
Un piccolo imprenditore travolto dai debiti può oggi sperare in una “seconda opportunità” grazie agli strumenti legali di ristrutturazione del debito. Le recenti riforme e pronunce giurisprudenziali delineano con maggiore chiarezza come funziona il concordato minore – il percorso guidato che consente all’imprenditore non fallibile di ristrutturare i debiti e ripartire senza il fardello delle esposizioni pregresse.
Un imprenditore “minore” in crisi finanziaria può accedere a una procedura di concordato minore per ristrutturare i propri debiti e tornare a respirare. Questa procedura, prevista dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, è riservata ai debitori non assoggettabili a fallimento (piccole imprese sotto le soglie di legge, imprenditori individuali, società di persone di modeste dimensioni, imprenditori agricoli, professionisti, start-up innovative). In sostanza è un concordato su misura dei “piccoli”: il debitore propone un piano per soddisfare in modo sostenibile i creditori, evitando la liquidazione fallimentare e ottenendo a fine percorso l’esdebitazione (ossia la cancellazione di tutti i debiti residui non pagati). “Neither a borrower nor a lender be; for loan oft loses both itself and friend” ammoniva Polonio in Shakespeare: un monito a non indebitarsi sconsideratamente. Eppure nella realtà molti piccoli imprenditori, per necessità, contraggono prestiti e obbligazioni; se la situazione sfugge di mano, la legge offre oggi una via d’uscita regolamentata anziché lasciare l’imprenditore al suo destino. La legge sul sovraindebitamento (introdotta con L. 3/2012, oggi integrata nel CCII) incarna il principio della seconda opportunità: il debitore onesto ma sfortunato può trovare sollievo dai debiti attraverso un piano concordato sotto controllo giudiziale. Allo stesso tempo, il sistema impone regole precise per bilanciare il favor debitoris (favorire il risanamento del debitore meritevole) con la tutela dei creditori e del mercato.
Chi può accedere e con quali debiti? La ristrutturazione del debito dell’imprenditore minore è aperta a tutti i soggetti “non fallibili” in stato di sovraindebitamento. In pratica, possono accedere le imprese commerciali al di sotto dei parametri dimensionali che farebbero scattare la liquidazione giudiziale (le cosiddette imprese minori), nonché categorie prima escluse dal fallimento: imprenditori agricoli, lavoratori autonomi, start-up, enti non profit con attività economica. È importante chiarire che restano invece escluse le persone fisiche consumatrici pure: queste ultime, se hanno debiti contratti per scopi estranei ad attività d’impresa o professionale, utilizzano l’altra procedura specifica denominata “ristrutturazione dei debiti del consumatore”. Il confine tra le due categorie (consumatore vs imprenditore/professionista) è sorvegliato dalla giurisprudenza: ad esempio, la Cassazione ha ribadito che chi garantisce debiti della propria azienda non può definirsi consumatore per sottrarsi alle regole più rigorose degli imprenditori (Cass. civ., Sez. I, sent. n. 29746/2025). Dunque, l’imprenditore piccolo o il socio che abbia garantito debiti sociali dovranno seguire la via del concordato minore, non quella del piano del consumatore. Una novità del 2024 ha però eliminato un dubbio frequente: cosa succede se la stessa persona ha debiti “misti”, parte personali e parte legati all’attività? In passato regnava incertezza, ma il Decreto Correttivo Ter (D.Lgs. 136/2024) ha chiarito che se il debitore ha anche solo una porzione di debiti professionali o d’impresa, dovrà ricorrere al concordato minore e potrà includere nel piano anche i debiti personali. Si evita così il problema di dover spezzare la crisi in due procedure diverse. Una pronuncia di merito ha già applicato questo principio: un soggetto con debiti familiari e aziendali insieme ha potuto presentarne uno unico nel concordato minore (Tribunale di Piacenza, sent. 22 maggio 2025). In sintesi, chi esercita attività economica – anche in minima parte – trova nel concordato minore lo strumento adatto per ristrutturare ogni debito accumulato.
