
Una delle novità più rilevanti introdotte dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) è la procedura familiare di sovraindebitamento. In passato ogni debitore doveva agire separatamente, ma oggi membri dello stesso nucleo familiare possono presentare un ricorso congiunto per gestire unitariamente la propria situazione debitoria. Ciò significa, ad esempio, che marito e moglie (o padre e figlio, fratelli, ecc.), se entrambi indebitati, possono accedere insieme alla procedura invece di avviare due iter distinti. Questo approccio unitario riflette il principio per cui ad impossibilia nemo tenetur – nessuno è tenuto a fare l’impossibile –: se i debiti sono insostenibili, la legge offre la possibilità di affrontarli collettivamente, evitando duplicazioni di costi e di tempi.
La legislazione vigente prevede che possano accedere a un’unica procedura di composizione della crisi i familiari conviventi oppure i familiari con un indebitamento di origine comune (anche se non convivono). In altre parole, contano i legami di famiglia e la connessione tra le cause dei debiti. Ad esempio, due coniugi o conviventi che hanno accumulato debiti insieme (magari garantendo l’uno i prestiti dell’altro, o condividendo mutui e finanziamenti) possono presentare un unico ricorso. Importante, grazie a una recente riforma, è che questi due requisiti (convivenza e origine comune dei debiti) non devono sussistere cumulativamente: basta uno dei due. Anche familiari non più conviventi ma con debiti contratti durante la vita in comune possono quindi accedere insieme: emblematico in tal senso un caso in cui il tribunale ha ammesso alla procedura un ex marito e un’ex moglie separati, riconoscendo che la loro esposizione debitoria aveva una radice comune risalente al matrimonio (Trib. Forlì, sent. 19 gennaio 2024).
Ovviamente, tutti i partecipanti devono possedere i requisiti generali di meritevolezza richiesti dalla legge sul sovraindebitamento. Significa che i debitori non devono aver provocato la propria insolvenza con dolo o colpa grave, né aver aggravato il dissesto con azioni in frode ai creditori (ad esempio distrarre volontariamente beni, simulare debiti inesistenti, oppure accumulare debiti in modo irresponsabile confidando di non pagarli). Questo filtro etico è fondamentale per assicurare che la “seconda opportunità” sia riservata a chi davvero la merita. La Corte di Cassazione ha chiarito, negando il beneficio in un caso di debitore già fallito condannato per bancarotta fraudolenta, che chi ha ingannato i creditori o agito con malafede non può ottenere il “colpo di spugna” sui debiti (Cass. civ., Sez. I, sent. n. 18517/2025). Al contrario, il debitore onesto ma sfortunato – o magari solo imprudente in buona fede – potrà trovare nella procedura familiare uno strumento di salvezza.
Ricorrere alla procedura congiunta comporta numerosi vantaggi pratici. Innanzitutto, viene nominato un unico Gestore della Crisi o Organismo di Composizione della Crisi (OCC) per l’intera famiglia, che seguirà tutti i membri insieme: questo si traduce in meno spese e in una gestione più coordinata. Anche l’iter giudiziario si snellisce: sarà un solo giudice a occuparsi della pratica comune, emettendo un unico provvedimento di omologa del piano o di apertura della liquidazione per tutti i ricorrenti. Ciò evita il rischio di decisioni contrastanti in procedimenti separati e consente di avere una visione unitaria del patrimonio familiare e delle risorse disponibili. In concreto, i debitori familiari possono proporre un solo piano di ristrutturazione dei debiti che copre tutte le posizioni, oppure aprire un’unica procedura di liquidazione controllata vendendo i beni in un solo contesto: un bel risparmio di tempo e burocrazia rispetto a tante procedure frammentate.
Un ulteriore beneficio è che la famiglia indebitata può presentarsi più forte e credibile davanti ai creditori. Offrire una soluzione congiunta significa spesso mettere sul piatto più garanzie o risorse (ad esempio, più redditi sommati o beni cointestati) a favore della massa dei creditori, aumentando le chance di trovare un accordo accettabile. Per i creditori stessi, trattare un unico caso familiare può risultare preferibile che inseguire separatamente più persone connesse dagli stessi debiti: la procedura unica porta ordine nel caos, facilitando anche le trattative e la votazione di eventuali proposte.
