Cookie Consent by Free Privacy Policy Generator
Studio Legale MP - Verona logo
Conto cointestato e debiti: chi rischia e come difendersi - Studio Legale MP - Verona

Cosa succede a un conto corrente cointestato se uno degli intestatari ha debiti? Le nuove sentenze della Cassazione delineano i limiti del pignoramento e le tutele per il cointestatario ignaro

 

Introduzione

«Communio est mater rixarum», dicevano gli antichi giuristi: la comunione (dei beni) è madre delle liti. La saggezza popolare ci mette in guardia anche sui soldi condivisi: “Non fare né un prestito né un debito: il prestito spesso fa perdere insieme il denaro e l’amico” (Shakespeare, Amleto). Queste massime calzano a pennello per i conti correnti cointestati, strumenti utili per gestire finanze familiari o di coppia, ma che possono diventare terreno di conflitto quando uno degli intestatari ha debiti significativi. In tali situazioni, infatti, il conto comune rischia di finire nel mirino dei creditori di uno solo degli intestatari, con possibili blocchi delle somme e complicazioni legali. In questo articolo analizziamo in modo chiaro e tecnico cosa prevede la legge italiana in materia, alla luce delle ultime pronunce della Corte di Cassazione nel 2024–2025, per capire chi rischia cosa e come può difendersi il cointestatario non indebitato. Affronteremo i concetti di presunzione di contitolarità del denaro, i limiti al pignoramento del conto cointestato e i mezzi di tutela pratici, così da offrire una guida completa su un tema di grande attualità e interesse.

 

Cosa dice la legge sui conti cointestati

Un conto corrente cointestato è un conto bancario intestato a più persone, ciascuna delle quali ha facoltà di operare sul conto (salvo diversi accordi specifici). Giuridicamente, l’art. 1854 del Codice Civile prevede che “gli intestatari sono considerati creditori o debitori in solido dei saldi del conto”. In altre parole, verso la banca tutti i cointestatari risultano solidalmente titolari del saldo presente sul conto. Questa solidarietà attiva significa che, ad esempio, ciascun intestatario può prelevare fino al totale disponibile, come se ne fosse unico titolare, salvo poi regolare i rapporti interni con gli altri intestatari.

Tuttavia, solidarietà non equivale necessariamente a comproprietà paritetica delle somme in senso sostanziale. Il nostro ordinamento, infatti, introduce una presunzione relativa di contitolarità (art. 1298 c.c.): in mancanza di prova contraria, si presume che le somme sul conto appartengano in parti uguali ai cointestatari. Questo implica che nei rapporti interni ciascuno è titolare del 50%, salvo appunto prova di una diversa proporzione. Si tratta di una presunzione superabile con evidenze concrete: ad esempio, se si dimostra che l’intera somma deriva da redditi o beni di uno solo degli intestatari, tale somma può essere considerata di esclusiva pertinenza di quest’ultimo nonostante la cointestazione. Su questo punto è intervenuta di recente la Cassazione (Sez. III civ., ord. n. 1643/2025, depositata il 23 gennaio 2025), affermando chiaramente che la cointestazione non implica automaticamente comproprietà: nel caso esaminato, riguardante una coppia di coniugi separati, è stato riconosciuto che le somme provenienti da un conto di esclusiva titolarità della moglie restavano di proprietà solo di lei anche se trasferite temporaneamente sul conto cointestato col marito, il quale non poteva vantare diritti su di esse. In altri termini, la Corte ha stabilito che la presunzione di contitolarità al 50% può cedere di fronte a prove contrarie, ad esempio l’origine tracciabile del denaro (stipendi, vendite di beni personali, eredità ricevute da uno solo, ecc.), la destinazione esclusiva a scopi personali di uno degli intestatari, o altri elementi univoci. Chi preleva somme dal conto comune senza il consenso dell’altro, inoltre, rischia di doverle restituire se non dimostra che gli spettavano di diritto (principio confermato in Cass. civ., Sez. I, ord. n. 1643/2025).

