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Affitti brevi in condominio: divieti e nuove sentenze - Studio Legale MP - Verona

Le locazioni turistiche nei condomini tra libertà del proprietario, limiti regolamentari interni e interventi delle recenti decisioni di Cassazione e Consiglio di Stato

 

La diffusione di piattaforme come Airbnb e la crescente domanda di locazioni turistiche brevi hanno portato all’aumento di affitti brevi anche all’interno dei condomini. Questa pratica, se da un lato rappresenta un’opportunità economica per i proprietari, dall’altro può generare attriti con gli altri condomini preoccupati per la sicurezza, il decoro e la tranquillità dell’edificio. Communio est mater rixarum, ricordavano i latini: la comunione dei beni è madre di liti, e il condominio spesso conferma la saggezza antica. Dunque, la domanda sorge spontanea: un condominio può vietare a un proprietario di affittare la propria casa per brevi periodi? E quali sono le regole e i limiti in gioco, tra autonomia privata, normative locali e pronunce dei giudici?

 

Il fenomeno degli affitti brevi in condominio – Per affitti brevi o locazioni turistiche si intendono generalmente le locazioni di appartamenti per periodi molto brevi (da pochi giorni a qualche settimana), di solito a fini vacanzieri o di lavoro temporaneo, spesso gestite tramite piattaforme online. In termini civilistici, si tratta di normali contratti di locazione ad uso abitativo di breve durata, disciplinati dalla legge n. 431/1998 (che consente locazioni libere per finalità turistiche) e dal codice civile. A differenza di un’attività di bed and breakfast o affittacamere esercitata in forma imprenditoriale (che prevede partita IVA, SCIA e altri adempimenti), il proprietario privato che affitta occasionalmente la propria casa non è considerato un imprenditore e gode della libertà contrattuale tutelata dall’art. 41 Cost. e dall’art. 117, co. 2, lett. l) Cost. (ordinamento civile). In pratica, ogni proprietario ha il diritto di godere e disporre del proprio immobile, affittandolo anche a turisti, purché nel rispetto della destinazione d’uso (abitativa) e delle norme di legge. Di per sé, infatti, affittare un appartamento per brevi periodi non costituisce un cambio di destinazione d’uso né un uso illecito: è considerato un modo legittimo di godimento del bene. Questo è un punto di partenza importante, da tenere a mente quando si affrontano i conflitti tra proprietari-locatori e vicini di casa.

 

Regolamento condominiale e clausole “anti-Airbnb” – Il condominio, tuttavia, è un microcosmo con regole proprie. Il regolamento condominiale contrattuale può imporre limitazioni all’uso delle proprietà esclusive, purché vengano approvate all’unanimità (in sede di formazione del regolamento) e trascritte nei registri immobiliari, così da vincolare anche i futuri acquirenti delle unità. In altre parole, i condomini possono accordarsi per vietare certe attività negli appartamenti privati, inserendo apposite clausole nel regolamento. Ad esempio, molte compagini condominiali prevedono divieti di adibire gli alloggi a uso diverso dal mero abitativo, menzionando espressamente attività come bed & breakfast, affittacamere, casa vacanze o simili. Queste clausole – se formulate in modo chiaro ed esplicito – costituiscono vere e proprie servitù reciproche tra i condomini, limitazioni convenzionali alle facoltà dei proprietari, pienamente valide secondo la legge. La Corte di Cassazione ha più volte confermato che simili patti sono legittimi: “il condominio può vietare l’attività di B&B se nel regolamento condominiale contrattuale è prevista una clausola chiara e trascritta che lo vieta” (così Cass. civ., Sez. II, ord. n. 2770/2025). Già in precedenza la giurisprudenza di legittimità aveva affermato principi analoghi: una recente pronuncia (Cass. civ., Sez. II, ord. n. 2403/2024) ha ribadito che i divieti d’uso contenuti in un regolamento contrattuale – ad esempio il divieto di destinare l’alloggio ad uso di pensione, albergo o casa di alloggio – sono opponibili a tutti i condomini (presenti e futuri) e prevalgono sul diritto del singolo di scegliere liberamente come utilizzare l’unità immobiliare. In sostanza, se nel regolamento c’è il divieto di affitti brevi o attività ricettive, il proprietario condòmino dovrà rispettarlo: non potrà iniziare a fare Airbnb nel proprio appartamento, a meno che l’assemblea non modifichi il regolamento con il consenso di tutti i partecipanti.

