Cookie Consent by Free Privacy Policy Generator
Studio Legale MP - Verona logo
Sovraindebitamento: seconda opportunità e limiti nelle nuove sentenze Cassazione - Studio Legale MP - Verona

Le più recenti decisioni delineano un equilibrio tra il sollievo al debitore onesto e il rispetto delle regole: chi può accedere alle procedure, come vanno trattati i creditori privilegiati e chi può impugnare le omologazioni dei piani

 

Nemo tenetur ad impossibilia – nessuno è tenuto a fare l’impossibile. Questo antico brocardo latino ben riassume lo spirito delle procedure di sovraindebitamento, create per offrire al debitore sommerso dai debiti una via d’uscita legale e dignitosa. L’ordinamento italiano, prima con la legge 3/2012 e poi con il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019), ha abbracciato il principio della seconda opportunità: il debitore “meritevole” – cioè in difficoltà non per dolo o colpa grave – può ristrutturare o cancellare i propri debiti residui, tornando a una vita economicamente sostenibile. Recenti sviluppi giurisprudenziali, tuttavia, sottolineano che questo percorso di sollievo deve svolgersi entro limiti precisi, per equilibrare la solidarietà verso il debitore con la tutela dei creditori e del mercato. La Corte di Cassazione nel biennio 2024–2025 è intervenuta più volte sull’argomento, delineando con autorevolezza tali confini. Ne emergono indicazioni importanti su chi può accedere alle procedure (nozione di consumatore), come vanno trattati i creditori privilegiati nei piani di accordo e chi ha titolo per opporsi o impugnare le decisioni di omologazione. In questo articolo passeremo in rassegna le principali novità giurisprudenziali, per capire come la legge sul sovraindebitamento sia oggi applicata in modo sempre più maturo e bilanciato. L’obiettivo finale rimane favorire la ripartenza del debitore onesto – “favor debitor”, nel solco del principio per cui la liberazione dai debiti giova non solo al singolo ma alla collettività – senza però pregiudicare la certezza del diritto né i diritti di chi vanta crediti legittimi.

Chi è il “consumatore” nelle procedure di sovraindebitamento?
Uno snodo fondamentale riguarda la sfera soggettiva: non tutti i debitori possono accedere al cosiddetto piano del consumatore (oggi denominato ristrutturazione dei debiti del consumatore). La legge riserva questa procedura a chi riveste la qualifica di consumatore, cioè di persona fisica che ha contratto obbligazioni per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. Sembra una definizione semplice, mutuata dal Codice del consumo e già nota sotto la vecchia legge 3/2012, ma in casi concreti possono sorgere dubbi: ad esempio, il socio di una società che abbia prestato fideiussioni per i debiti dell’azienda può definirsi “consumatore”? Su questo punto la Cassazione è intervenuta di recente per confermare un orientamento restrittivo. Con l’ordinanza 11 novembre 2025, n. 29746 (Cass. civ., Sez. I), la Suprema Corte ha ribadito che il socio-fideiussore di una s.r.l. non è ammesso al piano del consumatore se la garanzia prestata era funzionale all’attività d’impresa. In altre parole, conta la finalità concreta del debito assunto: se Tizio, pur essendo un privato cittadino, firma da garante per un finanziamento destinato alla sua società, quel debito è strumentale all’attività imprenditoriale e Tizio non potrà qualificarsi come “consumatore” rispetto a esso【Cass. civ., Sez. I, sent. n. 29746/2025】. Viceversa, resta consumatore colui che esercita un’attività professionale ma contrae un debito per motivi personali estranei alla professione. La pronuncia in questione richiama esplicitamente il nuovo art. 2 del Codice della crisi, osservando che esso riprende la nozione pregressa e la giurisprudenza formatasi sotto la legge 3/2012. Dunque non vi è una liberalizzazione della platea dei beneficiari: il giudice dovrà scrutinare con rigore la natura dei debiti. Questa linea garantisce che l’ombrello protettivo del piano del consumatore copra solo i soggetti realmente meritevoli di protezione (le famiglie, gli individui non “addetti ai lavori” del business), evitando che imprenditori o professionisti scarichino sulle procedure consumeristiche debiti in realtà legati alla loro attività economica. Del resto, lo spirito della legge è aiutare chi si è indebitato per esigenze di vita – pensiamo a chi ha subito una malattia, una perdita di lavoro, o ha contratto finanziamenti per necessità personali – e non offrire scappatoie a chi ha assunto rischi d’impresa. La Cassazione, con questa decisione, conferma un orientamento ormai consolidato: aveva già escluso in passato il beneficio per garanti connessi all’attività d’impresa (Cass. Sez. VI-1, ord. n. 742/2020; Cass. Sez. Un. n. 5868/2023), e ora ribadisce la linea nella vigenza del nuovo Codice. In sintesi, il concetto di “consumatore” resta ancorato alla natura estranea al business del debito: un paletto che tutela la serietà delle procedure di sovraindebitamento, riservandole ai casi socialmente più degni di protezione.