Da notare poi che il Codice della Crisi ha previsto correttivi per gestire casi familiari “misti”, ossia quando tra i membri ci sono sia consumatori sia soggetti non consumatori (come piccoli imprenditori o garanti). In tali situazioni, il progetto unitario viene trattato secondo le regole del concordato minore (che richiede il voto dei creditori) o della liquidazione controllata, a seconda dei casi. Le ultime modifiche normative (c.d. “correttivo ter”) hanno introdotto meccanismi per evitare che un solo creditore con la maggior parte dei crediti possa bloccare la procedura familiare: ad esempio, è stata prevista la possibilità di approvare il concordato anche con la maggioranza “per teste” se un unico creditore detiene da solo la maggioranza dei crediti. Sono accorgimenti tecnici, ma che dimostrano la volontà del legislatore di favorire la riuscita delle soluzioni familiari, superando gli ostacoli procedurali.
Non tutti i debiti possono però essere cancellati tramite le procedure di sovraindebitamento, e questo vale anche per le procedure familiari. In particolare, gli obblighi di mantenimento verso i familiari restano esclusi dall’esdebitazione: ad esempio, eventuali assegni dovuti ai figli minori o all’ex coniuge (assegno di divorzio) non vengono toccati dal procedimento e dovranno continuare a essere pagati. La ratio di questa esclusione è chiara: il diritto della famiglia viene prima di tutto, e la legge non permette di azzerare debiti che servono al sostentamento dei propri cari. Dunque, anche se madre e padre accedono insieme alla procedura per cancellare debiti con banche e finanziarie, dovranno comunque onorare gli impegni di mantenimento familiare eventualmente stabiliti dal giudice civile.
Un altro limite riguarda l’ambito oggettivo dei debiti trattabili: la procedura familiare serve a risolvere le crisi da sovraindebitamento personali dei membri, ma non può essere usata in modo improprio per coinvolgere estranei o realtà giuridiche diverse. Ad esempio, non è possibile che un socio di società cerchi di far ricadere nella propria procedura individuale anche i debiti della società stessa: una recente pronuncia ha dichiarato inammissibile il concordato minore presentato da un socio illimitatamente responsabile che tentava di includere i debiti sociali della società ancora attiva nel proprio piano personale (Trib. Verona, Sez. II civ., sent. 17 agosto 2025). In sostanza, la legge consente di accorpare i debiti all’interno della famiglia, ma non di spalmare su di essa debiti altrui o sfuggire alle responsabilità di enti diversi. I giudici vigilano attentamente per evitare abusi: la seconda opportunità viene negata a chi cerca “scorciatoie” indebite o confonde le acque tra debiti personali e altrui.
Nel 2025 abbiamo assistito ai primi casi concreti di applicazione della procedura familiare, con decisioni che hanno fatto scuola e tracciato l’orientamento dei tribunali. Un pronunciamento storico è arrivato dal Tribunale di Perugia, che con una sentenza del 14 agosto 2025 ha aperto la strada al primo caso in Italia di esdebitazione familiare in favore di due coniugi totalmente incapienti. Si trattava di una famiglia gravata da circa 81.000 euro di debiti, senza beni né redditi pignorabili, la cui situazione era dovuta a vicende sfortunate (perdita del lavoro, infortuni, eventi calamitosi) e non a colpa dei debitori. Ebbene, il giudice umbro ha riconosciuto che anche la procedura di esdebitazione del debitore incapiente (ossia la liberazione totale dai debiti per chi non ha nulla da offrire ai creditori) può svolgersi in forma familiare. Pur non essendo espressamente menzionata nell’art. 66 CCII sulle procedure familiari, questa possibilità è stata ammessa con un’interpretazione sistematica e in linea con lo spirito del legislatore. I due coniugi, valutati entrambi meritevoli e residenti nello stesso circondario, hanno così potuto unire le forze in un’unica procedura familiare ottenendo l’apertura della liquidazione controllata congiunta e, al termine, la completa cancellazione di tutti i debiti residui (Trib. Perugia, sent. 14 agosto 2025). Questa sentenza pionieristica ha un valore enorme: conferma che il sistema vuole davvero offrire un “fresh start” a tutte le famiglie in difficoltà, anche a quelle che non dispongono di alcuna risorsa, purché la loro insolvenza non sia frutto di malafede.