Naturalmente, la clausola limitativa deve essere formulata con precisione. Nel caso affrontato dalla Cassazione con l’ordinanza n. 2770/2025, ad esempio, il regolamento (risalente addirittura agli anni ’30) vietava di destinare gli appartamenti ad “industria, casa di alloggio…” e altre attività contrarie al decoro e alla sicurezza del fabbricato. Un conduttore aveva avviato un B&B nell’appartamento locato, sostenendo che quel divieto non fosse abbastanza specifico o opponibile a lui in quanto inquilino. La Suprema Corte, però, ha confermato che il divieto era valido e chiaro: la nozione di “casa di alloggio” include strutture come i bed & breakfast, e la clausola essendo trascritta nei registri immobiliari vincolava sia la proprietaria sia l’inquilino. Cassazione ha quindi dato ragione al condominio, che poteva pretendere la cessazione immediata dell’attività vietata (Cass. civ., Sez. II, ord. n. 2770/2025). Questo chiarimento è importante: il divieto condominiale di affitti brevi è efficace anche contro il conduttore (l’inquilino) oltre che verso il proprietario, purché quell’obbligo risulti dal contratto di locazione o comunque il conduttore ne sia a conoscenza (di solito, i contratti di locazione prevedono che l’inquilino si impegna a rispettare il regolamento condominiale).

 

L’azione per far rispettare il divieto: legittimazione del condominio e ruolo dell’amministratore – Una volta appurato che esiste una clausola regolamentare valida che vieta gli affitti brevi, come può il condominio farla rispettare? In termini giuridici, la causa promossa dal condominio per far cessare un uso vietato si configura come azione confessoria servitutis: si chiede al giudice di accertare l’esistenza della servitù (il vincolo contrattuale che limita l’uso dell’unità immobiliare) e di inibire il comportamento lesivo, ordinandone la cessazione. La legittimazione attiva spetta al condominio stesso, in persona dell’amministratore pro tempore. Infatti, le norme del regolamento che impongono limiti d’uso delle parti di proprietà esclusiva sono poste a tutela dell’interesse comune; di conseguenza, l’amministratore di condominio ha il potere-dovere di intervenire. L’art. 1130 c.c., tra le attribuzioni dell’amministratore, gli consente di “far rispettare il regolamento di condominio”: ciò legittima l’amministratore ad agire in giudizio, anche senza un’apposita autorizzazione dell’assemblea, per ottenere un provvedimento che faccia cessare l’uso vietato【Cass. civ., Sez. II, sent. n. 17493/2014】. Dunque, se in un condominio con regolamento contrattuale si scopre che un appartamento viene utilizzato come B&B in violazione del divieto, l’amministratore può (e deve) diffidare il responsabile e, in mancanza di adeguamento spontaneo, adire le vie legali per far valere la clausola. È importante sottolineare che l’inattività dell’amministratore di fronte a una violazione del genere potrebbe configurare una grave irregolarità nella gestione (art. 1129 c.c.), dato che lede i diritti degli altri condomini. In altre parole, far rispettare le regole rientra tra i compiti fondamentali di chi amministra il condominio, al pari della gestione finanziaria o manutentiva.

Viceversa, dal lato passivo, chi può essere chiamato in causa? Sicuramente il proprietario dell’unità (che ha accettato il regolamento ed è il soggetto obbligato principale a rispettarlo), ma anche l’eventuale inquilino utilizzatore (in qualità di autore materiale della violazione). La Cassazione ha chiarito che il giudicato ottenuto in sede di azione confessoria, con l’accertamento dell’esistenza della servitù di divieto, sarà opponibile soprattutto al proprietario (e ai suoi aventi causa); tuttavia, nulla vieta che anche il conduttore venga coinvolto e risponda direttamente, essendo tenuto al rispetto del regolamento in base al contratto di affitto. Una volta ottenuta la sentenza favorevole, il condominio potrà far cessare l’attività vietata, eventualmente anche con l’ausilio della forza pubblica in fase esecutiva, in caso di inottemperanza.

