
Chiudere definitivamente una società a responsabilità limitata che ha ancora debiti è possibile, ma deve avvenire seguendo precisi percorsi legali. Non esiste una “scorciatoia” per far sparire i debiti semplicemente cancellando la società: i creditori non pagati mantengono comunque il diritto di essere soddisfatti. Anzi, la legge tutela attivamente i creditori sociali e prevede strumenti specifici per la gestione dell’insolvenza. “Abolire il dovere di pagare i debiti mina alla base le regole della convivenza umana”, ammoniva Tito Livio: anche nella chiusura di un’azienda, i debiti vanno affrontati con serietà. D’altra parte, il nostro ordinamento riconosce anche che nemo tenetur ad impossibilia – nessuno è tenuto a fare l’impossibile – e se la società non è in grado di pagare integralmente, offre procedure per gestire la crisi in modo ordinato e dignitoso. Vediamo dunque quali strade può percorrere una S.r.l. indebitata per cessare l’attività, tenendo conto delle novità normative e giurisprudenziali più recenti in materia (2024–2025), e come una consulenza legale possa fare la differenza.
La prima via da esaminare è la liquidazione volontaria. Questa procedura viene avviata con una delibera assembleare di scioglimento della società e la nomina di un liquidatore, che subentra agli amministratori. Il liquidatore ha il compito di realizzare l’attivo (cioè trasformare in denaro i beni sociali) e pagare i debiti con i ricavi ottenuti. In una situazione ideale di equilibrio, la liquidazione volontaria permette di estinguere tutti i debiti e distribuire ai soci l’eventuale residuo. Ma cosa accade se l’attivo sociale non basta a coprire tutti i debiti?
In fase di liquidazione, il liquidatore deve rispettare la par condicio dei creditori, pagando secondo i privilegi di legge. Se i fondi sono insufficienti, alcuni creditori resteranno parzialmente o totalmente insoddisfatti. Nonostante ciò, la società può comunque arrivare alla chiusura formale, depositando il bilancio finale di liquidazione e richiedendo la cancellazione dal Registro delle Imprese. Giuridicamente, con la cancellazione la società cessa di esistere come soggetto. Tuttavia, i debiti residui non si estinguono automaticamente: secondo la Cassazione, le obbligazioni sociali insoddisfatte si trasferiscono in capo ai soci entro i limiti di quanto questi hanno riscosso in sede di liquidazione (Cass. civ., Sez. III, sent. n. 4141/2024). In pratica, i soci rispondono dei debiti rimasti solo fino alla concorrenza di quanto eventualmente percepito al momento del riparto finale. Se, ad esempio, ogni socio ha ricevuto €10.000 di attivo in liquidazione, sarà tenuto a pagare i creditori sociali insoddisfatti fino a €10.000. Questo meccanismo mira a evitare che i soci si arricchiscano a scapito dei creditori, rispettando il principio per cui il patrimonio sociale deve essere destinato prima ai debiti e solo dopo ai soci.
Va precisato che la liquidazione volontaria è lecita anche se restano debiti insoddisfatti, purché la società non fosse formalmente insolvente al momento dello scioglimento. Se invece la società si trova in stato di insolvenza conclamata (incapace di pagare sistematicamente i propri debiti), gli amministratori hanno l’obbligo di attivare le procedure concorsuali previste dalla legge. Chiudere volontariamente un’azienda insolvente, sperando magari di far “sparire” i debiti con la cancellazione, è un grave errore che espone a rischi legali notevoli, come vedremo tra poco. Infine, è importante sapere che i creditori possono comunque reagire: secondo l’art. 33 del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019), entro un anno dalla cancellazione dal Registro Imprese la società può essere dichiarata insolvente e assoggettata a liquidazione giudiziale (il nuovo nome del fallimento) se l’insolvenza si era manifestata prima o durante la liquidazione. Ciò significa che, anche dopo la chiusura formale, i creditori insoddisfatti hanno un anno di tempo per chiedere al tribunale il fallimento della società estinta. È quindi evidente che la liquidazione volontaria non deve essere usata per aggirare le procedure concorsuali, perché il tentativo verrebbe vanificato e potrebbe aggravare la posizione di soci e amministratori.
Quando una S.r.l. ha debiti ingenti che superano le capacità di pagamento e si trova in stato di insolvenza, la strada obbligata è la liquidazione giudiziale, cioè il vecchio fallimento (terminologia riformata dal Codice della Crisi). A differenza della liquidazione volontaria, qui l’iniziativa può provenire anche dai creditori o dall’autorità giudiziaria, oltre che dagli amministratori stessi. L’obiettivo della liquidazione giudiziale è accertare l’insolvenza e gestire il patrimonio residuo sotto il controllo di un curatore nominato dal tribunale, assicurando un trattamento paritario dei creditori.
