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Sovraindebitamento familiare: opportunità e limiti - Studio Legale MP - Verona

Una procedura unica per l’intero nucleo familiare promette di risolvere i debiti in modo coordinato ed efficace; la giurisprudenza più recente ne evidenzia sia i benefici concreti sia le condizioni rigorose da rispettare

Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza ha introdotto la “procedura familiare” per il sovraindebitamento, permettendo a coniugi e familiari conviventi di affrontare insieme i debiti in un unico piano. Questo articolo esamina come funziona questa opportunità di gestione unitaria della crisi, quali vantaggi offre in termini di costi e tempi, e quali limiti applicativi emergono dalle più recenti sentenze del 2025. Attraverso esempi pratici e casi reali, viene illustrato quando la procedura familiare può portare all’esdebitazione dell’intero nucleo e quando, invece, ostacoli come i “debiti promiscui” o altre condizioni ne impediscono l’accesso. L’obiettivo è fornire un quadro chiaro e aggiornato di questo strumento innovativo di tutela del debitore, evidenziandone i requisiti di meritevolezza e le tutele previste per garantire un effettivo “fresh start” alla famiglia sovraindebitata

 

La “procedura familiare” nel sovraindebitamento: di cosa si tratta?
Il diritto italiano, sull’onda delle riforme europee in materia di insolvenza, ha riconosciuto espressamente la possibilità per le famiglie di affrontare unitariamente la propria crisi da debiti. Concordia parvae res crescunt – “con l’armonia le piccole cose crescono” – recita un antico motto latino: lo stesso spirito di unione ispira la procedura familiare introdotta dal Codice della Crisi e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, art. 66). In sostanza, più membri di uno stesso nucleo (coniugi, conviventi o parenti stretti) possono presentare insieme un’unica domanda per accedere a una procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento. Si tratta di un innovativo strumento “collettivo” che consente di trattare i debiti di tutta la famiglia in modo coordinato, anziché con tante pratiche separate. Il legislatore ha così voluto agevolare il favor familiae nel contesto della crisi debitoria, riconoscendo che spesso le difficoltà economiche colpiscono l’intero nucleo e richiedono una soluzione unitaria e coerente.

Vantaggi concreti di una procedura unificata
L’adozione di una procedura familiare comporta diversi vantaggi pratici. Anzitutto, si ha un’unica procedura giudiziaria invece di molteplici: ciò significa tempi più rapidi e minori costi, poiché ad esempio le spese dell’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) vengono ripartite tra i membri e gli atti processuali sono accorpati. Un solo piano di rientro o di liquidazione può affrontare in modo organico tutti i debiti comuni (come un mutuo cointestato, bollette domestiche, finanziamenti familiari), evitando soluzioni scoordinate. Questo approccio globale riduce anche il rischio di conflitti o incoerenze tra le posizioni dei vari familiari debitori: la famiglia si presenta davanti ai creditori come un fronte unico, con un progetto condiviso di risanamento. Dal punto di vista psicologico e sociale, inoltre, affrontare insieme il problema dei debiti rafforza la solidarietà familiare e alleggerisce la pressione individuale su ciascun membro. In definitiva, la procedura unificata realizza appieno quella “seconda opportunità” che la legge sul sovraindebitamento vuole offrire al debitore onesto, estendendola dall’individuo al suo intero nucleo di affetti. Come recita un vecchio adagio, “Uno per tutti e tutti per uno”: nell’affrontare la crisi, l’unione familiare diventa la chiave per superarla.

Requisiti di ammissibilità: conviventi o debiti comuni
Naturalmente, non ogni gruppo di persone legate da vincoli può improvvisare una procedura comune: la legge fissa precisi requisiti soggettivi. L’art. 66 del Codice della Crisi stabilisce che possono accedere alla procedura familiare i membri dello stesso nucleo quando sono conviventi, oppure quando il loro sovraindebitamento ha un’origine comune. Basta dunque uno solo di questi due presupposti (coabitazione o causa comune dei debiti) per poter presentare una domanda congiunta. Ad esempio, dei coniugi che vivono insieme e hanno contratto debiti per le esigenze della vita familiare rientrano certamente nella previsione; analogamente due fratelli non conviventi potrebbero accedere congiuntamente solo se, poniamo, hanno garantito insieme un medesimo prestito e da ciò origina il debito di entrambi. La norma definisce “famiglia” in senso ampio, includendo coniuge, unito civilmente, convivente di fatto e parenti fino al quarto grado conviventi. Ciò che conta è che vi sia una comunanza di vita o almeno l’intreccio sostanziale delle obbligazioni assunte. In assenza di tali legami, ciascun debitore dovrà procedere per conto proprio.

