
L’inclusione scolastica degli studenti con disabilità è un valore fondante del nostro ordinamento, sancito a livello costituzionale e legislativo. L’art. 34 della Costituzione garantisce il diritto allo studio per tutti, mentre l’art. 38 tutela i diritti delle persone con disabilità. Fin dalla legge-quadro n. 104/1992 – pietra miliare dell’integrazione scolastica in Italia – è previsto che agli alunni con disabilità siano assicurati insegnanti di sostegno specializzati e adeguati supporti per un’effettiva partecipazione alle attività scolastiche. La normativa successiva (dal D.Lgs. 66/2017 fino al recentissimo D.Lgs. 62/2024) ha ulteriormente rafforzato questo impianto, dettagliando strumenti e procedure per rendere concreto il principio di inclusione. In particolare, ogni studente con certificazione di disabilità ha diritto a un Piano Educativo Individualizzato (PEI) che definisca gli interventi di sostegno necessari. Tali interventi non sono concessioni di mera assistenza, ma espressione di un diritto soggettivo perfetto all’educazione e all’istruzione inclusiva. Ne consegue che tutte le istituzioni coinvolte – scuola, Uffici Scolastici, enti locali – hanno l’obbligo giuridico di mettere in atto le misure previste nel PEI, ivi comprese le ore di sostegno didattico. Ubi ius, ibi remedium: se questo diritto non viene rispettato, l’ordinamento predispone rimedi affinché la situazione venga sanata in tempi rapidi.
Il cuore dell’inclusione scolastica è il Piano Educativo Individualizzato (PEI), redatto dal Gruppo di Lavoro Operativo (G.L.O.) per ciascun alunno disabile. Nel PEI vengono indicate le esigenze specifiche dello studente, gli obiettivi didattici personalizzati e le risorse di supporto necessarie, a partire dal monte ore di sostegno settimanale. La regola fondamentale emersa dalla normativa e confermata dai giudici è che il numero di ore di sostegno assegnate deve corrispondere a quanto previsto nel PEI. L’assegnazione delle ore avviene attraverso un iter che coinvolge scuola e amministrazione: il G.L.O., composta da docenti (di classe e di sostegno), famiglia e specialisti, propone il fabbisogno di sostegno; il dirigente scolastico richiede all’Ufficio Scolastico le risorse in organico di sostegno necessarie; l’amministrazione (attraverso gli Uffici Scolastici Regionali e Provinciali) assegna i posti di sostegno alle scuole. È illegittimo qualunque provvedimento che assegni a un alunno disabile un numero di ore inferiore rispetto a quanto indicato dal G.L.O. e riportato nel PEI, salvo motivate e temporanee ragioni formali. Questo principio trova fondamento anche nelle pronunce della Corte Costituzionale sin dagli anni ‘80 (ad es. sent. n. 215/1987 e sent. n. 80/2010) che hanno chiarito come i vincoli di bilancio non possano comprimere il “nucleo indefettibile” del diritto allo studio e all’integrazione: se allo studente occorre un certo supporto, le istituzioni devono fornirlo, attivando personale in deroga se necessario. Di conseguenza, non è ammissibile addurre genericamente carenze di organico o limiti finanziari per giustificare un taglio delle ore di sostegno: la tutela del minore prevale su tali esigenze amministrative. Come recita un antico brocardo latino, “Nemo auditur propriam turpitudinem allegans” – nessuno può invocare una propria mancanza (qui, organizzativa o di risorse) come esimente per non adempiere a un obbligo di legge. Le scuole sono tenute a porre in essere tutti gli accomodamenti necessari affinché l’alunno con disabilità riceva l’intero supporto previsto, integrando eventualmente con figure di assistenza all’autonomia e alla comunicazione fornite dagli enti locali.