 

Il pignoramento del conto cointestato: come funziona

Quando uno degli intestatari ha debiti importanti e subisce iniziative di recupero crediti, il pignoramento presso terzi del conto corrente è uno strumento a disposizione del creditore. In pratica, il creditore (ad esempio una banca, un privato o l’Agenzia delle Entrate Riscossione) notificando un atto di pignoramento alla banca dove il conto è acceso, blocca le somme presenti sul conto stesso. La banca, quale “terzo pignorato”, è obbligata legalmente a congelare il saldo fino a diversa disposizione del giudice, impedendo movimenti in uscita. Ma cosa accade se il conto è cointestato e il debitore è solo uno degli intestatari? Questo scenario, molto comune, solleva il dubbio se il creditore possa pignorare tutto il saldo (come se appartenesse interamente al debitore) o solo la quota parte riferibile al debitore (presumibilmente il 50%).

Per rispondere, occorre distinguere i piani interno ed esterno del rapporto. Dal lato esterno (rapporto banca-correntisti-creditore), prevale la regola della solidarietà passiva verso i terzi: la giurisprudenza ha spesso ritenuto legittimo notificare il pignoramento sull’intero saldo, proprio perché verso la banca ogni cointestatario è debitor in solidum (cioè la banca “vede” tutti come debitori del saldo). In sede esecutiva, dunque, inizialmente l’intero importo risulta vincolato. Dal lato interno, però, vale la presunzione di contitolarità e l’eventuale diversa effettiva titolarità delle somme. Ne discende che, salvo prova contraria, la quota effettivamente pignorabile a soddisfazione del creditore dovrebbe essere quella del debitore, ossia il 50% del saldo (presunto). Questo orientamento intermedio è stato confermato da più pronunce: ad esempio, la Cassazione civile, Sez. I, ord. n. 28772/2023 (17 ottobre 2023) ha ribadito che in caso di conto cointestato si presume la contitolarità paritaria, e che il creditore può colpire solo la parte di spettanza del debitore, salvo dimostrare che il debitore ne possedeva di più. Dunque, nella pratica, la banca bloccherà tutto il saldo (tutelandosi da eventuali responsabilità), ma il co-intestatario non debitore potrà rivolgersi al giudice dell’esecuzione per svincolare la propria quota, presentando un’istanza di “riduzione del pignoramento” o un’opposizione, e fornendo ove possibile elementi a supporto della propria titolarità parziale o esclusiva delle somme.

Va evidenziato che il cointestatario estraneo al debito è un terzo soggetto rispetto all’esecuzione: egli può agire in giudizio con un’opposizione di terzo all’esecuzione (art. 619 c.p.c.) se ritiene che somme sue siano state indebitamente pignorate. In alternativa (o in aggiunta), può intervenire nell’esecuzione per far valere i propri diritti sulle somme. I giudici dell’esecuzione tendono a liberare la metà non riferibile al debitore in mancanza di contestazioni probatorie, oppure anche più della metà se il terzo prova una diversa percentuale di titolarità. L’onere della prova, in questo scenario, è a carico di chi afferma una diversa ripartizione delle somme rispetto alla presunzione 50/50. Ad esempio, se sul conto cointestato affluiscono esclusivamente stipendio e pensione del co-intestatario non debitore, e ciò è documentabile, è molto probabile che il giudice liberi integralmente le somme, riconoscendo che appartengono all’estraneo e non possono essere toccate dal creditore del debitore. Diversamente, se vige incertezza, il criterio equitativo metà-per-uno rappresenta la soluzione standard.