Mantenimento dell’autonomia patrimoniale
Pur nella presentazione unitaria, va chiarito che ogni debitore familiare conserva la propria autonomia patrimoniale. Le masse attive e passive restano distinte: ciascun membro risponde solo dei propri debiti, salvo quelli eventualmente cointestati, e mette a disposizione solo i propri beni per soddisfare i creditori. In pratica si unificano la procedura e il piano, ma non si confondono i patrimoni. Questo principio di “responsabilità patrimoniale personale” (art. 2740 c.c.) continua ad applicarsi anche nel contesto familiare: ad esempio, l’eventuale casa intestata solo a uno dei coniugi potrà essere coinvolta o salvaguardata in base alla posizione debitoria di quel coniuge, mentre l’altro vi rimane estraneo per la sua quota. Il piano comune dovrà dunque tener conto delle diverse situazioni patrimoniali all’interno della famiglia, prevedendo eventualmente riparti separati delle somme ricavate dai beni di ciascuno. La gestione unitaria della crisi avviene quindi nel rispetto delle individualità economiche dei partecipanti, coordinandole senza però fonderle insieme in un unico calderone.

Scelta della procedura: piano del consumatore o concordato minore?
Una volta stabilito che la famiglia può procedere congiuntamente, occorre scegliere quale tipo di procedura di sovraindebitamento intraprendere. Anche su questo punto interviene la legge: se tutti i membri del nucleo sono “consumatori” (ossia persone fisiche che hanno contratto debiti per scopi estranei ad attività d’impresa), la soluzione sarà quella di un piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore unitario (il vecchio “piano del consumatore” della L. 3/2012, oggi art. 67 CCII). Se invece almeno uno dei membri non è consumatore – ad esempio perché è un piccolo imprenditore, un professionista o ha debiti fiscali derivanti da attività di impresa – allora l’intera procedura familiare dovrà seguire le regole dell’accordo di composizione della crisi, noto anche come concordato minore (artt. 74 e ss. CCII). In tal caso si tratterà di presentare un vero e proprio piano di concordato, soggetto all’approvazione dei creditori, anziché un semplice piano del consumatore omologato dal giudice. Questa distinzione è fondamentale: la platea soggettiva ammessa al piano del consumatore rimane rigorosamente limitata ai debiti di natura personale e non professionale. La Corte di Cassazione ha di recente ribadito questo principio, escludendo ad esempio che un socio che abbia garantito i debiti della propria società possa accedere come “consumatore” alla procedura di sovraindebitamento (Cass. civ., Sez. I, ord. n. 29746/2025). In altre parole, se una parte significativa dell’esposizione deriva da obbligazioni legate ad attività economiche (come fideiussioni bancarie in ambito aziendale, debiti IVA, ecc.), il soggetto non rientra nella categoria del consumatore meritevole di tutela semplificata. Nel contesto di una procedura familiare mista (debiti in parte da consumo, in parte da impresa), ciò comporta necessariamente l’adozione del modello più complesso del concordato minore per l’intero nucleo. La recente riforma correttiva del 2024 ha espressamente chiarito questa regola, evitando incertezze applicative.

Il caso dei “debiti promiscui”: quando un familiare non è consumatore
Una delle situazioni più insidiose emerse nella prassi è quella in cui uno dei membri della famiglia presenti una cosiddetta “debitoria promiscua”, cioè composta sia da debiti personali che da debiti riconducibili ad un’attività professionale o d’impresa svolta. In tali casi, la procedura familiare può incontrare ostacoli di ammissibilità. Emblematica è una pronuncia del Tribunale di Lecce nel 2025: due coniugi avevano presentato un unico piano del consumatore familiare, ma uno dei due risultava avere anche debiti di natura professionale pregressa. Il giudice salentino ha dichiarato inammissibile l’intera domanda unitaria proprio a causa di questa commistione, ritenendo che la presenza di debiti non da consumatore (i cosiddetti debiti promiscui) in capo anche ad uno solo dei ricorrenti impedisca di trattare la crisi con le forme semplificate riservate ai consumatori. (Trib. Lecce, sent. 3 novembre 2025). In altri termini, se marito e moglie presentano insieme un piano familiare ma uno dei due non è “puro” consumatore, il ricorso congiunto per la ristrutturazione ex art. 67 CCII non può essere accolto. Occorre allora ripiegare su un concordato minore familiare (se possibile), oppure procedere con pratiche separate a seconda della natura dei debiti di ciascuno. Un orientamento analogo era emerso anche in altri tribunali: ad esempio è stata negata la ristrutturazione dei debiti del consumatore a un ex socio di società di persone gravato da debiti fiscali della vecchia attività (ritenuti estranei alla sfera consumeristica) (Trib. Terni, decr. 30 ottobre 2025). Queste decisioni pongono in luce come la nozione di consumatore rimanga circoscritta e come la meritevolezza del debitore venga meno se egli cerca di includere nella procedura agevolata debiti nati da attività d’impresa. La ratio è chiara: le soluzioni più snelle e di favore (come il piano del consumatore senza voto dei creditori) devono essere riservate a chi si è indebitato per esigenze di vita, non per rischi d’impresa. Summum ius, summa iniuria: applicare rigorosamente questa distinzione può apparire severo, ma serve a evitare abusi e disparità di trattamento tra creditori.