Un altro importante contributo è arrivato dal Tribunale di Torino, che ha affrontato una problematica pratica sulla competenza territoriale. In un caso di procedura familiare “interdistrettuale”, due membri della stessa famiglia vivevano in province diverse e dunque, in teoria, avrebbero dovuto rivolgersi a tribunali differenti. Presentando però un’unica domanda congiunta, si poneva il dubbio su quale fosse il tribunale competente a trattare la crisi familiare. Con un provvedimento del 14 luglio 2025, il Tribunale di Torino ha risolto la questione stabilendo che prevale il foro adito per primo: in pratica, è competente il tribunale presso cui viene depositato inizialmente il ricorso familiare, anche se alcuni membri risiedono altrove (Trib. Torino, sent. 14 luglio 2025, n. 283). Questa soluzione privilegia la libera scelta del foro da parte dei debitori familiari e soprattutto evita di spezzare la procedura in più sedi: l’unità della crisi familiare viene preservata, conformemente alla logica di trattare insieme una situazione di indebitamento comune.
Oltre a questi sviluppi sulla procedura familiare in senso stretto, il 2025 ha visto la giurisprudenza impegnata a rafforzare il “favor debitoris” (cioè la tendenza a favorire la liberazione del debitore onesto) eliminando alcuni ostacoli normativi. In particolare, il Tribunale di Verona ha assunto una posizione coraggiosa a tutela del debitore meritevole: con un’ordinanza del 18 luglio 2025 ha sollevato questione di legittimità costituzionale su una norma del Codice della Crisi (art. 278, comma 2) che rischiava di vanificare l’esdebitazione in un caso di liquidazione controllata familiare. Nella vicenda concreta, tutti i creditori che si erano insinuati nella procedura erano stati soddisfatti integralmente, ma alcuni creditori volutamente rimasti estranei (pur informati dell’apertura) sarebbero rimasti liberi di rivalersi sul debitore dopo la chiusura, poiché l’esdebitazione per legge non li copriva. Questo esito – il paradosso di un debitore ancora perseguitabile da chi aveva scelto di non partecipare alla procedura – è apparso al giudice irragionevole e contrario allo spirito della “seconda chance”. Per questo, Verona ha rimesso la questione alla Corte Costituzionale, ritenendo che legare la liberazione dai debiti al comportamento inerte di alcuni creditori violi il principio di eguaglianza e le direttive europee sul fresh start (Trib. Verona, Sez. II civ., ord. 18 luglio 2025). Si attende dunque l’esito di questo intervento, ma il segnale è chiaro: la giurisprudenza sta facendo di tutto per rimuovere gli ultimi ostacoli che impediscono al debitore meritevole – sia esso singolo o famiglia – di ottenere davvero la cancellazione di tutti i debiti.
"E quindi uscimmo a riveder le stelle", scriveva Dante Alighieri alla fine del suo viaggio nell’oscurità infernale. Allo stesso modo, dopo il lungo tunnel di una crisi familiare da sovraindebitamento, oggi è finalmente possibile tornare a vedere la luce. La procedura familiare offre ai nuclei in difficoltà una via d’uscita concreta: un solo processo per liberarsi dal peso di debiti opprimenti e ritrovare la serenità perduta. Per le famiglie oneste ma sfortunate, si prospetta davvero un futuro in cui i debiti sono solo un ricordo e si può ripartire da zero, insieme.
Redazione - Staff Studio Legale MP