Come impatta il fallimento sulla chiusura della S.r.l.? In pratica, l’apertura della procedura segna lo scioglimento della società (se non era già sciolta) e il subentro del curatore fallimentare nella gestione. Il curatore provvede a liquidare i beni e a distribuire il ricavato tra i creditori secondo le regole concorsuali. Al termine, il tribunale emette un decreto di chiusura della procedura e la società viene cancellata. I debiti rimasti insoddisfatti dopo il fallimento vengono “cancellati” nei confronti della società (che non esiste più), ma attenzione: questo non significa che spariscano nel nulla per tutti i soggetti coinvolti. Anche in caso di fallimento, infatti, valgono i principi ricordati prima sulla responsabilità sussidiaria dei soci (nei limiti delle somme riscosse in liquidazione) e sulle possibili azioni di responsabilità verso gli amministratori. La giurisprudenza più recente conferma tali principi e li rafforza: Cass. civ., Sez. Un., sent. n. 19750/2025 ha stabilito in modo definitivo che diritti e obblighi della società non si estinguono automaticamente con la cancellazione, ma “sopravvivono” in capo ai soci. In altre parole, la cessazione della società è un fatto formale, mentre crediti e debiti insoddisfatti vengono presi in carico dai soci in regime di contitolarità. Le Sezioni Unite 2025 hanno così superato un precedente orientamento del 2013 che presumeva rinunciati (e quindi estinti) i crediti non liquidati entro la cancellazione; oggi prevale la tutela sostanziale dei rapporti giuridici pendenti. Questo cambiamento di prospettiva, sancito dalla Suprema Corte, implica indirettamente che anche sul fronte dei debiti non vi sia estinzione automatica: i creditori sociali, ove non si attivino con il fallimento entro l’anno, potranno comunque rivalersi contro i soci nei limiti di legge. L’intento complessivo è chiaro: evitare che diritti e obblighi vengano sacrificati da una frettolosa chiusura, garantendo che ogni debito trovi il suo soggetto obbligato anche dopo la fine formale dell’ente. Nemo praesumitur donare – nessuno è presumibilmente così generoso da rinunciare a un credito senza espressa volontà – vale anche in questo contesto: la remissione dei debiti sociali non si presume mai.
Oltre al fallimento classico, il Codice della Crisi prevede strumenti come il concordato preventivo o la composizione negoziata della crisi, che possono evitare la cessazione dell’azienda attraverso accordi con i creditori o ristrutturazioni. Tuttavia, se l’obiettivo dell’imprenditore è proprio cessare l’attività liberandosi dei debiti, queste soluzioni “di continuità” spesso non sono praticabili o convenienti. È più utile concentrare l’attenzione su una liquidazione finale ben gestita, sia essa volontaria o giudiziale, per chiudere i conti in modo regolare. In ogni caso, la scelta della procedura va valutata attentamente in base alla situazione finanziaria: un avvocato potrà consigliare se vi sono margini per una soluzione stragiudiziale (ad esempio un accordo transattivo con i creditori) o se è preferibile dichiarare subito l’insolvenza e avviare il percorso giudiziale.
Un aspetto cruciale nella chiusura di una S.r.l. indebitata riguarda le responsabilità legali che possono ricadere su chi l’ha gestita o ne ha fatto parte. Molti pensano che, cancellando la società, amministratori e soci siano automaticamente al riparo da ogni conseguenza: non è affatto così. Vediamo separatamente le due figure:
Amministratori: hanno il dovere di gestire la società con correttezza e nell’interesse di soci e creditori. Se chiudono l’azienda in modo improprio, ad esempio continuando l’attività e aggravando i debiti invece di prendere atto della crisi, possono incorrere in responsabilità. L’ordinamento prevede l’azione di responsabilità verso gli amministratori promossa dal curatore (art. 255 CCII, già art. 2394 c.c.): i creditori insoddisfatti possono chiedere il risarcimento del maggior danno derivato da una tardiva od omessa richiesta di fallimento. Un caso tipico è la prosecuzione abusiva dell’attività: se gli amministratori, anziché liquidare o ricorrere a procedure concorsuali, hanno continuato ad accumulare perdite, al fallimento i creditori si troveranno un “buco” maggiore e gli amministratori potranno essere chiamati a risponderne di tasca propria. Anche senza fallimento, esiste la possibilità di un’azione da parte dei creditori sociali in proprio (ex art. 2395 c.c.) per atti dolosi degli amministratori che abbiano leso direttamente i creditori. Inoltre, sul piano penale, va ricordato il rischio di reati fallimentari: se emergono distrazioni di beni, false comunicazioni o altri comportamenti fraudolenti finalizzati a sottrarre risorse ai creditori, gli amministratori (e gli eventuali complici) possono essere perseguiti per bancarotta fraudolenta e altri reati, con pene anche detentive. Chiudere la società senza saldare i debiti, magari occultando attivo o documenti, è il modo migliore per attirare l’attenzione della Procura. Al contrario, agire in modo trasparente e conforme alla legge, coinvolgendo subito i professionisti, è l’approccio più sicuro. Come recita un saggio adagio: errare humanum est, perseverare autem diabolicum – sbagliare è umano, ma perseverare nell’errore è diabolico. Se c’è già una crisi, ignorarla o gestirla male può trasformare una difficoltà in un disastro legale.