Come funziona il concordato minore? La procedura è simile a un piccolo concordato preventivo: il debitore, con l’ausilio di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC), prepara un piano di ristrutturazione proponendo ai creditori il pagamento, anche parziale e dilazionato, di quanto dovuto. Il piano è flessibile nel contenuto, purché garantisca condizioni migliori rispetto alla liquidazione giudiziale (cioè i creditori devono ricevere almeno quanto otterrebbero se si liquidassero tutti i beni). Non basta però la semplice proposta del debitore: a differenza del piano del consumatore, qui i creditori hanno voce in capitolo. Il tribunale apre la procedura e dispone che il piano sia sottoposto al voto dei creditori, eventualmente suddivisi in classi. Per l’approvazione serve il voto favorevole della maggioranza dei crediti ammessi al voto. Se la maggioranza è raggiunta (anche in una sola classe su più, purché siano soddisfatti alcuni quorum), il tribunale può omologare il concordato minore rendendolo vincolante per tutti. Se invece i creditori bocciano la proposta, il concordato non viene omologato e il debitore potrà al più ripiegare sulla liquidazione controllata (la procedura concorsuale liquidatoria prevista per i sovraindebitati). In ogni caso, la legge incoraggia soluzioni sostenibili: ad esempio, è possibile prevedere che l’imprenditore versi nel tempo ai creditori parte dei suoi redditi futuri, così da pagare le rate concordate. La continuità aziendale è ammessa: il debitore può continuare la propria attività durante il concordato (o cederla in affitto a terzi) se questo aumenta la capacità di rimborso. In tal caso il concordato è “in continuità”; in alternativa il piano può prevedere la cessazione dell’attività e la liquidazione di tutto il patrimonio, ed è detto concordato minore liquidatorio. La distinzione è cruciale perché nel concordato liquidatorio il legislatore esige uno sforzo aggiuntivo: il piano deve apportare risorse finanziarie esterne che incrementino in maniera apprezzabile l’attivo a disposizione dei creditori (art. 74, co. 2 CCII). Questo requisito – assente se l’attività prosegue – serve a evitare concordati “troppo comodi” in cui il debitore liquida soltanto ciò che già ha. Ma quanto dev’essere grande l’apporto esterno? La norma parla di misura “apprezzabile” senza indicare percentuali, il che ha generato dubbi pratici. La risposta è giunta dai tribunali: secondo il Tribunale di Verona (Sez. II, sent. 17 agosto 2025) l’apporto dev’essere valutato caso per caso, ma è ragionevole ispirarsi alla soglia del 10% prevista per i concordati preventivi liquidatori ordinari. In altre parole, un contributo di circa il 5–10% del valore di liquidazione può considerarsi sufficiente a soddisfare l’obbligo di legge, purché non si scenda molto sotto tale range. Questo orientamento fornisce finalmente un parametro: il piccolo imprenditore che opta per un concordato liquidatorio sappia che dovrà aggiungere un “extra” in favore dei creditori – ad esempio, coinvolgendo capitali di terzi, risorse personali aggiuntive o la vendita di beni non ancora aggredibili – in misura non troppo distante da un decimo di quanto sarebbe ricavato liquidando tutto. Se invece il concordato minore è in continuità, nessun apporto minimo è richiesto: la prosecuzione stessa dell’attività è considerata un valore da preservare (il favor per la continuità), e il debitore deve semplicemente destinare integralmente ai creditori il flusso di cassa concordato.
Trattamento dei creditori e limiti di legge. Nel predisporre il piano, il debitore ha una certa libertà nel modulare le proposte ai creditori, ma non può violare i principi fondamentali della parità di trattamento. In altre parole, vige anche qui la par condicio creditorum: creditori con cause di prelazione dello stesso grado vanno trattati in modo equivalente, salvo diverso accordo. Su questo punto una recente sentenza della Cassazione ha messo paletti chiari: Cass. civ., Sez. I, sent. n. 28574/2025 ha confermato che nel concordato minore non è consentito alterare l’ordine legale delle prelazioni a danno di alcuni creditori. Il caso riguardava un professionista che nel suo piano proponeva di pagare integralmente la banca ipotecaria (creditore con garanzia su immobile) e solo in piccola percentuale – il 5% circa – tutti gli altri creditori, compresi l’erario e l’INPS che avevano crediti privilegiati. Tribunale e Corte d’Appello avevano dichiarato inammissibile il piano per violazione della parità di trattamento, e la Cassazione ha confermato. Pur essendo il contenuto del piano libero (ex art. 74 CCII), restano applicabili le norme generali sulle classi e sul rispetto delle cause di prelazione, richiamate dal Codice della crisi anche per il concordato minore. Non si può, dunque, soddisfare per intero un creditore ipotecario di rango inferiore e pagare solo in minima parte creditori privilegiati di grado superiore, se ciò li lascia in una posizione peggiore rispetto a una liquidazione. L’elasticità della procedura non giunge fino a sovvertire le gerarchie dei crediti. Il messaggio per i debitori è chiaro: sì a piani sostenibili e calibrati sulle effettive possibilità, no a forzature che penalizzino indebitamente i creditori. D’altronde, “abolire il dovere di pagare i debiti mina alla base le regole della convivenza umana”, ammoniva Tito Livio. La normativa sul sovraindebitamento vuole offrire una chance di sollievo, non certo avallare abusi ai danni di chi vanta diritti legittimi. Proprio per questo, i giudici vigilano attentamente sulla veridicità e fattibilità del piano, avvalendosi delle relazioni dell’OCC e degli eventuali dissensi dei creditori, e possono rigettare proposte inattendibili o insufficienti.