 

Se il regolamento non vieta gli affitti brevi – Diversa è la situazione in condomìni dove non esiste alcuna clausola specifica contro le locazioni brevi. In assenza di un divieto contrattuale espresso, vale la regola generale: ogni proprietario è libero di utilizzare la propria unità immobiliare per usi consentiti dalla legge e compatibili con la destinazione d’uso abitativa. Come accennato, ad oggi la legge statale non pone divieti al proprietario che voglia affittare per pochi giorni a turisti. Pertanto, gli altri condomini non possono opporsi per principio a tale attività, né l’assemblea può deliberare a maggioranza di vietarla caso per caso. Qualsiasi delibera assembleare che imponesse un divieto del genere a un singolo condomino sarebbe nulla, perché inciderebbe sul diritto individuale di proprietà e sulle facoltà spettanti al singolo per legge (tali limitazioni, lo ricordiamo, richiedono il consenso unanime e la forma scritta del regolamento contrattuale). Ne consegue che, se non c’è una clausola ad hoc, il condominio dovrà tollerare la presenza di ospiti temporanei nelle unità private, a patto naturalmente che questi ultimi rispettino le regole di civile convivenza e non creino molestie superiori alla normale tollerabilità. Va infatti tenuto presente che anche la libertà del proprietario di affittare incontra un limite: il divieto di arrecare danno o disturbo agli altri. Ogni condomino ha il dovere di non emettere rumori, odori o comportamenti in misura eccessiva (art. 844 c.c. sulle immissioni moleste) e risponde dei danni causati dai propri ospiti o inquilini. Ciò significa che, pur non potendo impedire gli affitti brevi leciti, i vicini che subiscono schiamazzi notturni, uso improprio degli spazi comuni, flussi incontrollati di estranei e altre situazioni critiche, hanno comunque strumenti di tutela: possono richiamare l’attenzione dell’amministratore, esigere il rispetto del regolamento condominiale (che ad esempio spesso disciplina gli orari per far rumore, l’uso dell’ascensore, la raccolta rifiuti, ecc.), sporgere querela se si configurano reati (es. disturbo delle occupazioni o del riposo, articolo 659 c.p.), oppure agire in sede civile per far cessare le turbative e ottenere un risarcimento in caso di danni comprovati. In qualche caso limite, se l’attività di locazione turistica viene svolta in modo talmente intenso da snaturare l’uso dell’unità (ad esempio un via vai continuo di ospiti come fosse un albergo, con servizio di reception, colazione, pulizie quotidiane), si potrebbe sostenere che si è di fatto in presenza di un’attività imprenditoriale non autorizzata in un immobile residenziale, contravvenendo anche a norme urbanistiche o amministrative: in tali situazioni, oltre al condominio, potrebbero intervenire il Comune o l’ASL per violazioni di regolamenti edilizi o igienico-sanitari. Si tratta però di casi estremi. Nella normalità, se non c’è un divieto nel regolamento, l’affitto breve occasionale è lecito, e il bilanciamento tra diritto del proprietario e diritti dei vicini si gioca sul terreno della buona educazione, del rispetto dei regolamenti interni e del dialogo.

I limiti imposti da Comuni e Regioni: la normativa in evoluzione – Il boom degli affitti brevi ha spinto diversi enti locali a intervenire per regolamentare (o limitare) il fenomeno, specie nelle città d’arte o turistiche dove il turismo mordi-e-fuggi rischia di creare problemi di vivibilità. Negli ultimi anni si sono susseguiti provvedimenti locali: alcuni Comuni hanno introdotto registri degli affitti brevi, altri hanno imposto limitazioni al numero di giorni annui affittabili o addirittura blocchi nelle zone centrali. Bisogna chiedersi: queste normative sono legittime? La risposta ce la forniscono le corti superiori, che di recente si sono espresse chiaramente.