 

Le più recenti sentenze della Cassazione (2024–2025)

Negli ultimi anni la Corte di Cassazione ha affrontato più volte il tema, fornendo principi importanti sia in materia di conti cointestati tra coniugi o familiari, sia relativamente al pignoramento da parte di creditori. Oltre alle pronunce già citate, vale la pena ricordare che la Cassazione aveva già posto un principio di fondo con le Sezioni Unite n. 19381/2019: in quell’occasione (caso di cointestazione di libretti postali tra madre e figlio) stabilì che la cointestazione di un rapporto finanziario fa presumere la contitolarità delle somme, ma tale presunzione è superabile dimostrando la diversa effettiva appartenenza dei fondi. Le pronunce più recenti non hanno fatto che applicare coerentemente questo principio. Ad esempio:

Cass. civ., Sez. III, ord. n. 3013/2024 (1º febbraio 2024): pur riguardando il diritto all’oblio in ambito giornalistico, incidentalmente richiama l’idea che ciascuno ha diritto al controllo delle informazioni (e quindi, per analogia, del denaro) che lo riguardano; questa logica di fondo supporta la tutela del cointestatario estraneo, nel senso che non può vedersi privato delle sue disponibilità senza colpa.

Cass. civ., Sez. I, ord. n. 9197/2023: caso in tema di donazione indiretta di denaro, dove la Corte ha affermato che la semplice cointestazione di un conto o deposito non basta a configurare una donazione all’altro intestatario. Applicando il concetto, se Tizio cointesta un conto a Caio versandovi però solo denaro proprio, non si presume che metà di quel denaro sia stato donato a Caio: resta di Tizio. Ciò rafforza l’idea che contitolarità formale e proprietà sostanziale possono divergere.

Cass. civ., Sez. I, ord. n. 1643/2025 (già citata): ha cassato una sentenza di merito che in modo troppo semplicistico attribuiva metà delle somme all’ex marito cointestatario, ignorando le prove che le somme provenivano da beni personali della moglie. La Suprema Corte ha invece dato prevalenza alla realtà sostanziale sulla forma, sancendo che la presunzione di comunione può essere vinta anche con presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti. In pratica, non servono prove documentalissime in ogni dettaglio: è sufficiente offrire al giudice elementi convincenti che lascino intendere come stanno realmente le cose (es. estratti conto che mostrano la provenienza delle somme, o l’utilizzo esclusivo delle stesse per scopi dell’uno o dell’altro).

Cass. civ., Sez. III, ord. n. 29253/2024 (13 novembre 2024): pronunciandosi in tema di procedure esecutive e riforma Cartabia, ha toccato indirettamente anche l’ambito dei conti bancari confermando che in caso di fondi cointestati a debitore ed estraneo, la tutela dell’estraneo va garantita in sede di distribuzione: il giudice dell’esecuzione deve accertare la quota effettivamente spettante al debitore pignorato, evitando di assegnare al creditore somme non sue. In questo senso, la riforma del processo civile (D.lgs. 149/2022) ha ribadito l’obbligo di valutare le opposizioni di terzo con attenzione, nell’ottica di bilanciare il diritto del creditore alla soddisfazione con il diritto di proprietà del co-intestatario estraneo.

In sintesi, la Cassazione degli ultimi anni dipinge un quadro equilibrato: il creditore procedente non può trarre vantaggio indebito dalla cointestazione, aggredendo ciò che non appartiene realmente al debitore, ma al tempo stesso le presunzioni legali evitano facili sotterfugi (come intestare fittiziamente fondi ad altri per sfuggire ai creditori). Il bilanciamento avviene caso per caso, con l’intervento del giudice.

 

Come tutelarsi: consigli pratici per il cointestatario non debitore

Alla luce di quanto esposto, se ti trovi nella spiacevole situazione di conto cointestato bloccato per debiti altrui, ecco alcune azioni pratiche da considerare:

Raccogli le prove dell’origine delle somme: subito, reperisci documenti che attestino di chi sono i soldi sul conto. Stipendi, pensioni, vendite di beni, bonifici ricevuti: tutto ciò che dimostra che il denaro sul conto proviene da te (cointestatario estraneo) sarà utile per rivendicare la tua parte. Ad esempio, se i movimenti mostrano che il 100% degli accrediti degli ultimi anni è il tuo stipendio, questa è una prova forte.

