
La salute mentale è parte integrante del diritto alla salute tutelato dall'art. 32 della Costituzione. In ambito civilistico, per "danno psichico" si intende una lesione dell'integrità psicologica della persona, cioè un pregiudizio clinicamente accertabile come disturbo o malattia mentale causata da un fatto illecito. Non va confuso con il semplice "danno morale" transitorio (il turbamento emotivo passeggero: i latini direbbero patema d'animo). Il danno psichico implica invece un'alterazione patologica, spesso attestata da una diagnosi (depressione, disturbo post-traumatico da stress PTSD, ansia cronica, ecc.) che incide sulle normali funzioni della vita quotidiana. In altre parole, se un evento lesivo provoca sofferenze interiori così gravi da degenerare in una malattia della psiche, la legge ne riconosce la risarcibilità al pari di una lesione fisica. Mens sana in corpore sano, dicevano i latini: mente e corpo sono un'unità inscindibile anche per il nostro ordinamento.
Per molti anni la giurisprudenza ha dibattuto sulle categorie di danno non patrimoniale (biologico, morale, esistenziale). Oggi vige un principio di unitarietà: il danno non patrimoniale è uno solo, comprensivo di ogni sofferenza o turbamento che deriva dalla lesione di un diritto costituzionale (come la salute, l'onore, gli affetti). Ciò non impedisce però di valutare separatamente le diverse voci nel concreto. Ad esempio, il danno biologico psichico è la quota di danno non patrimoniale che si riferisce a vere e proprie patologie mentali indotte dall'illecito, mentre il danno morale indica il dolore soggettivo e temporaneo. Il danno esistenziale, concetto un po' sfumato, si riferisce invece ai cambiamenti peggiorativi stabili nello stile di vita e nelle relazioni (ad esempio la perdita di interesse nel sociale, rinunce a progetti di vita, ecc.). Queste distinzioni descrittive servono a non trascurare alcun aspetto del pregiudizio seguito dalla vittima.
La Corte di Cassazione ha chiarito che quando la sofferenza interiore supera la soglia del mero dispiacere e diventa essa stessa malattia, ci troviamo di fronte a un danno biologico a tutti gli effetti, non a "semplice" danno morale. In una recente pronuncia, gli Ermellini spiegano che se il turbamento psichico causato dall'illecito degenera in una lesione medicalmente accertata dell'equilibrio psichico (come un disturbo depressivo), esso va risarcito come danno biologico unitario. Non vi è duplicazione, ma riconoscimento dell'unità mente-corpo: la depressione clinica conseguente a un trauma è trattata alla stregua di una lesione fisica. Così ha stabilito la Cass. civ., Sez. III, sent. n. 10787/2024, segnando un importante passo avanti verso una tutela piena della salute psicologica.
"Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria", scrive Dante Alighieri. La sofferenza psicologica può essere devastante, ma in giudizio deve essere provata. Chi chiede il risarcimento di un danno psichico deve fornire evidenze: certificati medici, diagnosi specialistiche, perizie medico-legali che attestino la presenza di un disturbo e il nesso causale con l'evento dannoso. Il giudice, non essendo un medico, si avvale di consulenti tecnici d'ufficio (CTU) per valutare la psicopatologia lamentata. Serve quindi un rigoroso supporto scientifico: relazioni di psichiatri o psicologi forensi che quantifichino l'entità del danno in termini di invalidità temporanea o permanente sulla persona.
Proprio in tema di quantificazione, la Cassazione ha ribadito che il danno morale (cioè il dolore soggettivo) è componente autonoma del danno non patrimoniale, sempre teoricamente risarcibile anche nelle lesioni lievi (micropermanenti). Tuttavia occorre evitare duplicazioni: se la menomazione biologica è già stata valorizzata al massimo proprio tenendo conto degli aspetti soffertori, non si può aggiungere automaticamente un'ulteriore somma per danno morale senza adeguata motivazione. Lo ha affermato la Cass. civ., Sez. III, sent. n. 13383/2025 (richiamando anche Cass. n. 5547/2024). In pratica, nelle lesioni di lieve entità il giudice può riconoscere una cifra extra per il patimento interiore solo se è dimostrato con particolare rigore che la vittima ha subito conseguenze emotive straordinarie non già compensate dal normale risarcimento biologico. Questo principio evita di risarcire due volte lo stesso pregiudizio, ma nel contempo conferma che la "sofferenza interiore" è un pregiudizio reale da considerare (specie nei casi più gravi).