Concordato minore: va rispettato l’ordine delle prelazioni
Un secondo importante contributo giurisprudenziale del 2025 attiene al concordato minore, lo strumento introdotto dal Codice della crisi per le piccole imprese e i lavoratori autonomi sovraindebitati (in continuità con il precedente “accordo del debitore” della legge 3/2012). Il concordato minore consente al debitore non consumatore e non fallibile di proporre un piano di ristrutturazione ai propri creditori, analogamente a un concordato preventivo ma in ambito di sovraindebitamento. Una caratteristica peculiare, rispetto al concordato preventivo delle imprese più grandi, è la maggiore flessibilità del contenuto: il piano può prevedere trattamenti differenziati dei crediti purché sia assicurato un soddisfacimento non inferiore a quello ricavabile nella liquidazione. Questa “elasticità” però ha dei limiti, come ha chiarito la Cassazione con la sentenza 28 ottobre 2025, n. 28574 (Cass. civ., Sez. I). Nel caso esaminato, un professionista (medico) aveva proposto al Tribunale un concordato minore in cui si impegnava a pagare integralmente solo la banca ipotecaria (che gravava su un suo immobile) e in misura ridotta – circa il 5% – tutti gli altri creditori, compresi quelli muniti di privilegi (erario e previdenza). Il piano dilazionava i pagamenti in cinque anni con i redditi futuri del debitore. Sia il Tribunale di Roma sia la Corte d’Appello avevano però bocciato la proposta, ritenendola inammissibile per violazione della parità di trattamento tra creditori: era stato violato l’ordine legale delle cause di prelazione (art. 2741 c.c.), dal momento che crediti privilegiati di grado inferiore avrebbero ricevuto percentualmente meno rispetto a un creditore ipotecario soddisfatto integralmente【Cass. civ., Sez. I, sent. n. 28574/2025】. In pratica il debitore, pagando al 100% la banca con ipoteca e al 5% il Fisco (che ha privilegio generale) e gli altri chirografari, creava una alterazione dell’ordine delle prelazioni non consentita. La Cassazione ha confermato il giudizio di inammissibilità, affermando un principio di grande rilevanza: nel concordato minore non è ammessa la deroga alla par condicio creditorum, salvo che sia espressamente prevista dalla legge. Pur essendo “libero” il contenuto del piano (art. 74 CCII), restano applicabili le norme di carattere generale sulle classi di creditori e sul loro trattamento paritario, in virtù del richiamo dell’art. 74, comma 4, CCII alle disposizioni del concordato preventivo. Insoluti di grado diverso non possono essere arbitrariamente discriminati. In altre parole, il debitore non può decidere di pagare poco alcuni creditori privilegiati mentre ne soddisfa interamente altri di rango ipotecario, se ciò risulta meno conveniente di una liquidazione giudiziale. Si tratta di un monito importante: a volte si pensa che le procedure di sovraindebitamento consentano soluzioni “creative” a scapito dei creditori, ma la Cassazione ricorda che anche qui vige la legge del concorso. I privilegi vanno rispettati e le eccezioni (ad esempio il cram down fiscale, che consente talvolta di stralciare parzialmente i debiti tributari) sono solo quelle espressamente stabilite. La sentenza n. 28574/2025 fa eco alla giurisprudenza formatasi sul concordato preventivo “classico” – dove da anni si afferma l’intangibilità dell’ordine di graduazione se non nei limiti consentiti (classi e voto, oppure adesione del creditore privilegiato al trattamento degradato) – trasferendo questi principi di equità orizzontale anche nel concordato minore. Il messaggio per i debitori è chiaro: a piani sostenibili e calibrati sulle proprie possibilità, ma no a forzature che penalizzino oltremisura i creditori in modo ingiustificato. D’altronde, “abolire il dovere di pagare i debiti mina alla base le regole della convivenza umana”, ammoniva Tito Livio; allo stesso tempo nemo tenetur ad impossibilia, come abbiamo detto. Sta proprio in questo equilibrio la ratio della normativa: offrire una via d’uscita, senza trasformarla in un ingiusto vantaggio. La Cassazione, dunque, richiama all’ordine: nel concordato minore il debitore deve rispettare le gerarchie dei crediti o dimostrare che comunque nessun creditore riceve meno di quanto avrebbe ottenuto altrimenti. Quest’ultimo aspetto – la convenienza rispetto all’alternativa liquidatoria – era stato contestato nel caso specifico anche per la scarsa chiarezza dell’attestazione di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi), altro elemento su cui le corti vigilano attentamente. In conclusione, dal 2025 sappiamo che la “mini-imprenditoria” sovraindebitata non può violare le regole di parità tra creditori: la tutela del debitore non fallibile non si spinge fino a sovvertire i principi cardine del concorso tra creditori.