Onestà e buona fede: requisito implicito per accedere al concordato minore. Un aspetto fondamentale – sebbene non scritto esplicitamente nella legge – è la condotta del debitore. La normativa attuale, a differenza del vecchio piano del consumatore, non richiede formalmente un giudizio di meritevolezza per l’imprenditore che chiede il concordato minore. Ciò non significa però che tutto sia permesso. I principi generali di correttezza e di ordine pubblico economico impongono di negare l’accesso a chi abbia agito con frode o grave mala fede. Emblematica al riguardo la decisione della Corte d’Appello di Genova (Sez. I civ., decr. 23 luglio 2025): i giudici liguri hanno escluso dalla procedura un imprenditore individuale che aveva volontariamente aggravato la propria esposizione e nascosto beni ai creditori, tentando poi di usare il concordato per cancellare il maltolto. Pur mancando una norma specifica di meritevolezza nel CCII, la Corte ha affermato che atti in frode ai creditori precludono l’ammissione al concordato minore in base ai principi generali. Fraus omnia corrumpit – la frode corrompe ogni cosa, tagliando fuori il debitore disonesto dalla “seconda chance”. Del resto, già sotto la legge 3/2012 molti tribunali avevano sviluppato il concetto di abuso del diritto nelle procedure concorsuali: chi viola gravemente i propri doveri (ad esempio dissipando il patrimonio a danno dei creditori o violando obblighi fiscali nella prospettiva di scaricarne le conseguenze) non può poi invocare la legge salva-debiti a proprio vantaggio. Il concordato minore è un aiuto per l’imprenditore sfortunato ma non un condono per il furbo in malafede. Conseguentemente, comportamenti dolosi o gravemente colposi possono portare all’inammissibilità della domanda o alla mancata omologazione, anche se la norma di riferimento (art. 77 CCII) elenca solo motivi formali di rigetto. Il giudice quindi può effettuare d’ufficio una valutazione di meritevolezza sostanziale e bloccare la procedura se emergono elementi di frode. Per i debitori onesti questa severità non rappresenta un ostacolo, ma una garanzia di serietà dell’istituto.
Procedure per ex imprenditori e soci di società: particolarità. Molti piccoli imprenditori cessano l’attività quando la situazione debitoria diventa insostenibile. È importante sapere che anche un ex imprenditore (che abbia chiuso la partita IVA e cancellato l’impresa dal Registro) può accedere al concordato minore, ma con qualche accorgimento. La formulazione originaria del Codice (art. 33, co. 4 CCII) sembrava porre un divieto temporaneo: chi aveva chiuso l’attività non poteva attivare procedure concorsuali per almeno un anno dalla cancellazione. Questo punto ha creato contrasti interpretativi. Nel 2025 la giurisprudenza ha però consolidato un orientamento permissivo, sposato anche dal legislatore col correttivo: l’ex imprenditore può presentare un concordato minore di tipo liquidatorio per sistemare i debiti rimasti, senza dover attendere un anno, purché la cessazione dell’attività sia reale e il piano offra garanzie (in primis le risorse esterne di cui sopra). Ad esempio, la Corte d’Appello di Napoli (decr. 14 luglio 2025) ha affermato chiaramente che l’art. 33 CCII mira solo a evitare concordati in continuità “fittizi” dopo la chiusura dell’azienda, ma non preclude affatto un concordato liquidatorio da parte di chi ha già smesso di operare. In parallelo, il Tribunale di Verona (sent. 18 luglio 2025) ha chiarito che se il sovraindebitamento dell’ex imprenditore dipende anche da debiti contratti dopo la cessazione dell’attività, il divieto di legge non scatta comunque: in quel caso, infatti, non siamo di fronte al classico scenario di chi avrebbe dovuto aprire una procedura concorsuale prima di chiudere bottega. Insomma, oggi è pacifico che chi ha chiuso la propria piccola impresa possa comunque avvalersi del concordato minore per liberarsi dei debiti pregressi, invece di restare imprigionato dal passato. Ciò è in linea con la finalità di dare una chance di ripartenza: favor debitoris – il sistema incoraggia il debitore meritevole a fare ordine e voltare pagina, anche se ha già