Un capitolo fondamentale nella tutela della salute psicologica è quello dello stress lavorativo e del mobbing. Il luogo di lavoro può diventare teatro di pressioni psicologiche, prevaricazioni, emarginazione o sovraccarico, con conseguenze serie sul benessere mentale del dipendente. La legge impone al datore di lavoro di tutelare l'integrità psicofisica dei lavoratori (art. 2087 c.c.) e la giurisprudenza è sempre più attenta a sanzionare le violazioni di questo dovere.
La Corte di Cassazione ha recentemente affermato che anche l'assenza di mansioni e l'isolamento forzato del dipendente (il cosiddetto mobbing strategico tramite inattività) possono costituire fonte di danno risarcibile. Non serve provare un intento persecutorio esplicito: conta l'effetto oggettivo e continuativo di svilimento e stress subito dal lavoratore. In un caso del 2024 è stato riconosciuto il risarcimento a una dipendente pubblica lasciata per lungo tempo senza incarichi e isolata sul luogo di lavoro, situazione che le aveva provocato un forte stress psicofisico. La Suprema Corte ha accolto il ricorso della lavoratrice, sottolineando l'importanza dell'obbligo di prevenzione a carico dell'ente e condannando il datore a risarcire il danno da stress lavoro-correlato (Cass. civ., Sez. Lav., ord. n. 22161/2024). Allo stesso modo, è configurabile il mobbing anche senza insulti o aggressioni dirette, quando vi sia un insieme di comportamenti ostili sistematici tali da minare la dignità e la tranquillità del dipendente. In tali frangenti, oltre al danno biologico psichico (es. nevrosi ansiosa, depressione reattiva da lavoro), può essere riconosciuto un danno morale ed esistenziale per la sofferenza e la compromissione della vita privata causate dall'ambiente tossico.
Da notare che il danno psichico da lavoro può rilevare anche in sede di malattia professionale o di infortunio sul lavoro: se un impiego è talmente usurante da generare disturbi mentali (burnout, attacchi di panico, esaurimento nervoso), il lavoratore ha diritto alle tutele assicurative INAIL e può anche promuovere un'azione risarcitoria civile per il maggior danno sofferto. Recentemente, la Cassazione penale (Sez. IV, sent. n. 14799/2025) ha persino configurato come lesioni colpose a carico del datore di lavoro il grave disturbo da panico sviluppato da una lavoratrice impiegata nel turno notturno, evidenziando che il Documento di Valutazione dei Rischi aziendale era inadeguato e generico sugli aspetti di stress correlato. Ciò dimostra una crescente sensibilità anche in ambito penalistico verso la tutela della salute mentale nei luoghi di lavoro.
Chi subisce un danno psicologico ingiusto non deve sentirsi impotente. È possibile agire legalmente per ottenere giustizia e un equo risarcimento, a compensazione delle terapie necessarie e del dolore patito. È essenziale muoversi tempestivamente, raccogliendo sin da subito la documentazione medica del disagio psichico (referti di pronto soccorso, relazioni di specialisti, ricevute di psicoterapia, ecc.) e rivolgendosi a un legale esperto in responsabilità civile e diritto del lavoro. Il percorso può essere complesso: occorre spesso affrontare una consulenza tecnica d'ufficio e contrapporsi ai periti delle controparti (compagnie assicurative o enti datoriali) che tendono a minimizzare il danno.
In caso di incidenti stradali o malasanità, il danno psichico del paziente o dei familiari colpiti (si pensi al trauma per la perdita di una persona cara, il cosiddetto danno da lutto) è riconosciuto dai tribunali e va richiesto nell'ambito della causa risarcitoria. Allo stesso modo, nelle controversie di lavoro per mobbing o stress, il dipendente dovrà allegare e provare la lesione alla propria salute psichica derivata dalle condotte datoriali illegittime.
Ricordiamo che la sofferenza interiore, benché invisibile, ha piena dignità nell'ordinamento: la legge tutela "la salute" come benessere psico-fisico complessivo, e i giudici – seguendo l'evoluzione sociale – condannano sempre più spesso i comportamenti che producono ferite nell'animo oltre che nel corpo.
Avv. Marco Panato, avvocato del Foro di Verona e Dottore di Ricerca in Diritto ed Economia dell’Impresa – Discipline Interne ed Internazionali - Curriculum Diritto Amministrativo (Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Verona).
E' autore di pubblicazioni scientifiche in materia giuridica, in particolare nel ramo del diritto amministrativo. Si occupa anche di docenza ed alta formazione.