Tutela della “seconda opportunità” e meritevolezza del nucleo familiare
Per poter ottenere l’esdebitazione finale – ossia la cancellazione dei debiti residui al termine della procedura – la famiglia debitrice deve risultare meritevole, cioè non aver aggravato la propria situazione con dolo o colpa grave. Questo requisito di buona fede, già previsto per i singoli debitori, si estende ovviamente anche ai procedimenti congiunti: ogni membro deve aver mantenuto un comportamento leale verso i creditori e non aver assunto obbligazioni irresponsabili o fraudolente. La valutazione della meritevolezza oggi è impostata in termini oggettivi: conta soprattutto l’assenza di violazioni gravi dei doveri di diligenza o di atti in frode. Ad esempio, se uno dei familiari ha dissipato patrimonio o contratto debiti contando di non pagarli, l’accesso alla procedura può essergli precluso, trascinando con sé l’intero ricorso familiare. La legge attuale (artt. 69 e 77 CCII) richiede infatti che nessuno dei ricorrenti versi in mala fede o frode nell’indebitamento. La giurisprudenza recente tende ad interpretare tale requisito con equilibrio, privilegiando un approccio sostanziale: si guarda più alla possibilità concreta di recupero e alla situazione attuale di insolvenza rispetto a eventuali errori di valutazione commessi in passato. Come evidenziato da una pronuncia del Tribunale di Napoli (Trib. Napoli, sent. 27 ottobre 2025), l’obiettivo delle norme è favorire il reinserimento del debitore nel circuito economico, salvo punire comportamenti realmente maliziosi o gravemente imprudenti. Nel contesto familiare, ciò significa dare rilievo alle cause oggettive della crisi (es. perdita del lavoro, malattia, crisi generale) piuttosto che cercare una “colpa” nei debitori. In ogni caso, il giudice e l’OCC esercitano un controllo rigoroso sulla veridicità dei dati forniti e sulla completezza delle informazioni patrimoniali di tutti i partecipanti: omissioni ou reticenze rilevanti potrebbero compromettere l’omologazione del piano ou l’apertura della liquidazione controllata. È recentissima una sentenza della Cassazione che richiama proprio l’obbligo di trasparenza e disclosure del debitore, evidenziando come il giudice debba verificare la completezza della relazione dell’OCC e l’assenza di attivi nascosti ou ruoli economici non dichiarati (Cass. civ., Sez. I, sent. n. 28576/2025). Questo controllo, sebbene severo, è funzionale a garantire che la “seconda opportunità” sia concessa solo a chi la merita davvero, evitando abusi.