calato la saracinesca. In questa prospettiva rientra pure la posizione dei soci illimitatamente responsabili di società di persone: il Codice prevede che se una società di persone presenta concordato minore, gli effetti positivi (esdebitazione) si estendono ai soci. Non è invece consentito il contrario, ossia che il singolo socio tenti di “scaricare” nel proprio concordato personale i debiti sociali mentre la società è ancora in attività. Su questo punto c’è una pronuncia significativa: il Tribunale di Verona (sent. 17 agosto 2025) ha dichiarato inammissibile il concordato minore proposto da un socio di SNC ancora operativa, proprio perché avrebbe eluso le norme sulla responsabilità patrimoniale: finché la società è attiva, deve essere quest’ultima a farsi carico di un’eventuale procedura (con beneficio riflesso per i soci, ma senza danneggiare i creditori sociali). Questo per evitare sperequazioni e garantire che i creditori della società non vengano pregiudicati da iniziative individuali dei singoli soci. In altre parole, ognuno deve percorrere la strada corretta: se c’è di mezzo una società, è quella l’entità da coinvolgere in procedura concorsuale; il socio potrà poi godere degli effetti liberatori, ma non può “mettere al sicuro” solo sé stesso lasciando i debiti in capo all’ente collettivo. Anche questa linea guida conferma la filosofia di fondo del sistema: equilibrio e gioco di squadra nelle soluzioni della crisi, senza furberie.
Conclusioni: un equilibrio tra sollievo al debitore e tutela dei creditori. Il panorama delineato dalle riforme e dalle sentenze più recenti mostra un concordato minore a regime più maturo e bilanciato. Da un lato, viene rafforzata la possibilità per il piccolo imprenditore soffocato dai debiti di ottenere un reset e ripartire: si pensi all’artigiano o al commerciante travolto dalla crisi economica, al professionista indebitato per investimenti andati male, all’ex imprenditore rimasto con passività personali. Il legislatore e i tribunali riconoscono l’importanza di offrire a queste figure una via d’uscita dignitosa: nemo tenetur ad impossibilia, nessuno è tenuto a fare l’impossibile, e un debitore incapace di far fronte ai propri debiti deve poter accedere a una procedura che gli consenta di voltare pagina. Dall’altro lato, però, è chiaro che il perdono dei debiti arriva solo a precise condizioni. Il concordato minore non è un regalo unilaterale: il debitore deve mettere in campo tutto il possibile – impegnare il proprio patrimonio e i flussi futuri, aggiungere risorse esterne se necessario, offrire la massima trasparenza e collaborazione – e rispettare le regole del concorso tra creditori, senza pretendere corsie preferenziali ingiustificate. Solo con questo bilanciamento la procedura può raggiungere l’esito sperato: l’omologazione del concordato da parte del Tribunale e, dopo l’esecuzione del piano, la definitiva esdebitazione. Il piccolo imprenditore potrà così ottenere il fresh start tanto agognato, tornando “pulito” dal punto di vista finanziario e potendo ricominciare ad investire e lavorare senza l’ombra dei vecchi debiti. La qualità della misericordia, come scrive Shakespeare ne Il Mercante di Venezia, “benedice sia chi la concede che chi la riceve”: in questo contesto, il Tribunale concede la grazia dei debiti all’imprenditore meritevole, e questi in cambio offre il massimo sforzo per soddisfare i creditori. Il risultato finale è un beneficio per entrambe le parti e per l’economia in generale: un imprenditore liberato dai debiti torna ad essere produttivo, mentre i creditori ottengono comunque il miglior ritorno possibile nelle circostanze date.
In definitiva, la ristrutturazione del debito per l’imprenditore minore rappresenta una soluzione legale preziosa e sempre più raffinata. Se sei un piccolo imprenditore in difficoltà finanziarie, informati su questa opportunità: potrebbe essere la strada verso un nuovo inizio senza debiti. Dura lex, sed lex: la legge a volte impone sacrifici e vincoli severi, ma al tempo stesso offre gli strumenti per risolvere le crisi nel rispetto di tutti gli interessi in gioco.
Redazione - Staff Studio Legale MP