Innanzitutto, la competenza primaria in materia di turismo è regionale (art. 117 Cost., materia residuale delle Regioni), mentre lo Stato conserva competenza sull’ordinamento civile (contratti, proprietà privata) e sul profilo fiscale delle locazioni brevi (già disciplinato a livello nazionale con l’introduzione, ad esempio, della cedolare secca al 21% per gli affitti brevi). Le Regioni possono dunque legiferare su aspetti amministrativi delle locazioni turistiche. Un esempio significativo è la Regione Valle d’Aosta, che nel 2023 ha posto un limite massimo di 180 giorni all’anno per gli affitti turistici negli immobili che sono prima casa del proprietario. Tale norma regionale è stata impugnata dallo Stato, ma la Corte Costituzionale ne ha confermato la legittimità: con sentenza n. 94/2024, la Consulta ha stabilito che il limite dei 180 giorni non viola l’ordinamento civile, configurandosi piuttosto come una norma di carattere urbanistico volta a impedire che un’abitazione principale venga di fatto “trasformata” in struttura ricettiva. In altre parole, secondo la Corte, vietare di affittare la propria prima casa per più di 6 mesi l’anno significa evitare un mutamento di destinazione d’uso (da residenza stabile a struttura turistico-ricettiva) e rientra nei poteri regionali in materia di governo del territorio e turismo. Questo precedente apre la strada ad altri possibili interventi regionali: ad esempio, regioni o province autonome potrebbero introdurre obblighi di registrazione, standard minimi di qualità o altre restrizioni purché giustificate da esigenze locali e non lesive della libertà contrattuale in misura sproporzionata.

 

Diverso è il discorso per i Comuni. Molti Sindaci, alle prese con l’overtourism, hanno cercato di “mettere il freno” agli affitti brevi attraverso regolamenti comunali o ordinanze. Tuttavia, i giudici amministrativi hanno posto paletti severi. Emblematica è la vicenda di Sirmione, nota località turistica sul Lago di Garda: qui il Comune aveva adottato un regolamento nel 2022 che subordinava gli affitti brevi a una serie di requisiti stringenti e di fatto ne limitava l’esercizio da parte dei privati. Una proprietaria sanzionata ha fatto ricorso, e il caso è giunto davanti al Consiglio di Stato. Ebbene, con la sentenza n. 2928/2025 il Consiglio di Stato (Sez. V) ha annullato il regolamento comunale, affermando un principio chiaro: i Comuni non possono vietare o limitare le locazioni turistiche private se queste non costituiscono attività imprenditoriale. In assenza di un vero esercizio d’impresa (cioè se il proprietario affitta in modo non professionale, senza servizi aggiuntivi tipici degli hotel), la locazione breve rientra nella libertà negoziale del privato cittadino e non richiede autorizzazioni. I Comuni, secondo il Consiglio di Stato, non hanno poteri autorizzativi o inibitori su tale attività, salvo intervenire per far rispettare le norme edilizie e di pubblica sicurezza (es: se un appartamento non ha i requisiti igienici, o se vengono violate le regole condominiali sul numero di persone). Il Comune può certamente imporre al locatore l’obbligo di una comunicazione per fini statistici e di pubblica sicurezza (come registrare gli ospiti in Questura tramite il portale AlloggiatiWeb, obbligo nazionale che rimane), ma non può inventarsi ulteriori permessi o limitazioni quantitative. Ogni tentativo di introdurre “licenze” comunali per Airbnb confligge con il quadro normativo attuale. La sentenza del Consiglio di Stato 2928/2025, quindi, frena lo “strapotere” dei Comuni: ha stabilito che nessun regolamento locale può vietare a un privato di affittare casa propria a turisti, né trasformare la semplice comunicazione di inizio attività (CIA) in una richiesta di autorizzazione soggetta a diniego. Dopo questa pronuncia, diversi Comuni hanno dovuto rivedere le proprie normative.

Il Comune di Verona ha recentemente avviato una strategia normativa, a livello urbanistico, mirata a contenere gli effetti negativi dell’overtourism, con un focus particolare sul Centro Storico Maggiore, zona UNESCO. Con delibera di Giunta approvata il 9 settembre 2025 è stata disposta una variante del Piano degli Interventi che introduce nuovi vincoli in tema di destinazioni d’uso: stop alle nuove locazioni turistiche prive di Codice Identificativo Nazionale (CIN) nel centro storico, mantenimento delle attività già registrate, incentivi per lo sviluppo degli affitti turistici nelle zone periferiche. L’obiettivo dichiarato è tutelare la presenza stabile dei residenti, contrastare l’aumento del valore degli immobili, ridurre la saturazione turistica e restituire vitalità ai quartieri centrali, salvaguardando al contempo la vocazione residenziale e la qualità urbana. Nei controlli effettuati nel 2024 sono state rilevate 50 violazioni su 119 strutture ispezionate, segno che l’Amministrazione intende rafforzare il rispetto delle norme esistenti.