La famiglia sovraindebitata verso l’esdebitazione: prospettive e limiti
Se la procedura viene ammessa e condotta con successo – sia essa un accordo familiare con i creditori ou un piano del consumatore con omologa giudiziale – il risultato finale auspicato è l’esdebitazione: la liberazione definitiva della famiglia dai debiti residui insoddisfatti. Questo esito consente al nucleo di “ripartire da zero” senza più quel fardello finanziario, secondo il principio del fresh start promosso anche dal diritto UE. Tuttavia, va segnalato che esistono ancora alcuni limiti normativi che possono ridurre l’effettività di tale sollievo. Un nodo critico, ad esempio, è quello dei creditori che restano estranei alla procedura: la legge prevede che l’esdebitazione non si applichi ai creditori che, pur avvisati, non abbiano partecipato (i cosiddetti creditori non insinuati, art. 278 co.2 CCII). Ciò può lasciare la famiglia debitrice ancora esposta verso costoro. In un caso paradossale verificatosi a Verona, addirittura, tutti i creditori insinuati erano stati integralmente soddisfatti nella liquidazione di un patrimonio familiare, ma alcuni creditori avevano scelto di rimanere fuori e pretendevano di rivalersi dopo la chiusura: il Tribunale di Verona ha giudicato questa conseguenza inaccettabile e ha sollevato la questione di legittimità costituzionale della norma (Trib. Verona, ord. 18 luglio 2025). Si attende dunque l’intervento della Consulta per sanare questa distorsione, che rischia di frustrare la finalità stessa della procedura. Al di là di tali aspetti tecnici in via di miglioramento, la tendenza generale della giurisprudenza italiana è di grande attenzione verso le finalità sociali del sovraindebitamento familiare. I tribunali mostrano di voler bilanciare la tutela dei creditori con l’esigenza di non negare alla famiglia onesta una via d’uscita reale dal “debito perpetuo”. Se infatti è giusto impedire facili scappatoie a chi ha assunto rischi d’impresa, è altrettanto giusto non condannare all’insolvenza a vita chi ha agito in buona fede e oggi non riesce oggettivamente a far fronte agli impegni presi. Il confine tra rigore e solidarietà viene definito caso per caso attraverso le decisioni: da un lato Cassazione e Corti di merito mantengono ferme le barriere all’ingresso, ad esempio negando doppi benefici a chi ha già avuto procedure concorsuali in passato (Cass. civ., Sez. I, ord. n. 30108/2025); dall’altro mostrano sensibilità nel rimuovere ostacoli non imputabili al debitore, come nel citato caso veronese ou nell’ammettere procedure congiunte anche per debitori incapienti. A tal proposito, va ricordato che pure chi non possiede alcun bene né reddito immediatamente disponibile – il cosiddetto debitore “incapiente” – può oggi accedere all’esdebitazione, anche nell’ambito di una procedura familiare. Una volta accertata la meritevolezza, il tribunale può infatti dichiarare cancellati i debiti residui a chi non è in grado di offrire nulla ai creditori, purché si impegni a versare ai creditori una parte di eventuali utilità future (entro quattro anni). Questa forma di perdono totale, introdotta dal Codice della Crisi (art. 283 CCII), rappresenta un importante segnale di civiltà economica: la legge riconosce che “nemo tenetur ad impossibilia”, nessuno è tenuto a fare l’impossibile, e dunque non si può pretendere oltre da chi proprio non ha risorse. Ovviamente, l’accesso non è automatico e sono esclusi i debitori in mala fede; ma per le famiglie davvero indigenti si apre uno spiraglio di speranza, evitando che restino schiacciate dai debiti per tutta la vita.

 

Conclusioni
In conclusione, la procedura di sovraindebitamento familiare si delinea come uno strumento innovativo e prezioso per restituire dignità economica a interi nuclei colpiti dalla crisi. L’unione dei debitori in un unico percorso concorsuale consente di sfruttare al meglio le sinergie familiari, alleggerendo il peso burocratico e finanziario della soluzione della crisi. Le pronunce più aggiornate dei tribunali nel 2025 confermano che questa strada, se percorsa nel rispetto rigoroso dei requisiti, può portare realmente a cancellare i debiti e a ripartire puliti. Certo, non mancano le insidie: occorre valutare con attenzione la natura dei debiti (per evitare inammissibilità dovute a componenti “non consumer”), adottare la procedura corretta e agire con completa trasparenza e buona fede. Con l’assistenza di professionisti esperti, una famiglia sovraindebitata può trasformare l’angoscia dei conti in sospeso in una strategia concreta di risanamento. “E quindi uscimmo a riveder le stelle” scrive Dante al termine del suo viaggio attraverso l’oscurità dell’Inferno: allo stesso modo, superata la tempesta finanziaria grazie agli strumenti legali oggi disponibili, una famiglia potrà finalmente lasciarsi alle spalle l’incubo dei debiti e ritrovare la serenità, guardando di nuovo con fiducia al futuro.

Affrontare una situazione di sovraindebitamento familiare richiede competenza legale e sensibilità verso le dinamiche personali. Lo Studio Legale MP di Verona offre un supporto per valutare ogni caso e guidare l’intero nucleo verso la soluzione più adatta – che sia la predisposizione di un piano del consumatore congiunto, un accordo di ristrutturazione o una liquidazione controllata.

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  • 17 dicembre 2025
  • Redazione

Autore: Redazione - Staff Studio Legale MP


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