La giurisprudenza amministrativa più recente ha ribadito con forza questi principi, spesso condannando l’amministrazione quando non garantisce il sostegno dovuto. In particolare, il T.A.R. Campania (Napoli), Sez. II, sent. n. 3921/2024 ha affermato che l’assegnazione di un monte ore inferiore a quello ritenuto necessario nel PEI costituisce una violazione grave del diritto allo studio dell’alunno disabile. In quel caso – riguardante un bambino cui erano state concesse solo poche ore settimanali di sostegno a fronte di un bisogno ben maggiore – il Tribunale ha annullato il provvedimento dell’amministrazione scolastica, ordinando di assegnare un docente di sostegno per l’intero orario e stigmatizzando la condotta omissiva della scuola. Analogamente, pochi mesi dopo, il T.A.R. Campania (Napoli), Sez. II, sent. n. 3324/2025 (depositata il 22 aprile 2025) ha confermato questo orientamento, dichiarando illegittimo l’operato di un istituto che aveva garantito solo 12,5 ore settimanali su 40 di frequenza a un alunno con disabilità grave. Il T.A.R. ha sottolineato che il diritto allo studio del minore non può essere subordinato a mere questioni di organico, richiamando anche le novità introdotte dal D.Lgs. 62/2024 (che ha aggiornato l’art. 3 della legge 104/1992 qualificando la persona con disabilità come “avente diritto ai sostegni”). In questa sentenza, il giudice amministrativo – oltre ad imporre l’immediata integrale copertura oraria con un docente di sostegno – ha evidenziato come la mancata redazione tempestiva del PEI costituisca un’ulteriore grave inadempienza della scuola. Un altro profilo importante emerso da tali pronunce è l’aspetto risarcitorio: T.A.R. Campania, sent. n. 343/2025 (pubblicata a gennaio 2025) ha addirittura condannato l’amministrazione a corrispondere un indennizzo economico alla famiglia per i danni subìti a causa delle ore di sostegno negate. Si tratta di un segnale molto significativo: i giudici non si limitano più soltanto a ordinare l’assegnazione delle ore mancanti, ma riconoscono anche il diritto al risarcimento per il pregiudizio educativo e morale patito dall’alunno rimasto senza adeguato supporto. In sintesi, i tribunali amministrativi regionali – investiti dei ricorsi dei genitori – scrutinano con rigore l’operato delle scuole e del Ministero, tutelando in concreto il diritto all’educazione inclusiva. Le pronunce del T.A.R. Molise n. 171/2023 e del T.A.R. Lazio n. 3076/2021, ad esempio, avevano già delineato il quadro: le ore di sostegno vanno quantificate sul fabbisogno effettivo indicato dal G.L.O. e qualsiasi riduzione unilaterale è passibile di annullamento in giudizio. Ora la serie di sentenze campane del 2024–2025 consolida questo orientamento e lo diffonde a livello nazionale, fungendo da monito per tutte le amministrazioni scolastiche: chi non assegna il dovuto sostegno agli alunni con disabilità agisce contro legem e verrà verosimilmente sconfitto in sede di ricorso.
Non manca, in questo contesto, qualche pronuncia più controversa che ha riacceso il dibattito sul bilanciamento tra diritto all’istruzione inclusiva e risorse pubbliche disponibili. Emblematica è la decisione del Consiglio di Stato, sent. n. 1798/2024, che ha confermato un verdetto del T.A.R. Emilia-Romagna sfavorevole ai genitori di un alunno disabile. In quel caso, un Comune aveva unilateralmente ridotto le ore di assistenza scolastica (fornite da educatori comunali per l’autonomia) per tutti gli studenti disabili della provincia, in difformità dai rispettivi PEI, motivando il taglio con l’insufficienza di risorse economiche. Mentre la giurisprudenza prevalente considera inaccettabile un simile approccio, il Consiglio di Stato – con la sentenza citata – ha ritenuto che la riduzione fosse giustificata dall’assenza di fondi e non pregiudicasse in modo sostanziale la frequenza scolastica del minore coinvolto. Questa posizione, che attribuisce prevalenza ai vincoli di bilancio dell’ente locale, si pone in contrasto con numerose pronunce di segno opposto (incluse quelle costituzionali) e ha destato preoccupazione nelle associazioni di tutela: il timore è che possa offrire un appiglio alle amministrazioni per comprimere l’offerta di sostegno appellandosi a ragioni finanziarie. Va detto, peraltro, che si tratta di un orientamento isolato. Subito dopo, infatti, sono intervenute altre decisioni a riaffermare la linea dura a protezione degli studenti disabili. In particolare, un’ordinanza del Tribunale di Monza del 10 settembre 2024 (giurisdizione ordinaria) ha stabilito che il PEI è vincolante per l’amministrazione scolastica, la quale deve garantire il supporto per il numero di ore programmato, senza alcun potere discrezionale di diminuirle. Questo provvedimento – seppur emesso da un giudice civile in sede di tutela anti-discriminazione – conferma la sensibilità della giurisdizione verso il principio che le esigenze educative essenziali non possono essere sacrificate. Dunque, allo stato attuale, la stragrande maggioranza delle sentenze insiste sul fatto che il diritto all’inclusione scolastica prevale sui limiti di spesa: i dirigenti scolastici e gli uffici competenti sono tenuti a reperire le risorse necessarie (anche ricorrendo a strumenti straordinari, come l’assunzione in deroga di insegnanti di sostegno aggiuntivi) per attuare integralmente quanto previsto per ogni alunno disabile. La contraddittoria sentenza del Consiglio di Stato 1798/2024 resta un outlier, criticato dagli esperti perché sembra dimenticare che “l’inserimento nella scuola e l’acquisizione di una compiuta istruzione sono strumento fondamentale per il pieno sviluppo della persona umana” (Corte Cost. n. 215/1987) e che un diritto fondamentale non può essere svuotato a causa di meri limiti di budget.