Va segnalato che il legislatore nazionale sta valutando se intervenire con una disciplina unitaria sugli affitti brevi (si è parlato di un codice identificativo nazionale degli immobili destinati a locazione breve, e di misure anti-evasione fiscale e anti-degrado). Al momento, però, gran parte della regolamentazione concreta passa per le Regioni e per la giurisprudenza. In aggiunta, va ricordata una questione pratica: l’identificazione degli ospiti e la sicurezza. Il Ministero dell’Interno nel 2024 aveva inizialmente vietato sistemi di check-in da remoto (come cassette di sicurezza con chiavi o serrature smart) ritenendo che violassero l’obbligo di identificazione personale previsto dal TULPS. Ma questa impostazione è stata corretta dal giudice amministrativo: un recente TAR ha annullato la circolare ministeriale, riaprendo alla possibilità per i locatori di utilizzare strumenti tecnologici (purché inviino comunque i dati degli ospiti alle autorità entro 24 ore). Questo per dire che il settore è in forte evoluzione anche sotto il profilo tecnologico e della privacy: ad esempio, in condominio è frequente che chi affitta installi telecamere per sorvegliare gli ingressi dell’appartamento affittato. Ebbene, attenzione: la videosorveglianza nelle parti comuni dell’edificio può avvenire solo con il consenso dell’assemblea (maggioranze art. 1136 c.c.) e nel rispetto del GDPR. Un Tribunale di merito ha ricordato che il proprietario può installare una videocamera che riprende solo la porta di casa sua o un’area privata, ma non può filmare liberamente pianerottoli, cortili o altri spazi condominiali, se non sono adottate le cautele di legge (informativa, angolo visuale limitato, niente audio, ecc.)【Trib. Taranto, sent. n. 2640/2023】. Insomma, le nuove frontiere degli affitti brevi pongono anche problemi di tutela della riservatezza e di convivenza che vanno oltre il semplice divieto o permesso.

 

 

Conclusioni e consigli pratici – In conclusione, la possibilità di fare affitti brevi in condominio dipende in primo luogo dalle regole interne: con un regolamento ben congegnato, i condomini possono limitare o vietare tali attività e far valere i propri diritti in giudizio (pacta sunt servanda, gli accordi vanno rispettati). Senza un divieto scritto, prevale la libertà del proprietario, e i vicini dovranno puntare sul rispetto delle norme di buon vicinato più che su un divieto assoluto. Come spesso accade, la soluzione migliore è giocare d’anticipo e cercare un equilibrio: se sei un proprietario interessato a locare ai turisti, informati sul regolamento condominiale esistente e, se possibile, dialoga con gli altri condomini per concordare regole di comportamento (ad esempio limiti sugli orari di check-in, utilizzo dell’ascensore, raccolta differenziata per gli ospiti, ecc.). Se invece sei un condomino preoccupato per un via vai continuo, valuta insieme all’assemblea se introdurre una clausola ad hoc nel regolamento (ricordando che serve l’accordo di tutti i proprietari) oppure rafforza l’azione dell’amministratore nel far rispettare le regole di convivenza. Spesso la via della collaborazione e del dialogo previene controversie legali costose e lunghe. Del resto, “buone recinzioni fanno buoni vicini”: questo proverbio, reso celebre dal poeta Robert Frost, ci ricorda che confini chiari e accordi rispettati sono la chiave per evitare litigi. In condominio, le “recinzioni” sono proprio le norme condivise – dal regolamento contrattuale alle semplici regole di buon senso – che permettono a proprietà privata e interesse collettivo di coesistere pacificamente.

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  • 23 settembre 2025
  • Marco Panato

Autore: Avv. Marco Panato


Avv. Marco Panato -

Avv. Marco Panato, avvocato del Foro di Verona e Dottore di Ricerca in Diritto ed Economia dell’Impresa – Discipline Interne ed Internazionali - Curriculum Diritto Amministrativo (Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Verona).

E' autore di pubblicazioni scientifiche in materia giuridica, in particolare nel ramo del diritto amministrativo. Si occupa anche di docenza ed alta formazione.