Chi può impugnare l’omologazione di un piano approvato?
Il terzo aspetto cruciale toccato dalle nuove sentenze riguarda le impugnazioni nell’ambito delle procedure di sovraindebitamento, in particolare dopo l’omologazione di un piano del consumatore o di un concordato minore. Nel regime attuale, superata la fase iniziale, il procedimento si conclude con un decreto di omologazione emesso dal giudice: questo decreto può omologare (approvare) la proposta oppure rigettarla. Ma chi può opporsi o appellare tale decisione? E con quali strumenti? La risposta è meno scontata di quanto sembri, poiché le norme sono tecniche (nel Codice della crisi l’art. 14 per il consumatore, l’art. 14-bis per concordato minore) e potevano dar luogo a interpretazioni discordanti. Ancora una volta, la Cassazione è intervenuta per fare chiarezza. Con l’ordinanza 27 febbraio 2025, n. 5157 (Cass. civ., Sez. I), la Corte ha stabilito che il decreto di omologazione o di diniego dell’omologazione è soggetto a reclamo, e ha precisato chi è legittimato a proporlo. Solo chi ha effettivamente partecipato al procedimento di omologazione come parte formale e ne risulta soccombente può impugnare la decisione【Cass. civ., Sez. I, sent. n. 5157/2025】. In pratica: se il piano viene omologato contro il parere di un creditore opponente, quest’ultimo – in quanto parte “soccombente” rispetto alla decisione favorevole al debitore – potrà proporre reclamo (dinanzi alla Corte d’Appello) contro l’omologa. Al contrario, un creditore che è rimasto totalmente inerte in sede di omologazione (magari perché non si è opposto, o non è comparso) non avendo assunto il ruolo formale di parte processuale non potrà attivarsi ex post per impugnare l’esito. Allo stesso modo, il debitore potrà reclamare solo se l’omologazione gli è stata negata o se sono state inserite condizioni peggiorative a suo carico, e non invece se il piano è stato approvato integralmente come da lui proposto (caso in cui, evidentemente, non è soccombente). La Cassazione, dunque, delimita la platea degli impugnanti per evitare che soggetti estranei alla fase di omologa possano riaprire i giochi successivamente. Questo principio garantisce certezza e stabilità agli esiti delle procedure: una volta omologato il piano e trascorsi i termini per il reclamo delle parti legittimate, l’accordo diviene definitivo e va eseguito. La pronuncia 5157/2025 sottolinea anche che il reclamo in parola – previsto dall’art. 14 CCII – è lo strumento generale di impugnazione in questi procedimenti, escludendo il ricorso diretto per Cassazione se non dopo l’esito del reclamo. Si mette così ordine nel sistema delle tutele: prima la Corte d’Appello in sede di reclamo, poi eventualmente la Cassazione per motivi di legittimità. Questo assetto, in parte innovato dalla riforma del 2021-2022, era stato oggetto di qualche incertezza applicativa che la sentenza in commento dissipa con chiarezza. In sostanza, la regola del contraddittorio viene elevata a criterio di sbarramento: chi non è “parte” nel giudizio di omologa non può diventarlo solo per impugnare. Ciò incentiva i creditori a partecipare sin da subito al procedimento (ad esempio presentando osservazioni o opposizioni tempestive) per non pregiudicare i propri diritti. Dall’altro lato, tutela il debitore dal rischio di contestazioni tardive di soggetti rimasti silenti: se nessun creditore si oppone all’omologa, il debitore può confidare che l’approvazione del piano diventi stabile. Anche su questo tema si intravede un delicato bilanciamento: la legge aiuta chi vigila sui propri diritti. Come sintetizzato efficacemente in sentenza, “il silenzio del debitore equivale ad accettazione” e per analogia possiamo dire che anche il silenzio del creditore, in mancanza di impugnazione, cristallizza la situazione post-omologa. Del resto, la Cassazione aveva definito “dirompente” la conseguenza dell’inerzia: ignorare un’intimazione di pagamento può far “risorgere” un debito prescritto (Cass. civ., Sez. V, ord. n. 20476/2025), in quanto l’atto non contestato per tempo diventa definitivo. Allo stesso modo, in ambito sovraindebitamento, ignorare la fase di omologa significa accettarne l’esito. Vigilantibus non dormientibus iura succurrunt – i diritti assistono chi non dorme –, verrebbe da dire. E la giurisprudenza odierna lo conferma, incentivando comportamenti processuali attivi e corretti da ambo le parti.