Cosa può fare concretamente una famiglia se la scuola o l’amministrazione scolastica non garantiscono al figlio disabile tutte le misure di sostegno necessarie? Il nostro ordinamento prevede rimedi immediati ed efficaci, considerata la natura fondamentale del diritto in gioco. Anzitutto, è possibile (ed opportuno) presentare tempestivamente un ricorso al T.A.R. (Tribunale Amministrativo Regionale) competente per territorio. Il giudizio amministrativo in questi casi rientra nella materia dei “pubblici servizi” e segue un rito abbreviato: trattandosi spesso di tutelare il diritto allo studio nell’anno scolastico in corso, i T.A.R. decidono con urgenza, anche in via cautelare. Nella pratica, i genitori – assistiti da un legale – impugnano il provvedimento con cui la scuola o l’Ufficio Scolastico ha assegnato un monte ore inferiore al dovuto, chiedendone l’annullamento e l’ordine di attribuire tutte le ore di sostegno necessarie (oltre, eventualmente, al risarcimento per il periodo in cui l’alunno ne è stato privato). Di fronte a documentazione chiara (certificazioni ex L.104, PEI che quantifica le ore, eventuali reclami già presentati alla scuola), i giudici amministrativi tendono ad accogliere il ricorso, emettendo decreti cautelari nel giro di poche settimane per ripristinare subito il servizio di sostegno. Questo significa che, grazie al ricorso, il bambino ottiene in tempi brevi l’insegnante di sostegno aggiuntivo o le ore integrative di cui ha diritto, evitando che trascorra l’intero anno scolastico in una situazione di grave svantaggio. Va ricordato che il ricorso al T.A.R. può essere proposto anche per altre violazioni correlate all’inclusione, ad esempio contro la mancata predisposizione del PEI entro l’inizio dell’anno o contro una bocciatura ritenuta illegittima perché la scuola non ha fornito i supporti dovuti. Emblematico, a tal proposito, è il caso – risalente ad alcuni anni fa ma ancora attuale come principio – di un alunno con disabilità grave la cui bocciatura è stata annullata dal T.A.R. Lazio proprio perché l’istituto gli aveva garantito un sostegno inadeguato rispetto alle necessità: non avendo messo lo studente nelle condizioni di apprendere, la scuola non poteva poi valutarlo negativamente (iniquum est ultimum supplicium ferre discipulo, ubi culpa magistri innegabilis est – sarebbe ingiusto infliggere la pena ultima al discente, quando è indubbia la colpa del maestro). Al di fuori della giustizia amministrativa, le famiglie possono talvolta rivolgersi al giudice civile, azionando gli strumenti offerti dalla Legge 67/2006 contro la discriminazione delle persone con disabilità: ottenere, ad esempio, un ordine d’urgenza perché vengano rimosse le barriere (anche organizzative) che limitano l’inclusione scolastica, configurabili come discriminazione indiretta. Anche questa via giurisprudenziale si è rivelata efficace in alcuni casi, parallelamente al ricorso amministrativo. In ogni caso, è fondamentale agire tempestivamente: i provvedimenti che negano ore di sostegno oppure altri diritti (come l’assistente all’autonomia per studenti con disabilità sensoriali) devono essere impugnati entro 60 giorni dalla comunicazione, se si segue la strada del T.A.R. – oppure entro 6 mesi mediante ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, eventualmente. Muoversi subito all’inizio dell’anno scolastico aumenta le probabilità di risolvere il problema in tempo utile per il bambino.
In conclusione, le famiglie non sono impotenti di fronte a carenze o inadempienze della scuola: il diritto allo studio inclusivo può e deve essere fatto valere attivamente. L’evoluzione normativa e giurisprudenziale recente conferma che questi diritti hanno consistenza reale e sono pienamente tutelati dai giudici. Quando la scuola “dimentica” un alunno con disabilità, i genitori – con l’assistenza di legali competenti in diritto scolastico – possono ottenere giustizia e migliorare concretamente la vita scolastica del proprio figlio. Alla luce di ciò, il messaggio è chiaro: nessun bambino deve rimanere indietro per mancanza di sostegno; gli strumenti giuridici esistono e vanno utilizzati affinché l’inclusione non resti solo sulla carta, ma diventi prassi quotidiana in ogni istituto.
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Avv. Marco Panato, avvocato del Foro di Verona e Dottore di Ricerca in Diritto ed Economia dell’Impresa – Discipline Interne ed Internazionali - Curriculum Diritto Amministrativo (Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Verona).
E' autore di pubblicazioni scientifiche in materia giuridica, in particolare nel ramo del diritto amministrativo. Si occupa anche di docenza ed alta formazione.