da cui è stato scagionato. Tuttavia, la soluzione individuata non è stata quella di cancellare del tutto gli articoli dai siti dei quotidiani (che svolgono una funzione di cronaca storica), bensì di ordinarne la deindicizzazione dai motori di ricerca e di accompagnarli con una nota che desse conto dell’assoluzione dell’interessato.

Anche a livello europeo, sia la Corte di Giustizia UE che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo hanno contribuito a definire i confini del diritto all’oblio. La CGUE, ad esempio, con la sentenza Google (CNIL) del 2019, ha stabilito che Google deve accogliere le richieste di deindicizzazione sulle versioni europee del motore di ricerca, ma non è tenuto (di regola) a deindicizzare a livello globale tutte le versioni extra-UE. La Corte EDU, in casi come M.L. c. Germania (2015), ha riconosciuto il diritto all’oblio riguardo agli archivi online dei giornali, specie quando si tratta di persone comuni coinvolte in fatti minori: pur tutelando la funzione degli archivi come memoria storica, ha richiesto misure come l’anonimizzazione dei nomi nelle vecchie notizie per proteggere la privacy di chi non riveste più interesse pubblico. In Italia, le Sezioni Unite civili nel 2019 (sent. n. 19681) hanno affermato che menzionare nome e cognome di persone protagoniste di fatti del passato è lecito solo se esse, nel momento presente, destano ancora l’interesse della collettività per notorietà o ruolo pubblico; in caso contrario prevale il diritto alla riservatezza degli interessati rispetto a vicende remote che ne ledono onore e dignità, di cui si è ormai spenta la memoria collettiva.

Per far valere il diritto all’oblio, chi si sente leso può seguire questo percorso: rivolgersi prima in via stragiudiziale al gestore del sito o al motore di ricerca (ad esempio usando l’apposito modulo online di Google per il diritto all’oblio) chiedendo la rimozione/deindicizzazione; in caso di rifiuto, presentare ricorso al Garante Privacy oppure adire l’autorità giudiziaria ordinaria con un ricorso d’urgenza. È fondamentale allegare alla richiesta i motivi: sottolineare il tempo trascorso, l’eventuale intervenuta assoluzione o non attualità dei fatti, e dimostrare come la permanenza online di quelle informazioni provochi un danno concreto (reputazione, vita professionale, salute, ecc.).

Va infine chiarito che il diritto all’oblio non mira a censurare la storia o impedire il diritto di cronaca su fatti di pubblico interesse. Piuttosto, rappresenta – come lo definisce la Cassazione – una nuova frontiera di tutela dei tradizionali diritti della personalità (riservatezza, identità personale, onore, reputazione) nell’era digitale. È attivabile quando il disvalore legato alla diffusione di un’informazione risiede principalmente nel divario temporale: ovvero quando di quella vicenda passata non si parla più, la persona è cambiata o è stata scagionata, eppure Internet continua a “riproporre” all’infinito quel vecchio capitolo, cristallizzando un’immagine non più veritiera. In queste situazioni, il diritto all’oblio permette – senza riscrivere il passato – di limitare l’accessibilità di ciò che appartiene ormai al passato, per consentire agli individui di non restare prigionieri dei propri errori (o altrui accuse) per tutta la vita digitale.

  • 19 luglio 2025
  • Marco Panato

Autore: Avv. Marco Panato


Avv. Marco Panato -

Avv. Marco Panato, avvocato del Foro di Verona e Dottore di Ricerca in Diritto ed Economia dell’Impresa – Discipline Interne ed Internazionali - Curriculum Diritto Amministrativo (Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Verona).

E' autore di pubblicazioni scientifiche in materia giuridica, in particolare nel ramo del diritto amministrativo. Si occupa anche di docenza ed alta formazione.