Soci: i soci di una S.r.l. godono per legge di responsabilità limitata, ma ciò non significa che siano totalmente immuni quando la società chiude con debiti. Abbiamo visto che, in base all’art. 2495 c.c., essi possono dover pagare i debiti sociali nei limiti di quanto ritirato in sede di liquidazione. La Cassazione ha più volte ribadito questo concetto e di recente l’ha esteso a casi particolari. Ad esempio, con un’importante pronuncia del 2024 la Corte ha stabilito che perfino le sanzioni tributarie irrogate alla società (multe per violazioni fiscali) si trasmettono ai soci, sempre nei limiti dell’attivo distribuito (Cass. civ., Sez. Trib., ord. n. 23341/2024). In passato si discuteva se le sanzioni (essendo personali) dovessero estinguersi con la società, ma la Cassazione ha chiarito che ciò varrebbe solo nel caso di successione ereditaria (art. 8 D.Lgs. 472/97), mentre la successione dei soci nei debiti sociali è un fenomeno sui generis e consente di far valere le sanzioni sul patrimonio dei soci beneficiari. In pratica, se la società aveva debiti verso il Fisco, tasse non pagate o multe, chiudere la società non evita che l’Agenzia delle Entrate possa rivalersi sugli ex soci nei termini di legge. Anche su questo fronte, quindi, il messaggio è chiaro: i debiti tributari non spariscono con la cancellazione e anzi i soci farebbero bene a regolarizzare il più possibile la posizione fiscale prima di chiudere, magari tramite istituti come il ravvedimento operoso o accordi col Fisco, per evitare future azioni di recupero. Da notare che i soci rispondono pro quota dei debiti sociali solo se hanno ricevuto distribuzioni; se la liquidazione si chiude a zero, la loro responsabilità patrimoniale non scatta (restano però possibili azioni contro gli amministratori, come visto). Inoltre, un comportamento fraudolento dei soci – ad esempio prelevare attivo prima della liquidazione lasciando i creditori a mani vuote – potrebbe configurare responsabilità ulteriori, anche penali (come concorso in bancarotta per distrazione).
Riassumendo, soci e amministratori devono agire con massima cautela e trasparenza durante la chiusura di una società indebitata. È essenziale rispettare le norme e documentare ogni decisione. Un amministratore diligente che, appena emergono segnali di difficoltà, convoca i soci e propone le soluzioni (ricapitalizzazione, liquidazione o procedure concorsuali) avrà ottime chances di evitare conseguenze personali. Viceversa, l’inerzia o l’improvvisazione sono terreno fertile per future cause e recriminazioni. Come nella navigazione in tempesta, servono bussola e timone saldo: in questa metafora, la bussola è la legge e il timone è rappresentato dai professionisti che affiancano l’azienda.
“Chi ben comincia è a metà dell’opera” recita un saggio proverbio. Decidere di chiudere una società indebitata è difficile, ma farlo senza la dovuta assistenza può portare a complicazioni ancora peggiori. Affidarsi a un avvocato esperto in diritto societario e fallimentare sin dalle prime fasi significa tutelare sia l’azienda sia il patrimonio personale di soci e amministratori. Ecco i principali vantaggi di una consulenza legale in questo percorso:
Analisi preventiva della situazione: ogni caso di crisi è diverso. Un legale esaminerà la situazione debitoria, la composizione dell’attivo, la presenza di eventuali procedure già avviate dai creditori (pignoramenti, decreti ingiuntivi, ecc.) e consiglierà la strada migliore. Ad esempio, potrebbe emergere che la società ha requisiti dimensionali per accedere a un concordato semplificato o ad accordi con i creditori che evitino il fallimento, oppure che è preferibile autodenunciare l’insolvenza per ridurre i rischi di azioni di responsabilità.
Scelta della procedura corretta: come visto, la differenza tra liquidazione volontaria e giudiziale è sostanziale. Un avvocato potrà indicare se esistono i presupposti per una liquidazione volontaria in bonis (dove i debiti vengono pagati almeno in parte e non si configura insolvenza) oppure se sia necessario presentare istanza di liquidazione giudiziale. Prendere per tempo la decisione giusta può evitare l’aggravarsi della situazione: ad esempio, avviare subito un concordato preventivo può congelare le azioni esecutive dei creditori e prevenire una corsa disordinata ai beni sociali.