Conclusioni
Dal quadro che emerge dalle sentenze più recenti, il sovraindebitamento si conferma come un istituto improntato alla solidarietà ma anche alla responsabilità. Da un lato, il sistema offre strumenti sempre più efficaci per liberare i debitori onesti dal peso insopportabile dei loro debiti pregressi – basti pensare all’innovativa liquidazione controllata che consente l’esdebitazione persino agli ex imprenditori falliti, recentemente applicata anche dai tribunali di merito (es. Trib. Verona, sez. II civ., sent. 13 giugno 2025, in tema di ammissione alla liquidazione controllata di un ex fallito) – dall’altro, le Corti vigilano affinché questi strumenti non vengano distorti o invocati oltre i limiti stabiliti. Chi merita, può sperare in un nuovo inizio, ma chi tenta scorciatoie in malafede o fuori dai casi previsti incapperà in uno stop deciso da parte del giudice. La Cassazione, con gli interventi del 2024–2025, ci consegna un insegnamento preciso: “patti chiari, amicizia lunga”. Il patto, in questo caso, è quello tra debitore e ordinamento: trasparenza, correttezza e rispetto delle regole in cambio della protezione dalle aggressioni dei creditori e, in ultima analisi, della cancellazione dei debiti residui. Come in ogni equilibrio ben costruito, ciascuna parte deve fare la propria parte. Il debitore deve mettere sul tavolo tutto il possibile, agire in buona fede e non nascondere nulla; i creditori devono accettare un sacrificio (spesso doloroso) ma equamente ripartito secondo legge; il giudice, infine, garantisce che il processo si svolga secondo giustizia e che l’esito rispetti i parametri. Se tutto ciò avviene, la procedura di sovraindebitamento riesce nel suo obiettivo sociale: dare sollievo a chi è oppresso dai debiti senza alternative, permettendogli di tornare a contribuire all’economia legale, fuori dalla trappola dell’usura o del lavoro nero. Come ha scritto Dante in un verso immortale, riferendosi all’uscita dall’Inferno, «e quindi uscimmo a riveder le stelle». È la visione di un nuovo inizio dopo l’oscurità: un’immagine poetica che ben simboleggia il percorso di un debitore che, chiusa la dolorosa parentesi del sovraindebitamento, torna finalmente a vedere la luce. La strada può essere lunga e richiede impegno, ma l’ordinamento offre gli strumenti per percorrerla – con l’ausilio di professionisti qualificati – fino alla meta della riabilitazione finanziaria.

In definitiva, le ultime pronunce in materia di sovraindebitamento delineano un sistema più maturo, nel quale clemenza e rigore coesistono. Da un lato, si rafforzano le tutele per il debitore sovraindebitato meritevole – pensiamo alla possibilità di salvare la prima casa o di ottenere l’esdebitazione integrale anche se “incapiente” – dall’altro, viene confermata la ferma necessità di rispettare le regole e i diritti altrui lungo tutto il percorso. Se ti riconosci in una situazione di grave indebitamento, oppure sei un creditore coinvolto in procedure di questo tipo e vuoi far valere correttamente le tue ragioni, non affrontare da solo questo cammino complesso. Affidarsi a professionisti esperti è fondamentale per far valere appieno i propri diritti ed evitare passi falsi. Lo Studio Legale MP vanta consolidata esperienza nel diritto civile, fallimentare e nelle soluzioni per la gestione della crisi da sovraindebitamento. Possiamo aiutarti a valutare la tua posizione, individuare lo strumento più adatto (piano del consumatore, accordo di ristrutturazione debiti, liquidazione controllata o altre opzioni) e guidarti in ogni fase della procedura, interfacciandoci con gli Organismi di Composizione della Crisi e con gli organi giudiziari competenti.

Hai bisogno di assistenza o di un preventivo?

  • 09 dicembre 2025
  • Redazione

Autore: Redazione - Staff Studio Legale MP


Redazione - Staff Studio Legale MP -

Redazione - Staff Studio Legale MP