Opposizione al pignoramento (art. 619 c.p.c.): tramite un avvocato, potrai proporre un’opposizione di terzo all’esecuzione, sostenendo che il pignoramento ha colpito somme di tua esclusiva proprietà. Questa azione si introduce davanti al giudice dell’esecuzione (del tribunale competente), normalmente entro 90 giorni dalla conoscenza dell’atto esecutivo. Nell’opposizione esponi le ragioni e alleghi le prove raccolte. Il giudice, se ti dà ragione, escluderà dal pignoramento (in tutto o in parte) le somme che ti spettano, liberandole dal vincolo.

Istanza di svincolo/riduzione: parallelamente o in alternativa, il tuo avvocato può presentare un’istanza al giudice dell’esecuzione per ottenere la riduzione del pignoramento alla sola quota parte del debitore. È una strada spesso più rapida, che non chiude la porta a successivi approfondimenti (in caso di contestazione si convertirebbe comunque in opposizione formale). Molti giudici accolgono tali istanze, disponendo ad esempio che solo il 50% del saldo resti vincolato e l’altro 50% venga sbloccato a favore del cointestatario estraneo.

Separazione delle giacenze future: se il problema si è manifestato e il tuo conto è congelato, valuta di aprire un nuovo conto solo a tuo nome per far confluire redditi futuri (stipendi, ecc.), onde evitare che anche le nuove entrate vengano “imprigionate” sul conto cointestato in attesa delle decisioni giudiziali. Questo non risolve il blocco pregresso, ma impedisce di alimentare ulteriormente un conto problematico. Attenzione: trasferire somme dal conto bloccato altrove potrebbe essere vietato o configurare un illecito, dunque consulta sempre il legale prima di qualunque spostamento.

Accordo con il creditore: in certi casi, soprattutto se il debito del cointestatario è modesto, può convenire tentare un accordo stragiudiziale col creditore (o col concessionario della riscossione) per sbloccare la situazione. Ad esempio, se pagando una parte del dovuto si ottiene la rinuncia al pignoramento, il conto verrebbe liberato. È una soluzione da ponderare bene, spesso praticabile con Equitalia/Agenzia Entrate Riscossione tramite pagamenti o piani di rateazione che portino al dissequestro delle somme. Anche qui, farsi assistere da un avvocato o consulente è cruciale per negoziare nel modo migliore.

 

Conclusione

In conclusione, il conto corrente cointestato può trasformarsi da comodo strumento a fonte di grattacapi legali quando uno degli intestatari ha debiti: la legge italiana predispone alcuni equilibri per bilanciare le opposte esigenze. Da un lato, il creditore ha diritto di aggredire i beni del debitore anche se questi sono in comunione formale con altri; dall’altro, il cointestatario non debitore gode di specifiche tutele per evitare di essere ingiustamente colpito. Grazie alle presunzioni legali e all’intervento della giurisprudenza, oggi possiamo dire che il sistema tende a proteggere la sostanza sulla forma: se i soldi sul conto sono tuoi e puoi dimostrarlo, hai ottime chance di sottrarli al pignoramento del creditore di tuo fratello, coniuge o altro contitolare. Certo, prevenire è meglio che curare: essere consapevoli dei rischi e magari tenere separati i conti quando vi sono situazioni debitorie, resta la soluzione più prudente. Ma qualora il danno sia fatto, niente panico: con l’aiuto di un legale e le dovute prove, si può far valere il proprio diritto e sbloccare ciò che ti appartiene. In ogni caso, dura lex, sed lex: la legge può apparire complessa, ma conoscere le regole del gioco è il primo passo per tutelare efficacemente i propri risparmi.

Hai bisogno di assistenza o di un preventivo?

  • 14 settembre 2025
  • Marco Panato

Autore: Avv. Marco Panato


Avv. Marco Panato -

Avv. Marco Panato, avvocato del Foro di Verona e Dottore di Ricerca in Diritto ed Economia dell’Impresa – Discipline Interne ed Internazionali - Curriculum Diritto Amministrativo (Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Verona).

E' autore di pubblicazioni scientifiche in materia giuridica, in particolare nel ramo del diritto amministrativo. Si occupa anche di docenza ed alta formazione.