Assistenza durante la procedura: se si opta per la liquidazione volontaria, il legale affiancherà il liquidatore nelle operazioni più delicate (dalla vendita dei beni alle comunicazioni ai creditori), assicurandosi che tutto avvenga secondo legge. In caso di fallimento, l’avvocato rappresenterà la società (o gli organi) nel procedimento, interfacciandosi con il curatore e il tribunale, e difendendo gli interessi di amministratori e soci nelle sedi opportune. Ad esempio, potrà contrastare eventuali insinuazioni di crediti infondati, o negoziare con il curatore per definire bonariamente le azioni di responsabilità, se ci sono i margini per farlo.
Tutela dei diritti e prevenzione dei conflitti: un professionista esperto saprà anche gestire la comunicazione con i creditori. Spesso, mostrando ai creditori che la società sta agendo in modo corretto e guidato da un legale, si ottiene più collaborazione e magari si evitano iniziative aggressive. Inoltre, il legale potrà consigliare i soci su come proteggere il proprio patrimonio personale entro i limiti leciti (ad esempio verificando la correttezza dei bilanci e delle distribuzioni pregresse, onde evitare contestazioni di indebita percezione di utili).
In sintesi, rivolgersi a uno Studio legale competente in materia di crisi d’impresa significa investire in tranquillità: si evitano passi falsi, si riducono i tempi morti e si affronta la chiusura con un piano preciso. Dante Alighieri scriveva: «fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza» – non siamo nati per vivere come bruti, ma per seguire virtù e conoscenza. Ecco, affidarsi alla conoscenza (giuridica, in questo caso) è l’atteggiamento virtuoso per uscire da una crisi con onore e ripartire su nuove basi. Con l’aiuto di un buon avvocato, la chiusura della S.r.l. indebitata diventa un percorso sì impegnativo, ma gestibile e ricco di soluzioni, anziché un salto nel buio.
Chiudere una S.r.l. con debiti è un’operazione complessa, che intreccia aspetti legali, economici e umani. Abbiamo visto che esistono strumenti normativi per farlo in modo ordinato: la legge offre procedure di liquidazione e insolvenza pensate proprio per bilanciare i diritti dei creditori con la possibilità, per l’imprenditore onesto, di voltare pagina. L’importante è non improvvisare. Ogni decisione – dalla scelta tra liquidazione volontaria o fallimento, fino alla gestione dei singoli debiti – va ponderata con attenzione e con il consiglio di professionisti. Il fai-da-te, in questo campo, rischia di tradursi in errori costosi: azioni di responsabilità contro gli amministratori, coinvolgimento del patrimonio personale dei soci, se non addirittura conseguenze penali nei casi più gravi. Al contrario, seguendo le regole e affidandosi a una buona consulenza legale, si può chiudere la società limitando i danni e mettendosi in regola con la propria coscienza e con la legge.
In definitiva, la chiusura di un’azienda indebitata segna la fine di un capitolo, ma può anche essere l’inizio di uno nuovo: risolti i debiti del passato, l’imprenditore può ripartire con esperienze fatte e magari con un progetto più solido. L’ordinamento moderno, attraverso il favor debitoris e il principio della “seconda opportunità”, incoraggia questa ripartenza dopo la crisi, a patto che il procedimento sia trasparente e corretto. Non bisogna vergognarsi di chiedere aiuto: come in un difficile intervento chirurgico, anche nella crisi d’impresa serve il giusto “team” attorno. Con avvocati, commercialisti e consulenti dalla propria parte, anche chiudere una S.r.l. con debiti può diventare un percorso affrontabile, dove ogni problema trova una soluzione legale adeguata.
Call to Action: Se ti trovi ad affrontare la chiusura di una società indebitata, non affrontare questa sfida da solo. Contatta lo Studio Legale MP: i nostri professionisti ti guideranno passo dopo passo, analizzando la tua situazione e individuando la soluzione migliore per chiudere la S.r.l. in sicurezza, tutelando i tuoi interessi e quelli del tuo patrimonio. Richiedi subito una consulenza personalizzata: insieme trasformeremo una crisi in un percorso di soluzione, garantendoti assistenza legale completa e competente in ogni fase.
Avv. Marco Panato, avvocato del Foro di Verona e Dottore di Ricerca in Diritto ed Economia dell’Impresa – Discipline Interne ed Internazionali - Curriculum Diritto Amministrativo (Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Verona).
E' autore di pubblicazioni scientifiche in materia giuridica, in particolare nel ramo del diritto amministrativo. Si occupa anche di docenza ed alta formazione.